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Asset Allocation e relative applicazioni

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Academic year: 2021

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Introduzione 5

Premessa 7

CAPITOLO 1 : 9

IL VALUE-AT-RISK COME MISURA DEL RISCHIO: LE ORIGINI E GLI

SVILUPPI 9

L’evoluzione del risk management e il rischio di mercato 9

La Teoria di portafoglio 12

La frontiera efficiente dei portafogli 14

Il Teorema di separazione 23

Il capital asset pricing model 25

Rendimenti adattati in funzione del rischio: l’indice di Sharpe 35

Il Value-at-Risk 39

Cenni storici sul VaR 39

Le caratteristiche del Value-at-Risk 41

Scelta dei parametri per il calcolo del VaR 44

I vantaggi dell’approccio VaR nell’ambito del risk management e il suo utilizzo da parte delle autorità

di vigilanza 46

I limiti dell’approccio VaR nell’ambito del risk management 51

Calcolo del VaR per generiche distribuzioni 52

Modelli di calcolo del VaR 53

VaR analitico 54

I vantaggi della normalità 57

I rendimenti di portafoglio sono normali? 62

L’approccio della simulazione storica 65

Confronto tra i due metodi 70

Il metodo Monte Carlo 70

Il Conditional Value at Risk 71

Proprietà delle misure di rischio 74

Perché il VaR come misura del rischio di portafoglio? 75

CAPITOLO 2: 77

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2

Un confronto dei vincoli VaR e CVaR per la scelta di portafoglio con il modello

Media-Varianza 77

Il modello 78

Le frontiere media-VaR e media-CVaR 80

Le frontiere efficienti Media-VaR e Media-CVaR 80

I portafogli a minimo VaR e a minimo CVaR 81

Le implicazioni del modello 82

Livello di confidenza basso 84

Livello di confidenza moderato 86

Livello di confidenza elevato 88

Realizzazione del vincolo CVaR 94

L’aggiunta di un’attività priva di rischio 98

Livello di confidenza basso 98

Livello di confidenza moderato 98

Livello di confidenza elevato 99

Conclusioni 100

Selezione del portafoglio ottimo in un contesto Value-at-Risk 103

I limiti della Modern Portfolio Theory 104

La selezione di portafoglio sotto vincoli di perdita attesa 105 Il problema di selezione del portafoglio e il vincolo di perdita attesa 107

La costruzione del portafoglio ottimo 110

CAPITOLO 3: 117

ASSET ALLOCATION CON VINCOLO VALUE-AT-RISK: LE

APPLICAZIONI EMPIRICHE 117

L’applicazione empirica: selezione del portafoglio ottimo con titoli azionari e obbligazionari

“U.S.” 117

Statistiche descrittive 117

Selezione del portafoglio ottimo usando la distribuzione empirica 120 Combinazioni ottimali per azioni e obbligazioni “U.S.” con distribuzioni parametriche alternative 126

Conclusioni e implicazioni pratiche 134

L’applicazione empirica per metalli preziosi, petrolio e azioni 137 Commodities e titoli azionari nell’odierno contesto economico-finanziario internazionale 137

La derivazione dei portafogli ottimi 142

Statistiche descrittive 144

Derivazione delle quote di investimento ottimali 146

Le frontiere VaR efficienti 149

Conclusioni 152

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3

La Individually Acceptable Loss nella scelta del portafoglio ottimo 155

Lo sfondo teorico 158

La funzione di valutazione e i “cushions” monetari 158

Le definizioni di IAL 160

Selezione del portafoglio ottimo con la IAL 162

L’applicazione empirica 165

L’investimento nelle attività rischiose 166

Conclusioni 170

Bibliogafia 173

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5

Introduzione

Il presente elaborato affronta il tema dell’asset management, ossia della gestione di un portafoglio di attività finanziarie.

Si tratta di un processo produttivo orientato alla realizzazione di combinazioni efficienti ex ante tra rischio e rendimento, in un definito orizzonte temporale di investimento. La materia prima per la costruzione dei portafogli è rappresentata, semplificando, dall’insieme dei valori mobiliari quotati in mercati liquidi e l’input fondamentale del processo è l’insieme delle informazioni disponibili per la selezione dei titoli e l’attribuzione dei loro pesi in portafoglio; la realizzazione del processo produttivo comporta l’attribuzione delle probabilità ai diversi possibili scenari evolutivi delle variabili economico-finanziarie e di mercato che determinano il prezzo delle singole attività.

Molti investitori istituzionali adottano politiche di gestione dell’investimento che seguono strategie di “portfolio insurance”, le quali tipicamente consistono nella massimizzazione dell’utilità attesa o di un’altra funzione obiettivo della ricchezza sotto il vincolo che la stessa sia superiore ad un determinato livello.1

In un tale contesto si è ritenuto interessante illustrare, sia al livello teorico che applicato, un particolare metodo di “asset allocation”. Anzitutto con questa espressione si intende il processo di suddivisione delle attività finanziarie tra differenti “asset classes”, cioè insiemi molto ampi di titoli caratterizzati da un rapporto rischio/rendimenti omogeneo; di norma il termine “asset class” è assegnato alle seguenti tre macro-categorie di strumenti finanziari: azioni, obbligazioni, liquidità. 2 Il modello preso in esame ha come obiettivo la selezione del portafoglio ottimo utilizzando la misura di rischio “Value-at-Risk” come vincolo di perdita attesa. Tale “framework” è stato adottato da vari autori, costituendo il punto di riferimento principale per la realizzazione di alcune applicazioni empiriche, aventi la finalità di derivare l’allocazione ottimale di

1

Barucci, E. (2000). Teoria dei mercati finanziari: equilibrio, efficienza, informazione. Bologna: Il Mulino.

2

Linguanti, E., Bertelli, R. (2008). Analisi finanziaria e gestione di portafoglio. Valutazione de

rischio, tecniche di asset allocation, relative e absolute return, strumenti di analisi. Milano:

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6

portafoglio in differenti contesti. Il primo contesto, in questa sede presentato, consiste nella creazione di portafogli di investimento ottimali composti da azioni e obbligazioni “U.S.”; il secondo ha la finalità di costruire portafogli attraverso combinazioni ottimali di attività finanziarie quali metalli preziosi, petrolio e azioni; infine, la terza ed ultima applicazione esposta adotta il suddetto metodo al fine di ricavare la suddivisione ottima della ricchezza tra titoli rischiosi e un titolo privo di rischio. In quest’ultimo caso, il “framework” di riferimento viene modificato, con lo scopo di permettere che la capacità di rischio dell’investitore rientri nella procedura di ottimizzazione. Ciò in quanto l’attività di asset

allocation fa parte del processo più generale di financial planning, che si può

definire come quel processo che va dall’introspezione psicologica dell’investitore (propensione al rischio), alla valutazione preventiva delle proprie necessità finanziarie (obiettivi di investimento), all’individuazione delle soluzioni più appropriate (asset allocation).3

La trattazione ha imposto la conoscenza di alcuni fondamenti teorici, importanti per la comprensione del modello adottato e dei vari risultati raggiunti attraverso la sua attuazione. Si è ritenuto dunque fondamentale esporre le basi della teoria di portafoglio di Markowitz e i suoi successivi sviluppi tra i quali si annoverano il capital asset pricing model e le misure VaR e CVaR. Il suddetto quadro teorico costituisce il primo capitolo del presente elaborato. A questa prima parte segue un secondo capitolo che, oltre a porre le basi teoriche della selezione di portafoglio laddove essa sia vincolata dalle misure VaR e CVaR, serve per eseguire un confronto delle suddette misure di rischio, ampiamente diffuse e comunemente impiegate dalle istituzioni finanziarie. Si è infine ritenuto essenziale ampliare la ricerca, dal punto di vista sperimentale, integrandola mediante la presentazione delle varie applicazioni del criterio di asset allocation proposto, le quali compongono il terzo capitolo.

3

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7

Premessa

Per un investitore l’esistenza del rischio significa che egli non può associare un singolo numero oppure un pay-off ad un investimento in una qualsiasi attività. Il

pay-off deve essere descritto da un insieme di risultati e dalla probabilità che

ciascuno di questi si manifesti. Il rendimento dell’investitore è dunque una

variabile casuale caratterizzata da una distribuzione di probabilità. Si tratta della distribuzione del rendimento o funzione di frequenza.4 Allorquando un investitore decide l’acquisto di un titolo, i rendimenti passati ad esso associati costituiscono informazioni fondamentali; la maggioranza degli analisti finanziari, infatti, per stimare le probabilità associate ai rendimenti delle attività finanziarie parte dall’osservazione della variabilità passata.5 In genere vengono considerati almeno due parametri per catturare l’informazione rilevante riguardo ad una funzione di frequenza: uno al fine di misurare il valore medio ed uno al fine di misurare la dispersione intorno a quest’ultimo, in modo da offrire all’investitore una misura realistica di quanto può guadagnare oppure perdere con buona probabilità. Le più comuni statistiche sintetiche della distribuzione del rendimento sono quindi riassunte dai principali momenti teorici: il valore atteso e la varianza. Altri due momenti teorici interessanti sono l’indice di asimmetria, che valuta l’asimmetria della distribuzione attorno al valore atteso e l’indice di curtosi, che riflette la probabilità di osservare rendimenti lontani dal valore atteso.

Nonostante la precoce attenzione al tema del rischio da parte degli economisti e l’importanza che esso ha avuto per lo sviluppo dei metodi statistici, è solo nell’ultimo quarto del XX secolo che l’analisi del fenomeno ha generato un’esplosione di contributi, teorici e applicati.6 Uno dei fattori che spicca nell’ambito della teoria della gestione del rischio e che ha condotto ad un

4

E. J. Elton, M. J. Gruber. (1995). Modern Portfolio Theory and Investment Analysis. John Wiley & Sons, Inc. (p. 46-47).

5

Brealey, R. A., Myers, S. C., Allen, F., Sandri, S. (2011). Principi di Finanza aziendale. Milano: McGraw-Hill. (p. 197).

6

Gottardo, P. (2006). La gestione dei rischi nelle imprese industriali e finanziarie. Milano: Giuffrè Editore.

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8

approccio del tutto nuovo nei confronti di questo tema rivoluzionandone la teoria e contribuendo alla trasformazione di quest’ultima in applicazione pratica è lo sviluppo del Value-at-Risk (VaR), del quale è possibile dare una prima semplice definizione come la massima perdita di un titolo o di un portafoglio che si prevede venga subita su un dato periodo di tempo a causa di un movimento sfavorevole dei prezzi nei mercati. Gli effetti della rivoluzione che ha investito il

risk management anche grazie al VaR si sono spinti ben oltre la gestione dei

rischi di mercato sui quali questa misura di rischio inizialmente si focalizzava e oltre l’ambito delle principali istituzioni finanziarie. L’approccio VaR è nato infatti come una metodologia per la misurazione dei rischi di mercato applicata a singole posizioni di rischio; successivamente è stato utilizzato per portafogli di investimento più complessi che includono strumenti derivati e diverse tipologie di rischio e ben presto fu realizzato che poteva fare molto di più che semplicemente fornire delle cifre di VaR da riportare agli azionisti, rivelandosi non solo una particolare tecnica, ma un approccio radicalmente nuovo alla gestione della totalità dei rischi delle imprese, consentendo di guidare il processo decisionale interno. Malgrado tale novità, il VaR ha le sue radici filosofiche nella

teoria di portafoglio sviluppata negli anni Cinquanta da Markowitz, la quale ha

formalizzato le idee e le intuizioni che hanno guidato l’operato degli investitori professionali per più di un secolo7 e può essere pertanto considerato come il naturale sviluppo di questa teoria.8 Prima di esaminare i principi della teoria di portafoglio i quali, se pur apparentemente semplici sono fondamentali in un mercato in continua trasformazione e sono d’ausilio per comprendere le analisi che saranno presentate nel presente elaborato, si ritiene opportuno introdurre il tema del rischio nell’ambito delle imprese, illustrando i principali fattori che hanno contribuito all’evoluzione del risk management.

7

Linguanti, E., Bertelli, R. (2008). Analisi finanziaria e gestione di portafoglio, Op. Cit. (p. 11-12).

8

Dowd, K. (1998). Beyond Value-at-Risk. The New Science of Risk Management. John Wiley & Sons (p. 9 prefazione).

(9)

9

Capitolo 1 :

Il Value-at-Risk come misura del rischio: le origini e gli sviluppi

L’evoluzione del risk management e il rischio di mercato

Le aziende sono esposte a tre principali tipi di rischio: di business, strategici e finanziari e il risk management è il processo con cui le varie esposizioni al rischio sono identificate, misurate e controllate. 9

I rischi di business, o operativi, sono specifici dell’azienda o del mercato nella quale essa opera e sono assunti volontariamente dall’impresa al fine di raggiungere un vantaggio competitivo e di creare valore per i suoi azionisti. In contrasto, i rischi strategici sono quelli che risultano da cambiamenti fondamentali nell’economia e nell’ambiente politico e sono difficili da coprire, tranne che mediante un’appropriata diversificazione tra linee di business e tra paesi diversi. I rischi finanziari riguardano le possibili perdite nei mercati finanziari; possono essere classificati in base alla fonte da cui promanano e sono distinti nelle ampie categorie di rischi di mercato, di credito, di liquidità e legali.10 Il principale scopo dei sistemi VaR è quello di quantificare il rischio di

mercato11 ossia il rischio di perdite che sorgono da movimenti avversi nei prezzi

9

Rif.: In questa sede saranno analizzati i tre tipi di rischio summenzionati e il tema del risk

management. Per approfondimenti si vedano tra gli altri:

Jorion, P. (1997). Value-at-Risk: The New Benchmark for Controlling Market Risk. Irwin. (p. 3-4, 64);

Dowd, K. (1998). Beyond Value-at-Risk, Op. Cit. (p. 3-8);

Gottardo, P. (2006). La gestione dei rischi nelle imprese industriali e finanziarie, Op. Cit. (p. 98).

10

I rischi di credito sono rischi di insolvenza derivanti dal fallimento di una controparte nell’effettuare un pagamento dovuto; i rischi legali insorgono dal mancato adempimento dei contratti; quelli di liquidità sono sostenuti quando una transazione di acquisto o di vendita viene effettuata a condizioni svantaggiose. Rif.: Dowd, K. (1998). Beyond Value-at-Risk, Op. Cit. (p. 3-4).

Ciò in quanto la liquidità rappresenta la facilità con cui si riesce a negoziare un titolo in tempi rapidi, per importi consistenti, senza essere costretti a sacrificare il prezzo. Rif.: Linguanti, E., Bertelli, R. (2008). Analisi finanziaria e gestione di portafoglio, Op. Cit. (p. 24).

11

In tale contesto, la variabile casuale considerata è il tasso di rendimento di un’attività finanziaria e la gamma dei possibili pay-offs può essere descritta dalla sua funzione di distribuzione di probabilità.

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10

di mercato o nei tassi di mercato e trae origine principalmente dall’attività di negoziazione dei titoli e delle valute. Più precisamente, i rischi di mercato possono essere suddivisi in quattro diversi tipi: di tasso di interesse, di prezzo delle azioni e delle commodities e di tasso di cambio, a seconda che la variabile di mercato consista rispettivamente in un tasso di interesse, nel prezzo di un titolo azionario o di una materia prima oppure infine nel tasso di cambio. La gestione del rischio finanziario è divenuta uno strumento essenziale per la sopravvivenza di tutte le attività delle imprese e l’unica, più importante ragione della crescita del settore della gestione del rischio è la crescente volatilità delle variabili di mercato.

Vi è un certo numero di fattori che ha contribuito alla progressiva trasformazione del risk management e uno di questi ovviamente è stato l’elevato livello di

instabilità che, dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso fino ad oggi, ha

caratterizzato l’ambiente in cui le imprese operano. Si è verificato un mutamento radicale del contesto in cui le imprese si sono trovate ad operare, dovendo esse confrontarsi con l’esigenza di far fronte ad una volatilità dei tassi di interesse, dei tassi di cambio, del mercato azionario, dei prezzi delle materie prime che non è minimamente paragonabile a quella dei decenni precedenti. A ciò si aggiunge un altro fattore che ha contribuito allo sviluppo del risk management, trattandosi del

rapido avanzamento dell’information technology, i cui miglioramenti hanno

reso possibili enormi incrementi sia del potere computazionale sia della velocità con cui i calcoli possono essere eseguiti, permettendo di affrontare problemi di calcolo mediante l’utilizzo di nuove tecniche utili in tempo reale. Il progresso tecnologico, assieme alla conseguente diminuzione dei costi di IT, hanno quindi trasformato la tecnologia disponibile per la gestione della rischio. Ciò ha creato un’intera nuova gamma di misure di rischio e dunque nuove possibilità di gestione dello stesso. Non è un caso poi che lo stesso periodo abbia visto la nascita e lo sviluppo di strumenti e mercati finanziari innovativi; l’innovazione finanziaria si è sbizzarrita nel creare nuovi strumenti tra i quali i contratti derivati come i futures, i forwards e le opzioni, per permettere la copertura, la neutralizzazione o la diversificazione dei rischi.

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11

Come accennato, l’ambiente in cui le imprese si trovano attualmente ad operare è caratterizzato da una forte volatilità delle variabili di mercato; con esse si intendono, in senso ampio, i rendimenti, i prezzi, i flussi finanziari, il valore delle imprese. Il concetto di volatilità delle variabili di mercato misura l’incertezza circa i loro futuri valori, rivelandosi un tentativo di oggettivazione della nozione di rischio, mentre il Value-at-Risk costituisce una variante sul tema del rischio, in quanto cerca di identificare la distribuzione dei risultati per valutare l’eventualità di trovarsi sulla coda di questa distribuzione, quantificando i relativi esiti e la probabilità della loro manifestazione. Per stimare le possibili perdite è allora importante che i risk managers tengano sotto controllo le volatilità. Chiaramente la volatilità o il VaR non sono il rischio, costituiscono solamente delle unità di misura degli effetti che i rischi hanno sulle imprese.12

In un contesto di gestione dell’esposizione dell’impresa ai rischi, i managers sono chiamati a decidere quelli che possono essere sopportati, valutando quelli che correntemente sono stati assunti e modificando eventualmente le esposizioni. L’attività di gestione dei rischi necessita perciò di tecniche e di modelli spesso sofisticati e differenziati per la quantificazione degli stessi e comporta la messa a punto di strategie per affrontarli, ciascuna delle quali può assumere diverse forme a seconda del tipo di impresa, del tipo di rischio e della disponibilità di strumenti operativi o finanziari per poterla realizzare in pratica. Fra le varie tecniche di gestione del rischio, la diversificazione è quella che fa risaltare maggiormente il ruolo del sistema finanziario e quindi dei mercati e degli intermediari che entrano in gioco nel processo di riallocazione dei rischi. La teoria sottostante alla diversificazione è stata sviluppata grazie ai contributi di Markowitz sulla teoria di portafoglio, con la quale il tema ha assunto notevole rilevanza teorica.

12 Gottardo, P. (2006). La gestione dei rischi nelle imprese industriali e finanziarie, Op. Cit. (p.

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12

La Teoria di portafoglio 13

La teoria di portafoglio rappresenta un approccio al problema della misurazione dei rischi e si sviluppa con la premessa secondo cui gli individui, nello scegliere portafogli di investimento, non cercherebbero semplicemente di limitare il rischio oppure di massimizzare i profitti ma, come nel caso di altre decisioni finanziarie, di bilanciare in modo ottimale il trade-off fra rendimento e rischio. La scelta avverrebbe quindi sulla base sia del valore atteso che sulla base della varianza o della deviazione standard del rendimento del portafoglio. Maggiore è il rischio cui ci si espone, maggiore è il rendimento che si può realizzare.

Il termine “rendimento atteso” è talvolta fonte di equivoci. Nel linguaggio di tutti i giorni esso fa riferimento alla probabilità che un risultato “atteso” si verifichi. In statistica, il valore atteso di una variabile è pari al suo valore medio. Pertanto, il rendimento atteso di un titolo i, designato con 𝜇𝑖, è una media ponderata dei rendimenti del titolo tenendo conto di tutti gli stati del mondo possibili, con pesi pari alle probabilità che essi si verifichino:

𝜇𝑖 = ∑𝑚 𝑅𝑖,ℎ ℎ=1 ∙ 𝑝𝑖,ℎ

dove 𝑅𝑖,ℎindica la realizzazione della variabile casuale i nello stato h-esimo e 𝑝𝑖,ℎ la probabilità che si verifichi l’evento o stato del mondo h-esimo per la variabile casuale i. Il rendimento atteso quale semplice regola decisionale richiede quindi la stima dei probabili risultati della variabile casuale.

La misura più utilizzata per valutare invece il rischio di un titolo è, come accennato, la varianza, definita come:

13

Rif.: In questa sede saranno analizzati i principi fondamentali della teoria media-varianza. Per approfondimenti si vedano tra gli altri:

Cuthbertson, K., Nitzsche, D. (2005). Economia finanziaria quantitativa. Bologna: Il Mulino Manuali. (p. 113-115,117-118);

Dowd, K. (1998). Beyond Value-at-Risk, Op. Cit. (p. 11-13);

Gottardo, P. (2006). La gestione dei rischi nelle imprese industriali e finanziarie, Op. Cit. (p. 38-39, 101,103);

Brealey, R. A., Myers, S. C., Allen, F., Sandri, S. (2011). Principi di Finanza aziendale, Op. Cit. (p. 222-224);

Hull, J. C. (2008). Risk Management e istituzioni finanziarie. Pearson Prentice Hall. (p. 2-8). (1.1)

(13)

13 𝜎𝑖2 = ∑𝑚

ℎ=1 (𝑅𝑖,ℎ – (𝜇𝑖))2 ∙ 𝑝𝑖,ℎ .

La deviazione standard esprime la turbolenza dei rendimenti di ogni attività finanziaria di cui sia disponibile una serie storica di prezzi o di rendimenti.

È opportuno tuttavia precisare che nell’ottica della portfolio theory il rischio di un qualsiasi titolo o strumento finanziario non è dato unicamente dalla deviazione standard del suo rendimento, ma piuttosto dal suo contributo al rischio complessivo del portafoglio nel quale esso è inserito e dipende quindi dalla correlazione o covarianza dei suoi rendimenti con quelli di tutte le altre attività che fanno parte del portafoglio. Un’attività può essere molto rischiosa se considerata a sé stante, ma avere un rendimento correlato con quelli delle altre attività in portafoglio tale che acquisire tale attività non aggiunge niente alla deviazione standard complessiva del portafoglio. Quanto minore è la correlazione, tanto più basso è l’incremento del rischio del portafoglio dovuto all’inclusione del titolo; se poi la correlazione fosse negativa, l’aggiunta del nuovo titolo ridurrebbe la rischiosità complessiva del portafoglio.14

L’essenza della teoria di portafoglio è quella secondo cui risulta pericoloso concentrare tutto il capitale su un unico oggetto, sia questo un’azione, un progetto di investimento e così via. La diversificazione può evitare o quanto meno limitare l’effetto negativo che deriva dal verificarsi di qualche evento estremo, che in verità può avere una probabilità anche molto bassa di manifestazione, ma che quando si realizza potrebbe prosciugare completamente

14

In un ottica di portafoglio diventa rilevante la distribuzione congiunta dei possibili risultati di tutte le posizioni. Assume quindi importanza il legame che esiste tra le diverse variabili casuali, cui si fa riferimento parlando di correlazione. Il coefficiente di correlazione tra i tassi di rendimento di due titoli (titolo 1 e titolo 2) è indicato con 𝜌1,2≡ 𝜎1,2/𝜎1𝜎2, dove 𝜎1 e𝜎2sono le deviazioni standard dei rendimenti dei due titoli e𝜎1,2 la covarianza tra il tasso di rendimento del titolo 1 e quello del titolo 2. È noto che tale coefficiente può assumere valori compresi tra 1 e -1; se le due variabili si muovono nella stessa direzione avremo correlazione positiva e viceversa, se invece le due variabili sono completamente indipendenti allora il valore di questo indicatore è zero. La diversificazione di portafoglio riduce il rischio solo quando la correlazione è minore di 1. Il miglior risultato che si può ottenere si ha quando la correlazione è perfettamente negativa (coefficiente pari -1) perché in questo caso c’è sempre una strategia di portafoglio, rappresentata da un insieme specifico di ponderazioni, che elimina completamente il rischio. Rif.: Brealey, R. A., Myers, S. C., Allen, F., Sandri, S. (2011). Principi di Finanza

aziendale, Op. Cit. (p. 203-205).

(14)

14

il capitale investito. Questa proprietà della diversificazione permette di tener conto dell’interazione fra i diversi rischi ed è pertanto di ovvio utilizzo per i

portfolio managers. Può essere infatti applicata ad un portafoglio di un fondo

comune di investimento, di un fondo pensione, al portafoglio crediti di una banca, al portafoglio di investimenti di un assicuratore o di un’impresa di un qualsiasi altro settore. È necessario tuttavia puntualizzare alcuni punti deboli di questo approccio alla gestione dei rischi. Un problema inerente alla diversificazione consiste nel costo che deve essere sostenuto laddove essa sia applicabile, in termini di costi di transazione e in termini di necessaria riduzione parallela del rendimento atteso laddove il rischio venga ridotto e questo perché la diversificazione tendenzialmente annulla l’effetto degli eventi estremi, fra i quali rientrano è vero quelli negativi ma anche quelli positivi. Un ulteriore problema è che per la quasi totalità dei tipi di rischio esistenti, una diversificazione anche molto spinta del portafoglio non elimina completamente i rischi, rimanendo una porzione di alea che deve essere gestita.

Il criterio media-varianza nella selezione di portafogli di investimento

(“mean-variance framework”) si basa dunque su due precisi parametri della distribuzione

dei possibili rendimenti di portafoglio, ossia la media e la varianza e implicitamente presuppone che questi siano sufficienti a guidare le decisioni degli investitori. In altre parole, si assume che gli investitori non necessitano di informazioni riguardo a momenti ulteriori della funzione di densità del rendimento, come i coefficienti di asimmetria o di curtosi. La regola media-varianza presenta dunque lo svantaggio di non catturare parametri ulteriori come la simmetria/asimmetria, la curtosi ed altre irregolarità che possono caratterizzare la distribuzione dei risultati relativi ad un’attività e che possono essere importanti per la scelta dell’investitore.

La frontiera efficiente dei portafogli

Supponendo che ogni titolo i sia caratterizzato da una particolare combinazione tra valore atteso (𝜇𝑖) e deviazione standard (𝜎𝑖) del tasso di rendimento, i titoli

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15

rischiosi disponibili possono essere rappresentati graficamente su un diagramma, come quello della Figura 1.1.

Fig. 1.1 – Titoli rischiosi: possibili alternative.

Fonte: Hull, J. C. (2008)

Dopo aver stimato il valore atteso e la deviazione standard del tasso di rendimento dei vari titoli, è naturale chiedersi cosa succede quando essi vengono combinati tra loro per formare un portafoglio. Il rendimento di quest’ultimo è una combinazione lineare dei rendimenti delle attività sottostanti, dove i pesi sono dati dalle rispettive somme investite in ciascuna attività all’inizio del periodo. Il valore atteso, 𝜇𝑝, del tasso di rendimento di un portafoglio è pari quindi a:

𝜇𝑝 = ∑𝑛𝑖=1 𝑤𝑖 𝜇𝑖

dove 𝑤𝑖indica il peso del titolo i all’interno del portafoglio e ciascun peso è stato stabilito all’inizio del periodo.

La deviazione standard 𝜎𝑝 del tasso di rendimento del portafoglio, utilizzata come misura della volatilità, vale:

(16)

16

𝜎𝑝 = √∑𝑛𝑖=1 𝑤𝑖2𝜎𝑖2 + ∑𝑖=1𝑛 ∑𝑛𝑗=1,𝑖≠𝑗 𝑤𝑖𝑤𝑗𝜎𝑖,𝑗 in cui 𝜎𝑖,𝑗esprime la covarianza fra i rendimenti dei titoli i e j.

Passare da un’ipotesi in cui l’insieme di scelta dell’investitore è costituito da due attività finanziarie ad un’ipotesi in cui si include un terzo titolo che si aggiunge ad una qualsiasi combinazione degli altri due dà luogo a nuovi trade-off tra rischio e rendimento e consente agli investitori di sfruttare i benefici ottenibili dalla diversificazione, in termini di riduzione del rischio. L’inclusione di un quarto titolo che può aggiungersi ad una qualsiasi combinazione degli altri tre darà luogo a nuove opportunità di investimento. Continuando così fino a considerare tutti i possibili portafogli che si possono ottenere combinando tra loro i titoli rischiosi che sono disponibili nel mercato è possibile ottenere la cosiddetta “frontiera efficiente”, illustrata nella Figura 1.2, la quale mostra tutte le combinazioni di deviazione standard e rendimento atteso (𝜎𝑝, 𝜇𝑝) che massimizzano il tasso atteso di rendimento per un dato livello di rischio.15

15

La frontiera efficiente è definita anche come una funzione concava nello spazio rendimento atteso-deviazione standard che si estende dal portafoglio a varianza minima al portafoglio caratterizzato dal maggiore rendimento atteso. Rif.: Elton, E., J., Gruber, M. J. (1995). Modern

Portfolio Theory and Investment Analysis, Op. Cit. (p. 80).

(17)

17

Fig. 1.2 - Frontiera efficiente dei titoli rischiosi.

Fonte: Hull, J. C. (2008)

Non esistono investimenti che dominano i portafogli che giacciono lungo la frontiera efficiente. In altri termini, non esistono investimenti caratterizzati da un tasso di rendimento atteso più elevato a parità di deviazione standard. L’area tratteggiata che si trova al di sotto della frontiera efficiente nella Figura 1.2 rappresenta l’insieme di tutte le opportunità di investimento e per ogni punto dell’area tratteggiata possiamo trovare un punto sulla frontiera efficiente che sia caratterizzato da un tasso di rendimento atteso più elevato, a parità di deviazione standard, o da una deviazione standard più bassa, a parità di tasso di rendimento atteso.

Naturalmente, l’avversione al rischio che contraddistingue i soggetti li porterebbe a ottimizzare la scelta ricercando il portafoglio che massimizza il rendimento atteso per un dato livello di rischio o, alternativamente, minimizza il rischio per un dato livello di rendimento atteso. Un portafoglio che rispetta tali condizioni è detto appunto efficiente ed un investitore razionale sceglierà sempre un portafoglio efficiente. Quando affronta una decisione di investimento, egli deve

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18

quindi determinare l’insieme dei portafogli efficienti ed escludere gli altri, sapendo che qualche portafoglio efficiente sarà caratterizzato da maggiore rischio, ma a quelli più rischiosi è anche associato un maggiore rendimento atteso. Di fronte all’insieme dei portafogli efficienti, l’investitore sceglie un particolare portafoglio sulla base delle preferenze individuali di avversione al rischio. Un soggetto molto avverso al rischio sceglierà un portafoglio sicuro con una bassa deviazione standard e un basso rendimento atteso, mentre un soggetto scarsamente avverso al rischio sceglierà un portafoglio più rischioso con un più elevato rendimento atteso.

Ci possiamo a questo punto chiedere che aspetto assuma la frontiera efficiente se consideriamo non solo titoli rischiosi, ma anche portafogli che includono un titolo privo di rischio, ad esempio un deposito bancario, con rf il suo tasso di rendimento.16 Introdurre la presenza di tale titolo può consentire ai soggetti la possibilità di investire i loro risparmi in un’attività senza rischio e anche quella di prendere denaro a prestito al tasso di rendimento privo di rischio. Così l’agente può:

1. investire tutta la sua ricchezza in attività rischiose senza prendere o dare a prestito;

2. investire meno della sua ricchezza totale in attività rischiose e prestare la rimanente ricchezza al tasso privo di rischio;

3. investire più della sua ricchezza totale in attività rischiose, prendendo a prestito i fondi addizionali al tasso di interesse privo di rischio. In questo caso si dice che l’investitore possiede un portafoglio con leva.

Nella Figura 1.3 il titolo privo di rischio, che per definizione ha un tasso di rendimento con deviazione standard nulla, è individuato dal punto F. Tracciamo ora dal punto F la tangente alla frontiera efficiente dei titoli rischiosi. Sia M il

16

Rif.: In questa sede sarà analizzata la cosiddetta “linea di trasformazione”. Per approfondimenti si vedano tra gli altri:

(19)

19

punto di tangenza. Come dimostreremo, la linea FM è ora la nuova frontiera efficiente.

Fig. 1.3 – Frontiera efficiente (titoli rischiosi e non rischiosi).

Fonte: Hull, J. C. (2008)

Vediamo ora cosa succede se costruiamo un nuovo portafoglio, I, investendo una quota 𝑤𝐼 (0 < 𝑤𝐼 < 1) dei fondi disponibili nel portafoglio M e la restante quota (1 − 𝑤𝐼) nel titolo privo di rischio. In base all’Equazione (1.3), il tasso di rendimento atteso, 𝜇𝐼, del nuovo portafoglio è pari a:

𝜇𝐼 = (1 - 𝑤𝐼)𝑟𝑓 + 𝑤𝐼𝜇𝑀

mentre, tenendo presente che la covarianza e quindi il coefficiente di correlazione tra il rendimento di un’attività priva di rischio e il rendimento di un qualsiasi altro portafoglio di investimento sono pari a zero, in base all’Equazione (1.4) avremo che la deviazione standard di I, 𝜎𝐼, è pari a:

𝜎𝐼 = √𝑤𝐼2𝜎

𝑀2 + (1 − 𝑤𝐼)2+ 2𝑤𝐼(1 − 𝑤𝐼)𝜎𝑀 = 𝑤𝐼𝜎𝑀 (1.6) (1.5)

(20)

20

dove 𝜎𝑀indica la deviazione standard del tasso di rendimento del portafoglio M. L’espressione (1.6) implica che

(1 - 𝑤𝐼) = 𝜎𝑀 − 𝜎𝐼

𝜎𝑀 e che

𝑤𝐼 = 𝜎𝜎𝐼 𝑀 .

Sostituendo per (1 − 𝑤𝐼) e 𝑤𝐼nell’Equazione (1.5) otteniamo:

𝜇

𝐼

= 𝑟

𝑓

+ (

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓

𝜎𝑀

) 𝜎

𝐼 .

L’espressione (1.7) esprime il fatto che, per portafogli di investimento in cui sono presenti attività rischiose e un’attività priva di rischio vale sempre una relazione lineare tra il tasso atteso di rendimento e il rischio. Poiché, per costruzione, l’Equazione (1.7) vale per ogni generico portafoglio con titoli rischiosi e un titolo privo di rischio, essa può essere riscritta più in generale come 𝜇𝐼 = 𝛼 + 𝑏𝜎𝐼, da cui emerge chiaramente come tutti i portafogli costruiti combinando, in proporzioni differenti, un portafoglio di titoli rischiosi con un titolo privo di rischio si collochino su una semiretta con intercetta positiva sull’asse delle ordinate pari a rf e inclinazione data da

(

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓 𝜎𝑀

)

.

17 Ciò esprime chiaramente la presenza di un trade-off tra rendimento e rischio: i portafogli con un rendimento atteso più alto presenteranno anche un maggiore rischio.

Dalla (1.6) possiamo vedere che quando tutta la ricchezza è detenuta nell’insieme delle attività rischiose, 𝑤𝐼 = 1 e quindi 𝜎𝐼 = 𝜎𝑀, punto M della Figura 1.3. Quando tutta la ricchezza è investita nell’attività priva di rischio, (1 − 𝑤𝐼) = 1 dunque 𝜇𝐼 = 𝑟𝑓, dato che 𝜎𝐼

𝜎𝑀 = 0.

17

A tale riguardo, dal momento che nessuno avrebbe convenienza a detenere attività rischiose se il titolo senza rischio offrisse anche un rendimento superiore, in generale ha senso concentrarsi esclusivamente sui portafogli che si collocano sulle semirette per cui vale 𝜇𝑀 – 𝑟𝑓 > 0, le semirette cioè con inclinazione positiva.

(21)

21

Tutti i punti che giacciono sul segmento FM possono essere quindi ottenuti scegliendo un’idonea combinazione dell’investimento rappresentato dal punto F e dell’investimento rappresentato dal punto M. Inoltre, i punti da cui è formato il segmento FM dominano tutti i punti che giacciono sulla precedente frontiera efficiente, perché offrono un migliore trade-off tra rischio e rendimento (per ogni portafoglio situato sulla precedente frontiera efficiente esiste un altro portafoglio situato sul segmento FM che consente di ottenere un dato rendimento atteso con un rischio minore oppure che, a parità di rischio, consente di ottenere un rendimento atteso maggiore). Pertanto, la nuova frontiera efficiente è rappresentata dal segmento FM e l’equazione che la caratterizza è l’Equazione (1.7). Per ciascun portafoglio che si colloca tra F e M (compreso F ma non M), spendendo parte della sua ricchezza nell’acquisto del titolo privo di rischio, l’investitore di fatto sta concedendo denaro a prestito. Se facciamo l’ipotesi semplificatrice che si possa prendere in prestito denaro allo stesso tasso a cui lo si dà in prestito, possiamo costruire portafogli che giacciono sulla linea che parte da F, passa per M e continua oltre M. Supponiamo, ad esempio, di voler costruire il portafoglio rappresentato dal punto J nella Figura 1.3. L’investitore non avrebbe potuto raggiungerlo con la sua sola ricchezza, poiché si colloca oltre M. Per costruirlo, può adesso sfruttare la presenza dell’attività priva di rischio e, più precisamente, può prendere in prestito fondi ulteriori al tasso rf per investirli nel portafoglio M assieme alle disponibilità iniziali, utilizzando tali risorse aggiuntive per potersi permettere un investimento altrimenti non realizzabile. Per tale motivo, un portafoglio oltre M è anche detto portafoglio con debito. Possiamo quindi concludere che, se includiamo tra le opportunità d’investimento anche il titolo privo di rischio, la frontiera efficiente è rappresentata da una linea retta inclinata positivamente che origina dall’asse delle ordinate ed è tangente alla frontiera dei portafogli con solo titoli rischiosi. Inoltre, dare e prendere a prestito estende il campo delle possibilità di investimento: investendo nel portafoglio rischioso M e dando oppure prendendo fondi in prestito al tasso di interesse privo di rischio è possibile raggiungere qualsiasi punto lungo la linea retta che parte da rf e passa per M; questa strategia conferisce un rendimento

(22)

22

atteso più alto per ogni livello di rischio rispetto a quello che potrebbe essere ottenuto investendo solo in attività rischiose.

Si sottolinea che vi è un’importante differenza che distingue la frontiera con un titolo privo di rischio da quella con solo titoli rischiosi. Nel secondo caso è possibile distinguere tra la frontiera dei portafogli e quella efficiente, che non coincidono l’una con l’altra. In particolare, la seconda è un sottoinsieme della prima (in quanto tutti i portafogli efficienti appartengono alla frontiera dei portafogli, ma non tutti i portafogli che stanno sulla frontiera sono efficienti). Al contrario, in presenza di un titolo risk-free, tutti, e solo, i portafogli che appartengono alla frontiera sono efficienti. Più specificatamente, ogni portafoglio sulla frontiera soddisfa, al tempo stesso due condizioni: minimizza il rischio per un dato rendimento atteso e massimizza il rendimento atteso per un dato rischio. La frontiera (efficiente) dei portafogli può essere ricavata analiticamente risolvendo il seguente problema in cui w0 si riferisce alla scelta dell’investitore sulla quota di ricchezza destinata all’acquisto dell’attività risk-free:

min 𝜎𝑃2 = ∑𝑛 𝑖=1 ∑𝑛𝑗=1 𝑤𝑖𝑤𝜎𝑖,𝑗 s. a: 𝑤0𝑟𝑓 + ∑𝑛𝑖=1 𝑤𝑖𝜇𝑖 = 𝜇𝑃 𝑤0+ ∑𝑛 𝑖=1 𝑤𝑖 = 1 .

I due vincoli esprimono rispettivamente che il portafoglio individuato dalla soluzione del problema minimizza il rischio di investimento dato un certo tasso atteso di rendimento obiettivo 𝜇𝑃il quale l’investitore intende realizzare e che la somma delle quote di ricchezza investite nei vari titoli è pari a 1. Dalla soluzione matematica del problema, considerando i sopracitati vincoli, sarà possibile individuare (dalle quote di ricchezza investite nelle varie attività) un portafoglio che appartiene alla frontiera e ripetendo il procedimento per ogni possibile valore obiettivo del rendimento atteso otterremo tutti i portafogli, uno per ogni μP,che costituiscono la frontiera.

(23)

23

Il Teorema di separazione 18

In base al ragionamento con cui la frontiera efficiente è individuata, tutti gli investitori con le stesse “credenze” riguardo ai rendimenti attesi, alle varianze e alle covarianze dei rendimenti dei vari titoli, saranno caratterizzati dalla stessa frontiera efficiente e avranno sempre convenienza a scegliere un portafoglio che si colloca su quella stessa frontiera, in quanto i portafogli efficienti sono situati nello stesso luogo geometrico nel piano (𝜎𝑝, 𝜇𝑝). Peraltro, per come la frontiera è stata costruita, combinando cioè in proporzioni diverse il titolo privo di rischio e il portafoglio rischioso, ogni suo portafoglio, limitatamente alla sola componente rischiosa, sarà caratterizzato dalla stessa combinazione di titoli. In particolare, tale combinazione di titoli rischiosi è quella corrispondente al portafoglio di tangenza M. Le preferenze degli investitori, allora, determineranno i punti in cui essi si posizioneranno lungo la frontiera, ossia determineranno la particolare combinazione tra titolo privo di rischio e portafoglio M e chiaramente tali combinazioni divergeranno per investitori con preferenze diverse, ma non influiranno sulle proporzioni con cui gli investitori deterranno titoli rischiosi. Ad esempio, mentre un investitore più avverso al rischio sceglierà verosimilmente un portafoglio senza debito e in larga parte composto dal titolo privo di rischio, cioè graficamente un punto molto vicino a F, un altro investitore meno avverso al rischio potrebbe scegliere il portafoglio J.

In altri termini, le preferenze degli investitori influiranno sull’ammontare assoluto di denaro investito in ciascun titolo rischioso e quindi nella componente rischiosa dell’investimento nel suo complesso, ma non nelle proporzioni con cui il denaro viene investito tra i diversi titoli rischiosi. Si tratta di un risultato fondamentale della teoria delle scelte di portafoglio, noto come teorema di

separazione o del fondo comune (separation or mutual fund theorem).

18

Rif.: In questa sede sarà analizzato il principio di separazione. Per approfondimenti si vedano tra gli altri:

Cuthbertson, K., Nitzsche, D. (2005). Economia finanziaria quantitativa, Op. Cit. (p. 130-131); Elton, E., J., Gruber, M. J. (1995). Modern Portfolio Theory and Investment Analysis, Op. Cit. (p. 88-90).

(24)

24

Per ogni investitore interessato soltanto alla media e alla varianza dei rendimenti, il portafoglio ottimo consiste in una certa combinazione del titolo privo di rischio e di un particolare portafoglio di attività rischiose (il fondo comune) che è lo stesso per tutti gli investitori con le stesse credenze su medie, le varianze e le covarianze dei rendimenti dei vari titoli.

L’asserto del teorema non è banale in quanto, qualunque siano le preferenze individuali e la ricchezza degli investitori, questi ultimi distribuiranno la loro ricchezza tra il titolo privo di rischio e un portafoglio rischioso che è indipendente dalle loro preferenze. In altri termini, la scelta di ciascun investitore, concettualmente, può essere separata in due distinte fasi:

1) la prima fase consiste nell’individuare la composizione efficiente del portafoglio relativa ai soli titoli rischiosi, ossia nell’individuare il portafoglio di tangenza; questa scelta è indipendente dalle preferenze degli investitori ed è la stessa per tutti i soggetti con le stesse credenze sulle medie, varianze e covarianze dei rendimenti dei titoli;

2) la seconda fase consiste nell’individuare la composizione ottimale della ricchezza tra il portafoglio rischioso e il titolo privo di rischio e questa scelta dipende dalle preferenze dei singoli investitori e quindi differirà da soggetto a soggetto. Nei punti a sinistra di M i singoli investitori sono avversi al rischio e detengono una percentuale della loro ricchezza nel portafoglio di mercato (nelle proporzioni ottimali fisse) e una percentuale nell’attività priva di rischio. Se i singoli investitori sono invece meno avversi al rischio, allora si posizioneranno alla destra di M con un portafoglio levered, cioè con debito. Nel punto M essi investono tutta la loro ricchezza nel portafoglio di mercato. È quindi nel secondo stadio del processo di decisione che si determina quanto prestare per ridurre la quantità di ricchezza iniziale investita, in proporzioni fisse, nel portafoglio di attività rischiose oppure quanto prendere a prestito per aumentarla ed è solo a questo punto che le preferenze dell’investitore entrano nel processo di decisione.

(25)

25

Ai fini pratici tutto questo ha delle interessanti implicazioni. Ad esempio, un consulente finanziario che dovesse consigliare ad un soggetto come investire in modo ottimale la sua ricchezza non dovrebbe preoccuparsi di individuare esattamente il portafoglio che meglio soddisfa le preferenze del suo cliente. Potrebbe invece proporgli, insieme al titolo risk- free, un solo portafoglio, quello corrispondente al portafoglio di tangenza e lasciare che il cliente scelga la combinazione tra i due che più lo soddisfa.

Tutti gli investitori dovrebbero allora destinare una certa quota delle loro disponibilità allo stesso portafoglio di titoli rischiosi. Per gli investitori che hanno le stesse idee o aspettative perché dispongono delle stesse informazioni sulle medie e sulle varianze dei rendimenti dei vari titoli, la frontiera dei portafogli efficienti e conseguentemente la combinazione ottimale di titoli con riferimento alla sola componente rischiosa è la stessa. Peraltro, la scelta definitiva di ciascun investitore non sarà generalmente la stessa in quanto, in presenza di un titolo privo di rischio, la quota da destinare all’acquisto di quest’ultimo potrà differire da investitore a investitore in funzione delle diverse preferenze sulla combinazione rischio-rendimento.

Il capital asset pricing model 19

Studiando come dovrebbero agire razionalmente gli investitori nel formare i loro portafogli di investimento, si è analizzato di fatto la domanda di titoli finanziari in base all’approccio media-varianza. In base a questo criterio, tuttavia, gli investitori considerano i prezzi e i rendimenti attesi delle singole attività

19

Rif.: In questa sede saranno analizzati i principi fondamentali del CAPM. Per approfondimenti si vedano tra gli altri:

Cuthbertson, K., Nitzsche, D. (2005). Economia finanziaria quantitativa, Op. Cit. (p. 115-117, 133-137);

Dowd, K. (1998). Beyond Value-at-Risk, Op. Cit. (p. 151-152); 19

Brealey, R. A., Myers, S. C., Allen, F., Sandri, S. (2011). Principi di Finanza aziendale, Op. Cit. (p.224-225, 232-233);

Hull, J. C. (2008). Risk Management e istituzioni finanziarie, Op. Cit. (p. 8-10);

Elton, E., J., Gruber, M. J. (1995). Modern Portfolio Theory and Investment Analysis, Op. Cit. (p. 294-308).

Pastorello, S. (2001). Rischio e Rendimento. Teoria finanziaria e applicazioni econometriche. Bologna: Il Mulino. (p. 77).

(26)

26

finanziarie come dati, poiché il modello di per sé non dice niente su come si formano sul mercato i prezzi e i rendimenti attesi dei singoli titoli. Il capital asset

pricing model (CAPM) si propone di spiegare come si formano in equilibrio i

prezzi e i rendimenti attesi di ogni singola attività rischiosa presente sul mercato e quindi di spiegare i comportamenti degli investitori. L’interesse è dunque quello di comprendere la relazione che sussiste in equilibrio tra rendimento atteso e rischio delle varie attività finanziarie. Gli economisti William Sharpe e John Lintner hanno fornito i maggiori contributi a questo filone della letteratura.20 Le ipotesi fondamentali del CAPM sono le seguenti:

- gli investitori prendono le proprie decisioni di investimento in base a quanto prescritto nel modello media-varianza delle scelte di portafoglio; - essi condividono le stesse aspettative sulla media, la varianza e le

covarianze dei rendimenti delle attività; si parla a questo proposito di “homogeneous beliefs”.

Il modello CAPM si basa su alcune ipotesi semplificatrici, sufficienti per assicurare l’esistenza di una frontiera dei portafogli efficienti in senso media-varianza, uguale per tutti i risparmiatori. Queste sono di seguito elencate:

- nei mercati non ci sono costi di transazione e non vi è nessun limite allo scambio di attività (ad esempio non vi è il divieto di vendite allo scoperto);

- le attività sono infinitamente divisibili. Ciò significa che gli investitori possono investire anche un solo dollaro della loro ricchezza per acquistare un’azione di una società;

- le imposte sono neutrali, ossia tutti gli investitori sono tassati alla medesima aliquota;

20

Esistono vari sviluppi ed estensioni del modello di base del CAPM. Ad esempio, se si considera un contesto in cui non è presente alcuna attività priva di rischio allora abbiamo il Black CAPM, chiamato così in onore dell’economista Fisher Black che più ne ha approfondito le proprietà. Esistono poi versioni più complicate del CAPM, come la versione con le scelte intertemporali (il cosiddetto ICAPM, intertemporal CAPM) e anche un modello che include le scelte di consumo, il cosiddetto CCAPM (consumption CAPM).

(27)

27

- gli investitori devono comportarsi da price-takers, ossia non devono esistere situazioni di monopolio nel mercato;

- tutti gli investitori considerano solo il valore atteso e la deviazione standard dei tassi di rendimento;

- gli investitori non incontrano mai limiti nel prendere e nel dare a prestito allo stesso tasso di interesse privo di rischio;

- l’ottica degli investimenti è uni periodale, ossia gli investitori scelgono un certo portafoglio di investimento e non modificano la loro scelta nell’ambito del periodo di tempo considerato: quello che rileva è la ricchezza a fine periodo rispetto a quella di inizio periodo e la lunghezza dell’orizzonte temporale è la stessa per tutti gli investitori;

- le stime dei parametri fondamentali (valore atteso e deviazione standard dei tassi di rendimento, correlazioni tra tutte le coppie di titoli) sono le stesse per tutti gli investitori;

- tutte le attività sono negoziabili.

Naturalmente queste assunzioni non rispecchiano la realtà. Per esempio, l’atteggiamento degli investitori nei confronti del rischio è complesso poiché non si basa solo sui primi due momenti (media e varianza) delle distribuzioni dei tassi di rendimento e non è possibile prendere e dare denaro in prestito allo stesso tasso di interesse perché in genere i tassi passivi sono più alti dei tassi attivi. L’esplicitazione delle ipotesi alla base del CAPM dovrebbero servire a chiarire i suoi limiti applicativi alla realtà, cioè quanto questi limiti pregiudichino la capacità del modello nello spiegare i comportamenti degli investitori e i prezzi osservati nei mercati. Ciononostante, il capital asset pricing model è largamente usato per le sue caratteristiche di semplicità ed interpretabilità, che ne fanno uno strumento interessante in tutti i contesti nei quali sia necessaria una misura della relazione fra rischio e rendimento atteso di un titolo o di un investimento ed è il miglior modello conosciuto circa la relazione tra rischio e rendimento dei titoli finanziari sotto l’ipotesi di equilibrio fra domanda e offerta aggregate.

(28)

28

In base alle ipotesi del CAPM, tutti gli investitori che operano nel mercato dei capitali hanno aspettative omogenee e conseguentemente detengono attività rischiose nelle stesse proporzioni. Peraltro, dal momento che il mercato dei capitali è, chiaramente, un aggregato di tutti gli investitori, logicamente ogni investitore deterrà titoli rischiosi nella stessa proporzione del mercato. Per tale motivo, sotto le assunzioni del CAPM, il portafoglio di tangenza che identifica proprio la combinazione di titoli rischiosi detenuta da ciascun investitore (il portafoglio M), viene anche definito portafoglio di mercato e analogamente, la frontiera efficiente costruita combinando in proporzioni differenti il portafoglio di mercato con il titolo privo di rischio viene indicata come linea del mercato dei capitali o capital market line (CML), la quale esprime la relazione di equilibrio tra il rendimento atteso e il rischio dei portafogli efficienti ed è tangente alla frontiera efficiente con solo attività rischiose. L’equazione che la caratterizza è data da:

𝜇

𝑃

= 𝑟

𝑓

+ (

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓 𝜎𝑀

) 𝜎

𝑃

dove μP e σP rappresentano il rendimento atteso e la deviazione standard di un generico portafoglio efficiente P, mentre 𝜇𝑀 e 𝜎𝑀esprimono il rendimento atteso e la deviazione standard del portafoglio di mercato. La capital market line è quindi rappresentata da una retta con intercetta verticale pari a rf e coefficiente

angolare positivo dato da

(

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓

𝜎𝑀

)

e rappresenta il luogo geometrico nello

spazio (𝜎𝑝, 𝜇𝑝) dei portafogli efficienti. In ogni punto di essa, l’eccesso di rendimento per unità di rischio è massimizzato rispetto ad ogni altro portafoglio collocato sulla frontiera efficiente con solo titoli rischiosi. Il portafoglio di mercato è costituito invece dal portafoglio di tangenza tra la CML e la frontiera efficiente con solo titoli rischiosi e tutti gli investitori scelgono di investire nelle attività rischiose nelle proporzioni indicate dal punto M perché prendendo e dando a prestito al tasso rf possono raggiungere la frontiera più elevata dato l’insieme efficiente delle attività rischiose.

(29)

29

Prima di analizzare la relazione che sussiste in equilibrio tra rendimento atteso di un singolo titolo e il suo rischio in base alle ipotesi del CAPM, è opportuno evidenziare alcune importanti proprietà del portafoglio di mercato. Tutte le attività finanziarie rischiose disponibili sul mercato saranno presenti in esso. Non sarà dunque mai possibile che un’attività finanziaria disponibile abbia una quota pari a zero in questo portafoglio. Per capire questa affermazione è necessario tenere presente che il concetto di portafoglio di mercato è un concetto di equilibrio. Se un’attività fosse presente sul mercato ma non fosse detenuta dagli investitori, si determinerebbe un eccesso di offerta per quel titolo; questo produrrebbe una caduta del suo prezzo e conseguentemente un aumento del suo rendimento atteso. Ma ciò spingerebbe gli investitori a domandare l’attività per cui, in equilibrio, il titolo entrerà certamente a far parte in qualche proporzione positiva del portafoglio di mercato. Analogamente, se un’attività fosse domandata in una quantità maggiore rispetto a quella offerta sul mercato, il suo prezzo salirebbe mentre il rendimento scenderebbe e ciò spingerebbe gli investitori a ridurre la domanda del titolo fino a quando la domanda e l’offerta si equilibrano. Nel portafoglio di mercato, quindi, il titolo sarà presente proprio nella proporzione per cui il prezzo e il rendimento atteso sono tali da garantire l’uguaglianza tra domanda e offerta. Esso, allora, è composto da tutti i titoli rischiosi disponibili sul mercato, dove le quote dei diversi titoli sono quelle detenute in equilibrio dal mercato nel suo complesso, ossia quelle per cui, per ciascun titolo, la domanda e l’offerta di mercato sono uguali.

Sebbene l’idea di portafoglio di mercato sia piuttosto intuitiva, individuarlo esattamente in concreto non è compito facile, avendo quest’ultimo la pretesa di rappresentare la composizione della ricchezza dell’intera economia. Generalmente, viene fatto riferimento ad alcune proxy del vero portafoglio di mercato, che consistono in portafogli più limitati, quali gli indici azionari della borsa nel suo complesso, come il FTSE MIB per l’Italia e lo S&P 500 per gli Stati Uniti. Tuttavia, qualsiasi indice azionario non può essere altro che una sua approssimazione. Il rendimento del titolo privo di rischio è solitamente individuato nel tasso di interesse dei titoli di Stato a breve.

(30)

30

In base alla definizione relativa alla linea del mercato dei capitali, essa non fornisce alcuna indicazione sulla relazione che sussiste in equilibrio tra il rendimento atteso e il rischio delle singole attività finanziarie. Infatti, in generale, i singoli titoli finanziari, o più precisamente i portafogli composti esclusivamente da un solo titolo non si collocheranno sulla CML, bensì al di sotto di essa in quanto questo tipo di portafogli sono generalmente inefficienti. Per approfondire la suddetta relazione occorre quindi presentare un’analisi più dettagliata. Dimostriamo quindi, mediante l’utilizzo dell’analisi grafica illustrata nella Figura 1.4, come il CAPM viene derivato dal problema di ottimizzazione media-varianza.

Si consideri la Figura 1.4 dove il portafoglio 𝑃𝑖 è composto unicamente dal generico titolo i. Chiaramente, dal momento che con il portafoglio 𝑃𝑖 i vantaggi della diversificazione non sono sfruttati, esso non è un portafoglio efficiente per cui non si colloca sulla CML e neppure sulla frontiera efficiente con solo titoli rischiosi. Esistono cioè altri portafogli, anche composti da soli titoli rischiosi, che rispetto a 𝑃𝑖 consentono, a parità di rischio, di ottenere un rendimento atteso maggiore oppure, a parità di rendimento atteso, conferiscono all’investitore un più basso rischio.

(31)

31

Fig. 1.4. – The capital market line.

Fonte: Bailey, R. E. (2005)

Ammettiamo adesso di combinare in quote 𝑤𝑖 e (1 − 𝑤𝑖) il portafoglio 𝑃𝑖 con il portafoglio di mercato M, ottenendo così un nuovo portafoglio P con rendimento atteso e varianza dati da:

𝜇𝑃 = 𝑤𝑖𝜇𝑖 + (1 − 𝑤𝑖)𝜇𝑀 𝜎𝑃2 = 𝑤

𝑖2𝜎𝑖2+ (1 − 𝑤𝑖)2𝜎𝑀2 + 2 𝑤𝑖(1 − 𝑤𝑖)𝜎𝑖𝑀 .

In base al valore assunto da 𝑤𝑖, il nuovo portafoglio si collocherà in un punto sulla curva tratteggiata che unisce i punti 𝑃𝑖 e M. L’inclinazione della curva tratteggiata è data da 𝑑𝜇𝑃/𝑑𝜎𝑃, che può essere riscritta nel modo seguente:

𝑑𝜇𝑃 𝑑𝜎𝑃 =

𝑑𝜇𝑃/𝑑𝑤𝑖 𝑑𝜎𝑃/𝑑𝑤𝑖

e utilizzando quest’ultima espressione si può calcolare che:

(32)

32 𝑑𝜇𝑃

𝑑𝑤𝑖 = 𝜇𝑖− 𝜇𝑀 . Per calcolare invece 𝑑𝜎𝑃/𝑑𝑤𝑖 occorre considerare che:

𝑑𝜎𝑃2 𝑑𝜎𝑃 ∙ 𝑑𝜎𝑃 𝑑𝑤𝑖 = 𝑑𝜎𝑃2 𝑑𝑤𝑖 ⇔ 𝑑𝜎𝑃 𝑑𝑤𝑖 = 𝑑𝜎𝑃2/𝑑𝑤𝑖 𝑑𝜎𝑃2/𝑑𝜎 𝑃 dove, utilizzando la varianza del portafoglio P, abbiamo che:

𝑑𝜎𝑃2 𝑑𝑤𝑖 = 2𝑤𝑖𝜎𝑖 2− 2(1 − 𝑤 𝑖)𝜎𝑀2 + 2(1 − 2𝑤𝑖)𝜎𝑖𝑀 e 𝑑𝜎𝑃2 𝑑𝜎𝑃 = 2𝜎𝑃 per cui: 𝑑𝜎𝑃 𝑑𝑤𝑖 = 2𝑤𝑖𝜎𝑖2− 2(1 − 𝑤𝑖)𝜎𝑀2 + 2(1 − 2𝑤𝑖)𝜎𝑖𝑀 2𝜎𝑃 .

Considerando che in corrispondenza del portafoglio di mercato la curva tratteggiata nella Figura 1.4 è tangente alla linea del mercato dei capitali, la sua inclinazione in quel punto coincide proprio con quella della CML, ossia con (𝜇𝑀− 𝑟𝑓)/𝜎𝑀. Peraltro, in corrispondenza di M avremo che 𝑤𝑖 = 0, P = M dunque 𝜎𝑃 = 𝜎𝑀, per cui otteniamo:

𝑑𝜇𝑃 𝑑𝜎𝑃|𝑤𝑖 = 0 = (𝜇𝑖− 𝜇𝑀)𝜎𝑀 𝜎𝑖𝑀− 𝜎𝑀2 = 𝜇𝑀− 𝑟𝑓 𝜎𝑀 da cui, risolvendo rispetto a 𝜇𝑖:

𝜇

𝑖

= 𝑟

𝑓

+ (

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓

𝜎𝑀2

) 𝜎

𝑖𝑀

.

L’Equazione (1.8), che rappresenta una linea retta con intercetta rf e inclinazione certamente positiva

(

𝜇𝑀 − 𝑟𝑓

𝜎𝑀2

)

indica che, in equilibrio, le attività finanziarie che

(33)

33

presentano covarianze più elevate con il rendimento del mercato nel suo complesso saranno caratterizzate da rendimenti attesi maggiori. La relazione espressa dalla (1.8) è nota come linea del mercato delle attività o security market

line ed è rappresentata di seguito nella Figura1.5.

Definendo con 𝛽𝑖 ≡ 𝜎𝑖𝑀/𝜎𝑀2, l’equazione può essere riscritta nel modo seguente:

𝜇

𝑖

= 𝑟

𝑓

+ (𝜇

𝑀

− 𝑟

𝑓

)𝛽

𝑖

dove 𝜇𝑀 è il tasso atteso di rendimento del portafoglio di mercato di attività rischiose derivante dal detenere tutte le attività nella proporzione ottimale e 𝛽𝑖 è noto come il beta dell’attività i-esima, dato dal rapporto tra la covarianza tra rendimento dell’attività i e rendimento del portafoglio di mercato e la varianza del portafoglio di mercato.

Fig. 1.5 – Il capital asset pricing model.

Fonte: Hull, J. C. (2008)

La variabile 𝛽𝑖 misura la sensitività del tasso di rendimento del titolo i-esimo rispetto a variazioni del rendimento del portafoglio di mercato; più precisamente, misura il rischio sistematico, che non può essere eliminato attraverso la

(34)

34

diversificazione di portafoglio ed ha perciò la proprietà desiderabile di essere sistematicamente e proporzionalmente remunerato dal premio per il rischio. La suddetta equazione è il nocciolo del CAPM e stabilisce che, in equilibrio, sussiste una relazione lineare tra il rendimento atteso di un titolo e il rischio ad esso associato, dove quest’ultimo è espresso dal beta dell’attività.21 Uno dei risultati principali del capital asset pricing model consiste quindi nel mostrare che non tutto il rischio di un titolo viene remunerato dal mercato sotto forma di un maggiore rendimento atteso, ma solo quella parte che non può essere eliminata attraverso la diversificazione e l’esposizione dell’attività al rischio non diversificabile, perché legato alle fluttuazioni del mercato, viene misurata dal CAPM attraverso appunto il beta.22

Dunque, il modello media-varianza in cui gli agenti scelgono le proporzioni ottimali delle attività finanziarie conduce al CAPM, che può essere perciò definito come lo sviluppo della teoria di portafoglio. Esso indica che vale la pena investire in un’attività i-esima se il suo rendimento atteso è sufficientemente alto, in particolare se eccede un rendimento richiesto dato dalla somma tra il rendimento del titolo risk-free e un premio per il rischio, misurato da (𝜇𝑀 − 𝑟𝑓)𝛽𝑖. Il portafoglio di mercato dovrebbe allora svolgere un certo ruolo per gli investitori che si chiedono qual è il tasso di rendimento atteso appropriato per i singoli titoli: il tasso di rendimento atteso di equilibrio di ogni titolo dovrebbe essere tanto più elevato quanto maggiore è il contributo del titolo al rischio del portafoglio di mercato. Titoli che hanno una covarianza ampiamente positiva con il rendimento di mercato, (𝛽𝑖 > 1), dovranno avere un rendimento atteso

21

Non solo ogni singola attività finanziaria si collocherà sulla security market line, ma anche ciascun portafoglio formato con le attività presenti sul mercato. Si noti a riguardo che sussiste una differenza sostanziale tra la linea di mercato dei capitali e la linea di mercato delle attività: nella prima sono inclusi esclusivamente i portafogli efficienti, mentre nella seconda si collocano tutti i portafogli, siano essi efficienti o inefficienti (compresi quelli formati con un solo titolo). 22

Il rischio totale di un qualsiasi investimento può essere scomposto in due tipologie: rischio “specifico” e rischio “generico” o sistematico. Quello specifico, essendo connesso a eventi societari o settoriali, non ha alcuna relazione con il mercato ed è potenzialmente eliminabile mediante una diversificazione efficiente. Rif.: Linguanti, E., Bertelli, R. (2008). Analisi

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