ALMA MATER STUDIORUM-
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
DOTTORATO DI RICERCA
Biologia Cellulare, Molecolare e Industriale
XXVI Ciclo
Settore Scientifico Disciplinare BIO/11
Analisi fosfoproteomica di campioni di tumore:
Il problema della stratificazione dei pazienti e
dell’eterogeneita’ intratumorale nell’era della terapia
personalizzata
Relatori: Presentata da:
Prof. Enzo Spisni
Erika Maria Parasido
Prof. Alfonso Colombatti
Sommario
PARTE 1: LA PIATTAFORMA LCM/RPPA ... 1
2.
I
NTRODUZIONE:
C
ANCRO DEL COLON RETTO... 2
2.1
Anatomia del colon ...
….32.2 Carcinogenesi………..………4
2.3 Epidemiologia, stadiazione e metastasi………..………7
2.4 Chemioterapia nel CRC e i suoi effetti collaterali……….…….9
2.5 Terapia mirata e Terapia Personalizzata………..………..11
2.5.1 Terapia mirata:chinasi e cancro
..………...……….………..12
2.6 Microdissezione Laser e Reverse Phase…...………..……….16
2.7 RPPA in clinica per Il trattamento del mCRC………...……….20
3. SCOPO DEL LAVORO ... 22
4.Materiali e Metodi……….….24
4.1 Pazienti ... 25
4.2 Microdissezione Laser…………..……….……….………26
4.2.1 Sezionamento e colorazione con ematossilina
…………..…..……….…...………….…………..27
4.2.2 Microdissezione Laser
……….………...………..27
4.3 Lisi cellular ed estrazione proteica………..………...28
4.4 Deposizione delle Proteine su support (Printing)………..……….…..30
4.5 Rivelazione delle Proteine mediante Immunostaining (Protein Staining)….……32
4.6 Determinazione della proteina totale………..……….34
4.7 Analisi dei dati……….…………....35
4.7.1 Determinazione dell’intensità degli spot……….……….…35
4.7.2 Analisi dei cluster (two-‐way unsupervised hierarchical clustering analysis)………...35
4.7.3 Analisi statistica………..………...………...………..….36
5. Risultati……….……….……..37
5.1 La clusterizzazione delle biopsie rivela raggruppamenti “patiente-‐
specifici”……….……..……38
5.2 L’anaisi del fold increase tra biopsia pre e post-‐trattamento mostra i
meccanismi di resistenza al trattamento………....40
5.3 La resecabilità di una metastasi epatica può essere determinata dal profilo
proteomico………...………..44
Parte 2: Eterogeneità intratumorale……….…..……….56
7. Introduzione……….………..…….57
7.1 Problematiche nei Trial………..………...……58
7.2 Eterogeneità intratumorale……….………..……….…….58
8. Scopo del Lavoro……….………..61
9. Materiali e Metodi……….………63
9.1 Pazienti………..….64
9.2 Analisi dei Dati………..….68
10. Risultati……….………...69
10.1 La clusterizzazione gerarchica utilizzando tutti gli endpoint analizzati non
mostra differenze all’interno dello stesso tumore……….……….70
10.2 L’analisi dei singoli pathways non mostra differenze all’interno dello stesso
paziente………..………..…..73
10.2.1 Valutazione dei cluster gerarchici………..73 10.2.2 Valutazione del fold increase tra le diverse biopsie derivate dalla stessa lesione: l’eterogeneità inter-‐tumorale è maggiore di quella intra-‐tumorale……….79
10.3 Valutazione della correlazione tra il tempo di raccolta del campione e il livello
del segnale: l’importanza del congelamento immediato ai fini dell’analisi
proteomica……….……….………..85
10.4 Valutazione dell’attivazione del segnale tra tessuto intero e LCM: il tessuto
intero mostra una più elevata eterogeneità intratumorale……….87
11. DISCUSSIONE………..………89
Parte 3: Conditionally reprogrammed cells (CRCs)………..……….94
12. Introduzione……….95
12.1 Conditionally reproggrammed cells (CRCs): un nuovo modo di concepire le
colture cellularie primarie……….……….………..……96
13. Scopo del lavoro……….……….…………98
14.3 Processamento CRCs con arricchimento di cripte……….………..104
14.3.1 Reagenti e terreni………..………..104
14.4 Digestione del tessuto e arricchimento delle cripte………...105
14.5 Mantenimento delle colture “cripte-‐CRCs”………..106
14.6 Lisi delle cellule per RPPA……….……….107
15. Risultati……….……….………109
15.1 La valutazione dei tessuti di topo con RPPA ha mostrato omogeneità intra-‐
tumorale a livello proteomico ………..…….………110
15.2 Il protocollo per l’arricchimento di cripte del colon di topi può essere abbinato
al procedimento di CRCs per la produzione di linee cellulari stabili nel
tempo………..…..……….112
15.3 Il confronto tra il segnale proteico delle linee cellulari e il rispettivo materiale
LCM mostra una similarità nella maggioranza dei casi………..……….113
16. DISCUSSIONE..……….………..118
17. Conclusioni Generali………...……….122
Bibliografia
La maggioranza degli esperimenti presentati in questa tesi sono stati
effettuati presso il laboratori “Center of Applied Proteomics and
Molecular Medicine”, George Mason Univesity, Manassas, VA, USA con la
supervisione di Drs M. Pierobon e E. Petricoin e presso Georgetown
University, Washington D.C., con la supervisione di Dr. C. Albanese.
The strong influence of the presence of secondary masses on patients survival and the inadequate knowledge about molecular derangements inducing metastatic progression have been considered two essential reasons to increase studies aimed to better understand the molecular basis of metastatic progression.
In the present thesis we investigate the potentiality of Laser Capture Microdissection (LCM) and Reverse Phase Protein microarray (RPPA) in clinical trials. Also we analyze the possibility to create a primary cell lines bio-‐bank in order to achieve sensitivity drug tests before to make a treatment decision.
First of all, proteomic profiles of pre and post therapy biopsies were obtained from the first patients of a new clinical trial. The results demonstrate the ability of this platform to show the acquired resistance mechanism to the biological therapy. This had led us to discover a better stratification for patient with unresectable colorectal cancer liver metastasis. The RPPA data revealed distinct patterns activation between resectable and unresectable metastasis. Our results also show two potential new drug targets that could be combined for a new clinical trial for neo adjuvant treatment.
But the evaluation of the whole tumor with single biopsies seems to be a problem due to intra-‐tumor heterogeneity shown at genomic level by recent studies. We sought to investigate this problem in the functional signaling architecture of colorectal cancer liver metastasis and renal primary tumor. The results indicated an overall similarity in the proteomic profiles within the same tumor. Based on the idea that a single biopsy is representative of a whole lesion, we evaluated the possibility to create a primary cell lines bio-‐bank, in order to evaluate the molecular profile for each patient for best therapy for each of them and the progress during the treatment. To date there was not a protocol to create immortalized cell lines without any genetic change. The innovative approach of Georgetown University and the Conditionally Reprogrammed Cells (CRCs) leads us to better evaluate this technique. In fact, the mechanism of reprogramming of CRCs is not understood and it is still not clear if those cells reproduce the tissue profile or it changed with the in vitro passage. Based on a colorectal cancer mouse model, our preliminary data show a similar proteomic profile between the cell lines and the mouse tissue.
A Pabuf
Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà.
Emile Zola
Parte 1
La piattaforma
LCM/RPPA
2. Introduzione
Cancro del colon-‐retto
2.1 Anatomia del colon
L’intestino crasso è la parte terminale del tratto digerente e ha come ruolo principale l’assorbimento di acqua e sali, ed alberga più del 70% di tutti i microbi del corpo umano. Presenta un diametro maggiore dell’intestino tenue, ma una alunghezza minore che si approssima ai 2 metri.
Esso si divide anatomicamente in quattro porzioni: cieco, colon, sigmoide e retto. Il colon a sua volta è diviso in ascendente, traverso e discendente.
Le funzioni principali svolte dal colon sono l’assorbimento di acqua e altri nutrimenti dal materiale che verrà scartato successivamente attraverso l’ano. Inoltre il microbiota intestinale esplica altre importanti funzioni, tra cui le principali sono: 1) difesa nei confronti dei germi patogeni tramite la produzione di acido lattico e perossido di idrogeno (H2O2), 2) fermentazione e assorbimento di
carboidrati che l’organismo non sarebbe in grado di metabolizzare se non vi fossero i batteri intestinali, 3) contrasto della crescita di germi patogeni e 4) interazioni con in sistema immunitario attraverso la maturazione del tessuto linfoinde intestinale.
L’organizzazione dell’intestino crasso è caratterizzata da diversi strati simili lungo le sue diverse parti, ad eccezione per il retto, l’appendice vermiforme e la valvola ileo cecale.
Si possono osservare, dall’interno verso l’esterno, la tonaca mucosa, la tonaca sottomucosa, la tonaca muscolare propria e la tonaca avventizia o sierosa.
La tonaca mucosa si divide in epitelio di rivestimento, lamina propria e muscularis mucosae.
L’epitelio di rivestimento è formato da enterociti e cellule caliciformi mucipare disposti alla superficie della mucosa.
La lamina propria della mucosa intestinale è formata da tessuto connettivo lasso, che accoglie le ghiandole intestinali o cripte; esse si presentano di forma tubulare semplice e per la maggior parte sono formate da cellule caliciformi mucipare. Localizzate alla base, si possono anche trovare poche cellule staminali che intervengono nel continuo rinnovamento degli strati superiori delle ghiandole, dove le cellule più mature sono disperse nel lume intestinale. Molto importanti sono anche le cellule di Paneth che giocano un ruolo cruciale nel proteggere il continuo turnover dell’epitelio intestinale. Numerose sono anche le cellule argentaffini, contenenti serotonina e capaci di assumere i precursori delle amine. Vi si possono trovare anche noduli linfatici, ma solo solitari, cioè mai aggregati in voluminose formazioni come succede nell’intestino tenue.
La muscolaris mucosae è formata da un sottile strato di tessuto muscolare. La tonaca sottomucosa contiene il plesso nervoso sottomucoso.
La tonaca muscolare propria presenta due tipi di fasci muscolari, uno interno con fasci circolari e uno esterno con fasci longitudinali raggruppati in corrispondenza delle tenie. La tonaca muscolare permette, grazie a un movimento di peristalsi, lo spostamento verso l’ano del materiale di scarto.
La tonaca sierosa non è presente in tutte le parti dell’intestino crasso ed è sostituita da un’avventizia nelle pareti sprovviste di rivestimento peritoneale.
2.2 Carcinogenesi
Il cancro del colon-‐retto (CRC) ha origine per la maggior parte dei casi da una proliferazione incontrollata delle ghiandole della mucosa.
cui il turnover delle cellule all’apice delle ghiandole intestinali subisce anomalie che evadono i sistemi di controllo. La prima manifestazione di alterazione epiteliale è la presenza di foci di cripte aberranti, costituiti da cripte di dimensioni maggiori rispetto a quelle normali, con forme ovali piuttosto che circolari. Esse presentano un incremento dello spazio tra una ghiandola e l’altra e ispessimento dello strato epiteliale che appare più scuro alla colorazione con ematossilina/eosina.
In generale, però, non tutti i focolai di cripte aberranti si trasformano in CRC, alcuni rimangono solo dei candidati ad alto rischio per la formazione di adenoma o CRC.
Mentre era stato provato nel 1958 da Foul che la tumorigenesi è un processo multisteps, nel 1988 Vogelstein riuscì a spiegare, con un modello genetico, come il tumore derivi da un accumulo di alterazioni genetiche che producono il fenotipo neoplastico (FIG.1) (1). Il modello di Volgestein include quattro step successivi salienti:
Primo: l’attivazione mutazionale di oncogeni abbinata alla disattivazione mutazionale di geni soppressori del tumore porta a una crescita della massa tumorale;
Secondo: almeno quattro o cinque geni devono essere mutati geneticamente affinché si abbia una formazione di tumore maligno;
Terzo: nonostante le mutazioni genetiche possano avvenire in una sequenza specifica e preferenziale, l’accumulo finale di queste è responsabile della formazione finale della massa tumorale e non l’ordine in cui avvengono.
Quarto: in alcuni casi, mutazioni in geni soppressori del tumore comportano effetti a livello fenotipico.
Vogelstein suggerì che le cellule epiteliali di colon si trasformino in polipi di piccole dimensioni quando perdono la funzionalità, per mutazione o delezione, dell’ oncogene soppressore APC (Adenomatous Polyposis Coli). La perdita del gene APC comporta un aumento della crescita cellulare dovuta all’attivazione fuori controllo del gene MYC. Il passaggio che porta alla trasformazione da polipo a un piccolo e benigno adenoma prevede un’attivazione costante dell’oncogene della famiglia RAS. L’ultimo passaggio per la formazione maligna dell’adenocarcinoma è la perdita di funzionalità nei geni DCC (Deleted in Colorectal Cancer) e p53 (2) (FIG.1).
Fig.1 Modello genetico per la formazione del tumore descritto da Vogelstein, in cui ogni mutazione genetica comporta un cambiamento a livello epiteliale, fino alla formazione del tumore
2.3 Epidemiologia, stadiazione e metastasi
Il CRC è la quarta causa di morte per tumore a livello mondiale (3), nonostante le linee guida NCCN affermano un decremento nell’incidenza per 100.000 di circa 15 punti dal 1976 al 2005. Questa neoplasia si manifesta sporadicamente nell’85% dei casi, mentre è ereditaria nel restante 15% (4). Il CRC ereditario di può presentare in diverse forme, tra le più conosciute ci sono le forme poliposiche FAP (Familial Adenomatous Polyposis syndrome) e le forme non poliposiche HNPCC (Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer) che coprono tra l’1-‐5%.
Esistono diversi istotipi e il più comune è l’adenocarcinoma che si sviluppa seguendo la sequenza adenoma-‐carcinoma descritta in precedenza.
La malignità del tumore è caratterizzata da crescita diffusa, con invasione dei tessuti circostanti e linfonodi o metastasi ai siti distali, principalmente a fegato. Di conseguenza un trattamento chirurgico tempestivo dei polipi rappresenta tuttora il modo migliore per ridurre il rischio di contrarre il tumore. Questo è tuttavia molto difficile poiché il CRC può non manifestarsi per diversi anni, rimanendo asintomatico fino al momento della diagnosi.
Il primo sistema di stadiazione della malattia è stato il DUKE, oramai quasi del tutto sostituito dal più recente TNM, introdotto nel 2001 (TAB.1)
Il sistema TNM si basa su:
v penetrazione del tumore primario nel lume dell’intestino (T); v coinvolgimento dei linfonodi adiacenti (N)
v presenza/assenza di metastasi distanti (M)
Tab.1 Tabella di paragone tra classificazione TNM e Duke
A oggi, grazie alla diagnosi precoce dovuta allo screening e a migliori modalità di trattamento terapeutico, la mortalità dovuta a CRC si è ridotta di circa il 35% dal 1990 al 2007 (5).
Il 50% dei pazienti con CRC svilupperanno una metastasi epatica. La resezione completa della metastasi (epatica o polmonare) comporta un aumento della sopravvivenza nel 35-‐60% dei casi, ma purtroppo l’80-‐90% dei pazienti non presenta metastasi resecabili. La maggior parte di questi ha una metastasi epatica (6) con possibilità di sopravvivenza nei 5 anni successivi inferiore al 10% (7,8). Diversi studi hanno riportato che un elevato numero di metastasi epatiche derivanti da CRC sia un fattore prognostico negativo (9,10). Ciò nonostante il numero di metastasi riscontrate in un paziente non viene usato come una controindicazione assoluta per il trattamento chirurgico. Se tutte le lesioni possono essere resecate con un margine negativo (R0), lasciando un’adeguata porzione di fegato, la chirurgia viene sempre presa in considerazione. È ovviamente da considerare che se il numero di metastasi aumenta, l’operazione chirurgica diventa
più impegnativa. Inoltre il numero di metastasi non resecate durante l’operazione può influenzare la sopravvivenza del paziente.
In pazienti in cui la metastasi risultano resecabili, la chemioterapia (terapia neo-‐ adiuvante) sembra portare dei benefici nella riduzione della grandezza della massa metastatica e per questo è altamente raccomandata. (11)
La terapia sistemica mirata alle metastasi gioca un ruolo fondamentale anche in coloro che presentano metastasi non resecabili. Nel 33% dei pazienti appartenenti a questa categoria, il trattamento chemioterapico ha portato a una riduzione della massa metastatica, con successiva possibile resezione e incremento della sopravvivenza. (12,13)
2.4 La chemioterapia del CRC ed i suoi effetti collaterali
Il 5-‐Fluorouracil/Leucovorin (5FU/LV) è stato considerato, per diversi anni, la terapia principale per il trattamento di cancro al colon retto metastatico (mCRC), con una sopravvivenza media dei pazienti di 11 mesi. Oggi, però, il trattamento 5FU/LV è preferito in combinazione di oxaliplatino (FOLFOX) e irintecan (FOLFIRI) nella prima linea di trattamento. Grazie a questo regime, l’outcome dei pazienti è stato migliorato e la sopravvivenza media è aumentata fino a un massimo di 23 mesi (14).
In pazienti con metastasi non resecabili la sopravvivenza aumenta se questi sono esposti a un elevato numero di chemioterapici durante il corso della malattia (15)
Sfortunatamente, nel 30-‐47% dei pazienti sono state riportate steatosi epatiche a causa dell’uso di agenti chemioterapici e citotossici (16).
Dopo l’epatotomia, pazienti con steatosi mostrano molte più complicanze rispetto a
con il grado di steatosi (17).
In pazienti trattati con oxaliplatino sono state riscontrate dilatazioni sinusoidali ed emorragie con distruzione della barriera sinusoidale (18-‐21)
Queste complicanze e l’aumento continuo delle conoscenze nell’ambito molecolare del tumore, hanno portato all’introduzione delle terapie personalizzate al fine di scegliere a priori quali pazienti risponderanno meglio ad una determinata terapia, quali riscontreranno forti effetti collaterali e quali trarranno il massimo beneficio da una specifica combinazione chemioterapica piuttosto che un’altra.
Ovviamente questo tipo di trattamento non può basarsi esclusivamente sulla stadiazione derivata dalle caratteristiche clinico-‐patologiche del paziente, ma richiede una più approfondita analisi molecolare del tumore.
A tale scopo, diversi studi hanno identificato fattori prognostici e predittivi di
risposta.
Da un lato, i fattori predittivi di risposta giocano un ruolo fondamentale nella terapia neo-‐adiuvante, aiutando nella selezione della chemioterapia che ha più possibilità di successo. Dall’altro lato, i fattori prognostici sono utili nel riconoscere pazienti con un alto rischio di ricorrenza.
Un esempio di fattori prognostici possono essere la perdita di eterozigosi del braccio lungo nel cromosoma 18 (LOH) e l’instabilità dei microsatelliti (MSI).
LOH è riscontrata in almeno il 70% dei casi CRC e coinvolge il gene DCC, correlando con la comparsa di metastasi (22).
I microsatelliti sono unità di DNA composte da due, tre o più nucleotidi ripetuti più volte che per la loro stessa struttura rappresentano loci con alta probabilità di errore nel corso della replicazione. L’MSI può causare la perdita di funzionalità di proteine importanti come MLH1 e MLH2, appartenenti al sistema MMR (Mismatch repair genes). L’MSI è caratteristica della forma ereditaria non poliposica HNPCC,
nonostante si possa riscontrare anche nel 10-‐15% dei CRC sporadici. Pazienti che presentano questa caratteristica allo stadio II o III di CRC hanno un outcome migliore e un minore rischio di ricorrenza del tumore. (23)
Tra i fattori predittivi di risposta alla chemioterapia troviamo per esempio il polimorfismo germinale dell’enzima timidilato sintasi (Thymidylate synthase-‐TS). Quest’enzima catalizza l’ultimo passaggio nella sintesi del timidilato, che è essenziale in quanto target di 5-‐FU. La presenza del polimorfismo in TS è stata correlata con una migliore risposta a 5-‐FU, ma anche con una migliore sopravvivenza.(24,25)
2.5 Terapia mirata (Target Therapy) e Terapia
Personalizzata
Con l’evolvere della terapia personalizzata sono stati sviluppati nuovi farmaci, i cosiddetti i farmaci biologici, che usati in combinazione con la chemioterapia hanno incrementato la sopravvivenza dei pazienti metastatici.
Al contrario della medicina chemioterapica, che porta alla distruzione a livello genomico, di tutte le cellule in stato di iper-‐proliferazione, come cellule del midollo osseo, del tratto digestivo e follicoli piliferi, questi nuovi farmaci mirano alle cellule tumorali a livello proteico, colpendo una minor percentuale di cellule sane. Essi hanno, infatti, la capacità di riconoscere anomalie molecolari all’interno dei pathways di proliferazione, sopravvivenza e angiogenesi delle cellule tumorali. Di conseguenza, mentre la chemioterapia causa effetti collaterali come immunosoppressione, mucositi e alopecia, i farmaci molecolari hanno mostrato un minore impatto negativo sulla vita quotidiana dei pazienti.
cKIT e FGFR, rendono i recettori di proteine chinasi e i loro substrati i migliori bersagli teorici per studiare i nuovi farmaci selettivi per le cellule cancerose.
2.5.1 Terapia mirata: chinasi e cancro
Il chinoma umano comprende più di 500 distinte serine/treonine e tirosine chinasi (26) codificate dal genoma.
Da quando l’oncogene v-‐SRC ha mostrato una diretta correlazione tra chinasi e tumore nello studio di Spector nel 1978 (27), le proteine chinasi sono state il centro dell’attenzione di molte analisi al fine di comprendere il loro coinvolgimento nei processi di carcinogenesi, propagazione e metastatizzazione del tumore.
Molti ricercatori si sono focalizzati sul ruolo di EGFR, poiché ha mostrato espressione irregolare in molti tumori solidi, rendendolo quindi un possibile bersaglio per la terapia mirata.
Il legame di EGF, EREG, TGFα con il recettore EGFR induce la dimerizzazione ed attivazione dello stesso, con successiva attivazione del segnale nelle vie MAPK e PI3K/AKT, comportando proliferazione cellulare, crescita e apoptosi (FIG. 2).
Fig.2 EGFR, una volta unito al suo ligando, dimerizza attivando il segnale della via delle MAPK (www.clarientinc.com)
Contrariamente a molti tipi di tumori, nel cancro del colon-‐retto, le mutazioni nel dominio chinasico di EGFR sono rare. Al contrario è più frequente una polisomia nel cromosoma 7 o un’amplificazione nel locus, che quindi comporta una variazione del numero di copie del recettore.
Nonostante ciò, grazie a promettenti studi in vitro, sono stati sviluppati anticorpi monoclonali anti-‐EGFR (Cetuximab and Panitumumab) ed anche piccole molecole inibitrici del recettore (FIG.3).
Fig.3 Meccanismo d’azione degli anticorpi monoclonali anti-‐EGFR. La cascata del segnale viene bloccata a monte, bloccando il legame di EGFR con i rispettivi ligandi (B). Se una delle proteine a valle, come KRAS, risulta iperattivata a causa di un’aberrazione genetica o una modificazione post-‐trasduzionale, la terapia anti-‐EGFR non avrà alcun effetto benefico sul paziente. (www.clarientinc.com)
Tra questi farmaci, ad oggi, gli anticorpi monoclonali sono stati approvati dal Food and Drug Amministration (FDA) per la terapia dei pazienti affetti da CRC. Purtroppo solo il 20% dei pazienti affetti da CRC risponde a questo trattamento (TAB.2).
Tab. 2 La tabella mostra gli studi effettuati negli anni per il trattamento con cetuximab e la percentuale di risposta alla terapia con il gene KRAS WT (non mutato). (Di Fiore, 2010)
La proteina K-‐RAS, a valle di EGFR, è considerata un fattore predittivo di risposta al trattamento con anticorpi monoclonali diretti contro EGFR, in quanto risulta essere mutata a livello genomico nel 40% dei casi di CRC.
Le mutazioni più frequenti avvengono a livello dei codoni 12 e 13, coinvolgendo il sito di legame del GTP e causando di conseguenza un’attivazione costitutiva della proteina e della cascata di segnale.
Le linee guida National Comprehensive Cancer Network (NCCN) raccomandano fortemente l’analisi dello stato mutazionale di K-‐RAS prima della somministrazione del trattamento anti-‐EGFR, mentre l’Agenzia Medica Europea approva l’uso di Cetuximab o Bevacizumab solo in pazienti che presentano KRAS nello stato wild type.
Questo è solo un esempio di come l’analisi del chinoma sia indispensabile a livello clinico per la scelta della terapia più adatta per ogni paziente.
tecnologie che permettano lo studio del tessuto del paziente a livello proteomico.
2.6 Microdissezione Laser (LCM) e Reverse Phase Protein
Array (RPPA)
L’analisi morfologica delle cellule e del tessuto è sempre stata alla base per la diagnosi della malattia da parte del patologo. I tessuti, però, si presentano con una vasta eterogeneità a livello cellulare; infatti, una visualizzazione diretta al microscopio permette l’identificazione di cellule normali, tumorali, ma anche fibre stromali e linfociti.
Quest’eterogeneità tissutale, di facile identificazione per il patologo, può però confondere l’analisi molecolare, poiché è impossibile discernere quali cellule contribuiscono al segnale di un determinato lisato cellulare. Inoltre, a volte, le cellule d’interesse, come quelle epiteliali-‐tumorali, possono essere solo una bassa percentuale dell’intero campione. Di conseguenza è indispensabile usare una tecnica che sia capace di procurare una specifica sotto popolazione del tessuto. Questa è la microdissezione laser che permette, sotto la visualizzazione diretta del microscopio, l’arricchimento di una singola popolazione cellulare per evitare un segnale derivante dagli altri tipi cellulari.
Questa tecnologia usa un laser, infra-‐rosso (IR) o ultravioletto (UV), per tagliare le cellule di interesse. Queste sono poi trasferite tramite l’energia laser a un polimero termolabile, formando un composto polimero-‐cellula (FIG.4).
Fig. 4 Tecnica della microdissezione laser. Il cap, coperto dal polimero cattura le cellule di interesse al massaggio del laser. Le cellule risulteranno, poi adese al cap e pronte per essere lisate. (28)
A volte la popolazione di cellule maligne da analizzare è localizzata in una piccola area e può comprendere solo il 5% del volume totale del tessuto. Questo può causare un problema nell’analizzare la vasta gamma di proteine presente nel chinoma umano.
In generale, le tecnologie usate in precedenza per l’analisi proteomica, come l’elettroforesi bi-‐dimensionale (2D-‐E) o spettrometria di massa (MS), avevano significative limitazioni se applicate a un campione dalle dimensioni ridotte, come può essere una biopsia dove poche migliaia di cellule possono essere usate.
A questo scopo è stata sviluppata una nuova tecnica, Reverse Phase Protein Array (RPPA). Questa permette di superare la limitazione della quantità di campione riscontrata nelle altre tecniche, consentendo l’analisi di un lisato cellulare di soli pochi microlitri. Inoltre, grazie ad un’elevata sensibilità, ha il vantaggio di individuare analiti nell’ordine dei picogrammi all’interno di un lisato misto.
L’RPPA oggi è diventata un potente mezzo di analisi per la scoperta di farmaci (drug discovery), per l’identificazione di biomarcatori, per l’analisi del profilo del segnale proteomico derivante da materiale cellulare, come quello microdissezionato (FIG.5).
Fig. 5 Workflow per l’analisi dei pathway proteici. Questo prevede la microdissezione della biopsia del paziente, con arricchimento delle cellule tumorali, RPPA e seguente analisi dei pathways attivati per la scelta del trattamento personalizzato (Espina, 2009).
veniva manualmente depositato su una membrana. Il dot blot prevedeva un lavoro manuale intensivo e poteva ospitare solo pochi campioni per volta. Con l’avanzamento della tecnologia e gli arrayers robotici, il processo si è migliorato e semplificato.
In breve, un RPPA comprende una serie di lisati cellulari o siero immobilizzati su un vetrino rivestito di nitrocellulosa. Quindi la molecola d’interesse viene poi rilevata, contemporaneamente in tutti i lisati, tramite un complesso anticorpo primario/anticorpo secondario con sistema di amplificazione.
Da questa particolarità deriva il nome “Reverse”.
Infatti, nei microarrays classici, o a fase diretta (Forward Phase Microarray, FPM), i diversi anticorpi o altre molecole esca (bait) sono immobilizzati sulla matrice solida; quindi l’analita d’interesse si legherà alla molecola immobilizzata. La rivelazione del segnale avviene tramite marcatura dell’analita stesso o l’uso di un altro anticorpo (metodo sandwich).
Il termine Reverse Phase Protein Array fu coniato da Pawelwtz nel 2001.
Nel RPPA ogni spot contiene il lisato cellulare derivante del campione del paziente, che di solito è in duplicato o triplicato. Ogni array può contenere centinaia di diversi campioni, oltre a calibratori e controlli. Il tutto verrà analizzato con una classe di anticorpo diversa per ogni vetrino e il segnale verrà poi amplificato chimicamente (FIG 6)
Fig.6 Differenza tra un microarray a fase diretta –forward-‐ (A) e un a fase inversa –reverse-‐ (B). Mentre nel primo caso gli anticorpi sono adesi sulla membrana, permettendo l’analisi di un solo campione per ogni array, nella RPPA ogni spot conterrà un diverso campione, e ogni array sarà analizzato per uno specifico anticorpo.
2.7 RPPA in clinica per il trattamento del mCRC
Diversi studi presentati dal gruppo di Petricoin (29, 31) hanno mostrato che il profilo chinasico del mCRC nel fegato è diverso rispetto a quello del tumore primario (FIG.7).
Per ogni paziente è stato microdissezionato materiale derivante dal tumore primario e dalla corrispettiva metastasi epatica.
Il risultato finale ha mostrato dei cambiamenti a livello del segnale proteico tra la lesione primaria e quella metastatica; questi potrebbero essere quindi influenzati dal microambiente dell’organo di riferimento. Di conseguenza è stato enfatizzato il bisogno di compiere l’analisi dei pathway molecolari dei tessuti metastatici quando si considera il trattamento dei pazienti con terapia biologica.
Fig.7 Cluster derivante dall’analisi dei dati di RPPA per uno studio comprendente tumore primario e rispettiva metastasi. I risultati mostrano una diversa attivazione proteica tra primario e metastasi (28).
Nel 2013, lo studio effettuato da Silvestri ha confermato, con un più ampio numero di campioni, questa netta differenza tra metastasi epatica e rispettivo tumore primario (30).
Questi studi hanno documentato quanto sia necessaria l’analisi della lesione metastatica e non solo del tumore primario. Un'indagine specifica delle metastasi può, infatti, portare a una terapia mirata alla lesione epatica e non genericamente alle cellule tumorali.
Considerando ciò, diversi trial clinici sono in atto.
Nel 2009, un trial di fase I/II, NITMEC (#NCT00867334), ha determinato la tollerabilità e sicurezza di Imatinib, inibitore di c-‐Kit e Abl, in combinazione con Panitumumab per il trattamento del cancro al colon-‐retto metastatizzante al fegato. I pazienti sono stati soggetti ad ago-‐biopsia prima e dopo la somministrazione della terapia, per valutare l’efficienza di Imatinib come singola terapia o in combinazione con Cetuximab, ma anche per determinare se per mezzo della piattaforma LCM e RPPA fosse possibile prevedere la risposta dei pazienti a questo trattamento.
3. Scopo del lavoro
I lavori presentati dal gruppo Petricoin (29, 30, 31), così come lo studio clinico NITMEC hanno portato alla luce la peculiarità molecolare della lesione metastatica al fegato, la sua differenza a livello proteico rispetto al tumore primario e l’utilità nell’uso di LCM e RPPA per la valutazione della terapia.
Alla base della prima parte del mio studio vi è la consapevolezza che l’unica terapia veramente efficace per la cura delle metastasi epatiche è la resezione della stessa. Come accennato in precedenza, non tutte le metastasi epatiche sono resecabili. I canoni di resecabilità sono definiti a livello chirurgico e a volte la valutazione può avere carattere soggettivo.
Lo scopo di questo lavoro è di:
-‐Testare l’uso della piattaforma LCM e RPPA per la valutazione di un trial clinico.
-‐Investigare i networks delle metastasi epatiche derivate da CRC, al fine di identificare biomarcatori che ne possano accertare la resecabilità o meno, usando le tecniche LCM e RPPA;
-‐Formulare delle ipotesi iniziali di quali farmaci potrebbero essere considerati per futuri trial clinici.
4. Materiali e Metodi
4.1 Pazienti
Per valutare l’uso della piattaforma combinata LCM e RPPA, sono stati presi in considerazione i primi 3 pazienti arruolati in uno studio clinico di fase 1 (clinical trial #NCT01871311). I pazienti sono stati arruolati nello studio clinico seguendo i successivi criteri di inclusione:1) presenza di CRC ricorrente o metastatico, con genotipo Kras non mutato (wild type), o carcinoma della testa e del collo e 2) presenza di progressione dopo la terapia standard.
Inoltre, tra le caratteristiche è stata accettata la precedentemente somministrazione di Cetuximab o Panitumumab. Al contrario sono stati esclusi pazienti precedentemente sottoposti al trattamento con Nilotinib, Desatinib o Imatinib.
I pazienti sono stati sottoposti a prelievo di agobiopsia prima e dopo la somministrazione del trattamento.
I campioni sono stati crio-‐preservati in OCT nei 5 minuti seguenti la raccolta, al fine di garantire la stabilità del fosfo-‐segnale. Essi sono stati poi conservati a -‐80°C fino al processamento.
Al fine di investigare i networks delle metastasi epatiche derivate da CRC, un totale di 39 metastasi epatiche derivanti da CRC sono state raccolte presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (14 biopsie incisionali), Istituto Regina Elena in Roma (10 biopsie incisionali), Istituto Nazionale Tumori, Milano (10 biopsie incisionali) e l’Istituto Europeo Oncologico, Milano (5 ago biopsie) (Tab.6)
Tab.6 Centri di raccolta e numero di biopsie collezionate e processate
I campioni sono stati raccolti e congelati nei 20 minuti dopo l’intervento chirurgico, tramite esposizione ai fumi di azoto e quindi inclusi in OCT. Essi sono stati poi conservati a -‐80°C fino al processamento. L’uso di tessuti congelati ha molti vantaggi rispetto a campioni fissati in formalina e inclusi in paraffina (FFPE). Il campione congelato, infatti, riflette in modo più accurato l’effettivo stato della malattia e inoltre la qualità delle proteine estratte da materiale congelato è migliore rispetto a quella di proteine derivanti da tessuti FFPE.
Dopo la valutazione della colorazione con ematossilina/eosina, solo 28 sono risultate idonee al processamento.
Le restanti 11 biopsie presentavano una scarsa qualità dovuta a un’errata inclusione in OCT (soluzione crio-‐preservante), o una troppo bassa percentuale di cellule epiteliali.
4.2 Microdissezione Laser
In questo studio lo strumento utilizzato è stato Arcturus XT (FIG.8).
Ogni campione è stato soggetto a microdissezione laser (LCM) sotto la guida di un medico patologo certificato, al fine di ottenere un arricchimento (>90%) di cellule epiteliali tumorali.
Collecting*site* Type*of*
biopsies* collected*Biopsies* processed*Biopsies* Non5resecable*lesions*
CRO,*Aviano* Incisional* 14* 10* 6*
IRE,*Rome* Incisional* 10* 10* 0*
INT,*Milan* Incisional* 10* 6* 6*
IEO,*Milan* Needle* 5* 2* 2*
Fig.8 Arcturus XT (www.lifetechnologies.com)
4.2.1 Sezionamento e colorazione con ematossilina
Le sezioni di tessuto sono state tagliate con uno spessore di 8 μm in un criostato, mantenendo una temperatura di -‐20°C e posizionate su vetrini da microscopio non carichi positivamente.
I vetrini completi sono conservati a -‐80°C fino a processamento, cosí come pure il rimanente tessuto incluso in OCT.
Per ogni campione, un vetrino è colorato con Ematossilina/Eosina al fine di confermare la diagnosi patologica ed essere certi che il frammento analizzato contenesse cellule tumorali.
I vetrini sono poi fissati in 70% etanolo, colorati con ematossilina e deidratati in 70, 95 e 100% etanolo, e xylene. Nelle soluzioni di 70% etanolo, H2O deionizzata,
ematossilina e Scott’s tap water substitute, vengono aggiunti inibitori delle proteasi (CompleteTM Mini protease inhibitor tablets -‐Roche Applied Science, Indianapolis, IN, USA).
4.2.2. Microdissezione Laser
La microdissezione è effettuata senza olio per immersione, in modo da prevenire la rifrazione della luce dall’immagine.
Il processo di microdissezione consiste di 5 steps:
1) Caricamento dei vetrini e LCM caps (CapSure®Macro LCM Caps, Arcturus, Mountain View, CA, USA), 2) localizzazione delle cellule d’interesse, 3) posizionamento del cap sul vetrino. A questo punto, è molto importante testare la potenza del laser e la dimensione dello spot provocato al laser. In questo studio, è stato usato uno spot dal diametro di 22 µm, adatto alle dimensioni delle cellule epiteliali di colon (FIG.9). 4) Selezione delle cellule d’interesse tramite lo schermo touch-‐screen, e 5) finale cattura delle cellule epiteliali.
Fig.9 La dimensione dello spot e la potenza del laser sono fattori molto importanti durante la microdissezione. La presenza di un cerchio nero interno e la perdita dell’alone intorno dimostrano un eccessiva potenza del laser (28).
Il cap contenente le cellule è inserito in una eppendorf da 0.5 ml e posto a -‐80°C. In questo studio, una media di 5000 spot sono stati raccolti per ogni campione. Una volta raccolto il numero di shots desiderato, le cellule vengono sottoposte a lisi per l’estrazione delle proteine.
4.3 Lisi cellulare ed estrazione proteica
Il buffer ottimale per l’estrazione di proteine dalle cellule di tessuto raccolte con la microdissezione laser necessita di un detergente, un agente denaturante e un buffer.
Questo è un buffer di estrazione con un livello di denaturazione medio, ideale per la solubilizzazione di proteine cellulari.
Contiene:
• 2-‐mercaptoetanolo (BME) (2.5%)
• 2X Tris-‐Glycine SDS Sample Buffer (47.5%) • TPER (50%)
I caps appartenenti allo stesso campione, sono stati posizionati con la superficie verso l’alto, dove è stato aggiunto il buffer di lisi.
In questo studio 5000 shots sono stati lisati in 5 µl di buffer, con una concentrazione di 1000 cellule/µl di buffer.
I caps sono incubati per un totale di 5 minuti e infine il lisato è raccolto in una nuova eppendorf con tappo a vite (FIG.10).
Fig. 10 Passaggi della lisi cellulare ed estrazione proteica dai caps contenenti le cellule microdissezionate
I lisati sono stai centrifugati per 30 secondi a 12.000 rpm e infine riscaldati a 100°C per una completa denaturazione delle proteine.
A questo punto, i campioni possono essere conservati a -‐20°C fino al successivo passaggio, il trasferimento dei campioni sul vetrino rivestito di nitrocellulosa.
4.4 Deposizione delle Proteine su supporto (Printing)
Per il printing dei campioni su vetrino rivestito di nitrocellulosa è stato usato lo strumento Aushon 2470 arrayer (FIG.11).
Fig. 11 Aushon Arrayer 2470 (www.Aushon.com, Aushon BioSystem, Billerica, MA)
Aushon 2470 è una piattaforma automatizzata che permette la deposizione dei campioni sul substrato di nitrocellulosa in modo accurato e preciso tramite dei “pin”, che trasferiscono una quantità di lisato nell’ordine del nanolitro, determinando la formazione di uno spot.
I pin sono progettati con la tecnologia di deposizione soft-‐touch e si trovano in una camera di printing isolata dall’ambiente esterno (FIG.12).
Fig. 12 camera di printing, contente i pin, isolata dall’ambiente esterno (www.Aushon.com, Aushon BioSystem, Billerica, MA)
All’interno della camera di printing, venti pin sono assemblati insieme in un formato 4X5, divisi tra di loro di uno spazio di 4.5 mm. Per questo studio sono stati usati pin del diametro di 185 um.
La velocità nella deposizione del lisato e la presenza di umidità interna allo strumento eliminano il problema dell’evaporazione del campione, incrementando quindi la qualità dell’array.
Per effettuare il printing, i campioni vengono caricati su una piastra da 384 well, in un ordine preciso, stabilito in precedenza, in base al risultato finale desiderato. La testa di printing si muove solo lungo l’asse Z, mentre la piastra si muove sull’asse X e Y.
I vetrini rivestiti da membrana di nitrocellulosa sono posizionati su una speciale piastra e numerati in ordine crescente.