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La scuola come azienda: un'indagine sulle funzioni manageriali negli istituti scolastici

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Academic year: 2021

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UNIVERSTIA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

“STRATEGIA MANAGEMENT E CONTROLLO”

TESI DI LAUREA

LA SCUOLA COME AZIENDA: UN’INDAGINE SULLE FUNZIONI MANAGERIALI NEGLI ISTITUTI SCOLASTICI.

Relatore: Prof. Vincenzo Zarone

Candidato: Irene Lari

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Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. (Eleanor Roosevelt)

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INDICE

Introduzione………..…....6

CAPITOLO 1. DIRIGENZA PUBBLICA E DIRIGENZA SCOLASTICA 1.1. Le rinnovate competenze del New Public Management……….…...8

1.2. Le origini costituzionali della managerialità pubblica………...…11

1.3. L’evoluzione della figura del dirigente pubblico………...…13

1.4. Dirigenza scolastica………..………..……...19

1.4.1. Dalla funzione direttiva alla dirigenza scolastica………..…….19

1.4.2. Dirigenza scolastica: direzione, gestione e coordinamento………..…..22

1.4.2.1. La Direzione unitaria: vision e mission……….…..22

1.4.2.2. Gli strumenti di gestione……….…28

1.4.2.3. Coordinamento ed esercizio della leadership………...31

CAPITOLO 2. DOCUMENTAZIONE E CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ DI GESTIONE DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA 2.1. Il funzionamento amministrativo-contabile della scuola: il programma annuale e il conto consuntivo……….……….…...38

2.1.2. Il programma annuale……….…..41

2.1.3. Il conto consuntivo……….…..45

2.2. Le forme di finanziamento dell’istituzione scolastica………....49

2.2.1. Le risorse finanziaria………..…….49

2.2.2. Le altre fonti di finanziamento: autofinanziamento ed altri trasferimenti….…..52

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2.3. Misurazione, valutazione e trasparenza delle istituzioni scolastiche………….…58

2.3.1. I controlli sulla gestione………..…….58

2.3.2. I controlli interni nella scuola………..…62

2.3.3. I controlli di tipo esterno……….…64

2.3.4. L’evoluzione del concetto di trasparenza e relativi obblighi per la scuola ……69

2.3.5. Il RAV e il piano di miglioramento………73

CAPITOLO 3. LE COMPETENZE DELLA DIRIGENZA SCOLASTICA E GLI STRUMENTI DI GESTIONE: UN’ANALISI EMPIRICA 3.1. Le scuole e i dirigenti scolastici………80

3.2. Metodo d’indagine………81 3.3. Risultati ottenuti………...….83 Conclusioni……….….89 Appendice……….…….…..93 Ringraziamenti………98 Bibliografia……….……99

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INTRODUZIONE

Nel presente lavoro di tesi viene analizzata la scuola da un punto di vista aziendalistico – manageriale.

In particolare, nel primo capitolo, dopo un breve excursus temporale sulle principali riforme che hanno caratterizzato la pubblica amministrazione, si esamina la figura del capo d’istituto, il quale viene chiamato ad una gestione imprenditoriale delle proprie funzioni, ovvero alla conduzione efficiente ed efficace dell’azienda-scuola. Si mettono così in risalto i principali strumenti di direzione scolastica, di gestione e di coordinamento ed esercizio della leadership all’intero dell’istituto.

Nel secondo capitolo si passano ad esaminare i documenti amministrativo-contabili della scuola, quali: il programma annuale e il conto consuntivo, formato a sua volta da conto finanziario e conto patrimoniale. A termine di tale analisi si propone un confronto fra i documenti di derivazione economico-aziendale, tipici del contesto privato e i correlati documenti di contabilità pubblica. Si passano poi ad analizzare le principali fonti di finanziamento dell’istituzione scolastica, con particolare evidenza data alle peculiari fonti di autofinanziamento e gli impieghi di tali risorse, concludendo il capitolo con l’esamina dei controlli sulla gestione sia di tipo interno, da parte del Consigli d’Istituto, sia di tipo esterno, da parte dei Revisori dei Conti e della Corte del Conti.

Nel terzo e ultimo capitolo, attraverso delle interviste a confronto fatte a vari dirigenti scolastici sul territorio della provincia di Firenze, si propone un’analisi empirica, la quale si focalizza su tre aree di intervento: formazione, leadership e competenza; strumenti di gestione e misurazione delle performance; SWOT Analysis. Tutto ciò al fine di arrivare ad una completa descrizione della figura del moderno dirigente, nella

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sua duplice veste di punto di riferimento del progetto formativo scolastico e di responsabile del raggiungimento degli obiettivi strategico-operativi dell’azienda-scuola.

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CAPITOLO 1. DIRIGENZA PUBBLICA E DIRIGENZA SCOLASTICA

1.1 Le rinnovate competenze del New Public Management

Le stagioni recenti degli ultimi decenni hanno visto un progressivo rafforzamento del paradigma manageriale dei dirigenti pubblici, in virtù del processo di ammodernamento che ha interessato le pubbliche amministrazioni di alcuni paesi occidentali a partire dagli anni Settanta. Con l’autonomia attribuita ad una buona parte delle istituzioni pubbliche si è resa necessaria l’individuazione di una nuova classe dirigenziale, che garantisse il passaggio a nuovi sistemi manageriali, improntati a principi gestionali di derivazione economico-aziendale, nell’ottica della responsabilizzazione e del miglioramento della qualità dei servizi resi agli utenti.

L’espressione New Public Management è entrata nel lessico comune degli accademici e degli esperti del settore di tutto il mondo per delineare gli obiettivi e le logiche concettuali comuni alla maggior parte delle riforme che negli ultimi vent’anni hanno interessato le amministrazioni pubbliche di molti Paesi1. Hood C. (1991)2 dal punto di vista teorico concettuale, è stato uno dei primi che ha contribuito alla nascita e diffusione del NPM.

Negli anni Novanta, l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE), attraverso delle analisi, ha messo in luce come la maggior parte dei Paesi ad

1 Questo processo è stato stimolato sia della forte crescita della rilevanza economica delle Amministrazioni

Pubbliche sia dall’insoddisfazione per i risultati della loro attività. Il processo di riforma nacque della vittoria di movimenti politici fortemente critici dell’intervento pubblico in economia negli Stati Uniti (presidenza Ronald Regan 1981-1989) e nel Regno Unito (Margaret Thacher, primo ministro 1979 e il 1990), ma si diffuse anche in molti altri paesi governati negli anni ottanta da movimenti politici di centro-sinistra (Svezia, Norvegia, Danimarca, Australia, Nuova Zelanda. Allo sviluppo nel New Public Management hanno contribuito anche diverse istituzioni internazionali come OECD, Banca Mondiale e il World Economic Forum.

2 Secondo Hood (1995, pp.95-98), una delle sette dimensioni che caratterizzano il new public management è

la grande importanza attribuita all’elaborazione di indicatori di performance delle Amministrazioni Pubbliche che consentano sia di verificare i risultati a posteriori, sia di fornire stimoli per una loro gestione che meglio corrisponde alle aspettative delle comunità di riferimento (performance management).

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essa associati hanno introdotto riforme che, seppur differiscano per natura, ampiezza e approccio, possiedono la medesima caratteristica di fondo, ovvero l’orientamento ad una cultura volta alla misurazione dei risultati in un sistema pubblico sempre meno centralizzato.

Le tendenze evolutive del settore pubblico possono essere sintetizzate in alcuni aspetti essenziali3:

- diminuzione dell’intervento pubblico in economia in termini sia di spesa pubblica sia di personale impiegato;

- il massiccio ricorso alle privatizzazioni con una rinnovata enfasi sul concetto di sussidiarietà nella fornitura dei servizi pubblici;

- lo sviluppo dell’automazione dei servizi pubblici grazie all’evoluzione delle tecnologie informatiche;

- l’allargamento al contesto internazionale.

Al fine di sintetizzare questo nuovo paradigma manageriale, nel 1991 Hood identifica sette componenti dottrinali del New Public Management:

1. responsabilizzazione del management professionale;

2. l’introduzione di specifiche misure di performance per una chiara definizione degli obiettivi di efficienza ed efficacia;

3. attenzione verso i risultati soprattutto in termini di controllo dell’output;

4. decentramento produttivo tramite la disgregazione delle grandi amministrazioni pubbliche in unità di minori dimensioni più facilmente gestibili e ricorrendo a processi di esternalizzazione tramite altre aziende pubbliche o private;

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5. introduzione di forme di cooperazione per favorire la diminuzione dei costi e l’innalzamento dei livelli qualitativi dei servizi;

6. utilizzo di tecniche di management tipiche delle imprese, più flessibili e più adatte al raggiungimento degli obiettivi;

7. disciplina e parsimonia nell’uso delle risorse.

Ma quali sono quindi le competenze di base che i nuovi manager pubblici devono possedere perché si determinino le condizioni per l’effettivo “buon andamento” delle istituzioni a cui sono preposti?

Virtanen (2000) pone alla base di un’azione efficiente dei manager pubblici un ventaglio di competenze riassunte in cinque aree di fondamentale importanza:

- Task competence: attinente alla capacità di raggiungere obiettivi e riconducibile ad una logica MBO (management by object)4;

- Professional competence d’ambito: si riferisce alla capacità di operare in un campo specifico d’azione, in un settore o trasversalmente nell’intera organizzazione;

- Professional competence: riconducibile all’esecuzione dell’indirizzo ricevuto dalla sfera politica attraverso il processo di determinazione della policy;

- Political competence: si basa sulla legittimazione dell’autorità del manager pubblico in virtù di prerogative di legge e di meccanismi informali;

4MBO: “gestione per obiettivi, ossia un sistema per la valutazione del personale che si basa sul

raggiungimento degli obiettivi condivisi che sono stati prefissati dal soggetto economico. La gestione per obiettivi comuni porta ad un sistema decentrato dell’autorità che aiuta le risorse umane a partecipare in modo attivo alla realizzazione di scopi condivisi”.

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- Ethical competence: collegata ai valori morali che informano il comportamento del manager e che contribuiscono alla formazione della visione e della missione aziendale.

Il recepimento dei principi chiave del New Public Management nelle organizzazioni pubbliche si profila come un processo piuttosto lento e difficoltoso, viste anche le numerose resistenze che ostacolano il disegno riformatore. Probabilmente tutto ciò sarà possibile solo se si riuscirà a coordinare un insieme di interventi agendo su una pluralità di leve, quali: selezione e reclutamento, sviluppo delle carriere, valorizzazione delle figure professionali, incentivi fondati sul riconoscimento del merito, esercizio all’attitudine di leadership, comunicazione e collaborazione; inoltre, sarà opportuno rivedere i piani di formazione della nuova classe dirigenziale attribuendo loro una visione sistemica, finalizzata alla creazione e al potenziamento di una mentalità volta a favorire dinamiche di programmazione, coordinamento e controllo di gestione.

1.2. Le origini costituzionali della managerialità pubblica

Pur essendo la presente trattazione incentrata su problematiche di tipo economico-aziendale, può essere opportuno un richiamo alle fondamentali disposizioni che la Costituzione della Repubblica dedica ai principi di managerialità delle pubbliche amministrazioni, nella convinzione che ogni manager pubblico dovrebbe impostare la propria azione tenendo conto della fonte principale da cui deriva il proprio mandato. In estrema sintesi possiamo identificare come principi costituzionali dell’azione amministrativa, quei caratteri essenziali che devono essere sempre ritrovati nell’attività degli organi che sono preposti alla cura di interessi pubblici. Tali principi possono

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essere riassunti in: principio di legalità; principio di imparzialità; principio del buon andamento; principio di ragionevolezza; principio del pareggio di bilancio.

Il principio di legalità afferma che l’attività amministrativa deve corrispondere alle prescrizioni di legge; in particolare, il principio di legalità esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata alla legge come è possibile comprendere dall’art.97 della Costituzione.

Il principio di imparzialità cui fa riferimento anche l’art.3 della costituzione afferma l’obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia; più precisamente, per imparzialità si intende l’esigenza che l’amministrazione si comporti nei confronti di tutti i soggetti destinatari dell’azione amministrativa senza alcuna forma di discriminazione.

Il principio del buon andamento è direttamente ritrovabile nell’art.97 della costituzione il quale al comma 2 sancisce che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”; tale articolo, in particolare:

- garantisce l’indipendenza e la neutralità della pubblica amministrazione da influenze politiche, indicando come criteri base dell’azione amministrativa la buona amministrazione e l’imparzialità;

- si indirizza immediatamente e programmaticamente al legislatore, dettando i principi fondamentali che devono ispirare la pubblica amministrazione, la quale ha il dovere di provvedere alla cura dei bisogni pubblici.

Il principio del buon andamento, dunque, mira a soddisfare quei criteri di economicità ed efficacia tanto cari anche ad una delle fondamentali leggi che regolano l’attività della pubblica amministrazione, ossia la Legge 7 agosto 1990 n.241.

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Come principio di ragionevolezza si intende quel criterio in cui confluiscono i principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento: in forza di tale principio, l’azione amministrativa deve adeguarsi ad un canone di razionalità operativa, in modo da evitare decisioni arbitrarie e razionali.

La Legge di riforma costituzionale 20 aprile 2012 n.1 ha introdotto il principio del pareggio di bilancio, andando a modificare l’art.97 della Costituzione. Il nuovo articolo dispone infatti che le pubbliche amministrazioni assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea.

1.3. L’evoluzione della figura del dirigente pubblico

L’analisi del percorso evolutivo della dirigenza pubblica italiana può avere come punto di partenza la riforma effettuata agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso per mezzo del d.P.R. n.748 del 19725. Con tale riforma si è provveduto per la prima volta alla creazione di un’autonoma carriera dirigenziale prevedendo una distinzione di ruolo tra i diversi dirigenti in base a tre diversi livelli: dirigente generale, a diretto contatto con il Ministro, con compiti di programmazione, studio e ricerca; dirigente superiore, con funzioni di sostituzione del dirigente generale e di carattere ispettivo; primo dirigente, posto alla direzione di uffici di livello non generale.

La riforma del ’72 ha avuto l’importante funzione di sottrarre agli organi di governo gli atti di alta amministrazione non aventi carattere politico e di aver specificato dettagliatamente le funzioni attribuite alla competenza esclusiva dei dirigenti, mantenendo però in vita strumenti di sopra ordinazione gerarchica del Ministro, a cui era riservato il potere di ritiro degli atti dirigenziali e il potere di avocazione, non

5d.P.R. 30 Giugno 1972, n.748, “Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato, ad

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consentendo ancora una piena separazione tra potere di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa.

Sarà invece con gli anni ’90, caratterizzati da una forte crisi del sistema politico nazionale e della credibilità delle istituzioni pubbliche, che si assisterà ad un cambiamento radicale nel modo di concepire la funzione del dirigente pubblico, soprattutto grazie alle innovazioni apportate dalla prima e seconda privatizzazione. La prima delle citate riforme, attuata soprattutto per mezzo del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.29, ridisegna il modello della dirigenza pubblica tramite l’affermazione di un’autonomia gestionale ed operativa, che passa attraverso l’affermazione del principio di responsabilità, ridefinendo il tipo di relazione tra organo politico e organo gestionale.

Per seconda privatizzazione si intende invece quella fase aperta dalla Legge 15 marzo 1997, n.59 6, nota come riforma Bassanini, la quale ebbe come obiettivo centrale quello di trasferire gran parte della disciplina del lavoro privato all’interno di quella del lavoro pubblico, con conseguente applicazione della normativa del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato anche ai fini della regolamentazione della posizione dei dirigenti nei confronti della pubblica amministrazione. Inoltre, già con la riforma Bassanini, si cominciano a delineare in modo più chiaro le ipotesi di responsabilità dirigenziale ridefinendo in maniera ancor più netta la distinzione fra i compiti degli organi di direzione politica e quelli della dirigenza.

Il processo di privatizzazione proseguirà poi, prendendo definitivamente corpo, con l’emanazione del nuovo Testo Unico del Pubblico Impiego, per mezzo del d.lgs.

6 Legge 15 Marzo 1997, n.59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed

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165/2001 7 . Il Testo Unico ribadisce in modo evidente che al processo di privatizzazione del pubblico impiego, segue un rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione basato su contratti di diritto privato. Il riformato profilo del dirigente pubblico si caratterizza per una più ampia autonomia in materia di poteri gestionali, mitigata da una parte dal quadro di riferimento delineato dalla contrattazione collettiva, dall’altra dai confini predisposti dall’incarico dirigenziale. Il nuovo manager dell’istituzione pubblica sarà responsabile della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati raggiunti dall’amministrazione a cui è preposto, venendo valutato sulla base dei criteri di efficienza ed efficacia.

Il d.lgs. 150/20098, sulla scia della legge n.15 del 2009, cd. Riforma Brunetta, ha accentuato notevolmente il ruolo e la posizione dei dirigenti del settore pubblico. La riforma, in primo luogo, delinea il dirigente come vero e proprio datore di lavoro pubblico; tale figura è destinata ad assumere le vesti di rappresentate del datore di lavoro pubblico, responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità delle prestazioni poste in essere dai dipendenti. Ai dirigenti compete, pertanto, individuare le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio a cui sono preposti anche al fine della compilazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale. A tal proposito è previsto che tale documento sia elaborato su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

7 D.lgs. 30 Marzo 2001 n.165, “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”.

8 D.lgs. 27 ottobre 2009, n.150 “attuazione della legge 4 marzo 2009, n.15, in materia di ottimizzazione della

produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. La legge15/2009 affida al Governo la “Delega al Governo finalizzata all’ottimazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazione dell’economia e del lavoro e alla Corte del conti”.

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I dirigenti di uffici dirigenziali generali, inoltre, hanno il compito di combattere i fenomeni di corruzione e di definire e far rispettare le misure idonee al contrasto di quest’ultima. Si tratta di un profilo reso ancora più incisivo dal Decreto-legge 95/2012, convertito in legge 135/2012, cd. Spending Review9, nel contesto della trasparenza delle

procedure di spesa per l’acquisto di beni e servizi.

I dirigenti, inoltre, sono tenuti ad effettuare la valutazione del personale assegnato ai loro uffici, ai fini non solo della progressione economica ma anche della corresponsione di indennità e premi incentivanti. A tali maggiori poteri corrisponde una forma di responsabilità più accentuata, definita responsabilità dirigenziale; infatti, i dirigenti rispondono del mancato esercizio dei poteri datoriali, se le loro omissioni, cagionino lo scarso rendimento dei propri dipendenti. Vi è inoltre da considerare che il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione delle performance, ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi l’amministrazione può inoltre revocare l’incarico al dirigente, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. In virtù dei processi di evoluzione in atto riguardanti la pubblica amministrazione, il decreto Brunetta, ponendo l’accento sul ruolo delle performance, delinea una figura manageriale capace di valorizzare il merito e di condurre l’amministrazione verso obiettivi di efficienza e di efficacia che possono essere compatibili solo con rafforzate competenze di stampo manageriale.

9 Legge 135/2012 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 6 Luglio 2012, n.95, recante

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L’insieme dei cambiamenti in atto delineano una figura di dirigente dotato di autonomi poteri di direzione, coordinamento e gestione delle eterogenee risorse a sua disposizione, per il perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. D’altro canto evidenziando la figura del manager pubblico come gestore di risorse economico-finanziarie, nel rispetto del miglioramento delle performance, in istituzioni sempre più dotate di autonomia a seguito della riforma Bassani, diventa sempre più pressante l’esigenza di ridefinire idonei strumenti di tipo contabile che siano in grado di valutare i risultati raggiunti dall’amministrazione e le conseguenti performance raggiunte dai dipendenti posti ai vari livelli della piramide gerarchica. Si è così delineata l’urgenza di adeguare il sistema contabile, la forma e i dei prospetti che rappresentano i vari aspetti della gestione, al fine di snellire e razionalizzare le procedure in cui prende forma l’azione amministrativa; il processo di riforma può ritenersi avviato con la Legge 3 aprile 1997, n.94, recante “norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”. Prosegue poi con l’introduzione del sistema di contabilità “economico analitica”10 che viene ricondotta ad una serie di fasi fondamentali, quali: la programmazione, fase iniziale in cui vengono definiti gli obiettivi e programmate le risorse, le azioni e i tempi necessari alla loro realizzazione (budget); la gestione vera e propria, durante la quale si effettuano rilevazioni concomitanti; il controllo con cadenza infra annuale che utilizza meccanismi operativi di tipo feed - forward; la fase a consuntivo che serve ad evidenziare i risultati effettivamente raggiunti dalla gestione. Per realizzare contemporaneamente un controllo su risorse impiegate, conseguimento dei risultati ed evidenziazione di responsabilità dirigenziale sulla gestione, la circolare n.32 del 26 maggio 1999 rileva

10 Circolare ministeriale 26 maggio 1999, n.32, riguardante “Sistema unico di contabilità economica

analitica per centri di costo: Titolo III del Decreto Legislativo 7 agosto 1997, n.279” e recante indicazioni su “Amministrazioni centrali dello Stato: budget economici per l’anno 2000”.

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l’assoluta necessità di individuare la “competenza economica dei fenomeni amministrativi”, di effettuare una correlazione fra risorse necessarie e destinazione delle stesse confrontando sistematicamente obiettivi prefissati e risultati ottenuti, compatibilmente con le logiche di programmazione e controllo tipiche delle imprese private; anche per quanto riguarda gli strumenti per il controllo, la circolare sembra spostare il centro dell’attenzione su un sistema basato sull’analisi degli scostamenti in modo da rilevare le cause di inefficienza della gestione e attuare eventuali azioni correttive.

Il processo riformatore, che aveva riguardato anche interventi di innovazione sul bilancio dello Stato, continua poi con il d.lgs. 286/199911 il quale si occupa del sistema di controllo interno nelle amministrazioni pubbliche, articolandolo in quattro tipologie: controllo di regolarità amministrativa e contabile, controllo strategico, controllo di gestione, valutazione dei dirigenti. A tal fine verranno definiti appositi criteri di valutazione da comunicare ai dirigenti e organi di valutazione e controllo atti a valutare le performance delle varie figure dirigenziali. In merito alla valutazione e al controllo sull’operato dei dirigenti risulta ancora una volta determinante il contributo offerto dalla legge 15/2009, la quale precisa che esso è incentrato sull’effettiva produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza delle relative strutture. Sempre nell’ottica dell’ampia autonomia della funzione dirigenziale e della netta separazione tra poteri di indirizzo politico e poteri gestionali, occorre valutare l’azione dirigenziale in termini di legittimità e validità delle procedure poste in essere, nonché in relazione alla realizzazione degli obiettivi, attraverso verifiche intermedie degli stati di

11 D.lgs. 286/99, “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei

costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n.59”.

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avanzamento che consentono di correggere eventuali deviazioni dagli obiettivi prefissati, nell’ottica dell’efficacia e dell’efficienza nel perseguimento dei risultati. In corrispondenza al cambiamento del ruolo e dei compiti della dirigenza pubblica, si è reso così necessaria una revisione delle competenze di base rappresentative del profilo del manager pubblico passando da un orientamento gerarchico - burocratico ad uno di tipo prettamente manageriale. In modo particolare si richiede al manager delle istituzioni pubbliche di acquisire un insieme di conoscenze, abilità e competenze capaci di creare valori condivisi all’interno dell’amministrazione in modo da favorire quella spinta motivazionale che permette ad ogni soggetto di sentirsi coinvolto nella missione aziendale e di partecipare in modo attivo all’ottenimento dei fini istituzionali.

1.4. Dirigenza scolastica

1.4.1. Dalla funzione direttiva alla dirigenza scolastica

I nuclei legislativi su cui si fonda l’attuale profilo del capo d’istituto sono sostanzialmente due:

1. Le riforme degli anni ’70 che portarono all’emanazione dei cosiddetti “decreti delegati12”, in cui il direttore didattico risentiva ancora della forte influenza dei poteri ministeriali;

2. Le riforme della pubblica amministrazione degli anni ’90, con conseguente attribuzione dell’autonomia alle istituzioni scolastiche, compatibilmente con quanto previsto dall’art. 21 della Legge 15 marzo 1997, n.59;

Come già sottolineato la dirigenza pubblica si occupa, nel quadro dell’indirizzo politico amministrativo stabilito dagli organi di governo, della gestione delle risorse umane,

12Delega al Governo per l’emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo,

docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato, legge 30 luglio 1973, n.477, da cui scaturiscono i decreti legislativi del 1974.

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finanziarie e strumentarie assegnatele nonché della direzione e del coordinamento delle attività degli uffici. Di tale gestione, nonché dei risultati della stessa, i dirigenti pubblici assumono la relativa responsabilità.

Il modo di intendere la dirigenza pubblica rispecchia quello di concepire la pubblica amministrazione: essendo drasticamente cambiato nell’ultimo ventennio il concetto di “cultura amministrativa di base”, si è reso necessario impostare una serie di riforme che hanno progressivamente cambiato la fisionomia della pubblica amministrazione in senso aziendalistico, manageriale e nell’ottica della partecipazione e della trasparenza, andando a mutare anche la concezione della dirigenza, che da burocratica diviene sempre più manageriale, improntata cioè ai canoni di efficienza ed efficacia tipici del contesto privato.

Tale prospettiva è particolarmente evidente nell’istituzione scolastica, riorganizzata nella direzione dell’autonomia e dotata di alcune peculiarità che tendono a connotarla in maniera differente rispetto alla generalità delle amministrazioni pubbliche.

Il riconoscimento di una dirigenza scolastica, quale categoria particolare della dirigenza dell’amministrazione dello Stato, è il risultato dell’ampia riforma dell’organizzazione della scuola prevista dalla legge 59/97 (cosiddetta Riforma Bassanini),questa ha riconosciuto personalità giuridica ed autonomia agli istituiti scolastici e, di conseguenza, ha attribuito la qualifica dirigenziale ai capi d’istituto; in conseguenza dell’autonomia della scuola, che ebbe poi riconoscimento costituzione con la nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione, per mezzo della Legge costituzionale n.3 del 2001, la configurazione della figura del dirigente assunse caratteristiche del tutto innovative rispetto al precedente profilo contenuto in uno dei decreti delegati13. Dal

13d.P.R. 31 maggio 1974, n.417: “norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo

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momento che si profila un nuovo modello di scuola, incentrato sui cardini dell’autonomia e della responsabilità, occorre individuare una nuova figura di riferimento che possa assicurare la gestione unitaria dell’istituzione scolastica, organizzandola secondo criteri di efficienza ed efficacia, ai fini del successo formativo dei destinatari del servizio scolastico. In questa direzione si muove il d.lgs. 165/2001, già citato come Testo Unico del pubblico impiego, che all’art. 25 delinea il profilo del dirigente scolastico quale vero e proprio datore di lavoro pubblico, responsabile della gestione delle risorse umane e delle performance poste in essere dai dipendenti. Il capo d’istituito viene pertanto chiamato ad una gestione imprenditoriale delle proprie funzioni, ovvero alla conduzione di un’azienda-scuola: infatti, secondo l’art.25 il dirigente scolastico assicura le gestioni unitaria dell’istituzione; è responsabile della gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali; organizza l’attività scolastica ed è responsabile delle relazioni sindacali. Da ciò si deduce che il dirigente è chiamato ad assicurare il funzionamento generale della scuola, promuovendo e sviluppando l’autonomia sul piano gestionale e didattico nell’ambito delle principali funzioni che è chiamato ad assolvere:

1. funzione direttiva;

2. funzione di coordinamento;

3. gestione e valorizzazione delle risorse umane; 4. gestione amministrativa e contabile;

5. funzione negoziale.

Una svolta significativa nel rafforzamento dei poteri dirigenziali è avvenuta con l’entrata in vigore della Legge 4 marzo 2009, n.15. Ne è seguito il d.lgs. 27 ottobre 2009, n.150, il quale ha:

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- modificato il procedimento disciplinare accrescendo i poteri sanzionatori del dirigente scolastico;

- dimezzato l’elenco delle materie sottoposte a contrattazione d’istituto, enucleando una serie di competenze esclusive della funzione dirigenziale.

Nella stessa direzione si è mossa anche la Legge n.107 del 201514 che, nell’obiettivo di rafforzare l’autonomia scolastica, ha istituito il piano dell’offerta formativa triennale e il conseguente organico funzionale, comportando un parallelo ampliamento della funzione gestionale del dirigente scolastico, soprattutto in riferimento a tre aspetti:

- fissazione degli indirizzi per la relazione del piano triennale dell’offerta formativa;

- chiamata diretta dei docenti;

- bonus di merito da attribuire agli insegnanti.

1.4.2. Dirigenza scolastica: direzione, gestione e coordinamento

1.4.2.1. La Direzione unitaria: vision e mission

La centralità del ruolo del dirigente nelle istituzioni scolastiche ha risentito di un insieme di interventi legislativi che si sono succeduti a seguito dell’entrata in vigore dell’autonomia scolastica. Il più marcato rilievo dato alla figura del dirigente scolastico ha comportato una diversa impostazione dell’iter procedurale per la redazione del piano triennale dell’offerta formativa, introdotto nel sistema scolastico dalla riforma cosiddetta “Buona Scuola”: mentre nel passato gli indirizzi generali, da fornire preliminarmente al collegio dei docenti perché si attivasse l’elaborazione del piano,

14Legge 13 luglio 2015, n.107,cosiddetta Buona scuola, Riforma del sistema nazionale di istruzione e

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erano definiti dal consiglio d’istituto, essi rientrano ora nell’attività del dirigente, che definisce in questo modo le linee essenziali su cui basare le attività dell’istituto e le scelte di gestione e di amministrazione utili a realizzare gli obiettivi di efficienza formativa. Il maggior rilievo attribuito al capo d’istituto risulta anche dai successivi commi della citata riforma, in cui risulta chiaro come il dirigente scolastico debba anche promuovere i rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, cultura, sociali ed economiche, tenendo conto delle proposte e dei pareri formulati da organismi e associazioni operanti nel territorio. Si è voluto, in altre parole, spostare verso la dirigenza il baricentro dell’equilibrio fra gli organi collegiali e l’organo monocratico in modo da rendere il processo decisionale maggiormente flessibile e dotato della capacità di rispondere pienamente alle mutate esigenze dell’ambiente esterno.

Occorre però considerare che l’autonomia scolastica ha comportato, per altro verso, la necessità di un bilanciamento tra libertà e responsabilità della scuola nei confronti delle diverse esigenze provenienti dal contesto territoriale di riferimento. In sostanza, la scuola deve necessariamente trovare il consenso di un insieme di soggetti portatori di interessi nei suoi confronti, attuando anche degli appositi processi di valutazione sia di tipo interno (risultati conseguiti dagli studenti) sia di tipo esterno (efficacia del sistema scuola). Sarebbe quindi opportuno redigere un documento in cui la scuola si interroga sulle modalità del giusto bilanciamento tra libertà e responsabilità, in un contesto autonomo che si colloca nella sussidiarietà sancita dall’art. 118 della Costituzione. Tale documento è rivedibile nel bilancio sociale derivante dall’esperienza del Regno Unito dove l’insegnamento è, per tradizione, decentrato. Nel modello anglosassone le Local Education Autority (L.E.A.) attribuiscono alle scuole la gestione del bilancio loro

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assegnato. Le scuole sono amministrate dagli school governing bodies, di cui fanno parte i rappresentanti dei genitori, degli insegnanti e delle L.E.A, e che rappresentano organi di gestione dotati di effettivi poteri di indirizzo, finanziari e amministrativi che si concretizzano nella scelta del capo d’istituto. Della propria gestione egli risponde alla comunità scolastica e territoriale, oltre che al controllo della qualità dell’istruzione operata dall’office for Standards in Education, cui fa capo un corpo di ispettori.

È infatti dal modello inglese che derivano due concetti di fondamentale importanza che, negli ultimi anni, sembrano assumere maggiore rilievo anche nel contesto scolastico italiano:

1. Il concetto di stakeholder: rappresenta i soggetti che possono vantare diritti, interessi, aspettative rispetto alla scuola e sono da considerare come veri e propri interlocutori attivi ossia come protagonisti del processo che porta la scuola ad essere accettata e valorizzata come istituzione creatrice di valori.

2. il concetto di accontability: ossia il dovere di rispondere a tutti i possibili interessati dei risultati conseguiti, cioè su come l’istituzione scolastica ha svolto il proprio compito.

In riferimento al primo dei concetti anche la scuola si trova ad adottare un orientamento strategico focalizzato sulla costruzione e sul consolidamento di una rete di relazioni con i propri stakeholder, nella ricerca di relazioni stabili e durature con l’insieme dei soggetti che, a vario titolo, sono portatori di interessi nei suoi confronti e ne condizionano il successo. Ciò presuppone che il dirigente scolastico sia in grado di creare, diffondere e condividere una solida cultura aziendale basata su un insieme di valori in armonia con quelli richiesti dall’ambiente sociale; un clima di conflitto tra ambiente e scuola porterebbe, invece, a conseguenze negative sulla capacità

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dell’istituzione scolastica di soddisfare le esigenze formative degli studenti e quindi sulla sua sopravvivenza nel tempo. Il dirigente deve farsi artefice di un’efficace gestione della responsabilità aziendale (corporate responsability management15), la

quale consente di configurare i costi e i benefici dei rapporti sociali, con particolare riguardo a iniziative tese a generare valore, soddisfacendo le attese dei diversi interlocutori.

L’avvio di un processo di rendicontazione sociale attuata per mezzo dello strumento del bilancio sociale, diviene per la scuola un’occasione per riflettere su se stessa andando ad individuare visione, obiettivi e missione, al fine di promuovere innovazione e miglioramento delle proprie prestazioni, identificando i propri stakeholder e attivando con essi confronto, partecipazione e collaborazione.

Gli elementi che un bilancio sociale deve presentare, possono essere così delineati: - qualità della scuola, missione e interlocutori sociali;

- assetto istituzionale e organizzativo; - obiettivi e priorità;

- servizi resi e azioni di miglioramento;

- risorse umane, strumentali e finanziarie utilizzate; - risultati raggiunti;

- sinergie con la comunità locale e territoriale e forme di ascolto e collaborazione con gli interlocutori sociali;

- gli elementi qualificanti dell’azione educativa.

Nell’ottica della pianificazione, programmazione e controllo delle risorse impiegate, anche la scuola si trova nelle condizioni di dover stabilire le linee essenziali della sua

15C.R.M. Corporate Responsability management: “strategia in cui la mediazione tra gli interessi dei vari

Stakeholders rappresentano condizione essenziale per il successo dell’impresa e per la sua sopravvivenza nel lungo periodo”.

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gestione strategica andando ad identificare il suo orientamento strategico di fondo: la strategia16, così come delineata dai principali teorici di strategia aziendali, quali, ad esempio, Porter e Norman, rappresenta l’insieme dei fini fondamentali perseguiti dall’impresa e delle scelte relative alle risorse da impiegare e alle azioni da intraprendere per raggiungerli. Elemento fondamentale che guida tutti i processi di formulazione e realizzazione della strategia è l’orientamento strategico di fondo, parte invisibile e nascosta del disegno strategia che permea l’intera vita aziendale. Esso viene esplicitato e comunicato all’ambiente attraverso la definizione, da parte degli organi di governance della visione e della missione aziendale. La vision incorpora i valori dell’azienda e rappresenta la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali e le aspirazioni chiave dell’impresa. La mission è focalizzata sul presente e descrive le attività e le azioni da implementare per realizzare i fini aziendali.

La vision è l’immagine della scuola proiettata nel futuro. È l’orizzonte, è un’aspirazione dello stato futuro della scuola-impresa. Indica la direzione in cui sviluppare la gestione e trasmettere a tutto il personale il senso nobile del lavoro cercando di coinvolgerlo ai fini della realizzazione della mission aziendale. La vision è quella scintilla che stimola le persone a dare il meglio in modo da contribuire al processo di miglioramento delle performance. Una buona vision deve essere in grado di valorizzare: impegno, entusiasmo, passione e motivazione.

Essa deve essere in grado di far vedere ciò che in azienda non è visibile, occorre che sia avvincente, ambiziosa, persuasiva e concisa. Nella scuola il dirigente scolastico deve riuscire a comunicare in modo efficiente ed efficace la vision, in modo da far sì che ogni soggetto sia disposto a contribuire al raggiungimento degli obiettivi

16 “La strategia è il compito principale delle organizzazioni. In situazioni di vita o di morte è il tao della

sopravvivenza o dell’estinzione. Il suo studio non può essere accantonato” Sun Tzu, L’arte della guerra, Trattato VI-V secolo a.C.

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dell’istituzione scolastica, che ha imparato a concepire anche come suoi personali. La vision è quel fattore trainante che spinge ogni combinazione aziendale al miglioramento continuo delle proprie prestazioni, al fine del raggiungimento dei fini istituzionali definiti dal soggetto economico.

La mission istituzionale della scuola di oggi (secondo i principi fondamentali dell’UNESCO) è di dare uguale attenzione a quattro pilastri: imparare a conoscere (cultura di base); imparare a fare (competenze professionali); imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri (capacità di cooperare); imparare ad essere (capacità critica e responsabilità).

La mission descrive il campo di attività dell’ente scuola e i bisogni che essa intende soddisfare. Sintetizza la sua ragion d’essere, ciò che vuole significare per il contesto territoriale e sociale in cui opera, in cosa si distingue la specifica offerta formativa rispetto a quella delle altre scuole del territorio. La mission mette in luce che cos’è la scuola e il motivo della sua esistenza.

Essa è un’enunciazione:

- delle finalità della scuola; - dei servizi che offre al cittadino;

- delle peculiarità della sua offerta formativa;

- delle politiche e dei valori su cui fonda la sua offerta formativa.

Con la mission la scuola comunica a tutti gli stakeholder chi è, che cosa fa e perché lo fa.

Essa in sostanza definisce l’identità dell’impresa che viene riassunta nel piano triennale dell’offerta formativa; si concretizza in un insieme di credenze, valori e priorità che definiscono i caratteri fondanti della cultura aziendale, la quale si fonda su un insieme

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di operazioni volte al raggiungimento degli obiettivi strategico istituzionali; per la scuola, essi si concretizzano nel “successo formativo degli studenti”.

Il dirigente scolastico deve riuscire a trasferire l’azione attuale della scuola nello scenario futuro, operando come un leader in grado di colmare la differenza tra la realtà attuale e il futuro potenziale. Per scegliere la direzione opportuna il dirigente scolastico leader deve aver sviluppato un’immagine mentale del possibile stato futuro dell’istituzione scolastica, ossia d’essere in grado di costruire un ponte essenziale tra presente e futuro dell’organizzazione, gestendo il processo organizzativo e gestionale nel rispetto della vision di riferimento. Per concludere occorre che la vision sia comunicata in modo semplice ed efficace a chi contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell’istituzione scolastica al fine di favorire la motivazione del personale e il miglioramento continuo della scuola nel contesto di una gestione improntata alla ricerca del massimo rendimento delle risorse impiegate.

1.4.2.2. Gli strumenti di gestione

Nell’ordinaria gestione della scuola e nelle sue molteplici interazioni con soggetti diversi, interni ed esterni alla stessa, il dirigente scolastico dispone di una serie di strumenti operativi di natura diversa. I più rilevanti atti di gestione del dirigente si esprimono in generale attraverso i seguenti provvedimento:

- atti, provvedimento e determine: si tratta di atti di espressione del generale potere di gestione del dirigente scolastico. Le determine, in particolare, sono quegli atti con cui il dirigente scolastico dispone, decide e conferisce incarichi. Si tratta di atti amministrativi a pieno titolo per tanto dotati di tutti i caratteri e

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gli elementi tipici degli stessi, compresa la motivazione17. Con esse il dirigente scolastico provvede alla più svariate esigenze gestionali anche se è possibile riassumerle prioritariamente a due categorie: determine prettamente organizzative e di tipo contabile. Le prime hanno carattere discrezionale e sono correlate al potere di organizzazione degli uffici tipico del datore di lavoro privato. Le seconde sono atti amministrativi attraverso le quali il dirigente scolastico impegna i fondi assegnati all’amministrazione scuola. In tal caso, sostituendosi alle delibere del consiglio d’istituto le determine contabili sono destinate a seguire le fasi di una vera e propria procedura ad evidenza pubblica: ad esempio, l’acquisto dei servizi connessi ai viaggi di istruzione degli studenti, o ancora l’acquisto di computer per la scuola o per la riparazione/manutenzione delle relative attrezzature o della cancelleria, la determina dirigenziale apre una vera e propria procedura regolata dalla normativa sui contratti pubblici18;

- direttive: sono atti espressione del potere direzionale del dirigente scolastico che indicano gli obiettivi da raggiungere e i criteri di massima per conseguirli lasciando sostanzialmente libero il soggetto destinatario sulle modalità di azione. Nel contesto scolastico un tipico esempio di direttiva è quella rivolta al DSGA19, che contiene, in genere, gli orientamenti di massima in merito alla collaborazione con il dirigente scolastico, all’organizzazione del lavoro e alla gestione del personale;

17 Al riguarda si ricorda che tutti gli atti amministrativi devono essere motivati, ai sensi dell’articolo 3 della

Legge 241/1990.

18 D.lgs. 18 aprile 2016 n.50 “codice dei contratti pubblici”.

19Direttore dei servizi generali e amministrativi: direttore che sovraintende ai servizi amministrativi e ai

servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale; l’art.25 del d.lgs. 165 del 2001 lo individua come figura che collabora con il dirigente nell’ambito delle funzioni organizzative e amministrative.

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- atti di indirizzo e deleghe: esprimono il potere di coordinamento del dirigente scolastico. Tipico atto di indirizzo è quello rivolto al collegio docenti riguardante la definizione e la predisposizione del piano triennale dell’offerta formativa. Come già sottolineato la Legge 107 del 2015 rafforza il ruolo del dirigente quale organo fondamentale della governance scolastica dotato dei poteri di individuazione delle scelte di gestione e di amministrazione, funzionali al raggiungimento dell’identità culturale e progettuale definita nel piano dell’offerta formativa. Le deleghe, invece, sono quegli atti mediante i quali il dirigente scolastico, nell’ambito della sua potestà organizzativa, cerca di rendere più snella ed efficiente l’attività degli uffici. Si tratta quindi di uno strumento di organizzazione del lavoro con la funzione specifica di snellire il carico istituzionale e di conseguenza di semplificare l’azione amministrativa. La delega rappresenta, tra l’altro, uno strumento fondamentale per la realizzazione di uno stile di direzione partecipativo, fondato sulla responsabilizzazione dei dipendenti e capace di stimolare la collaborazione, la creatività e le capacità personali; tale stile di direzione sembra essere più compatibile con i nuovi sistemi di valutazione delle performance, introdotti anche nell’amministrazione scolastica dal decreto legislativo 150 del 2009.

- Decreti e ordini di servizio: sono atti più prettamente gestionale con cui il dirigente scolastico indica al dipendente un comportamento da seguire; essi devono essere motivati, nonché contenere la durata della prestazione e identificare in maniera univoca il destinatario; identificano in generale una posizione di supremazia del dirigente scolastico nei confronti degli altri attori

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della scuola, supremazia non tanto fine a se stessa, quanto volta alla gestione unitaria della scuola e al soddisfacimento dei fini di interesse pubblico.

1.4.2.3. Coordinamento ed esercizio delle leadership

L’attuale figura del dirigente scolastico si configura senza dubbio come complessa, in quanto rappresentata da un variegato insieme di competenze, tra cui quella del coordinamento, appare come distintiva ed indispensabile. La funzione di coordinamento si concretizza in un insieme di azioni volte a creare una cultura aziendale condivisa, spinte motivazionali e un giusto equilibrio tra i vari soggetto che contribuiscono a rendere la scuola un’istituzione dotata di caratteristiche distintive, funzionali alla crescita morale e spirituale degli studenti. Il coordinamento all’interno dell’istituzione scolastica può essere rivisto essenzialmente nei seguenti punti:

1. garanzia dell’equilibrio tra i diritti costituzionalmente tutelati: il dirigente deve essere in grado di operare nell’ottica della gestione unitaria ed equilibrata dell’istituzione scolastica andando a ponderare quei diritti, espressi dalla Costituzione della Repubblica italiana, e riguardanti i soggetti coinvolti nell’operato della scuola: libertà di insegnamento, diritto all’apprendimento e libertà di scelta educativa delle famiglie.

2. gestione unitaria della scuola e coordinamento tra gli organi collegiali: il leader deve possedere la capacità di gestire in modo chiaro e autorevole il processo comunicativo tra i vari organi collegiali della scuola, favorendo la discussione democratica, nel rispetto delle varie opinioni, avendo sempre come punto di riferimento la direzione unitaria dell’istituzione scolastica e il successo formativo da parte degli studenti; occorre che egli sia in grado di attuare una

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mediazione di alto profilo educativo e didattico in modo da assicurare il buon funzionamento della scuola. Occorre che egli si faccia artefice del sistema delle relazioni istituzionali, andando a costituire il quadro di riferimento per la gestione della complessità dei processi educativi e formativi. Per il dirigente gestire la complessità significa inevitabilmente possedere un insieme di competenze tra cui la fanno da padrone: competenze giuridico amministrative, utili ad inquadrare il problema nella sua dimensione e a stabilire i paletti all’interno dei quali possono sorgere margini per la negoziazione; in questo ambito assume particolare importanza il ruolo del dirigente come garante della legalità e del rispetto della legge; capacità di esercitare la leadership, competenze comunicative, motivazionali e di gestione della conflittualità, tramite le quali il dirigente cerca soluzioni negoziali incentrate sui reali interessi delle parti e volte alla creazione di accordi che garantiscono alla scuola funzionalità ed efficienza.

In rifermento alla leadership possiamo prendere in considerazione le teorie di Thomas Joseph Sergiovanni20; per Sergiovanni, il fattore della leadership può contribuire a rendere una scuola competente oppure eccellente. Vi sono aspetti della leadership che possono essere rilevati nei dirigenti delle scuole competenti. Se a tali aspetti se ne aggiungono altri cruciali, allora la leadership favorisce l’eccellenza. Sergiovanni descrive metaforicamente i cinque aspetti della leadership come strumenti a disposizione del dirigente. Pertanto, si può parlare di:

20Thomas J. Sergiovanni (1937-2013)è uno studioso americano che, per lungo tempo, si è dedicato al settore

specifico del management e della leadership scolastica. I suoi studi sono stati ripresi in Italia e il suo modello di scuola come comunità si è mostrato adattabile alla nostra realtà. La leadership del dirigente scolastico è stata analizzata nell’articolo Leadership and Excellence in Schooling (1984).

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- leadership tecnica: fa riferimento a tutte le competenze tecniche che il dirigente deve possedere per poter pianificare, organizzare e coordinare le attività scolastiche quotidiane; il leader tecnico riesce ad organizzare in modo efficace ed efficiente le risorse umane, finanziarie, strumentali e strutturali, al fine del raggiungimento degli obiettivi prefissato.

- leadership umana: è orientata principalmente alle relazioni interpersonali e alle competenze sociali. Il leader umano supporta i suoi followers riuscendo ad incoraggiarli e a fornire loro opportunità di crescita. Essa è funzionale alla creazione di un clima sereno all’interno della scuola, capace di far proprie le esigenze sia degli studenti sia degli altri interlocutori sociali. Occorre che ognuno percepisca il proprio contributo come utile alla crescita e al miglioramento dell’istituzione scolastica.

- leadership educativa: con cui il dirigente è in grado di dare un sostanziale contributo di crescita alle scelte educative e formative che la scuola compie. Il leader educativo avverte le criticità dei processi formativi ed istruttivi ed elabora le strategie per il miglioramento di tali processi.

Queste tre competenze individuano la scuola competente; tuttavia, Sergiovanni nota che la presenza di questi tre aspetti della leadership non garantisce l’eccellenza di un’istituzione scolastica in quanto essa viene favorita anche dalla leadership simbolica e da quella culturale:

- leadership simbolica: costruisce un dirigente simbolo, ossia un esempio da imitare nello stile e nelle modalità di porsi. Questo implica una vicinanza del leader all’intera comunità scolastica, vicinanza percepita sia intellettualmente sia fisicamente. Inoltre, mediante la leadership simbolica, il dirigente fa propria

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una cultura organizzativa ed elabora una visione della scuola che cerca di condividere con i docenti, studenti, genitori e con tutti gli altri membri dell’organizzazione. Questa visione serve per creare significati, per attribuire un senso alle azioni straordinarie e a quello quotidiane, anche alle procedure che sembrano più banali e routinarie. In questo modo il leader riesce ad attribuire un significato al contributo che tutti portano alla causa della scuola, in modo che ciascuno si senta utile e motivato al raggiungimento delle finalità dell’organizzazione;

- leadership culturale: è una caratteristica specifica del dirigente scolastico. Schein21 afferma che in qualsiasi tipo di organizzazione è possibile rilevare una cultura organizzativa. Questa è costituita dai regolamenti, dalle direttive e dalle norme in vigore nell’organizzazione, oltre che dai valori che l’organizzazione promuove ufficialmente. A questo aspetto se ne aggiungono altri come un insieme di regole non scritte, una serie di conoscenze o credenze tacite, dei rituali, delle usanze e dei valori non ufficiali, che sono condivisi da tutte le componenti dell’organizzazione. In altre parole, il leader deve promuove e sollecitare un valore comune, un senso di appartenenza alla comunità; deve mostrare con forza come tutti possono essere rivolti ad uno stesso obiettivo. Il raggiungimento di quell’obiettivo e l’appartenenza alla comunità devono essere motivo di orgoglio e di soddisfazione, che stimola la motivazione e spinge ognuno a dare il massimo.

Quando un leader possiede i cinque aspetti della leadership allora è possibile che favorisca un contesto scolastico di eccellenza. Gli aspetti simbolici e culturali,

21 Edgar Schein (Zurigo, 5 marzo 1928) è uno psicologo statunitense, uno dei suoi principali interessi è la

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necessari per l’eccellenza, vengono anche definiti come leadership morale, ossia una leadership mirata a creare una cultura organizzativa e un insieme di simboli e significati, che sono strettamente legati al modello di organizzazione scolastica tendente all’eccellenza.

Figura 1: I cinque aspetti della leadership secondo Sergiovanni

3. Coordinamento tra scuola e territorio: in aggiunta alla necessità di operare un coordinamento all’interno dell’istituzione scolastica, il dirigente scolastico deve farsi carico anche di delineare le azioni che collegano la scuola al territorio in cui è inserita, in modo da rispondere alle specifiche esigenze della collettività. Il regolamento di autonomia 22 individua uno strumento fondamentale di collegamento tra scuola e territorio nelle reti di scuole: l’art. 7 prevede infatti che le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. Spetta al dirigente

22Decreto del Presidente della Repubblica n.275/ 1999: Regolamento recante norme in materia di autonomia

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definire tutti quei comportamenti che creano un ponte comunicativo tra scuola e territorio, nella convinzione che il processo di autonomia dell’istituzioni scolastiche sia rivolto alla collaborazione con enti esterni e alla creazione di accordi volti al miglioramento dell’offerta formativa. La collaborazione tra scuola ed enti esterni viene rafforzata con la Legge 107 del 2015, che ha reso obbligatoria per gli studenti l’alternanza scuola-lavoro; tale modalità formativa ha contribuito ad allargare gli orizzonti della scuola ed a favorire la collaborazione tra scuola e impresa;

4. direttiva di massima impartita al DSGA per l’organizzazione, la gestione e il coordinamento del lavoro: l’attività di coordinamento, fondamentale per il buon andamento e per l’efficienza dei processi organizzativi, passa anche attraverso la direttiva che il dirigente consegna al DSGA all’inizio dell’anno scolastico. Essa riguarda la funzionalità dell’organizzazione delle segreterie, la razionalità della divisione del lavoro, il mantenimento dell’efficienza delle strumentazioni tecniche e il controllo dei risultati del personale amministrativo e dei servizi generali. Il dirigente indica le modalità di gestione del personale identificando: le modalità di collaborazione tra le due figure apicali della scuola, le modalità di organizzazione del lavoro e di gestione del personale. La direttiva, in particolare, è riferita all’organizzazione efficace del servizio offerto dal personale amministrativo, che è chiamato a garantire un’azione efficiente sia in riferimento al personale della scuola sia in riferimento agli utenti esterni23. La direttiva rappresenta così un atto fondamentale di coordinamento tra il piano

23 I principi di efficacia, efficienza, trasparenza e pubblicità sono al centro della Carta dei Servizi della

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triennale dell’offerta formativa e il piano annuale dell’attività del personale docente e del personale tecnico amministrativo.

DOCUMENTAZIONE E CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ DI GESTIONE

DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA

2.1. Il funzionamento amministrativo-contabile della scuola: il programma

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La contabilità dello Stato e degli enti pubblici è l’insieme delle norme che regolano l’attività di acquisizione, conservazione ed impiego delle risorse da parte delle amministrazioni pubbliche, le procedure di formazione dei documenti di bilancio nonché i relativi criteri di contabilizzazione e controllo delle operazioni. La fonte primaria della contabilità dello Stato e degli enti pubblici è la Costituzione, che detta alcuni fondamentali principi in tema di bilancio, controlli e giurisdizione da parte della Corte dei Conti, nonché di decentramento di compiti e di attività finanziarie in favore degli enti territoriali. Oltre ai già citati principi di buon andamento ed imparzialità, le pubbliche amministrazioni devono operare anche rispettando il generale principio del pareggio di bilancio quale principio di equilibrio strutturale delle entrate e delle spese. Per quanto riguarda le istituzioni scolastiche autonome, in conseguenza dell’autonomia attribuitagli con la legge 59/1997, esse vengono dotate di autonomia in merito alle risorse finanziarie derivanti dei finanziamenti ministeriali, nella nuova concezione di valorizzazione delle risorse in base a principi di efficienza, compatibilmente ad idonee politiche di autofinanziamento. Prende corpo, quindi, una nuova figura di dirigente scolastico che avvalendosi della collaborazione del DSGA è diventato titolare del potere di proposta nell’elaborazione dei piani e destinatario delle risorse da gestire per l’attuazione degli stessi; in modo particolare esso è chiamato a trovare il giusto coordinamento tra strumenti di breve periodo (programma annuale) e strumenti di medio-lungo periodo, tra cui la fa da padrone il piano triennale dell’offerta formativa; è il rappresentate legale dell’istituto, svolge attività negoziale, predispone il programma annuale e le sue variazioni nonché l’apposita relazione introduttiva; è chiamato alla realizzazione del programma annuale e ha il compito di sottoporre ai revisori contabili il conto consuntivo e la sua relazione d’accompagnamento.

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Le disposizioni relative alla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche sono contenute nel Decreto Interministeriale 1° febbraio 2001, n.4424, che ha sostituito il precedente decreto ministeriale 28 maggio 197525. Tali disposizioni delineano in modo chiaro e completo le principali regole in materia di gestione amministrativo-finanziaria della scuola pur dovendo essere interpretate alla luce del contributo offerto dal Decreto legislativo 18 aprile 2016 n.50 “Codice dei contratti pubblici”.

Nelle scuole, l’esercizio finanziario ha inizio il 1° gennaio e termina il 31 dicembre e la gestione finanziaria si esprime in termini di competenza: sono rilevanti, cioè, i momenti di accertamento di un’entrata o di assunzione di un impegno di spesa (non i momenti di effettiva entrata o di effettivo pagamento, tipici di una logica improntata alla manifestazione finanziaria). L’art.1 del decreto interministeriale 44/2001 definisce l’ambito di applicazione e i principi cui deve ispirarsi la gestione delle istituzioni scolastiche, disponendo che le risorse assegnate dallo Stato, costituenti la dotazione finanziaria di istituto, non hanno altro vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimento delle attività di istruzione, formazione, e orientamento, proprie dell’istituzione scolastica, come previste e organizzate nel piano triennale dell’offerta formativa, nel rispetto delle competenze attribuite o delegate alle Regioni e agli enti locali compatibilmente con il principio di sussidiarietà26.

Il Regolamento di contabilità stabilisce i criteri ai quali deve essere improntata la gestione amministrativo contabile:

24 Decreto Interministeriale 1° febbraio 2001, n.44 “Regolamento concernente le “Istituzioni generali sulla

gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche”.

25 Decreto Interministeriale 28 maggio 1975 “Istruzioni amministrativo- contabili”.

26 Il principio di sussidiarietà è stato formalmente recepito nella Costituzione della Repubblica italiana con

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1. criterio di efficacia, che ottimizza il rapporto tra quantità/qualità dei bisogni soddisfatti e quantità/qualità dei servizi erogati; è funzionale alla misurazione degli obiettivi prefissati;

2. criterio di efficienza, che ottimizza il rapporto tra quantità/qualità dei servizi erogati e quantità/qualità delle risorse impiegate; è funzionale alla misurazione dell’utilizzo ottimale delle risorse;

3. economicità, che esprime la capacità dell’istituzione di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse per raggiungere in modo efficace i propri obiettivi. I principi di economicità, efficacia ed efficienza discendono dal canone generale del buon andamento della pubblica amministrazione. Con l’entrata in vigore della legge 107 del 2015 sono state introdotte nuove regole che rendono possibile una più razionale programmazione delle attività dell’istituto sin dall’inizio dell’anno scolastico; essa prevede che l’assegnazione e l’erogazione dei finanziamenti ministeriali avvenga entro i termini fissati dalla legge e in termini quantitativi completi per l’intero anno scolastico, consentendo di realizzare la predisposizione, entro il mese di ottobre, sia del piano triennale dell’offerta formativa sia del connesso programma annuale di bilancio. In tale ottica è rivedibile il processo di pianificazione e programmazione tipico delle imprese private, che trova la sua concreta realizzazione nella predisposizione del piano aziendale, per gli obiettivi di medio-lungo termine, e del budget per quanto riguarda la programmazione degli obiettivi nel breve periodo.

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