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Assetto geo economico del Mediterraneo

CAPITOLO III: Mediterraneo Orientale: Polveriera Economica

3.1 Assetto geo economico del Mediterraneo

Per poter effettuare un’analisi giusta della situazione geo economica del Mediterraneo è necessario tener presente diversi fattori: il flusso di merci, capitali, servizi e scambi internazionali.

Questi riescono a fornire un quadro preciso del grado di sviluppo di un Paese, indicando anche l’influenza e l’impatto sia a livello economico e, di conseguenza politico sull’intera popolazione.

L’elemento chiave di questa analisi è dato dallo sviluppo da parte del Mediterraneo delle relazioni internazionali che ha portato, nel corso degli anni, all’aumento della richiesta di risorse esterne divenendo queste ultime fattori essenziali per la crescita del reddito dell’intera area.

Come analizzato nel capito precedente, infatti, sia la collocazione geografica delle imprese sia a volte la scarsità delle risorse primarie hanno limitato l’accrescimento dell’economia dell’intera zona.

Pertanto, si è fatta sempre più imponente la necessità di rivolgersi a Stati non mediterranei per avere le risorse prime da poter lavorare, contando come potenziale entrata economica fissa, una forte concorrenzialità per quanto riguarda l’esportazione al punto da essere tutt’oggi una vera propria potenza commerciale.

Nasce in quest’ottica una propensione verso la globalizzazione, commerciale, economica e finanziaria e culturale che da una notevole scossa all’importanza geo economica del Mediterraneo nello scenario mondiale.

Tutto ciò viene reso possibile anche dallo sviluppo di politiche attuate a livello mondiale, volte alla liberazione delle economie e conseguentemente degli scambi commerciali.

Questo progetto vede come promotore primario l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) che, istituita nel 1995, si pone come obbiettivo primario la supervisione degli accordi commerciali tra i vari Stati membri, molti dei quali appartenenti all’area Mediterranea stessa. Per avere contezza effettiva dell’importanza di questa organizzazione basti pensare che essa controlla quasi il 97% del commercio mondiale di beni e di servizi.

In quest’ottica, quasi in modo accrescitivo, paneconomica, al bacino mediterraneo non rimane che come scelta usare al massimo la manodopera e i beni primari, la maggior parte delle volte importate, e implementare delle giuste strategie sia per quanto concerne l’esportazione che per divenire attrattiva circa la dislocazione di diverse attività, mantenendo così un ruolo cardine nello scacchiere mondiale.

In questa ottica muta anche la tipologia delle relazioni internazionali, tramite l’acquisizione da parte delle economie mediterranei di una capacità a far conciliare gli interessi interni dell’area e quelli dei grandi gruppi transnazionali, ormai divenuti gli attori principali di questo sistema.

Quest’ultimi se da un lato possono apportare un aumento di dinamismo economico all’interno dell’area tramite la crescita del peso finanziario-economico di questo a livello mondiale, dall’altro la loro presenza può rappresentare un turbamento a livello di identità del Mediterraneo.

Questi gruppi possono essere definiti come degli apolidi. Non hanno una vera e propria connotazione a livello nazionale, la loro identità non si caratterizza dall’appartenenza ad uno Stato rispetto ad un altro.

Essi piuttosto si pongono come obbiettivo primario l’accrescimento economico. Per questo motivo nel momento in cui occupano una zona la trasformano a proprio piacimento e per il raggiungimento dei propri fini, senza badare alle peculiarità culturali e tradizionali di quel posto.

Il problema che ci si pone, pertanto, è nella gestione di queste agenzie economiche in quanto, se prendono il sopravvento rispetto al luogo che occupano, vi è il rischio che questo venga letteralmente denaturalizzato e privato della propria identità.

La convivenza tra i gruppi transnazionali e la difesa della propria identità è affidata alla capacità politica, sociale e culturale dei vari Paesi mediterranei, tramite l’utilizzo della globalizzazione come mezzo più idoneo per raggiungere velocemente e massimizzare lo sviluppo economico.

La globalizzazione ha un enorme apporto positivo in un Paese, dando visibilità ad uno scenario economico e sociale di un sistema politico stabile, favorendo un ambiente produttivo favorevole, incentivando un sistema scolastico e formativo efficiente ed una gestione adeguata delle risorse.

Il Mediterraneo per poter stabilizzarsi ed affermarsi in un contesto a scala mondiale basa la sua ascesa su una crescita della produzione asiatica e il carico di merci che attraversa il mare per raggiungere porti europei ed occidentali.

L’elemento che in qualche modo limita uno sviluppo coeso e massimizzato è dovuto ai diversi squilibri presenti in questa zona in quanto i retaggi storici, conseguenza di un passato coloniale e di guerre civili che hanno causato un grande divario tra le zone centrali e quelle periferiche.

Queste asperità, però, si cercano di marginare tramite il supporto dell’Unione Europea e della comunità internazionale con il fine di integrare totalmente il centro e la periferia. Andando ad analizzare le esportazioni si evince che esse rappresentavano, agli inizi degli anni Ottanta, il 14% del volume mondiale totale delle merci in uscita ed il 21,4% dei servizi. Questo tasso era dovuto ad una forte frattura e diversificazione tra le zone del mediterraneo. In particolare, si evinceva un tasso di esportazione elevato nei Paesi rivieraschi dell’Unione Europea a fronte della marginalità del versante meridionale ed orientale del bacino.

Per le importazioni, invece, i valori risultano decisamente inferiori rappresentando così una crescita economica notevole. Se, infatti, l’esportazione supera in percentuale l’importazione vuol dire che sono presenti maggiormente entrate economiche per la vendita dei prodotti anche all’esterno del proprio territorio che dispendio per comprarne altri.

Nel bacino Mediterraneo, infatti, la soglia dell’importazione si aggira intorno al 13% e 11% per i servizi.

Con il passare degli anni la disomogeneità a livello economico presente all’interno del mare nostro si è assottigliato anche se, tutt’oggi, il versante mediterraneo dell’Unione Europea domina ancora rispetto a quello orientale.

Quest’ultimo fattore si evince anche dalla crescita o decrescita che il mercato internazionale ha avuto in queste aree facendo emergere una situazione di totale disomogeneità nonostante l’impegno profuso dalle agenzie internazionali, come l’Unione Europea di risolvere tali problemi.

Basti pensare che il totale delle esportazioni agli inizi degli anni duemila si è ridotto notevolmente a scala mondiale arrivando al 13% mostrando, così, una diminuzione della competitività rispetto alle altre zone.

La causa principale di questa perdita è da attribuirsi alla debolezza dei Paesi della sponda nordafricana e slava, mentre invece la zona più “europea” contemporaneamente ha avuto un incremento nell’esportazione passando dal 10% all’11% a livello mondiale.

Una dimostrazione di tale fragilità si riscontra nel fatto che circa l’80% del totale del Mediterraneo viene esportato principalmente da tre Stati, ovvero l’Italia, la Francia e la Spagna.

Quello che però fa stabilire l’andamento economico non è la singola zona, bensì il quadro generale che viene influito notevolmente dalle zone dove si riscontrano peggioramenti anziché il contrario.

Ancora una volta è necessario richiamare il forte principio della coesione in quanto la corsa spasmodica e l’accanimento verso la ricchezza non possono avvenire dai singoli Paesi, ma è necessario che quelli più evoluti rallentino per correre in aiuto di quelli più in difficoltà. Il risultato non sarebbe appagante a breve termine ma con il tempo ne uscirebbe un Mediterraneo compatto più invulnerabile alle crisi, con una competitività a livello mondiale maggiore rispetto a quella che possiede attualmente.

La lentezza riscontrata dai Paesi del sud del Mediterraneo ad emergere su scala mondiale, però, se ha i suoi lati negativi da un punto di vista di crescita dell’intera zona, può rappresentare comunque uno strumento geoeconomico notevole, in quanto può rafforzare i rapporti tra i Paesi del Mediterraneo, aprendosi così a nuovi scambi ed includendo anche zone mediterranee più isolate che diventano, a sua volta, nuove occasioni di investimento. Una evidenza di tale riflessione la si può trovare nel corso degli anni. Nel periodo di boom del petrolio, infatti, i Paesi del Golfo investirono una grande parte della rendita di questo settore nei Paesi arabi mediterranei.

Nel versante meridionale del mediterraneo, dunque, la situazione geoeconomica è la rappresentazione della situazione anche geopolitica che caratterizza queste aree. In particolar modo, il quadro che si evince è di un settore economico favorevole ma di un quadro politico del tutto sfavorevole.

Basti pensare che nel 2006 la vittoria di Hamas in Palestina, non vista bene a livello internazionale a causa delle ideologie a marchio terroristico, ha comportato una regressione economica nei territori palestinesi.

Nel mediterraneo “europeo”, invece, si prospettano diversi scenari. Il primo è la creazione di un euronucleo incentrato sulla sponda latina del mediterraneo. Questa avrebbe come ruolo primario quello di raccordo tra l’Unione Europea e la sponda del sud mediterraneo.

Un’altra ipotesi che nel corso degli anni sta diventando sempre più preponderante ed evidente riguarda la Russia che, tramite il controllo delle reti energetiche ,potrebbe tornare come protagonista nell’economia del mare nostrum, divenendone uno degli attori principali ed al contempo ridurrebbe l’espansione degli interessi sia dell’Unione Europea che della Nato.

Questa analisi geoeconomica mostra come anche sotto questo profilo l’unità del Mediterraneo sembra ben lontano da raggiungere. In realtà i vari aspetti che caratterizzano questo bacino sono strettamente collegati tra di loro. La frattura culturale influenza ed è alla base di quella economica.

Le relazioni di scambio, infatti, avvengono prevalentemente tra Paesi contigui e legati dalla diffusione di etnie e credenze religiose comuni. La prova evidente che questa ottica è alla base delle relazioni commerciali vi è la frattura presente tra la parte occidentale e quella orientale del Mediterraneo.

Se i primi vedono gli altri soltanto delle terre dove poter espandere la loro egemonia, gli Stati orientali, specialmente quelli più estremisti, basando la loro struttura sulla religione e su una cultura diametralmente opposta a quella occidentale, ritengono inopportuno avere delle relazioni siano esse di natura economica o di altra natura con i cosiddetti “infedeli” occidentali.

La Spagna e la Francia, per esempio, mantengono rapporti prevalentemente con il Marocco e con Paesi della stessa sponda, così come la Grecia detiene rapporti più intensi con i Paesi mediorientali. Malta, invece, predilige la Turchia e la Libia agli altri Stati.

Un altro fattore da analizzare nella trattazione dello scenario geoeconomico del Mediterraneo è quello costituito dagli investimenti diretti esteri, meglio conosciuti con l’acronimo IDE.

Questi sono dei flussi finanziari in ingresso o in uscita di un Paese con il fine di investirli tramite l’acquisizione parziale o totale di imprese, o creano e ne avviano delle nuove in territori esteri.

Essi rappresentano il moto propulsore del processo di internazionalizzazione che si è avviato con l’apertura del Mediterraneo verso l’era globale, il cui utilizzo incentiva notevolmente gli investimenti locali, in quanto mobilitano quelle che sono le risorse del posto, e al contempo divengono un’opportunità per investire ed implementare lo sviluppo tecnologico, portando trasferimenti dalle società transnazionali.

In tale contesto anche l’assetto geoeconomico e relazionale risulta mutato. Con lo sviluppo degli IDE, infatti, è nato un nuovo modo di collegamento tra le economie nazionali: non sono più i mercati a congiungere gli Stati, bensì i flussi di capitali.

Analizzare gli IDE risulta importante in quanto essi consentono di avere un quadro più esaustivo circa il successo delle politiche economiche messe in atto e la stabilità dei mercati. Per le varie politiche, infatti, questi flussi risultano di notevole importanza in quanto consente di accrescere la produttività ed usare in modo efficiente quelle che sono le risorse esistenti ed acquisire quelle non in loro possesso.

Per i Paesi di via di sviluppo questi rappresentano un elemento essenziale per il raggiungimento di questo obbiettivo. L’intento, tramite l’investimento di flussi esteri, è quello di accrescere il potenziale produttivo del Paese, promuovendo lo sviluppo ed il rilancio delle imprese locali e delle tecnologie.

A livello generale i Paesi mediterranei hanno ricevuto una minima parte degli IDE, a causa delle fratture e dall’instabilità politica ed economica del territorio, elementi indispensabili per attrarre investimenti.

Basti pensare che negli anni 80 l’indice degli IDE nel Mediterraneo era del 12 % del flusso mondiale in entrata, aumentando nei successivi anni.

A metà degli anni Novanta, invece, la presenza di nuove aree di interesse da parte di imprese transnazionali, più stabili e compatte sia da un punto di vista economico che politico, ha causato un indebolimento dell’area mediterranea per poi riprendersi agli inizi del 2000. Un altro fattore assume una posizione di rilievo nell’analisi del quadro geoeconomico di questa zona: il MEDA.

Dal 1996, infatti, i Paesi presenti nella zona meridionale del Mediterraneo vengono denominati MEDA, dal nome dello strumento finanziario adottato dalla nascita del partenariato tra l’Europa ed il Mediterraneo.

In realtà con questo acronimo si designa una vera e propria unione di dieci Paesi del Sud del mediterraneo, ovvero Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia. La Libia, invece, vi partecipa come osservatore.

L’elemento che accomuna questi Stati è la presenza di idrocarburi e materie prime e l’obbiettivo di creare un ambiente favorevole all’investimento e la promulgazione di politiche economiche comuni.

In realtà, però, il Meda ha ricevuto solo una piccola percentuale dei fondi rispetto a quanto pattuito all’inizio della sua creazione, rendendo così necessario avviare una nuova politica economica al fine di rendere i meccanismi di assistenza e la qualità dei prodotti migliori. I risultati che questo programma ha avuto sono diversi, tra cui la promulgazione di una serie di riforme strutturali e di privatizzazione dei sistemi produttivi principali, per poter attrarre più facilmente maggiori capitali.

Negli anni, dunque, sebbene il livello economico complessivo del Mediterraneo non sia uno dei migliori, si è assistito ad un notevole cambiamento geoeconomico e la causa scatenante che nella maggior parte dei casi ha portato al declino di tale zona è sicuramente l’impatto che l’attentato alle torri gemelle avvenuto l’11 settembre 2001 ha suscitato sia a livello che economico che politico.

In casi anche di risalto mondiale, infatti, si hanno ripercussioni all’interno degli Stati provocando forti tensioni ed instabilità e ,nel caso specifico, tale instabilità ha portato ad una diminuzione di fiducia da parte degli investitori.

D’altronde perché investire in una zona in cui le rivolte ed i dissidi politici ideologici minano alla stabilità dell’economia?

In realtà il quesito appare alquanto lecito, soprattutto se ci si trova dinnanzi a degli investimenti da compiere. Rimane come soluzione definitiva effettuare un piano comune per l’intero Mediterraneo che abbia come comun denominatore il benessere economico. Il problema però è più complesso di quanto possa apparire in quanto questo aspetto risulta legato in maniere inossidabile alla frattura politica, religiosa e culturale presente. D’altronde se il fattor comune fosse davvero l’economia la coesione sarebbe più semplice da raggiungere.

La questione, per questo motivo, rimane irrisolta ed in continua evoluzione, riducendo tutto ad una lotta semplice ma distruttiva sulla supremazia all’interno della stessa area degli uni rispetto agli altri.

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