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La valutazione del rischio di portafogli finanziari al variare degli scenari di mercato.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea magistrale in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

:

La valutazione del rischio di portafogli finanziari al variare

degli scenari di mercato

Candidato:

Matteo Garzetti

Relatore:

Prof. Emanuele Vannucci

(2)
(3)

INDICE

1.1

Il rendimento e il rischio di un asset

3

1.2

Teoria di portafoglio del modello media-varianza

6

1.2.1 Rischio di portafoglio per il modello media-varianza 7

1.2.2 Il portafoglio che minimizza il rischio 8

1.2.3 Il ruolo della correlazione lineare 9

1.3

La frontiera dei portafogli

12

1.3.1 La frontiera con due titoli rischiosi 12

1.3.2 La frontiera con n>2 titoli rischiosi 15

1.3.3 La frontiera in presenza di un titolo risk-free 16

1.3.4 La costruzione della frontiera tramite il metodo di Markowitz 19

1.4

Le motivazioni che spingono all’utilizzo delle serie storiche dei

rendimenti

21

1.4.1 La stazionarietà di un processo stocastico 22

1.4.2 Verifica della stazionarietà tramite i correlogrammi 24

1.4.3 Test di radice unitaria: il test di Dickey-Fuller 25

1.5

Problematiche relative all’utilizzo della deviazione standard

come misura di rischio

28

1.5.1 Evidenze empiriche contro la deviazione standard 29

1.5.2 Normalità dei rendimenti dei titoli 30

2.1

Il Value at Risk

33

INTRODUZIONE

1

1

L’APPROCCIO

CLASSICO

3

2

MISURE

DI

RISCHIO

ALTERNATIVE

ALLA

SEMPLICE

(4)

2.2

Il Value at Risk e il rischio di mercato negli accordi di Basilea 36

2.2.1 Il metodo standardizzato 38

2.2.2 L’approccio dei modelli interni 38

2.3

Le metodologie di calcolo del VaR

40

2.3.1 Il metodo della Normale 40

2.3.2 Vantaggi e svantaggi del metodo della Normale 43

2.3.3 Il metodo della simulazione storica 44

2.3.4 Vantaggi e svantaggi del metodo della simulazione storica 45

2.4

Oltre il VaR

46

2.4.1 Le criticità relative al VaR 46

2.4.2 L’Expected Shortfall 48

2.4.3 Shortfall Deviation Risk 51

3.1

Metodologie e strumenti di lavoro

55

3.2

L’effetto della diversificazione sulle misure di rischio

60

3.2.1 Evidenze empiriche 60

3.2.2 Considerazioni sull’analisi effettuata 65

3.3

L’applicazione del metodo di Markowitz

65

3.3.1 Procedimento seguito per il calcolo dei portafogli di Markowitz 66

3.3.2 Portafoglio bancario 67

3.3.3 Portafoglio Italia Servizi Pubblici 68

3.4

Considerazioni sulle metodologie utilizzate

69

3

COSTRUZIONE

DI

PORTAFOGLI

IN

BASE

ALL’ANALISI

STATISTICA

DEI

RENDIMENTI

PASSATI

55

4

LA

VALUTAZIONE

DEL

RISCHIO

DI

PORTAFOGLIO

IN

(5)

4.1

Analisi dell’andamento del FTSE MIB

74

4.1.1 Periodi di turbolenza significativi 75

4.1.2 Confronto tra i periodi di tensione considerati 81

4.2

La valutazione dell’impatto della Brexit sui portafogli

83

4.2.1 Portafoglio di Markowitz 83

4.2.2 Portafoglio Italia Servizi Pubblici 86

4.2.3 Portafoglio Finanza 89

4.2.4 Portafoglio bancario 93

4.2.5 Conclusioni sull’analisi relativa alla Brexit 96

4.3

Valutazione del rischio dal 9 giugno 2016

97

4.3.1 Portafoglio di Markowitz 97

4.3.2 Portafoglio Italia Servizi Pubblici 99

4.3.3 Portafoglio Finanza 101

4.3.4 Portafoglio bancario 102

4.3.5 Conclusioni sulla valutazione del rischio dal 9 giugno 2016 104

4.4

L’inverno 2016 e le sue ripercussioni sul rischio di portafoglio 104

4.4.1 Portafoglio di Markowitz 104

4.4.2 Portafoglio Italia Servizi Pubblici 107

4.4.3 Portafoglio Finanza 110

4.4.4 Portafoglio bancario 112

4.4.5 Conclusioni sugli effetti dell’inverno 2016 115

4.5

L’effetto dell’estate 2015 sul valore delle misure di rischio

117

4.5.1 Portafoglio di Markowitz 117

4.5.2 Portafoglio Italia Servizi Pubblici 119

4.5.3 Portafoglio Finanza 121

4.5.4 Portafoglio bancario 122

4.5.5 Conclusioni sull’estate 2015 124

(6)

A.1 L’andamento del prezzo e del rendimento dei titoli

133

A.2. Matrici di correlazione

136

A 2. Test di normalità dei rendimenti dei titoli analizzati

142

CONCLUSIONI

129

APPENDICI

133

ELENCO

FIGURE

143

ELENCO

GRAFICI

145

ELENCO

TABELLE

147

BIBLIOGRAFIA

149

SITOGRAFIA

151

PROGRAMMI

UTILIZZATI

153

(7)

1

INTRODUZIONE

La creazione di nuovi strumenti finanziari ed il mutamento dell’approccio di molti intermediari ha richiesto una cospicua diffusione delle tecniche di risk management, con il duplice obiettivo di valutare il rischio in maniera efficace e di porre in atto le misure necessarie per gestirlo adeguatamente. Gli intermediari finanziari devono esaminare anche le performance più pessimistiche, al fine di non rimanere spiazzati da possibili eventi avversi che colpiscano i mercati. Le più recenti crisi finanziarie hanno messo in luce una carenza di precisione nella valutazione del rischio, e tale superficialità ha causato ingenti danni al sistema. I mutui subprime hanno indubbiamente costituito un sintomatico esempio di come gli intermediari finanziari si siano occupati eccessivamente del profitto a discapito della stabilità della compagnia. Gli strumenti derivati, invece di rendere più efficiente la gestione del rischio, sono stati utilizzati in maniera errata, scaricando il peso di strategie troppo aggressive su altri operatori. È auspicabile dunque che l’evoluzione delle tecniche di risk management determini un progressivo aumento nella diffusione della cultura del rischio, non certo da demonizzare bensì da gestire nella maniera migliore.

La presente trattazione si occuperà appunto delle varie metodologie utilizzate per ridurre al minimo il rischio di portafoglio, iniziando dalle misure più semplici fino ad arrivare a quelle più recenti e precise. Sarà presentato brevemente il modello media-varianza, osservandone i limiti; ci concentreremo poi in misura maggiore sui risultati sfavorevoli all’investitore, utilizzando le cosiddette misure di downside risk.

Riguardo a quest’ultime, il testo si occuperà dapprima del Value at Risk (VaR) per spiegarne il significato e presentare le metodologie utilizzate per la sua determinazione. Verranno inoltre segnalate le critiche che è possibile muovere a tale misura di rischio, mostrando come l’utilizzo dell’Expected Shortfall (ES) possa rispondere al meglio alle criticità del VaR.

(8)

2

In seguito, sarà presentata una misura di rischio ancora più prudente, che non ha avuto ancora un forte sviluppo nel mondo della finanza: lo Shortfall Deviation Risk (SDR). Tale metodologia ha certamente il pregio di essere molto accurata, ma la sua estrema precisione potrebbe essere un limite all’utilizzo come misurazione del capitale da detenere ai fini di vigilanza: infatti, gli intermediari potrebbero non vedere di buon occhio l’utilizzo di una misura di rischio che induca la compagnia ad accantonare una quantità di capitale troppo elevata.

Una volta presentati gli strumenti utili per una valutazione puntuale, sarà indagato come il rischio di portafoglio vari, a seconda della tipologia degli asset selezionati e della congiuntura di mercato. Verrà dunque mostrato che i portafogli sulla frontiera sono caratterizzati da una rischiosità inferiore rispetto a quelli che non si trovano su tale curva, e che un’adeguata diversificazione è idonea a ridurre l’alea relativa ad un determinato portafoglio.

In seguito, verranno individuati i più recenti periodi di turbolenza sul FTSE MIB, per valutare l’effetto dell’accentuata volatilità sul rischio di portafoglio, e quindi sull’esposizione degli investitori. Il testo si focalizzerà sul comportamento di vari portafogli per osservare l’impatto degli eventi selezionati su differenti tipologie di asset, mostrando come portafogli caratterizzati da una volatilità storica maggiore siano più rischiosi in caso di scenari di mercato sfavorevoli.

(9)

3

1 L’APPROCCIO CLASSICO

In questo capitolo presenteremo le teorie di portafoglio relative al modello-media varianza, focalizzandoci sull’approccio al rischio utilizzato da tale modello. Considerando che il rischio di un’attività finanziaria è definito dalla misura della dispersione dei rendimenti rispetto al valore medio (varianza), e assumendo che gli operatori siano avversi al rischio, i soggetti economici avranno l’interesse a minimizzare la varianza: analizzeremo dunque le tecniche utilizzate per tale scopo, occupandoci in particolare del ruolo della correlazione lineare. Scopriremo inoltre come costruire portafogli che minimizzino il rischio per un dato livello di rendimento, utilizzando il metodo di Markowitz1.

Nel proseguo del capitolo capiremo la motivazione che ci spinge ad utilizzare i dati storici relativi ai rendimenti al fine di ottenere una stima del valore atteso delle performance future, osservando invece che non è possibile utilizzare lo stesso approccio per la stima dei prezzi. Infine, presenteremo le critiche che si possono muovere all’approccio media-varianza, sottolineando come non sia adatto per misurare con precisione il rischio relativo ad attività finanziarie.

1.1 Il rendimento e il rischio di un asset

La teoria finanziaria definisce il rischio come la dispersione dei risultati non attesi, dovuti ai movimenti delle variabili finanziarie. Sono quindi da considerare le deviazioni negative, ma anche quelle positive, dal momento che performance superiori alla media di mercato sono indice di una volatilità maggiore.

Nella dottrina classica i parametri che vengono presi in considerazione per la valutazione della distribuzione dei rendimenti sono il valore atteso E(r), o media, e la varianza (𝜎2), dato che si assume che le caratteristiche della distribuzione in questione siano assimilabili a quelle della normale gaussiana. In tal caso, infatti, gli indici statistici menzionati sono in grado di fornire tutte le informazioni

1 L’economista statunitense Harry Markowitz è il padre fondatore del modello media-varianza nonché

(10)

4

necessarie riguardo alla distribuzione. Media2 e varianza3 sono ottenuti nel modo seguente4: 𝐸(𝑟) = 𝜇𝑟 = ∑ 𝑝𝑖 𝑛 𝑖=1 𝑟𝑖, (1.1) 𝜎𝑟2 = ∑ 𝑝𝑖 𝑛 𝑖=1 ∗ [𝑟𝑖− 𝜇𝑟]2. (1.2)

In realtà si preferisce utilizzare la deviazione standard (σ), in quanto l’unità di misura della varianza non è la stessa del valore atteso e quindi la prima non è direttamente comparabile con la media.

𝜎𝑟 = √∑ 𝑝𝑖

𝑛

𝑖=1

∗ [𝑟𝑖 − 𝜇𝑟]2. (1.3)

Quando dobbiamo studiare dei dati reali, ci troviamo spesso in presenza di un campione della popolazione. Supponendo di effettuare un campionamento casuale, è possibile stimare i valori che ci interessano. Quindi, nel caso di un campione casuale di n osservazioni, otterremo la media campionaria tramite la seguente formula: 𝜇̂𝑟 =∑ 𝑟𝑖 𝑛 𝑖=1 𝑛 . (1.4)

2 Nel caso la probabilità degli n rendimenti sia la stessa e sia pari a 𝑝𝑖=1

𝑛 allora avremo: 𝜇𝑟=

∑𝑛𝑖=1𝑟𝑖

𝑛 .

3 Come nel caso precedente, se la probabilità 𝑝𝑖=1

𝑛 la varianza sarà data da: 𝜎 2

𝑟=

∑𝑛𝑖=1(𝑟𝑖−𝜇𝑟)2

𝑛 .

4 Elton E.J., Gruber M.J., Brown S.J., Goetzmann W.N., Modern Portfolio Theory and Investment Analysis

(11)

5

Lo stimatore corretto della varianza invece è dato da:

𝜎̂𝑟2 =∑ (𝑟𝑖− 𝜇̂𝑟) 2 𝑛

𝑖=1

𝑛 − 1 . (1.5)

Per semplicità continuiamo a riferirci a media e varianza, ma ricordiamo che quando dovremo applicare la teoria ai dati empirici sarà necessario utilizzare gli stimatori per ottenere dati il più possibile precisi.

Per descrivere la distribuzione gaussiana sono sufficienti i valori di media e varianza, tuttavia è utile menzionare per precisione anche altri due indici statistici: ossia l’indice di Skewness e di Curtosi5.

Il primo (momento terzo) è una misura dell’asimmetria della distribuzione, e per una gaussiana il suo valore è zero; una skew<0 indica un’asimmetria negativa, mentre una skew>0 un’asimmetria positiva.

𝑠𝑘𝑒𝑤 = 1 𝑛∑ ( 𝑟𝑖− 𝜇𝑟 𝜎𝑟 ) 3 𝑛 𝑖=1 . (1.6)

Un’asimmetria negativa indica una coda sinistra più lunga, mentre una skew>0 segnala una distribuzione con la coda più lunga a destra. Ovviamente nell’ambito del rischio associato ad un’attività finanziaria, ciò che preoccupa l’investitore è un’asimmetria negativa, in quanto una Skewness positiva testimonia che i redimenti favorevoli sono di entità superiore a quelli negativi.

Le caratteristiche della distribuzione possono essere comprese ancora meglio introducendo il momento quarto, ossia l’indice di Curtosi. Esso descrive il grado

5 Alexander C., Market Risk Analysis Volume I: Quantitative Methods in Finance, John Wiley and Sons

(12)

6

di appiattimento della distribuzione, nonché la misura dello spessore delle sue code. 𝑘𝑢𝑟𝑡 = 1 𝑛∑ ( 𝑟𝑖− 𝜇𝑟 𝜎𝑟 ) 4 𝑛 𝑖=1 . (1.7)

Il valore della Curtosi per una distribuzione Normale è 3 ed un valore superiore indica una distribuzione leptocurtica, ossia con code spesse. Nel caso di kurt<3, si parla di distribuzione platicurtica, con code poco spesse. Quindi, se due asset presentano lo stesso rendimento e la medesima deviazione standard, ma uno dei due è caratterizzato da una Curtosi maggiore, per quest’ultimo la probabilità di rendimenti estremi (sia positivi che negativi) è superiore.

Un’attività che presenti una distribuzione caratterizzata da un indice di Curtosi molto elevato e da un’asimmetria marcatamente negativa non sarà un asset appetibile per un investitore: le performance negative sono superiori alle positive, ed inoltre la probabilità relativa ai rendimenti che si discostano marcatamente dalla media non è trascurabile.

Abbiamo introdotto questi ultimi due indici per una descrizione più completa della distribuzione, ma sappiamo che di fronte ad una gaussiana non si avranno problemi riguarda il momento terzo ed il quarto, in quanto il loro valore è già determinato; la questione sarà decidere se è possibile assumere che una particolare distribuzione possa essere equiparata ad una Normale.

1.2 Teoria di portafoglio del modello media-varianza

Dopo aver analizzato i momenti che descrivono una distribuzione, occupiamoci ora del calcolo del rendimento e della varianza di portafoglio, osservando anche come sia possibile ridurre il rischio tramite un’adeguata diversificazione.

(13)

7

1.2.1 Rischio di portafoglio per il modello media-varianza

Nel caso si voglia addivenire al valore atteso e alla deviazione standard di un portafoglio, è necessario considerare il rapporto che intercorre tra i vari titoli in questione. Per questo motivo risulta fondamentale l’introduzione della covarianza tra il tasso di rendimento del titolo i e quello dell’attività j, 𝜎𝑖𝑗 = 𝐸[(𝑟𝑖− 𝜇𝑖)(𝑟𝑗 − 𝜇𝑗)]. È utile considerare 𝑎0, 𝑎1, 𝑎2,… . , 𝑎𝑛 come le porzioni di ricchezza allocate nei vari titoli. I valori da noi ricercati sono dati da6:

𝜇𝑝 = ∑ 𝑎𝑖𝜇𝑖 𝑛 𝑖=1 , (1.8) 𝜎𝑃2 = ∑ ∑ 𝑎𝑖𝑎𝑗𝜎𝑖𝑗 𝑛 𝑗=1 𝑛 𝑖=1 . (1.9)

È possibile anche considerare la correlazione lineare,sapendo che:

𝜌𝑖𝑗 = 𝜎𝑖𝑗

𝜎𝑖𝜎𝑗. (1.10)

In questo modo, nel caso di un portafoglio di soli due titoli, la varianza diventerebbe:

𝜎𝑃2 = 𝑎12𝜎12+ (1 − 𝑎1)2𝜎22+ 2𝑎1(1 − 𝑎1)𝜌12𝜎1𝜎2 (1.11)

dato che, considerando solo due attività, 𝑎2 = 1 − 𝑎1.

(14)

8

1.2.2 Il portafoglio che minimizza il rischio

Come abbiamo detto, la misurazione del rischio è affidata alla varianza e alla deviazione standard, vediamo come è possibile la minimizzazione dell’alea tramite la variazione della quota investita nei vari asset. L’investitore dovrà minimizzare la propria varianza. Quindi, nel caso di sole due attività rischiose, avremo7:

min 𝜎𝑃2 = 𝑎12𝜎12+ (1 − 𝑎1)2𝜎22+ 2𝑎1(1 − 𝑎1)𝜌12𝜎1𝜎2. (1.12) È necessario dunque calcolare la derivata prima rispetto ad 𝑎1 e porla uguale a zero:

𝑑𝜎𝑃2

𝑑𝑎1 = 2𝑎1𝜎1

2− 2(1 − 𝑎

1)𝜎22+ 2(1 − 2𝑎1)𝜌12𝜎1𝜎2= 0. (1.13)

Dalla 1.13 è possibile ottenere il seguente valore di 𝑎1:

𝑎1∗ = 𝜎2

2− 𝜌

12𝜎1𝜎2

𝜎12+ 𝜎22− 2𝜌12𝜎1𝜎2. (1.14)

L’equazione 1.14 rappresenta la quantità di titolo 1 che l’investitore deve detenere al fine di minimizzare la varianza di portafoglio.

Stiamo considerando un individuo il cui interesse è solamente minimizzare il rischio, un operatore che non ha quindi nessun obiettivo di rendimento. Ovviamente nel caso più reale in cui l’investitore abbia a cuore anche il rendimento atteso, dovranno essere effettuate valutazioni differenti.

L’obiettivo di minimizzazione della varianza è centrale in questa trattazione in quanto ci stiamo occupando della misurazione del rischio. Per questo motivo, nella

7 Fiaschi D., Meccheri N., Note di studio su Economia dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2014, pp.

(15)

9

parte empirica del lavoro, andremo proprio a considerare portafogli che minimizzano la varianza, ma di ciò parleremo nel proseguo della trattazione.

1.2.3 Il ruolo della correlazione lineare

Ora risulta interessante indagare quale sia il ruolo della correlazione nella minimizzazione del rischio di portafoglio. Andremo a considerare tre casi limite che ci mostreranno come la correlazione, se utilizzata nel modo corretto, possa ridurre l’alea in capo all’investitore8.

Ⅰ caso 𝝆𝟏𝟐 = −𝟏

In questo caso l’equazione 1.14 risulta:

𝑎1∗ = 𝜎2 2+ 𝜎 1𝜎2 𝜎12+ 𝜎 22+ 2𝜎1𝜎2 =𝜎2(𝜎1+ 𝜎2) (𝜎1+ 𝜎2)2 = 𝜎2 𝜎1+ 𝜎2 (1.15)

e da ciò possiamo evincere che:

𝑎2∗ = 1 − 𝑎1∗ = 𝜎1

𝜎1+ 𝜎2. (1.16)

Una volta ottenuti i valori dei pesi da applicare ai titoli, è necessario sostituirli nell’equazione della varianza, in modo da ottenere:

𝜎𝑃2∗ = ( 𝜎2 𝜎1+ 𝜎2) 2 𝜎12+ ( 𝜎1 𝜎1+ 𝜎2) 2 𝜎22− 2 ( 𝜎2 𝜎1+ 𝜎2) ( 𝜎1 𝜎1+ 𝜎2) 𝜎1𝜎2 =

8 Fiaschi D., Meccheri N., Note di studio su Economia dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2014, pp.

(16)

10 = 𝜎2 2𝜎 12 (𝜎1+ 𝜎2)2+ 𝜎12𝜎22 (𝜎1+ 𝜎2)2− 2 𝜎12𝜎22 (𝜎1+ 𝜎2)2 = 0. (1.17)

Appare dunque chiaro come sia possibile azzerare il rischio nel caso di una perfetta correlazione lineare negativa.

Ⅱ caso 𝝆𝟏𝟐 = 𝟎

Qualora non vi sia alcuna correlazione tra i due titoli, l’equazione 1.14 diventa:

𝑎1∗ = 𝜎2 2 𝜎12+ 𝜎 22 (1.18) e quindi: 𝑎2∗ = 1 − 𝑎1∗ = 𝜎1 2 𝜎12+ 𝜎 22 . (1.19)

Ora procediamo come nel caso precedente, sostituendo i valori di 𝑎1∗e 𝑎2∗ nell’equazione della varianza. Otteniamo dunque:

𝜎𝑃2∗ = ( 𝜎2 2 𝜎12+ 𝜎22) 2 𝜎12+ ( 𝜎1 2 𝜎12+ 𝜎22) 2 𝜎22 =𝜎2 4𝜎 12+ 𝜎14𝜎22 (𝜎12+ 𝜎 22)2 =𝜎1 2𝜎 22(𝜎12+ 𝜎22) (𝜎12+ 𝜎 22)2 = 𝜎12( 𝜎2 2 𝜎12+ 𝜎22) . (1.20)

(17)

11

Dato che ( 𝜎2 2

𝜎12+𝜎22) < 1, emerge che il rischio collegato al portafoglio è indubbiamente inferiore a quello associato all’attività 1. Inoltre la 1.20 può essere anche riscritta come:

𝜎𝑃2∗ = 𝜎22( 𝜎1 2 𝜎12+ 𝜎

22

) (1.21)

e da ciò si evince come il rischio di portafoglio sia inferiore anche a quello dell’attività numero 2.

Quindi, anche nel caso non sia presente una correlazione tra gli asset, è sempre possibile ridurre l’alea del portafoglio mediante un’adeguata diversificazione.

Ⅲ caso 𝝆𝟏𝟐 = 𝟏

Nell’eventualità che sia presente una perfetta correlazione positiva, l’equazione della varianza diventa:

𝜎𝑃2∗ = 𝑎 12𝜎12+ (1 − 𝑎1)2𝜎22+ 2𝑎1(1 − 𝑎1)𝜎1𝜎2 = [𝑎1𝜎1+ (1 − 𝑎1)𝜎2]2. (1.22) Quindi: 𝜎𝑃= [𝑎 1𝜎1+ (1 − 𝑎1)𝜎2]. (1.23)

Dato che l’equazione 1.23 è una media ponderata di 𝜎1 e 𝜎2, la 𝜎𝑃∗ si collocherà proprio tra 𝜎1 e 𝜎2.

Quindi, in questa circostanza, non è possibile ridurre il rischio di investimento tramite la diversificazione. In generale, più la correlazione è positiva e maggiore è il rischio, dato che la diversificazione risulta sempre più inefficace, fino ad arrivare al caso limite in cui 𝜌12 = 1, quando questa metodologia si rivela incompatibile con la riduzione del rischio.

(18)

12

I casi analizzati sono prevalentemente di scuola e la ragione di ciò risiede nella difficoltà nel trovare asset che presentino una correlazione perfettamente positiva, negativa, o nulla con le attività in portafoglio; tuttavia il presente paragrafo ci ha consentito di comprendere il ruolo della correlazione lineare nel processo di riduzione del rischio, che è ciò che costituisce il principale obiettivo di questo lavoro.

1.3 La frontiera dei portafogli

Fino ad ora ci siamo occupati di un investitore che si interessa solamente alla minimizzazione del rischio, tuttavia tale approccio è distante dalla visione reale degli individui, che vorranno invece costruire un portafoglio che bilanci rischio e rendimento. Consideriamo dunque anche il parametro del rendimento atteso 𝜇𝑃, di cui abbiamo già proposto in precedenza l’equazione. Il nostro obiettivo è dunque quello di minimizzare la deviazione standard per ogni dato livello di rendimento atteso. Introduciamo quindi un concetto ben noto in dottrina:

Frontiera dei portafogli

La frontiera dei portafogli individua i portafogli che permettono di raggiungere un determinato rendimento atteso al livello di rischio più basso9.

1.3.1 La frontiera con due titoli rischiosi

Proponiamo in figura 1 una rappresentazione della frontiera con due titoli rischiosi. Appare chiaro come la curva cambi a seconda della correlazione tra i due asset: infatti notiamo come per una determinata combinazione dei pesi, sia possibile azzerare il rischio, se 𝜌12 = −1. Mentre si evince che, nel caso di una perfetta correlazione positiva, non è possibile ottenere una riduzione dell’alea.

La varianza di un portafoglio composto da due asset è la seguente: 𝜎𝑃2 = 𝑎

12𝜎12+ (1 − 𝑎1)2𝜎22+ 2𝑎1(1 − 𝑎1)𝜌12𝜎1𝜎2 (1.24)

9 Fiaschi D., Meccheri N., Note di studio su Economia dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2014, p.

(19)

13

Dunque, considerando i casi in cui 𝜌12= ±1, avremo:

𝜎𝑃 = |𝑎1𝜎1± (1 − 𝑎1)𝜎2|.10 (1.25)

Figura 1: Frontiera dei portafogli con due titoli rischiosi, al variare della correlazione

Fonte: Bianchi C.L., Note di studio su Econometria dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2016

Quando 𝜌12 = 1, la 1.25 risulta essere una combinazione lineare convessa di 𝜎1e 𝜎2, e quindi non è possibile la riduzione sistematica del rischio. La deviazione standard di portafoglio è quindi una media pesata di quella relativa alle due attività. Inoltre, dato che la stessa cosa vale per il rendimento atteso di portafoglio11, la frontiera è rappresentata dal segmento congiungente il titolo 1 con il titolo 2. Invece, nel caso opposto, la frontiera è la linea spezzata che unisce il titolo 1 e il titolo 2, passante per il punto a cui è associata una 𝜎𝑃 nulla.

10 Bailey R.E., The Economics of Financial Markets, Cambridge University Press, 2005, pp. 118-121. 11 𝜇

(20)

14

Introducendo nella nostra economia le short sales, sarebbe inoltre possibile pervenire a combinazioni non raggiungibili tramite il semplice acquisto dei due asset, indipendentemente dai pesi prescelti. Con le vendite allo scoperto l’investitore può vendere un titolo di cui non dispone, prendendolo a prestito da un operatore finanziario; in seguito dovrà riacquistare tale titolo e restituirlo al proprietario. Ovviamente l’investitore opterà per questa operazione, prevedendo che il valore dell’asset in procinto di essere venduto allo scoperto possa diminuire, cosicché sia possibile venderlo ad un prezzo maggiore rispetto a quello di riacquisto al cessare del periodo di prestito.

L’investitore, venduto allo scoperto un asset, può utilizzare la somma ottenuta dalla vendita per acquistare una quantità dell’altro titolo che risulta superiore a quella che le sue disponibilità finanziarie iniziali avrebbero potuto permettergli. Notiamo che, contemplando tale caso, è possibile raggiungere combinazioni oltre il titolo 1 e il titolo 2.

In figura 2 possiamo apprezzare la frontiera dei portafogli ottenuta con due titoli rischiosi. I punti P1 e P2 sono i due asset disponibili nell’economia, quindi le combinazioni oltre questi due livelli sono raggiungibili esclusivamente tramite lo strumento delle short-sales.

Figura 2: Frontiera dei portafogli con due titoli rischiosi e short sales

P2

MR

P1

R EN D IM EN TO DEV.STANDARD

(21)

15

È molto interessante il ruolo del punto MR, raffigurante la combinazione che conduce alla minimizzazione del rischio: a fronte di ciò l’investitore interessato esclusivamente al contenimento dell’alea dovrà optare per tale portafoglio. Quest’ultimo sarà molto importante anche per la presente trattazione, dato che confronteremo il rischio di portafogli che, in base al paniere di titoli selezionabili, risulteranno proprio quelli con minor rischio.

I portafogli aventi un rendimento inferiore alla combinazione MR si trovano nel tratto decrescente della curva; il livello di rischio di tali asset è il medesimo di quelli facenti parte del tratto crescente della frontiera, ma il loro rendimento è inferiore: non sono quindi portafogli efficienti.

Portafoglio efficiente12

Si definisce efficiente un portafoglio che, per un dato livello di rischio 𝜎𝑃, massimizza il rendimento atteso 𝜇𝑃.

Dunque quando si parla di frontiera efficiente ci riferiamo al tratto crescente della curva in figura 2, dove non è possibile trovare portafogli dominati, ossia asset che presentino:

• Deviazione standard superiore a parità di rendimento, rispetto ad altri asset. • Un rendimento inferiore a parità di deviazione standard, rispetto ad altri

asset.

1.3.2 La frontiera con n>2 titoli rischiosi

Nella pratica il numero di titoli rischiosi a disposizione è sicuramente superiore a due; estendiamo quindi il concetto di frontiera dei portafogli ad un’economia con n>2 titoli rischiosi.

La costruzione avviene nello stesso modo, ma tale frontiera non si trova mai più a destra rispetto a quella che presenta solo due asset rischiosi, in quanto la maggior

12 Fiaschi D., Meccheri N., Note di studio su Economia dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2014, p.

(22)

16

numerosità dei titoli a disposizione permette all’investitore di diversificare il rischio in maniera più efficace. La frontiera non si sposta sistematicamente sulla sinistra a causa del ruolo della correlazione: infatti, i nuovi titoli inseriti nell’economia potrebbero avere rendimenti che presentano una 𝜌 = 1 con attività finanziarie ottenute come combinazioni degli asset già presenti, rendendo quindi inutile la diversificazione.

Figura 3: Frontiera dei portafogli con n>2 titoli rischiosi

Fonte: Fiaschi D., Meccheri N., Note di studio su Economia dei Mercati Finanziari, Università di Pisa, 2014

Consideriamo ora per semplicità il caso in cui n=3. Dalla figura 3 ci accorgiamo come l’inserimento di un terzo titolo (P3) nell’economia renda possibile anche pervenire alla combinazione PD, ottenuta acquistando quote dell’asset 2 e del numero 3. Ma allora, come già osservato nel caso di due titoli rischiosi, è possibile costruire una nuova frontiera efficiente partendo da PC e PD, che non si collocherà mai più a destra rispetto alla curva costruita in presenza di soli due titoli rischiosi.

1.3.3 La frontiera in presenza di un titolo risk-free

Considerando anche la presenza di un titolo risk-free, la forma della frontiera efficiente varia e diviene una retta: vediamo in che modo ciò accada.

Supponiamo che l’investitore abbia già selezionato un portafoglio rischioso, e che abbia optato per quello con minore rischio. Apprendendo della possibilità di

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17

acquistare anche un titolo privo di rischio, decide quindi di suddividere la propria ricchezza tra il risk-free ed il portafoglio che minimizza la deviazione standard. Il rendimento di portafoglio diverrebbe:

𝜇𝑃 = 𝑎0𝑟0+ (1 − 𝑎0)𝜇𝑀𝑅 (1.26)

dove 𝑎0 è la quota investita nel risk-free e (1 − 𝑎0) quella allocata nel portafoglio rischioso. La varianza risulterebbe:

𝜎𝑃2 = (1 − 𝑎0)2𝜎𝑀𝑅2 . (1.27)

Il titolo risk-free, essendo privo di rischio, sarà caratterizzato da una varianza nulla. Calcolati i valori di 𝑎0 e (1 − 𝑎0), e sostituiti gli stessi nell’equazione del rendimento atteso di portafoglio, otteniamo la seguente13:

𝜇𝑃 = 𝑟0+ (𝜇𝑀𝑅− 𝑟0 𝜎𝑀𝑅 ) 𝜎𝑃.

(1.28)

È evidente dunque una relazione lineare tra il rendimento atteso e la deviazione standard del portafoglio. È da notare che tale operazione può essere effettuata con ogni combinazione facente parte della frontiera, quindi è necessario decidere quale sia la più adeguata.

Nella figura 4 possiamo apprezzare che, comparando le due rette passanti rispettivamente per il portafoglio con minor rischio e per PT, tutti i portafogli appartenenti alla seconda dominano quelli che si trovano sulla prima: è dunque preferibile la retta passante per PT. In generale, qualunque sia il portafoglio rischioso considerato, notiamo che la retta passante per tale combinazione ed il risk-free è caratterizzata da portafogli dominati da quelli che si trovano sulla retta FR-PT. Quindi la frontiera efficiente con un titolo risk-free è proprio la retta passante per PT.

PT viene definito portafoglio di tangenza ed ogni portafoglio sulla retta è una combinazione tra PT e il risk-free. Sarà possibile raggiungere combinazioni con

13 Elton E.J., Gruber M.J., Brown S.J., Goetzmann W.N., Modern Portfoglio Theory and Investment

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18

rischio maggiore rispetto a PT, solamente utilizzando lo strumento delle short-sales, ossia prendendo a prestito al tasso risk-free ed investendo la somma ottenuta in PT.

Figura 4: Frontiera efficiente in presenza di un titolo risk-free

L’investitore più prudente sceglierà una combinazione il più vicina possibile al risk-free, mentre l’individuo con una propensione al rischio maggiore opterà per i portafogli che si collocano sul tratto della semiretta oltre il portafoglio di tangenza, come il portafoglio PL (levered portfolio). In tal caso l’investitore si indebiterebbe al tasso risk-free e utilizzerebbe le risorse finanziarie ottenute per acquistare un portafoglio che non avrebbe potuto ottenere con le sue disponibilità iniziali. Un’importante differenza tra la frontiera con e senza il titolo privo di rischio sta nel fatto che i portafogli stanti sulla prima sono tutti efficienti. Al contrario, i portafogli sulla frontiera con soli titoli rischiosi risultano efficienti solo nel caso si collochino nel tratto crescente della curva.

FR

PT

PL

MR R EN D IM EN TO DEV.STANDARD

Frontiera efficiente con titoli rischiosi e

free risk

(25)

19

1.3.4 La costruzione della frontiera tramite il metodo di Markowitz

Nella parte empirica del lavoro andremo ad utilizzare portafogli sulla frontiera per verificare se essi siano effettivamente meno rischiosi in base ai valori delle misure di rischio che verranno presentate nel capitolo 2. Di conseguenza, risulta fondamentale scoprire come sia possibile ottenere un portafoglio che si trova sulla frontiera, partendo da un determinato rendimento obiettivo. Concentriamoci sulla sola frontiera di titoli rischiosi, dal momento che non prenderemo in considerazione asset equiparabili ad un titolo risk-free.

Possiamo pervenire alla frontiera efficiente tramite il metodo dell’economista statunitense Harry Markowitz14. Tale approccio consiste nella minimizzazione della 𝜎𝑃, per un dato livello prestabilito di rendimento atteso 𝜇𝑃∗. Il sistema da risolvere è il seguente: { min 𝜎𝑃 = (∑ ∑ 𝑎𝑖𝑎𝑗𝜎𝑖𝑗 𝑁 𝑗=1 𝑁 𝑖=1 ) 1 2 ∑ 𝑎𝑖𝜇𝑖 = 𝜇𝑃∗ 𝑁 𝑖=1 ∑ 𝑎𝑖 = 1 𝑁 𝑖=1 𝑎𝑖 ≥ 0 𝑖 = (1,2, … . , 𝑁) (1.29)

dove il primo vincolo sta ad indicare che il rendimento atteso di portafoglio dovrà essere uguale a 𝜇𝑃, il secondo obbliga il soggetto ad investire tutta la propria ricchezza, e l’ultima equazione fa sì che ogni quota sia non negativa, in modo da evitare le short-sales. Quest’ultimo vincolo in realtà potrebbe anche essere eliminato, ma sarà necessario conoscere se in quel determinato mercato siano disponibili le vendite allo scoperto, e con quali limiti possano essere utilizzate. Dipenderà anche dal tipo di operatività che si vuole prendere in considerazione, in

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20

quanto lo strumento delle short-sales è sicuramente di difficile utilizzo per l’investitore medio, ed è spesso soggetto a limitazioni di carattere regolamentare. È possibile anche presentare il problema in forma matriciale, come di seguito:

{ min 𝜎𝑃 = (𝑎′Ω𝑎)12 𝑎′𝜇 = 𝜇𝑃∗ 𝑎′𝜏 = 1 𝑎𝑖 ≥ 0 (𝑖 = 1,2, … 𝑁) (1.30) dove:

• a è il vettore colonna delle incognite, lungo N.

• Ω è la matrice 𝑁𝑥𝑁 di varianza-covarianza dei rendimenti. • 𝜏 è un vettore colonna unitario di N elementi.

• 𝜇𝑃 è il rendimento atteso obiettivo.

• μ è il vettore colonna dei rendimenti attesi di N elementi.

Quindi, minimizzando la varianza per ogni livello di rendimento, otterremo la nostra frontiera.

Disponendo di un portafoglio composto da N titoli, i cui pesi siano stati assegnati casualmente, dovremo inserire il livello di rendimento prescelto e, tramite la soluzione di tale sistema, saremo in grado di ottenere una combinazione che si trova sulla frontiera. Per essere certi di considerare un portafoglio efficiente, è necessario inserire un rendimento obiettivo maggiore o uguale a quello del portafoglio con minor rischio: infatti, impostando come rendimento prescelto uno inferiore a quello di MR, si otterrebbe comunque un portafoglio sulla frontiera, ma non uno di quelli efficienti; si perverrebbe quindi ad uno degli asset nella parte decrescente della curva.

Nel caso si voglia includere la possibilità di vendita allo scoperto, il sistema risulterebbe risolvibile tramite la seguente funzione Lagrangiana (L):

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21

Il metodo di Markowitz è un modello a priori in cui, partendo dai rendimenti attesi, si assume che essi siano corretti e che la matrice di varianza-covarianza rifletta il rapporto intercorrente fra i titoli nel periodo in cui si vuole calcolare il portafoglio. È dunque necessario assumere che le informazioni di cui si dispone possano essere utilizzate per descrivere le distribuzioni univariate dei titoli nel futuro. Cambiamenti della congiuntura economica o crisi aziendali potrebbero causare una variazione delle performance dei titoli, e tale cambiamento potrebbe inficiare sull’effettiva efficienza del portafoglio selezionato. Una combinazione oggi ubicata sulla frontiera efficiente potrebbe quindi non essere domani collocata su tale curva. Tuttavia tale problematica può essere parzialmente superata supponendo che i rendimenti delle attività finanziarie siano stazionari ed ergodici; vedremo nel 1.4 che cosa implicano tali caratteristiche.

È inoltre necessario conoscere un gran numero di dati dal momento che, dovendo controllare l’andamento di N titoli, sarà fondamentale disporre degli N rendimenti e delle N varianze, ma anche delle 𝑁(𝑁−1)

2 covarianze.

L’approccio di Markowitz si fonda sul modello media-varianza, ma sappiamo che è indicato affidarsi alla deviazione standard solamente nel caso di normalità delle distribuzioni. Sfortunatamente le serie storiche finanziarie risultano spesso leptocurtiche ed asimmetriche; come osserveremo nei paragrafi successivi.

1.4 Le motivazioni che spingono all’utilizzo delle serie storiche

dei rendimenti

In questa sezione analizzeremo le motivazioni che spingono all’utilizzo dei dati storici relativi ai rendimenti degli asset, al fine di ottenere una stima delle performance future dei titoli in questione. Capiremo perché il passato è

𝐿 = 𝜎𝑃2+ 𝜆1(∑ 𝑎𝑖 𝑁 𝑖=1 𝜇𝑖− 𝜇𝑃∗) + 𝜆2(∑ 𝑎𝑖 − 1 𝑁 𝑖=1 ). (1.31)

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un’importante fonte di informazioni e per quale ragione non vengano utilizzati i prezzi degli asset al posto dei loro rendimenti.

1.4.1 La stazionarietà di un processo stocastico

Come già accennato nel 1.3.4, l’analisi delle serie storiche dei rendimenti risulta utile per lo studio delle performance future data la consueta stazionarietà dei rendimenti dei titoli. Conseguentemente a ciò, le indicazioni fornite da ogni modello basato sui dati storici sono estensibili a periodi successivi, nonostante l’ovvia impossibilità di conoscere a priori la realizzazione al tempo t. Sappiamo solamente che tale processo stocastico, nel caso di stazionarietà, avrà la medesima distribuzione di probabilità se traslata nel tempo. Vediamo ora cosa si intende per stazionarietà.

Stazionarietà

Il processo stocastico {𝑦𝑡: 𝑡 = 1, 2, … } è stazionario se per ogni indice temporale 1≤ 𝑡1 ≤ 𝑡2 ≤ … ≤ 𝑡𝑚, la distribuzione congiunta di (𝑦𝑡1, 𝑦𝑡2, … , 𝑦𝑡𝑚) è uguale alla distribuzione congiunta di (𝑦𝑡1+ℎ, 𝑦𝑡2+ℎ, … , 𝑦𝑡𝑚+ℎ), per ogni h≥ 1. Quindi, scegliendo 𝑚 = 1 e 𝑡1 = 1, 𝑦𝑡 ha la stessa distribuzione di 𝑦1(con t= 2,3 … ). È dunque possibile definire la sequenza {𝑦𝑡: 𝑡 = 1, 2, … } come identicamente distribuita15.

Esiste anche una forma più debole di stazionarietà (stazionarietà in covarianza), che richiede le seguenti proprietà:

- 𝐸(𝑦𝑡2) < ∞

- 𝐸(𝑦𝑡) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 - 𝑉𝑎𝑟(𝑦𝑡) = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒

- per ogni t, h≥1, 𝐶𝑜𝑣(𝑦𝑡,𝑦𝑡+ℎ) dipende solo da h e non da t.

15 Wooldridge J.M., Introductory Econometrics: A Modern Approach, 5th ed., South-Western, 2013, pp.

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La stazionarietà in forma debole si occupa quindi solamente dei primi due momenti del processo stocastico; inoltre la covarianza dipende esclusivamente dalla distanza temporale tra i due termini, e non dal periodo di tempo t.

Quindi, qualora il processo sia stazionario, le indicazioni ottenute dal passato possono essere reputate una guida affidabile per il futuro, altrimenti non avrebbe senso utilizzare le serie storiche per lo studio dei mercati finanziari.

Sappiamo che i prezzi delle attività finanziarie non sono stazionari16, come rilevabile dal grafico 1, che rappresenta l’andamento del listino milanese nel biennio 2015-2017. Infatti notiamo che il valore atteso e la varianza non sono costanti e che la serie esibisce un trend temporale.

Grafico 1: Andamento del FTSE MIB 2015-2017

Osservando il grafico dei rendimenti, è possibile invece notare che la serie tende a ritornare sempre verso lo zero e, anche alla presenza di un picco, converge velocemente verso il valore nullo.

16 Alexander C., Market Risk Analysis Volume I: Quantitative Methods in Finance, John Wiley and Sons

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24 Grafico 2: Rendimenti FTSE MIB 2015-2017

Questa è la motivazione che porta all’utilizzo dei rendimenti in luogo dei prezzi degli asset. Le performance storiche dei titoli forniscono informazioni usufruibili al fine di ottenere stime dei rendimenti futuri degli asset. Ciò giustifica il metodo di Markowitz, ma anche ogni altra misurazione del rischio basata sui dati storici di un’attività finanziaria. In mancanza di stazionarietà, le indicazioni ottenute dall’analisi delle serie storiche non offrirebbero indicazioni affidabili per il futuro.

1.4.2 Verifica della stazionarietà tramite i correlogrammi

Nel paragrafo precedente ci siamo limitati ad osservare i grafici, supponendo che tale approccio fosse esauriente per stabilire se le serie in questione fossero stazionarie. Tuttavia, vi sono metodologie più rigorose per la verifica della stazionarietà. La più semplice è costituita dall’utilizzo dell’autocorrelazione per la costruzione di un correlogramma. L’autocorrelazione è definita come segue17:

𝜌𝑘 = 𝐶𝑜𝑣(𝑌𝑡, 𝑌𝑡−𝑘) √𝑉𝑎𝑟(𝑌𝑡)√𝑉𝑎𝑟(𝑌𝑡−𝑘).

(1.32)

(31)

25

Si calcolano dunque i vari coefficienti di autocorrelazione con k=1,2,…,t e si ottiene il correlogramma. In presenza di serie stazionarie, il correlogramma partirà da 1 per poi oscillare attorno a 0, mentre per una serie non stazionaria decrescerà lentamente. Possiamo ora osservare i correlogrammi dei prezzi e dei rendimenti del FTSE MIB.

Figura 5: Correlogramma dei prezzi e dei rendimenti del FTSE MIB 2015-2017

Il correlogramma dei prezzi presenta una forte autocorrelazione, mentre quello dei rendimenti oscilla attorno allo zero. Tuttavia, è necessario sottolineare che anche questo secondo grafico non mostra un’evidenza contro l’ipotesi di autocorrelazione, data la presenza di valori di 𝜌𝑘 che risultano significativi. Quindi, per assumere che la serie dei rendimenti del FTSE MIB sia stazionaria, è necessario ricorrere ad un’altra metodologia.

1.4.3 Test di radice unitaria: il test di Dickey-Fuller

Dato il modello autoregressivo con drift 𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝜌𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡 (con t=1,2,…), sappiamo che se il coefficiente di 𝑦𝑡−1, 𝜌 = 1, la serie risulta non stazionaria. Tuttavia, sorge un problema: non può essere utilizzato il classico test T, in quanto la stima di 𝜌 non è corretta nel caso dinamico e, in assenza di stazionarietà, la statistica test non è più distribuita come una t-student.

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26

Dickey e Fuller18 (DF) hanno proposto una metodologia per evitare tali problematiche. Sottraendo da ambo i lati 𝑦𝑡−1, avremo quindi:

𝑦𝑡 − 𝑦𝑡−1 = 𝛼 + (𝜌−1)𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡. (1.33)

Quindi, ponendo 𝜃 =ρ-1, otterremo:

∆𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝜃𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡. (1.34)

Ovviamente l’ipotesi nulla 𝐻0: 𝜃 = 0 sarà identica a 𝐻0: 𝜌 = 1, quindi potremo affidarci alla statistica test seguente:

𝑡𝑑𝑓 = 𝜃̂

𝑠𝑒(𝜃)̂.

(1.35)

Tale statistica test ha una distribuzione diversa dalla t-student; Dickey e Fuller ne hanno tabulato i valori a seconda dell’ampiezza del campione e della presenza o meno di:

• costante • trend19

• costante e trend

18 Wooldridge J.M., Introductory Econometrics: A Modern Approach, 5th ed., South-Western, 2013, pp.

639-644.

19 Nel caso vi sia la presenza di un trend temporale, il modello sarà il seguente:

(33)

27

I valori di 𝑡𝑑𝑓 devono essere confrontati con quelli critici determinati da Dickey e Fuller. Una 𝑡𝑑𝑓 molto grande in valore assoluto porterà a rifiutare l’ipotesi nulla e a confermare la stazionarietà della serie.

In realtà viene spesso utilizzata una versione del test di DF modificata (DF aumentato), in modo da considerare un numero superiore di lag. Il modello quindi risulterà il seguente:

∆𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝜃𝑦𝑡−1 + 𝛾1∆𝑦𝑡−1+ ⋯ + 𝛾𝑛∆𝑦𝑡−𝑛 + 𝑢𝑡. (1.36)

Possiamo ora verificare la stazionarietà dei rendimenti del FTSE MIB. Proponiamo le versioni del test con costante, costante e trend e senza nessuno dei due. Utilizziamo un numero di lag elevato in quanto stiamo utilizzando osservazioni giornaliere. Osserviamo che i p-value sono molto piccoli, di conseguenza è possibile rifiutare l’ipotesi nulla e propendere per la stazionarietà della serie.

Test Dickey-Fuller aumentato per Rendftse inclusi 39 ritardi di (1-L)Rendftse (max era 50, criterio: Statistica t) Ampiezza campionaria 699

Ipotesi nulla di radice unitaria: a = 1

Test senza costante

Modello: (1-L)y = (a-1)*y(-1) + ... + e Valore stimato di (a - 1): -1,18038 Statistica test: tau_nc(1) = -4,0308 p-value asintotico 5,704e-005

Coefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: 0,001 differenze ritardate: F(39, 659) = 1,081 [0,3419]

Test con costante

Modello: (1-L)y = b0 + (a-1)*y(-1) + ... + e Valore stimato di (a - 1): -1,1812

Statistica test: tau_c(1) = -4,02061 p-value asintotico 0,00131

Coefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: 0,001 differenze ritardate: F(39, 658) = 1,079 [0,3445]

Con costante e trend

Modello: (1-L)y = b0 + b1*t + (a-1)*y(-1) + ... + e Valore stimato di (a - 1): -1,255

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p-value asintotico 0,004291

Coefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: 0,001 differenze ritardate: F(39, 657) = 1,098 [0,3177]

In generale sappiamo che i rendimenti risultano generalmente stazionari, quindi lo studio delle serie storiche fornisce importanti informazioni riguardanti le possibili performance future degli asset. La distribuzione di probabilità di ogni variabile aleatoria componente il processo stocastico avrà le stesse caratteristiche al variare del tempo: le statistiche passate potranno quindi essere utilizzate per periodi futuri. Per precisione, il rendimento medio dei valori della serie osservata risulterà una buona stima del valore atteso dei rendimenti futuri in presenza di ergodicità del processo stocastico. In tal modo, considerando un processo stocastico di ampiezza t, la sua media temporale convergerà al valore della media d’insieme quando t+∞20, rendendo dunque possibile la stima del valore atteso di una serie storica stazionaria tramite la media delle osservazioni passate. Quindi, in aggiunta alla stazionarietà, sarà necessario assumere che il processo stocastico risulti anche ergodico per poter usufruire dei dati storici dell’attività finanziaria in questione.

1.5 Problematiche relative all’utilizzo della deviazione standard

come misura di rischio

L’approccio media varianza, e quindi il metodo di Markowitz, si basano sulla indicazione fornite dalla deviazione standard, ma è difficile asserire che questa misura di rischio sia sempre idonea a descrivere efficacemente l’alea di un determinata attività finanziaria. Il modello media-varianza non è sempre affidabile nella scelta degli asset in quanto la varianza risulta una misura sufficiente a rappresentare il rischio solamente in distribuzioni gaussiane, ossia perfettamente simmetriche e non aventi code spesse. In questa sezione analizzeremo le motivazioni che portano a mettere in dubbio l’approccio fino ad ora utilizzato, sottolineando le problematiche che possono scaturire dall’utilizzo della deviazione standard come unica misura di rischio.

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1.5.1 Evidenze empiriche contro la deviazione standard

Mostrando un semplicissimo esempio, ci possiamo accorgere di come il criterio della deviazione standard sia talvolta fuorviante. Poniamo di avere due asset che ci forniscono i seguenti payoff, con le probabilità indicate.

𝑋 = {50 € 𝑝 = 0,5 250 € 𝑝 = 0,5 𝑌 = { 50 € 𝑝 = 0,5 150€ 𝑝 = 0,5 E(X)=150€ E(Y)=100€ 𝜎𝑋 = 100€ 𝜎𝑌 = 50€.

Emerge dunque che, secondo il modello media-varianza, X non è preferibile a Y in quanto la sua deviazione standard è superiore a quella dell’asset concorrente. Pare evidente come il risultato a cui siamo pervenuti sia contro la logica di qualunque individuo razionale.

In generale, la deviazione standard non è in grado di distinguere in che modo un valore si discosti dalla media della distribuzione, e ciò non è certamente compatibile con un’analisi corretta del rischio di portafoglio: infatti, un investitore sarà ben lieto di ottenere un pay-off incredibilmente positivo al posto di uno assai negativo, mentre la deviazione standard non segnala nessuna differenza tra le due performance.

Non bisogna tuttavia tralasciare le indicazioni della deviazione standard dal momento che, ad un maggior rendimento, corrisponde inevitabilmente un rischio maggiore. Quindi un titolo caratterizzato da performance elevate potrebbe nascondere una rischiosità superiore rispetto a quella che contraddistingue asset con rendimenti più contenuti; indubbiamente la deviazione standard è in grado di indicare questo differenziale di rischio. La volatilità è certamente importante per considerare i rischi potenziali di un titolo o di un portafoglio, dato che, se l’asset in questione risulta più volatile, l’investitore si potrà aspettare una perdita potenziale superiore rispetto a quella che si attenderebbe investendo in titoli caratterizzati da una deviazione standard limitata.

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30

Tuttavia, per la misurazione puntuale del rischio di un asset, risultano più idonee le cosiddette misure di downside risk, che si concentrano sulla parte negativa della volatilità dell’investimento. Pertanto, da questo punto di vista, risulta più indicato utilizzare la semi-deviazione21, in alternativa alla deviazione standard.

𝑆𝑒𝑚𝑖𝑑𝑒𝑣𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = √1 𝑁∑ 𝑚𝑖𝑛 (𝑟𝑖− 𝜇, 0) 2 𝑁 𝑖=1 ,22 (1.37)

Viene dunque misurata la deviazione standard dei soli risultati peggiori della media della distribuzione, catturando solamente ciò che accade nei casi più sfavorevoli all’investitore. In realtà, è possibile utilizzare come riferimento qualunque livello di rendimento, a seconda di quale siano le preferenze del soggetto. Sarà dunque possibile misurare gli scostamenti verso il basso delle performance del titolo considerato rispetto al livello di rendimento selezionato. Ad ogni modo la semplice deviazione standard sarà sufficiente solo in caso di perfetta simmetria, in quanto, in presenza di asimmetria positiva, la minimizzazione di tale misura di rischio implicherebbe una diminuzione del rendimento potenziale.

Il teorema del limite centrale ha contribuito a rendere la distribuzione gaussiana così celebre ed utilizzata in dottrina, tuttavia confidare nella normalità delle serie finanziare potrebbe rivelarsi errato.

1.5.2 Normalità dei rendimenti dei titoli

Una delle argomentazioni a sfavore dell’utilizzo della deviazione standard come misura di rischio è quella relativa alle caratteristiche della distribuzione delle serie

21 La semi-deviazione non fornisce comunque indicazioni in termini monetari ma, come la deviazione

standard, è una misura di dispersione dei rendimenti.

22 Alexander C., Market Risk Analysis Volume IV: Value-at-Risk Models, John Wiley and Sons Ltd, 2008, p.

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finanziare. Infatti sappiamo che la distribuzione delle serie storiche risulta spesso caratterizzata dalla presenza di code spesse e da una skewness diversa da zero. Prendiamo come esempio i dati del FTSE MIB dal 2015 al 2017, per verificare se la distribuzione dei rendimenti dell’indice milanese risulti equiparabile ad una gaussiana.

Grafico 3: Istogramma della distribuzione dei rendimenti giornalieri del FTSE MIB 2015-2017

La distribuzione appare differente da una Normale in quanto la frequenza associata alle classi centrali è troppo elevata, ed inoltre la coda sinistra risulta più spessa rispetto a quella di una gaussiana. Il test di Doornik-Hansen (test del Chi-quadro) fornisce un’evidenza contro l’ipotesi nulla di normalità.

Con l’ausilio del software Gretl, possiamo utilizzare anche il test di Jarque Bera23 e quello di Shapiro Wilk24 per asserire che la seguente distribuzione non può essere considerata una gaussiana.

23 La statistica test è distribuita come una variabile Chi-quadrato e se il suo valore supera quello

corrispondente a quello del Chi-quadrato per quel dato livello di significatività, l’ipotesi nulla di normalità viene rigettata. Il valore della statistica test è dato da: JB =𝑛6(𝑠𝑘𝑒𝑤2+(𝑘𝑢𝑟𝑡−3)2

4 ).

24 La statistica test è data da: SW=(∑𝑛𝑖=1𝑎𝑖𝑥(𝑖)) 2

∑𝑛𝑖=1(𝑥𝑖−𝑥̅)2. Il numeratore è uno stimatore non parametrico costruito

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Tabella 1: Test di normalità sui rendimenti del FTSE MIB dal 2015-2017

Questo è un esempio delle caratteristiche tipiche di una serie storica di rendimenti e, in presenza di variabili casuali distribuite diversamente rispetto ad una Normale, non sarà ottimale utilizzare la sola deviazione standard per calcolare il rischio relativo ad un’attività finanziaria.

Seppur i rendimenti dei titoli non siano solitamente distribuiti secondo una Normale, la distribuzione dei rendimenti di un portafoglio potrebbe invece risultare assimilabile ad una gaussiana. Infatti l’assunzione di normalità dei rendimenti potrebbe risultare efficace qualora il portafoglio fosse ben diversificato e i rendimenti dei titoli che lo compongono fossero sufficientemente indipendenti25. Tale caratteristica però non è comune ad ogni portafoglio, ma dovrà essere verificata caso per caso. Per questo motivo non sembra efficace affidarsi ciecamente alla sola deviazione standard neppure nel processo di valutazione del rischio di un portafoglio finanziario.

In aggiunta alle problematiche relative alla normalità dei rendimenti, l’approccio media-varianza fornisce solamente una misura della variabilità del rendimento dell’attività finanziaria, senza segnalare quale sia la perdita attesa in termini monetari, in base ad un predeterminato livello di probabilità.

Dunque, per una misurazione più puntale, collegata ai valori più estremi della distribuzione in questione, sono preferibili altre metodologie che saranno presentate nel capitolo successivo.

rappresenta invece la varianza campionaria. Nel caso di una variabile casuale gaussiana, il valore della statistica test sarà molto vicino ad 1, dato che il numeratore ed il denominatore avranno lo stesso valore.

25 Dowd K., Beyond Value at Risk: The New Science of Risk Management, John Wiley and Sons Ltd, 1998,

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33

2 MISURE DI RISCHIO ALTERNATIVE ALLA

SEMPLICE DEVIAZIONE STANDARD

Uno dei problemi principali nel mondo della finanza è divenuto la previsione delle perdite potenziali più pericolose per l’investitore, ed è possibile ottenere una misurazione di tali rendimenti negativi tramite lo studio della coda sinistra delle distribuzioni dei titoli. Le misure di rischio di cui parleremo sono accumunate dall’obiettivo di fornire una misurazione del rischio in termini monetari, focalizzandosi sulle peggiori performance fatte registrare dall’asset in questione. Partiremo dalla misura meno prudenziale per poi presentarne altre caratterizzate da maggior precisione. I concetti di stazionarietà ed ergodicità, introdotti nel capitolo precedente, risulteranno utili anche in questa situazione, dal momento che la misurazione del rischio basata sulle performance storiche di un asset fornisce informazioni affidabili riguardanti il futuro solamente in presenza di tali caratteristiche.

2.1 Il Value at Risk

La prima misura di rischio che prendiamo in considerazione è il Value at Risk (VaR). Come la semi-deviazione, il VaR è una misura del downside risk, ed è divenuto velocemente uno strumento importante per la misurazione del rischio. Considerando un livello di significatività α (o in alternativa un livello di confidenza 1-α)26, il VaR può essere definito come la minima perdita che si registra nei peggiori α% casi. Inoltre rappresenta la massima perdita negli 1- α% casi. Jorion27 lo definisce come:

La massima perdita all’interno di un orizzonte temporale, tale che vi sia una bassa e predeterminata probabilità (α) che la perdita effettiva sia maggiore di tale livello.

26 Quindi con un livello di confidenza del 99%, il VaR rappresenterà la minima perdita nei peggiori 1%

casi.

27 Jorion P., Value at Risk: The New Benchmark for Managing Financial Risk, 3rd ed., The McGraw-Hill

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34

Sia L la perdita effettiva in cui l’investitore può incappare nell’orizzonte temporale considerato, allora28:

𝑃(𝐿 > 𝑉𝑎𝑅𝛼) = 𝛼. (2.1)

Più formalmente −𝑉𝑎𝑅𝛼 risulta essere il quantile kα della distribuzione della variabile aleatoria X, tale che P(X ≤ kα) = α.

Per la variabile aleatoria continua x, a cui corrisponde la funzione di densità 𝑓𝑥, kα sarà il −𝑉𝑎𝑅𝛼 con un livello di confidenza 1 − 𝛼% se:

∫ 𝑓𝑥(𝑡)𝑑𝑡 = 𝛼

𝑘𝛼 −∞

. (2.2)

Inoltre Kα rappresenta il −𝑉𝑎𝑅𝛼 della variabile aleatoria discreta Y, se:

𝑃(𝑌 < 𝑘𝛼) ≤ 𝛼 ∧ 𝑃(𝑌 ≤ 𝑘𝛼) > 𝛼. (2.3)

Viene portato subito alla nostra attenzione l’incapacità del VaR nel descrivere ciò che accade oltre il livello considerato. Osservando la figura 6, notiamo che la regione α è inesplorata dal VaR, le cui indicazioni si fermano a kα.

Per addivenire ad una misurazione del VaR, è necessario fissare l’orizzonte temporale di riferimento, ossia il periodo di mantenimento dell’attività finanziaria, ed il livello di significatività; chiaramente, ad un livello di confidenza più elevato, corrisponderà una misurazione del rischio più precisa e prudenziale.

JP Morgan è stata una delle prime banche a comunicare la sua esposizione al rischio utilizzando il VaR, prendendo in considerazione un livello di confidenza del 95% ed un orizzonte temporale giornaliero. Nel loro report annuale del 1994 asserivano che il VaR della società fosse di 15 milioni di dollari, quindi, nel 95% dei casi, la banca non avrebbe sofferto di una perdita giornaliera maggiore di quella

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35

cifra. Dunque, per un investitore che avesse avuto intenzione di investire in quell’azienda sarebbe stato semplice valutare se il proprio profilo di rischio fosse in linea con tale valore.

Figura 6: Rappresentazione grafica del VaR

Il VaR può essere utilizzato per fornire un parametro a livello aziendale della rischiosità delle varie attività finanziarie; in questo caso il livello di confidenza e l’orizzonte temporale sono arbitrari. La società potrà quindi valutare, in base al proprio profilo di rischio, su quale attività è più indicato focalizzarsi, effettuando analisi simulative per verificare come possa variare la rischiosità aziendale modificando la propria strategia d’investimento. In realtà, per essere già concordi con le disposizioni di vigilanza, queste valutazioni vengono effettuate in base al livello di confidenza che la società dovrà utilizzare secondo la normativa. Per esempio, le banche utilizzano un livello di confidenza del 99% in quanto gli accordi di Basilea impongono tale percentuale.

L’orizzonte temporale deve essere determinato in base alla natura del portafoglio: le banche, che devono gestire un portafoglio più liquido, utilizzeranno un VaR giornaliero, mentre i fondi pensione, che investono in attività più difficilmente smobilizzabili, sceglieranno orizzonti temporali maggiori. Sarà dunque fondamentale decidere a priori quale sia l’orizzonte temporale dell’investimento: un investitore cassettista non avrà alcun interesse a valutare un VaR giornaliero in quanto il suo orizzonte di investimento è pluriennale, al contrario un operatore intra-day dovrà considerare orizzonti temporali ben più limitati.

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Il VaR, come vedremo nel paragrafo successivo, è utilizzato anche per fissare i requisiti di capitale per le istituzioni finanziarie, in tal caso risulta quindi fondamentale il livello di confidenza selezionato, dato che un livello troppo basso esporrebbe la compagnia a rischi eccessivi: il capitale detenuto potrebbe non risultare sufficiente a fronteggiare le possibili tensioni sui mercati. Il livello di confidenza risulta quindi fondamentale per coprire la società dai rischi, dal momento che un livello troppo basso comporta una misurazione del rischio del tutto priva di senso: qualora fossero presenti un gran numero di casi in cui le performance dell’asset in questione fossero peggiori rispetto al valore del VaR, la società deterrebbe una quantità di capitale assolutamente non adeguata. Per questo motivo il Comitato di Basilea ha considerato un livello di confidenza molto elevato, come il 99%.

2.2 Il Value at Risk e il rischio di mercato negli accordi di Basilea

Il rischio di mercato è definibile come il rischio di perdite dovuto al movimento del livello dei prezzi o della volatilità di uno strumento finanziario.

Tale rischio può essere suddiviso in varie componenti, tra cui: • Rischio di interesse

• Rischio di cambio • Rischio azionario

• Rischio collegato alle materie prime

Più formalmente sono individuabili due ampie categorie: rischio direzionale e

rischio non-direzionale29. Il rischio direzionale consiste nell’esposizione alla

direzione del movimento delle variabili finanziarie, come i prezzi azionari, i tassi di interesse, i tassi di cambio e i prezzi delle materie prime. Il secondo invece coinvolge i rischi rimanenti, come le esposizioni non lineari e quelle legate alle strategie di copertura o alla volatilità.

29Jorion P., Value at Risk: The New Benchmark for Managing Financial Risk, 3rd ed., The McGraw-Hill

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