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Studio del ruolo svolto dal gene CPAG_05056 nella virulenza e patogenicità di Candida parapsilosis

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BIOTECNOLOGIE MOLECOLARI E INDUSTRIALI

TESI DI LAUREA

Studio del ruolo svolto dal gene CPAG_05056 nella virulenza e patogenicità di

Candida parapsilosis

Relatore:

Candidata:

Dott.ssa Arianna Tavanti

Marina Zoppo

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Riassunto

Candida parapsilosis è un lievito patogeno opportunista considerato ad oggi la

seconda causa più comune di candidemia dopo Candida albicans. Poco è noto riguardo ai meccanismi di virulenza utilizzati da C. parapsilosis durante l’instaurarsi del processo infettivo, tuttavia, la capacità di aderire alle superfici dell’ospite è ritenuta un evento chiave nelle prime fasi dell’infezione. In C. albicans un ruolo cruciale nell’adesione a superfici biotiche è svolto da una classe di glicoproteine di superficie, chiamate proteine Als (Agglutinin-Like Sequence proteins), codificate da una famiglia multi-genica composta da 8 membri (ALS1-8). La recente pubblicazione dell’intera sequenza del genoma di C. parapsilosis e le prime analisi di omologia hanno evidenziato la presenza di 5 possibili omologhi dei geni ALS (CpALS1-5). Il presente lavoro di tesi si è inserito all’interno di un progetto più ampio volto alla comprensione del contributo di ciascuno dei geni ALS nell’adesione di C. parapsilosis a superfici biotiche e abiotiche, mediante l’allestimento di ceppi mutanti privi dei geni CpALS1-5. In particolare, il gene CPAG_05056 (successivamente indicato come CpALS3), il cui omologo in C. albicans svolge un ruolo di primaria importanza nella virulenza di questo lievito, è stato scelto come primo target per la delezione mediante ricombinazione omologa. Durante la prima parte dell’internato di tesi è stata condotta una caratterizzazione fenotipica del ceppo di riferimento di C. parapsilosis ATCC 22019 (wild type, WT), e di mutanti privi di una (CpALS3H) o di entrambe le copie (CpALS3KO) del gene CpALS3 ottenuti mediante la strategia di delezione basata sull’ utilizzo della cassetta SAT1-flipper. L’analisi della capacità replicativa della collezione di mutanti in terreno YPD e in terreno contenente agenti perturbanti la parete, ha indicato che la delezione di CpALS3 non compromette la vitalità dei ceppi in studio, almeno per quanto concerne le condizioni di crescita utilizzate. Sia il ceppo wild type che i ceppi mutanti, se sottoposti a crescita in condizioni inducenti, sono risultati in grado di produrre pseudoife, a dimostrazione che la delezione di CpALS3 non altera la capacità di C. parapsilosis di andare incontro a morfogenesi. Successivamente, mediante l’allestimento di un saggio di adesione in vitro a cellule buccali umane (HBEC), sono state saggiate le capacità adesive della collezione di mutanti a seguito di co-incubazione per 45 minuti a 37°C di una sospensione cellulare contenente HBEC e lieviti (rapporto 1:1000). Dai dati ottenuti è stato possibile osservare una drastica diminuzione nelle capacità adesive del ceppo mutante privo di entrambe le copie del

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gene CpALS3. Allo scopo di confermare il contributo di tale gene nell’adesione di C.

parapsilosis, nel corso di questo lavoro di tesi è stato creato un ceppo complementato,

tramite la re- introduzione di una copia wild type del gene CpALS3 nel background del mutante nullo CpALS3KOb. I risultati ottenuti hanno confermato il ripristino della funzione di adesione alle cellule HBEC da parte del ceppo complementato. La citotossicità del pannello di ceppi in studio è stata, inoltre, valutata mediante quantificazione del rilascio di lattato deidrogenasi (LDH) da parte della linea tumorale epiteliale umana A549. Il saggio non ha permesso di evidenziare alcun rilascio di LDH da parte dei ceppi mutanti e/o WT, mentre un danno quantificabile (44%) era indotto dal ceppo di C. albicans SC5314, utilizzato come controllo positivo. Infine, una prima analisi del potenziale patogenico è stata valutata nel lepidottero Galleria mellonella. La percentuale di sopravvivenza delle larve infettate con il ceppo mutante non differiva significativamente rispetto al ceppo WT o ricostituito, in accordo con il fatto che CpALS3 possa svolgere un ruolo primario nelle fasi di colonizzazione, ma non sia direttamente coinvolto nel danno tissutale.

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! I! ! !

Indice

1. Introduzione

1.1 Candida parapsilosis pag 1

1.2 Epidemiologia delle infezioni sostenute da C. parapsilosis pag 3

1.3 Fattori di virulenza pag 5

1.3.1 Adesività pag 5

1.3.1.1 Adesine appartenenti alla famiglia ALS pag 7

1.3.2 Biofilm pag 10

1.3.3 Enzimi secreti pag 11

1.3.3.1 Proteasi pag 11

1.3.3.2 Lipasi pag 12

1.3.3.3 Fosfolipasi pag 13

1.4 Il genoma di C. parapsilosis pag 13

1.5 Manipolazione del genoma di C. parapsilosis pag 15

1.6 Oggetto e scopo della tesi pag 17

2. Materiali e metodi

2.1 Ceppi di C. parapsilosis pag 19

2.2 Caratterizzazione dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb,

CpALS3KOa, CpALS3KOb pag 20

2.2.1 Crescita in terreno liquido pag 20

2.2.2 Formazione di pseudoife pag 20

2.2.3 Valutazione delle proprietà adesive dei ceppi in studio a

cellule epiteliali buccali umane (HBEC) pag 21

2.3 Creazione del ceppo ricostituito pag 23

2.3.1 Ceppi batterici e plasmidi utilizzati per la creazione del ceppo

ricostituito pag 23

2.3.2 Preparazione del DNA plasmidico pag 24

(5)

! II! !

!

2.3.4 Preparazione delle cellule di E. coli competenti pag 28

2.3.5 Trasformazione di E. coli DH10β pag 28

2.3.6 Screening delle colonie di E. coli trasformanti pag 29

2.3.7 Preparazione del costrutto P3RALS3 per la trasformazione in

CpALS3KOb pag 29

2.3.8 Trasformazione in C. parapsilosis tramite elettroporazione pag 30

2.3.9 Screening dei trasformanti di C. parapsilosis pag 31

2.3.10 Attivazione del gene FLP ed excisione della cassetta pag 32

2.4 Caratterizzazione del ceppo CpALS3Rb e delle proprietà adesive

a cellule HBEC pag 32

2.4.1 Spot assay pag 33

2.5 Saggio di citotossicità pag 33

2.5.1 Mantenimento in coltura della linea cellulare A549 pag 34

2.5.2 LDH assay pag 35

2.6 Infezione intraemocelica di Galleria mellonella pag 37

3. Risultati

3.1 Caratterizzazione dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb

CpALS3KOa, CpALS3KOb pag 39

3.1.1 Crescita in terreno liquido pag 39

3.1.2 Formazione di pseudoife pag 41

3.1.3 Valutazione delle proprietà adesive dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Hb, CpALS3KOb a cellule epiteliali buccali

umane (HBEC) pag 41

3.2 Creazione del ceppo complementato per CpALS3 pag 42

3.3 Spot assay pag 47

3.4 Valutazione delle proprietà adesive del ceppo complementato a

cellule epiteliali buccali umane (HBEC) pag 48

3.5 Saggio di citotossicità pag 49

(6)

! III! ! !

4. Discussione

pag 52

5. Conclusioni

pag 58

6. Bibliografia

pag 60

(7)

Introduzione,!1

1. Introduzione

1.1 Candida parapsilosis

Candida parapsilosis è un lievito patogeno opportunista che si sviluppa in vitro alla

temperatura di 28-30°C. Su terreno solido si sviluppa sotto forma di colonie bianche dai margini regolari e dall’aspetto cremoso. E’ uno dei pochi microrganismi appartenenti al genere Candida in grado di crescere anche a 37°C, tratto indispensabile per la patogenicità nell’essere umano. Su CHROMagar, un terreno di isolamento primario che consente di discriminare le principali specie patogene del genere Candida in base alla produzione di una diversa pigmentazione della colonia, C. parapsilosis è caratterizzata dalla formazione di colonie di colore rosa pallido." È un microrganismo diploide dalla forma rotondeggiante o allungata che, in determinate condizioni inducenti, è capace di formare delle strutture filamentose chiamate pseudoife. Nonostante la capacità di andare incontro a morfogenesi sia una caratteristica condivisa da tutte le specie di Candida, solo C.

albicans e C. dubliniensis producono vere e proprie ife (Figura 1.1), capaci di

approfondarsi nei tessuti dell’ospite contribuendo alla patogenicità del germe. Durante la formazione delle pseudoife la citochinesi non è seguita dalla separazione delle cellule, portando quindi alla formazione di lunghe catene di elementi allungati che vanno a costituire il cosiddetto pseudo micelio. Le pseudoife sono distinguibili microscopicamente dalle ife propriamente dette per la presenza di restringimenti a livello dei setti di giunzione.

"

Figura 1.1: tutte le specie crescono nella forma di lievito (A) e la maggior parte è in grado di produrre

pseudoife (C). Alcune, come C. albicans e C. dubliniensis, sono in grado di formare vere e proprie ife (B). (Adattata da Calderone, 2002; Cole GT., Kendrick, 1981; Kunkel Microscopic, 2004)

(8)

Introduzione,!2 Il primo ceppo di C. parapsilosis, isolato da un campione di feci a Porto Rico nel 1928, rappresenta il ceppo di riferimento ATCC 22019. Inizialmente, per distinguerlo da Monilia psilosis, oggi meglio conosciuta come C. albicans, venne classificato come M. parapsilosis. In seguito, nel 1932 venne invece incluso nel genere Candida [1]. Successivamente, grazie all’introduzione di nuove tecniche di analisi del DNA è stato possibile comprendere meglio le relazioni filogenetiche esistenti tra le specie appartenenti al genere Candida. La maggior parte delle specie di Candida rilevanti dal punto di vista clinico, inclusa C. parapsilosis, fa parte di un sottogruppo filogenetico caratterizzato da un cambiamento nella traduzione del codone CTG in serina anziché leucina [2]. In passato, in accordo con l’elevata eterogeneità genotipica osservata tra ceppi appartenenti a C. parapsilosis, erano stati delineati tre sottogruppi interni alla specie: I, II, III [3]. Nel 2005, alla luce delle notevoli differenze genetiche ottenute tramite analisi di diversi marker molecolari e supportati dalle nuove tecniche di tipizzazione, come Multi-Locus Sequence Typing (MLST), i tre gruppi sono stati elevati al rango di specie e definite come: C. parapsilosis (gruppo I), C. orthopsilosis (gruppo II), C.

metapsilosis (gruppo III) [4]. Le convenzionali tecniche di identificazione dei

funghi utilizzate comunemente in ambito clinico, come API, Vitek, o agar cromogenico, non permettono di discriminare le tre specie facenti parte del gruppo “psilosis”, che condividono molte caratteristiche fenotipiche. Per distinguerle è necessario utilizzare approcci basati sull’analisi delle differenze a livello del DNA: analisi del profilo di restrizione di un frammento del gene codificante per l’alcol deidrogenasi secondaria (SADH) [4], pirosequenziamento [5], AFLP [6] e sequenziamento delle ITS [7]. Infine una tecnica efficiente e veloce per la discriminazione delle tre specie del gruppo “psilosis” è l’utilizzo dello spettrometro di massa MALDI-TOF (Matrix-assisted laser desorption/ionization Mass

Spectrometry). Uno studio eseguito su 103 isolati clinici, identificati come C. parapsilosis, C. metapsilosis e C. orthopsilosis tramite pirosequenziamento della

regione ITS1, ha dimostrato la corretta identificazione delle tre specie anche utilizzando la spettrometria di massa MALDI-TOF [8].

(9)

Introduzione,!3

1.2 Epidemiologia delle infezioni sostenute da Candida parapsilosis

C. parapsilosis rappresenta oggi la seconda/terza specie di lievito più comunemente

responsabile di infezioni sistemiche nell’uomo in Europa, Canada, America Latina e Stati Uniti [09].

Tabella 1.1: percentuale di isolamento delle specie di Candida da infezioni sistemiche raggruppate

per area geografica. Dati ottenuti da ARTEMIS global surveillance program, 2004-2007a,b

"

a: [09]

In passato, il 70-80% delle infezioni sostenute da microrganismi appartenenti al genere Candida erano ascrivibili a C. albicans, tuttavia, nelle ultime due decadi si è registrato un aumento nella frequenza d’isolamento di specie come C. glabrata, C.

parapsilosis e C. dubliniensis [10].

C. parapsilosis è un lievito ubiquitario, può essere isolato non solo da campioni

ambientali quali suolo, acqua marina e piante, ma anche da distretti corporei umani come unghie, pelle e mucose superficiali [10], dove rappresenta parte della flora microbica residente in tali siti. Nella maggior parte dei casi, il lievito coesiste nell’ospite in uno stato di commensale, instaurando un equilibrio sia con la flora microbica residente sia con le difese dell’ospite. Qualsiasi elemento perturbante questo delicato equilibrio, incluso un indebolimento delle difese anatomiche, immunitarie e della flora microbica, può portare alla crescita incontrollata del fungo

" %"di"isolamento"per"area"geografica! Specie" Nord" America" (2,116)" """"America" """"""Latina" (1,348)" Europa" " (2,151)" AsiaB Pacifico" (1,064)" Totale" " (7,191)" C.!albicans! 51.8" 46.0" 58.5" 49.1" 52.7" C.!glabrata! 20.3" 6.8" 14.8" 12.1" 14.2" C.!parapsilosis! 14.4" 18.5" 9.8" 13.8" 13.9" C.!tropicalis! 8.5" 18.5" 9.8" 13.8" 11.8" C.!krusei! 1.9" 4.5" 4.7" 2.5" 3.3" C.!lusitaniae! 1.6" 0.5" 1.4" 0.9" 1.2" C.guillermondii! 0.4" 3.3" 0.6" 1.2" 1.1" C.!keyfr! 0.5" 0.7" 1.1" 1.1" 0.8" C.!famata! 0.2" 0.6" 0.2" 0.7" 0.4" C.!pelliculosa! 0.1" 0.3" 0.1" 0.4" 0.2"

(10)

Introduzione,!4 e, di conseguenza, all’instaurarsi dell’infezione. Essendo C. parapsilosis un microrganismo patogeno opportunista, colpisce con un alto tasso di morbilità e mortalità individui immuno-compromessi. La maggior parte delle infezioni sostenute da C. parapsilosis sono infatti contratte in ambiente nosocomiale o in seguito complicanze dovute a trattamenti medici [11]. Le principali categorie a rischio sono pazienti ustionati, individui trattati con antibiotici a largo spettro, ricoverati in unità di terapia intensiva, sottoposti a trapianto d’organo e neonati prematuri [12]. Altre categorie predisposte all’infezione sono pazienti affetti da AIDS, pazienti oncologici o sottoposti per lungo tempo a trattamento medico. Lo spettro delle manifestazioni cliniche causate da C. parapsilosis è ampio e variabile e include infezioni del tratto urinario, fungemia, endocardite, peritonite, artrite e endoftalmite [10] . Questo lievito può essere causa di infezioni più superficiali come ad esempio onicomicosi, infezioni dell’orecchio esterno [13] [14], della mucosa vaginale o orale.

Uno studio condotto nell’arco di 18 mesi su pazienti ricoverati nell’unità di terapia intensiva e di terapia intensiva neonatale (NICU), ha rivelato un’elevata frequenza di isolamento di C. parapsilosis in campioni di sangue prelevati da neonati prematuri (29%) [15]. A tal proposito uno studio retrospettivo, condotto su 81 episodi di candidemia, ha evidenziato che questo microrganismo era responsabile del 49% dei casi di infezione osservate nei neonati, e che tali infezioni erano significativamente associate a fattori di rischio, quali nascita prematura, presenza di un catetere venoso centrale e nutrizione parenterale [16]. C. parapsilosis è difatti in grado di aderire alle superfici plastiche di materiali protesici e produrre biofilm. Elevate concentrazioni di lipidi e di glucosio presenti nella soluzione per la nutrizione parenterale, sono note per indurre la produzione di biofilm in C.

parapsilosis [17][18], portando all’instaurarsi di infezioni di difficile eradicazione,

a causa della resistenza ai farmaci acquisita dai microrganismi costituenti il biofilm stesso [19].

C. parapsilosis è un microrganismo considerato meno patogeno di C. albicans ma,

a causa del netto aumento della frequenza con cui è isolato da campioni clinici, ha guadagnato negli ultimi anni un posto di primaria importanza tra i lieviti patogeni.

(11)

Introduzione,!5 1.3 Fattori di virulenza

Le informazioni disponibili circa i fattori di virulenza e di patogenicità di C.

parapsilosis sono limitate se comparate a quelle disponibili per C. albicans. Ciò

nonostante, alla luce dell’aumentata frequenza di isolamento di questo microrganismo, negli ultimi anni si sono intensificati gli studi mirati alla comprensione dei meccanismi che permettono a C. parapsilosis di instaurare una infezione sintomatica. L’approccio allo studio dei fattori di virulenza in questa specie è essenzialmente effettuato ricercando in C. parapsilosis geni omologhi a quelli già noti per essere implicati nella patogenicità in C. albicans." Tra i fattori determinanti la patogenicità fungina svolgono un ruolo importante l’adesività, la produzione di biofilm e la secrezione di enzimi idrolitici quali proteasi, fosfolipasi e lipasi.

1.3.1 Adesività

L’adesione del microrganismo alle superfici dell’ospite è la prima tappa del processo infettivo. L’adesione del patogeno all’ospite ha luogo grazie alla presenza di molecole localizzate sulla superficie del patogeno, chiamate adesine o ligandi, in grado di interagire con specifici recettori di superficie complementari che si trovano sulle cellule dei tessuti dell’ospite. L’interazione fra queste due componenti, e la conseguente adesione del microrganismo ai tessuti, impedisce al microrganismo di essere eliminato, permettendo di conseguenza la sua stabile permanenza a livello delle superfici dell’ospite. Il concetto di adesione non include solo l’interazione tra il lievito e l’ospite, ma comprende anche l’interazione tra lievito e lievito con conseguente formazione di aggregati chiamati flocculi e l’interazione con altri microrganismi a formare co-aggregati [20].

Nei funghi, un ruolo di primaria importanza è svolto da alcune proteine localizzate a livello della parete cellulare. La parete cellulare dei lieviti è costituita principalmente da mannoproteine, β-glucani e chitina (Figura 1.2). Il supporto strutturale è dato dal legame covalente tra le molecole ramificate di β-1,3-glucani (40%),i β-1,6-glucani (20%) e la chitina (2%). Le proteine parietali sono localizzate al di sopra di questo strato e sovrastate a loro volta da un mantello costituito da mannoproteine aventi il ruolo di mascherare i residui glucanici al sistema immunitario dell’ospite. Nonostante la struttura di base della parete cellulare risulti

(12)

Introduzione,!6 essere conservata nel genere Candida, specie e addirittura ceppi appartenenti alla stessa specie, mostrano una composizione di proteine parietali unica, frutto di un adattamento a differenti ambienti e pressioni selettive.

"

Figura 1.2: struttura della parete di Candida. A sinistra: immagine ottenuta con microscopio

elettronico raffigurante la parete cellulare e in cui è possibile osservare lo strato più esterno di mannani e, più internamente, lo strato costituito da glucani, proteine e chitina. A destra: raffigurazione schematica dei componenti della parete cellulare di lievito [28].

"

La maggior parte delle adesine localizzate sulla parete cellulare sono caratterizzate da una struttura comune: un dominio N-terminale recante il segnale di localizzazione parietale, un dominio di legame al ligando, un dominio centrale ricco in treonina, un dominio N- o O- glicosilato, e infine un dominio carbossi-terminale modificato che porta legato il glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Il GPI è un glicolipide aggiunto durante le modifiche post-trascrizionali alla proteina neo-sintetizzata e che permette il suo ancoraggio a livello della parete tramite formazione di legami covalenti con i β-1,6-glucani [21]. La mancanza di tecniche adeguate per l’estrazione e la purificazione delle proteine parietali, ha reso per molto tempo ignota la funzione di molte di queste molecole di adesione. Grazie a nuove tecniche basate sulla digestione dei legami covalenti che legano le proteine alla parete e all’utilizzo di algoritmi di predizione, è stato possibile ottenere nuove informazioni riguardanti le adesine di Candida. L’analisi comparativa dei genomi di 6 specie di Candida, ha permesso infine l’identificazione di due famiglie geniche condivise sia da C. parapsilosis e da C. albicans: la famiglia Hyr/Iff e la famiglia

ALS [22]. Entrambe queste due famiglie geniche codificano per proteine di

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Introduzione,!7 1.3.1.1 Adesine appartenenti alla famiglia ALS

Le proteine Als (Agglutinin-like sequence) sono codificate da una famiglia genica che consta in C. albicans di 8 membri (ALS1-7 e ALS9), e in C. parapsilosis di 5 membri (CPAG_05314, CPAG_00368, CPAG_05056, CPAG_05054, CPAG_00369). Queste glicoproteine di superficie condividono, tra le varie specie

di Candida, una struttura conservata. Si identificano quattro differenti domini ognuno dei quali può essere ripetuto in più copie (Figura 1.3) all’interno della proteina. Tutte le proteine Als possiedono all’estremità N-terminale un segnale necessario alla loro traslocazione a livello parietale [23].

[

A partire dall’estremità N-terminale si trova il dominio Ig-like contenente i siti di riconoscimento ai ligandi. Questo dominio è molto simile strutturalmente alle adesine e invasine batteriche ed è costituito da tre domini β-sheet organizzati i tandem e omologhi alla regione Ig-like della α-agglutinina di Saccaromyces

cereviasiae. È la regione più conservata tra le proteine Als, con una percentuale di

identità amminoacidica in C. albicans tra il 41-80%. Di seguito, è presente una regione altamente conservata e ricca in treonina. In CaAls5p questa regione è implicata nell’aggregazione [24] e nella formazione di fibre amiloidi [25] [26]. Successivamente troviamo un dominio caratterizzato dalla ripetizione in tandem di Figura 1.3: rappresentazione schematica della struttura delle proteine Als dove è possibile osservare in

ordine il dominio N-terminale, il dominio Ig-like, il dominio ricco in treonina, la regione con le ripetizioni random e infine il dominio C-terminale [28].

(14)

Introduzione,!8 un’unità di 36 amminoacidi, la cui sequenza risulta essere variabile. Il numero di ripetizioni non è fisso e varia tra le proteine Als, tra i differenti ceppi e anche all’interno dello stesso ceppo, presentando due differenti forme alleliche [27]. Il numero di ripetizioni in tandem è direttamente correlato con la capacità da parte del ceppo di formare aggregati, come dimostrato per Als1 e Als5 di C. albicans [28]. Infine il dominio C-terminale, il meno conservato tra le proteine Als, è costituito per il 35-55% dagli amminoacidi treonina e serina, entrambi O-glicosilati. La conformazione di questa regione amminoacidica è allungata e ha lo scopo di proiettare la porzione contenente i siti di legame per il ligando verso l’esterno. Nella regione C-terminale troviamo inoltre la sequenza amminoacidica essenziale per l’aggiunta dell’ancora GPI. La delezione di questa regione porta alla sintesi di proteine che sono secrete ma incapaci di ancorarsi alla parete cellulare. Le proteine Als hanno uno spettro di ligandi molto ampio ma, al tempo stesso, specifico. Tra questi troviamo la fibronectina, la laminina, il BSA, la caseina, il collagene di tipo IV, le caderine e la ferritina [29], [30], [31].

L’interazione tra la proteina Als e il substrato si realizza a differenti livelli. Prima di tutto si ha l’interazione specifica tra il ligando e i siti di riconoscimento presenti sulla regione Ig-like. Le interazioni aspecifiche idrofobiche mediate dalle regioni ripetute rafforzano invece l’adesione e risultano anche implicate nell’adesione a superfici plastiche. Infine, la regione ricca in treonina media l’interazione con altre proteine Als favorendo la formazione di aggregati [23]. Il processo di adesione non coinvolge dispendio energetico da parte del microrganismo, come dimostrato dal fatto che cellule inattivate con calore o trattate con inibitori metabolici continuano ad essere capaci di aderire e di aggregarsi [32] [33]. L’interazione proteina-proteina non è inibita dalla presenza detergenti non ionici, da EDTA, da sali, da carboidrati o da valori di pH compresi tra 4 e 9 [32]. Agenti perturbanti i legami a idrogeno, come urea o formammide, inibiscono invece l’interazione con molti peptidi e proteine e distruggono gli aggregati. Inoltre, l’interazione delle proteine Als con peptidi, proteine e cellule non è influenzata dalla presenza di carboidrati [23]. Il ruolo delle proteine Als è stato, nel corso degli anni, studiato mediante la generazione di ceppi mutanti sui quali sono state effettuate analisi in modelli di infezione o tramite test di adesione. L’analisi di ceppi knock-out di C. albicans ha permesso di identificare i ligandi specifici già ipotizzati per queste proteine. Ad esempio, è stato scoperto che Als1 è coinvolta direttamente nell’adesione alle

(15)

Introduzione,!9 cellule HUVEC (Human Umbilical Vein Endothelial Cell), mentre non risulta necessaria per l’adesione alle cellule epiteliali buccali, BEC (Buccal Epithelial

Cell) [34].

Tra tutte le proteine Als di C. albicans, Als3 riveste un ruolo di maggiore importanza nell’adesività. La struttura della proteina è schematizzata in Figura 1.4.

Ceppi mutanti, mancanti del gene Als3, mostrano una forte riduzione nella capacità di aderire e danneggiare le cellule epiteliali e endoteliali [35]. Questi stessi ceppi non mostrano però differenze nella capacità di adesione alla fibronectina, facendo supporre l’entrata in gioco di meccanismi di compensazione da parte di altri geni Als (35).

Inoltre, l’utilizzo di anticorpi monoclonali diretti contro l’estremità N-terminale di Als3 interferisce con l’adesione a cellule endoteliali e epiteliali buccali [36]. La vaccinazione effettuata utilizzando la porzione N-terminale di Als3 come immunogeno ha indotto nel modello murino lo sviluppo di una risposta immunitaria, che ha efficacemente protetto il topo sia in caso di candidosi disseminata, sia in caso di candidosi orofaringea e vaginale [37]. Nonostante il ruolo di Als3 in C. albicans sia stato ampiamente dimostrato in studi effettuati in

vitro, ceppi mutanti per questa proteina mostrano una virulenza comparabile al

ceppo wild-type se saggiati in modelli di infezione sistemica nei topi [38]. L’espressione del gene è regolata principalmente a livello trascrizionale: nel promotore sono presenti due regioni di repressione (R1 e R2) e due regioni di attivazione (A1 e A2). A queste regioni si legano fattori trascrizionali, come Tup1 e Efg1, che down-regolano e up-regolano rispettivamente l’espressione di Als3. In C.

albicans, la proteina Als3 è ifa-specifica, nel senso che viene prodotta dal lievito

solo quando forma le ife [39].

Figura 1.4: rappresentazione schematica della struttura della proteina Als3 "

tion, bind to the two activation regions and upregulate ALS3 transcription. Tec1, another transcription factor that induces hyphal formation, does not activate ALS3 expression directly but instead functions through the zinc finger transcription fac-tor Bcr1 (3, 37). Recently, Bastidas et al. (5) found that ex-pression of ALS3 is inhibited under conditions of high nutrient availability. This inhibition occurs mainly through the protein kinase Tor1, which induces the expression of Nrg1 and Tup1 while downregulating expression of Efg1 and Bcr1 (5). ALS3 is also a target of the Rim101 alkaline response transcription factor (39). However, it is not yet known whether Rim101 binds directly to the ALS3 promoter or induces the expression of this gene indirectly.

Als3 FUNCTION

Als3 mediates adherence to diverse host substrates. Adher-ence to host constituents is necessary for C. albicans to colo-nize mucosal surfaces and subsequently cause disease. C. albi-cans possesses multiple adhesins that mediate binding to a variety of different host substrates (reviewed in reference 64). Many of these adhesins are encoded by the ALS gene family. Als3, like Als1 and Als5, has broad substrate specificity and thus mediates adherence to a variety of host constituents (55). Studies in which C. albicans Als3 was heterologously expressed in the normally nonadherent S. cerevisiae indicate that this protein mediates adherence to endothelial cells, oral epithelial cells, gelatin, fibronectin, fibrinogen, type IV collagen, laminin, and salivary pellicle (35, 55). Consistent with these results, an als3!/! null mutant strain of C. albicans has reduced adher-ence to endothelial cells and buccal epithelial cells (70). How-ever, this mutant has normal adherence to fibronectin, possibly due to the compensatory effects of other Als proteins, such as Als1, that also bind to this extracellular matrix protein. As

expected, both full-length monoclonal antibodies and single-chain variable fragments of human antibodies against Als3 block adherence to both endothelial and oral epithelial cells (6, 14, 28). These antibodies are directed against the N-terminal region of Als3, consistent with the model that this region con-tains the substrate binding domain.

Another murine monoclonal antibody, C7, has been found to bind to Als3 and inhibit adherence to host cells (8). Inter-estingly, this monoclonal antibody also reduces C. albicans germination, is fungicidal, and protects mice from dissemi-nated candidiasis (33, 54). However, C7 binds to other antigens in addition to Als3, such as enolase and nucleoporin Nup88 (41). Also, other antibodies that bind only to Als3 do not inhibit germination or reduce C. albicans viability. Therefore, it is probable that many of the beneficial properties of C7 are mediated by its recognition of antigens other than Als3.

Als3 plays a key role in biofilm formation. A specialized form of adherence is biofilm formation. Biofilms are structured microbial communities that are attached to solid surfaces. C. albicans biofilm formation on dentures is associated with den-ture stomatitis. More importantly, biofilm formation on intra-vascular catheters plays a key role in the development of he-matogenously disseminated candidiasis. Indeed, almost 80% of patients with candidemia have a central venous catheter in place at the time of diagnosis (20).

When C. albicans forms a biofilm, the initial basal layer consists of yeast-phase cells that are adherent to the substrate. On top of these cells is a mixture of pseudohyphae and hyphae (11, 37). Als3 plays a key role in biofilm formation. C. albicans mutants that lack Als3 produce scant, disorganized biofilms on catheter material in vitro (36, 69). Also, a bcr1!/! mutant, which has reduced expression of Als3 and other adhesins, has defective biofilm formation both in vitro and in the rat venous catheter model. Although an als3!/! mutant forms a normal biofilm in vivo, overexpression of ALS3 in the bcr1!/! mutant rescues its biofilm defects (36). These results indicate that, while multiple adhesins participate in biofilm formation in vivo, Als3 has a central role in this process. Other C. albicans ad-hesins that contribute to biofilm formation are Hwp1 and Als1 (36). Interestingly, a mixture of biofilm-defective hwp1!/! and als1!/! als3!/! mutants can form a hybrid biofilm both in vitro

FIG. 2. Schematic diagram of the structure of Als3. FIG. 1. Sequence homology among members of the Als family of proteins. Numbers indicate percent identity at the amino acid level.

FIG. 3. Diagram of the transcriptional regulation of ALS3 expres-sion. A1 and A2 are activation regions in the promoter of ALS3, and R1 and R2 are repressor regions. Data are from references 3 and 5.

(16)

Introduzione,!10 Lo studio, tramite mutazione genica, della funzione di una proteina appartenente a una famiglia genica può essere difficoltoso: la delezione di un gene potrebbe innescare meccanismi di compensazione che si traducono in un fenotipo alterato. Un metodo alternativo alla generazione di mutanti è rappresentato dall’espressione eterologa delle proteine Als in un modello, come S. cerevisiae, noto per essere incapace di aderire a substrati o ai tessuti dell’uomo. Uno studio di questo tipo è stato effettuato facendo esprimere in S. cerevisiae le proteine Als1 e Als5 di C.

albicans allo scopo di indentificare i domini peptidici riconosciuti da ciascuna delle

due adesine [40]. Poiché il contesto cellulare è completamente differente, il rischio in cui si può incorrere con questo approccio è che le proprietà della proteina risultante siano alterate o che non trovino una adeguata collocazione sulla superficie del lievito.

1.3.2 Biofilm

Per biofilm (o slime) si intende una comunità di microrganismi adesi ad una superficie solida, di natura biotica od abiotica. Nel caso dei miceti, il biofilm è costituito da una miscela di lieviti, ife e pseudoife, incluse in una matrice polisaccaridica, grazie alla quale il fungo si ancora alle superfici. Questa matrice è composta prevalentemente da glucosio, mannosio, ramnosio e N-acetilglucosammina [41]. Ceppi differenti possono produrre differenti quantità di biofilm; inoltre, la sua composizione può variare in risposta a fattori ambientali quali disponibilità di ossigeno e pH." La capacità di formare biofilm può rappresentare un fattore di virulenza addizionale per le specie patogene o patogene opportuniste: le infezioni a carico di microrganismi organizzati in tali strutture sono, infatti, più aggressive e di difficile eradicazione. Tale resistenza è multifattoriale e principalmente dovuta all’impenetrabilità della matrice extracellulare che circonda i microrganismi e che impedisce o ritarda la penetrazione dell’agente antimicotico. Altro importante fattore incidente nella minore suscettibilità del biofilm all’attacco da parte di farmaci è il minor tasso di crescita delle cellule che lo compongono, se paragonate alla forma planctonica, e la possibile sovra-espressione di geni coinvolti nella resistenza agli antimicotici quali geni codificanti per pompe ad efflusso [42]. Numerosi studi hanno confermato la forte riduzione nella suscettibilità ai principali antimicotici come l’amfotericina B, la flucitosina e composti azolici [42], [43], [44]. Al contrario, le echinocandine, una

(17)

Introduzione,!11 classe di antimicotici in grado di inibire la sintesi di β-1,6-glucani, risultano essere in grado di penetrare all’interno della matrice polisaccaridica del biofilm. Oltre ad essere i principali costituenti della parete cellulare, i β-1,6-glucani sono molto abbondanti anche nella matrice polisaccaridica secreta nel biofilm di C. albicans [45]. Quando C. parapsilosis cresce in presenza di eccesso di glucosio, la produzione di biofilm aumenta notevolmente. Questa caratteristica sembra direttamente coinvolta nella capacità di C. parapsilosis di causare candidemie in pazienti che ricevono nutrizione parenterale, quando la soluzione somministrata contiene un’elevata concentrazione di glucosio [18]. Rispetto a C. albicans, C.

parapsilosis ha una produzione di biofilm minore con una ridotta secrezione di

matrice extracellulare [46]. Poco è noto circa i geni implicati nella formazione del biofilm in C. parapsilosis. Un gene la cui reale funzione non è stata ancora del tutto delineata è CpBCR1. Esperimenti di delezione di questo gene comportano un’inibizione della produzione di biofilm, facendo quindi supporre che giochi un ruolo centrale in questo processo [47]. Tuttavia, dati successivi suggeriscono che questo gene svolga in realtà un ruolo marginale e che non sia richiesto nelle fasi inziali di adesione e nella maturazione del biofilm [48].

1.3.3 Enzimi secreti

La secrezione di enzimi idrolitici rappresenta per il genere Candida uno dei fattori più importanti nell’instaurarsi del processo infettivo. Il loro rilascio non solo facilita la penetrazione, e quindi la colonizzazione dei tessuti dell’ospite, ma permette anche l’acquisizione di materiale nutritivo e il danneggiamento delle cellule della risposta immunitaria. Gli enzimi maggiormente implicati nella patogenicità di Candida e più studiati sono le proteasi aspartiche, le lipasi e le fosfolipasi [49].

1.3.3.1 Proteasi

La secrezione di enzimi proteolitici rappresenta uno dei fattori che permette al microrganismo di penetrare nei tessuti dell’ospite e di consentire, tramite la degradazione proteolitica di biomolecole, di poter attingere a fonti nutritive [50]. Una classe di proteasi ampiamente riscontrata nel genere Candida sono le proteasi aspartiche, denominate con l’acronimo SAP (secreted aspartyl proteinases). In C.

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Introduzione,!12 mentre in C. parapsilosis solo tre geni, SAPP1, SAPP2 e SAPP3. Recentemente, un’analisi filogenetica condotta sull’intero genoma di C. parapsilosis ha permesso di identificare 14 sequenze potenzialmente codificanti per altrettante SAP [22], per le quali, però, non sono disponibili informazioni aggiuntive sui livelli di espressione. Come tutti gli enzimi, anche le Sap hanno una temperatura e un pH ottimale di azione, differente per le diverse proteasi, permettendo al lievito di esprimere la propria attività proteolitica in distretti differenti [51]. Anche lo spettro di substrati di questi enzimi è molto ampio: sono in grado, ad esempio, di riconoscere e degradare le catene pesanti delle immunoglobuline di classe G (IgG), alcune componenti del complemento (C3), il collagene e la fibronectina [52]. L’espressione dei geni SAPP varia in C. parapsilosis a seconda del ceppo e del contesto in cui il microrganismo si trova: analisi in vitro hanno dimostrato nei ceppi studiati una più spiccata attività proteasica a livello epiteliale e a livello delle mucose, se paragonata con quella riscontrata nel sangue [53]. Questo dato è a sostegno dell’ipotesi che questa classe di enzimi sia implicata principalmente nella penetrazione dei tessuti dell’ospite. Sebbene questi enzimi siano importanti per la colonizzazione dell’ospite, il loro ruolo non risulta essere indispensabile, come dimostrato da studi condotti con ceppi mutanti per i geni SAPP [54].

1.3.3.2 Lipasi

Le lipasi sono una classe di enzimi"in grado di idrolizzare legami esterici di mono-, di-, e tri-acilgliceroli, compresi i fosfolipidi. Questi enzimi, oltre a essere direttamente implicati nel recare danno a livello della membrana cellulare, sono coinvolti anche nell’acquisizione da parte del lievito di materiale nutritivo, nell’adesione ai tessuti, nel dare inizio alla risposta infiammatoria, tramite danno alle cellule della risposta immunitaria dell’ospite [55]. La loro azione è rivolta anche nei confronti della flora microbica naturalmente presente nell’ospite che risulta essere in competizione con C. parapsilosis nel corso dell’infezione. In C.

parapsilosis sono stati identificati due geni codificanti per lipasi, CpLIP1 e CpLIP2, dei quali solo CpLIP2 codifica per una proteina attiva. In C. albicans

troviamo invece 11 geni omologhi a CpLIP2, con una percentuale di identità che oscilla tra il 42% e il 61% [56]. Esperimenti di delezione di entrambi i geni CpLIP1 e CpLIP2 hanno evidenziato la cruciale importanza di questi geni nella patogenicità di C. parapsilosis. Ceppi mutanti per questi geni risultano meno virulenti se testati

(19)

Introduzione,!13 in modelli di colonizzazione e invasione di epitelio umano orale ricostituito o in modelli murini [57]. "C. parapsilosis è frequentemente isolato da pazienti sottoposti a nutrizione parenterale con soluzioni ricche in lipidi. In quest’ottica, una strategia per controbattere questa tendenza potrebbe essere rappresentata dalla somministrazione di inibitori di lipasi [53].

1.3.3.3 Fosfolipasi

Le fosfolipasi svolgono la loro funzione idrolizzando i fosfolipidi in acidi grassi e glicerolo. Esistono diversi tipi di fosfolipasi, classificate, a seconda del gruppo chimico su cui agiscono, in quattro gruppi: A1, A2, C, D. Nonostante la loro funzione non sia stata ancora del tutto delucidata, si ipotizza che siano richieste per la degradazione della membrana cellulare. Nell’ambito del genere Candida, la più elevata produzione di fosfolipasi è da attribuire a C. albicans [58]. La maggior parte delle informazioni sul ruolo delle fosfolipasi nella patogenicità di Candida sono state ottenute proprio da studi condotti su questa specie [53]. L’analisi di mutanti privi dei geni codificanti per le fosfolipasi hanno confermato l’importanza di questa classe enzimatica nell’instaurarsi del processo infettivo. In modelli murini, si osservava infatti una maggiore sopravvivenza dei topi infettati con il ceppo mutante e una minore diffusione di Candida dalla sede di infezione, alla mucosa orale o ad altri organi [58] Poco è noto riguardo la produzione di fosfolipasi da parte di C. parapsilosis. Le poche informazioni disponibili sono riferite alla presenza/assenza di attività fosfolipasica in ceppi di isolamento clinico, suggerendo che la produzione di questi enzimi sia un tratto comune solo ad alcuni ceppi [58] [59] [60].

1.4 Il genoma di C. parapsilosis

Il genoma del ceppo di riferimento di C. parapsilosis CDC317 è stato completamente sequenziato e pubblicato nel 2009 [22]. I dati indicano che è un genoma diploide, di 13 Kb, organizzato in 7 paia di cromosomi. Il genoma di C.

parapsilosis è ancora oggi in fase di annotazione: come riportato dal database

aggiornato Candida Genome (www.candidagenome.org), solo 27 ORF (Open Reading Frame), che rappresentano lo 0.46% del totale di ORF presenti, sono state

(20)

Introduzione,!14 caratterizzate, mentre il restante 99.54% delle sequenze codificanti non sono state ancora verificate.

La natura diploide del genoma di C. parapsilosis è stata confermata da analisi del cariotipo tramite elettroforesi in campo pulsato, citometria a flusso e infine tramite esperimenti di mutazione genetica [61], [62], [63]. Un’analisi dettagliata del genoma ha rivelato un livello di eterozigosi tra i cromosomi 25-70 volte più basso rispetto alle altre specie appartenenti al genere Candida [64] e una frequenza di polimorfismi a singolo nucleotide di 1 su 15.553 bp [22]. C. parapsilosis si riproduce per mitosi e, dal momento che non sono stati osservati fenomeni di riproduzione sessuata (mating), questa specie era inizialmente considerata la forma anamorfica del microrganismo Lodderomyces elongisporus [65]. In Candida la capacità di effettuare mating è mediata dal locus genico MTL (mating type locus), presente in due forme alleliche: MTLa e MTLα. Nel locus MTLa sono presenti i geni a1 e a2 mentre nel locus MTLα sono presenti i geni α1 e α2. Nelle cellule eterozigoti MTLa/MTLα, il complesso proteico formato dalle proteine a1-α2 reprime l’espressione dei geni coinvolti nel mating. In C. parapsilosis l’analisi nucleotidica della sequenza codificante il gene MTLa1 ha rivelato la presenza di due codoni di stop e di un introne che non viene sottoposto a splicing [66]. In conclusione, il fenomeno di mating in questa specie sembra avvenire difficilmente dimostrando che la variabilità genica che ne consegue non rappresenterebbe un vantaggio per C. parapsilosis.

Le tecniche di sequenziamento del DNA di nuova generazione hanno permesso di effettuare studi sull’intero genoma di C. parapsilosis in modo più veloce ed economico. In un recente lavoro, l’analisi dell’intero genoma di tre ceppi appartenenti alla specie di C. parapsilosis ha evidenziato una sorprendente variabilità, identificata da un’elevata frequenza di SNP (1 su 2.376 bp) e di riarrangiamenti interni al genoma quali duplicazioni, delezioni e fusioni geniche [64]. Una possibile spiegazione, proposta dagli autori è la presenza di meccanismi di ricombinazione interna. Allo scopo di meglio comprendere tali meccanismi è necessario quindi ampliare il numero di genomi sequenziati di ceppi di C.

(21)

Introduzione,!15 1.5 Manipolazione del genoma di C. parapsilosis

La principale tecnica utilizzata allo scopo di comprendere la funzione di un gene è quella di procedere alla sua mutazione. I primi approcci di mutagenesi in C.

albicans impiegavano l’utilizzo di ceppi auxotrofi privi del gene URA3 codificante

per l’orotidina-5’-fosfato decarbossilasi, un enzima facente parte della via biosintetica dell’uracile. Questi ceppi erano incapaci di crescere in terreni privi di uracile. Venivano quindi trasformati con una cassetta contenente il marker CaURA3, fiancheggiato dalle ripetizioni hisG di Salmonella typhimurium e dalle regioni di omologia del gene da il quale si voleva effettuare il delezione [67][68].In seguito alla delezione di un allele, la ricombinazione intracromosomica tra le ripetizioni hisG permetteva l’excisione del gene URA3 ristabilendo il fenotipo Ura-.

I mutanti erano selezionati in terreno contenente l’acido 5-fluoro orotico (FOA), un composto innocuo per le cellule ma che, in presenza dell’enzima orotidina-5’-fosfato decarbossilasi, era metabolizzato in 5-fluorouracile, un analogo della pirimidina, tossico per le cellule. Questo approccio presentava però dei difetti, dovuti al differente livello di espressione del gene URA3 a seconda del locus genico in cui la cassetta si integrava [69] e alla attenuata virulenza dei ceppi di C. albicans Ura- [70] che poteva condurre a una sbagliata interpretazione del fenotipo dei mutanti. Con il tempo, l’utilizzo di mutanti auxotrofi è stato abbandonato, preferendo l’impiego di marker di selezione di tipo dominante, come geni recanti la resistenza all’acido micofenolico (MPA) [71] e di cassette fiancheggiate dai siti di riconoscimento minimi per le ricombinasi sito-specifiche, come Cre e Flp. Questi sistemi prevedevano la presenza del gene codificante per la ricombinasi Flp, posto sotto il controllo del promotore inducibile di SAP2. In questo modo, tramite l’attivazione della flippasi, veniva resa possibile l’excisione della cassetta dall’allele deleto. Anche questa tecnica presentava però degli svantaggi dovuti al tempo impiegato dall’MPA per la selezione delle colonie trasformanti la cassetta (7 giorni). L’MPA è una molecola in grado di inibire l’inosina monofosfato deidrogenasi (codificata dal gene IMH3), un enzima chiave nella sintesi de-novo di

nucleotidi. La resistenza all’MPA viene infatti acquisita tramite mutazione del gene

IMH3, e risulta sufficiente anche una sola integrazione ectopica del gene mutato per

conferire la resistenza [72]. In C. albicans sono però stati osservati fenomeni di ricombinazione tra il marker di resistenza e il gene IMH3 wild-type, con

(22)

Introduzione,!16 conseguente acquisizione della resistenza anche in mancanza di integrazione della cassetta [73].

Il sistema di delezione genica di ultima generazione prevede invece l’utilizzo di una cassetta SAT1-flipper di 4.2 Kb avente come marcatore di selezione il gene che conferisce la resistenza all’antimicrobico nurseotricina (CaSAT1), posto sotto il controllo del promotore costitutivo dell’actina di C. albicans (CaACT1p) [74] (Figura 1.5). La nurseotricina è un antimicrobico facente parte del gruppo delle streptotricine ed agisce a livello cellulare inibendo la biosintesi delle proteine ribosomiali. È attivo anche nei confronti dei batteri, dei micobatteri, dei protozoi, dei virus e delle piante. Il gene SAT1 codifica per l’enzima streptotricina acetiltrasferasi che catalizza la monoacetilazione dei β-ammino gruppi presenti nei residui di β-lisina della nurseotricina. All’interno della cassetta è presente il gene codificante per la ricombinasi flippasi (CaFLP) posta sotto il controllo del promotore CaMAL2p, inducibile in presenza di maltosio, e due siti di riconoscimento minimi, FRT, riconosciuti dalla flippasi per la ricombinazione. Alle estremità della cassetta SAT1-flipper sono presenti le due regioni di omologia del gene da eliminare. Essendo C. parapsilosis un microrganismo diploide, sono necessari due round di trasformazione per effettuare la delezione prima di uno e poi dell’altro allele. L’incubazione del ceppo mutante in terreno addizionato con maltosio permette infine l’excisione della cassetta, grazie all’attivazione della flippasi ed alla conseguente ricombinazione tra i due siti FRT.

" Figura 1.5: struttura della cassetta SAT1-flipper.

"

Come riportato in Figura 1.5, la precisa dislocazione degli elementi costituenti la cassetta SAT1-flipper è la seguente:

• 1-21: sito di taglio per ApaI e XhoI; • 22-55: sequenza FRT;

• 60-607: promotore CaMAL2; • 614-1885: gene CaFLP;

(23)

Introduzione,!17 • 1886-2273: terminatore della trascrizione CaACT1;

• 2280-2777: promotore CaACT1; • 2778-4004: gene SAT1;

• 4008-4137: terminatore della trascrizione CaURA3; • 4142-4175: sequenza FRT;

• 4176-4217: sito di taglio per SacII e SacI.

La cassetta SAT1-flipper è stata ad esempio utilizzata per la delezione in C.

parapsilosis dei geni CpLIP1 e CpLIP2 codificanti per lipasi [55] e dei geni Fas1 e Fas2 implicati nella biosintesi degli acidi grassi nella cellula fungina [75]. In un

esperimento, volto all’eliminazione del gene di C. parapsilosis URA3 e il gene ortologo a BCR1 di C. albicans, è stato necessario modificare la regione regolatoria del gene SAT1, proveniente da C. albicans (CaMAL2), con la regione regolatoria propria di C. parapsilosis (CpMAL2) [47].

1.6 Oggetto e scopo della tesi

Poche sono le informazioni riguardanti i meccanismi patogenetici coinvolti nell’insorgenza e progressione delle infezioni causate da C. parapsilosis. Tra questi, l’adesione è ritenuta un evento chiave nelle prime fasi del processo infettivo. Un ruolo cruciale nell’adesione di C. albicans alle superfici, sia biotiche che abiotiche, è svolto da una classe di glicoproteine di superficie, chiamate proteine

Als (Agglutinin-like sequence), codificate da una famiglia multigenica, riscontrata

anche nel genoma di C. parapsilosis e costituita da 5 membri. Il presente lavoro di tesi si è inserito all’interno di un progetto più ampio volto alla comprensione del contributo di ciascuno di questi geni ALS alla patogenicità di C. parapsilosis, tramite l’allestimento di ceppi mutanti privi dei geni CpALS1-5. La proteina Als3 è stata scelta come primo target per la delezione sito specifica in C. parapsilosis, tramite l’utilizzo della cassetta SAT1-flipper, recante il marker di resistenza alla nurseotricina.

Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di indagare l’effetto della delezione di CpALS3 caratterizzando una collezione di ceppi mutanti privi di uno o di entrambe le copie di CpALS3. I ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb, CpALS3KOa, CpALS3KOb sono stati analizzati per quanto concerne:

(24)

Introduzione,!18 ii. la capacità di produrre pseudoife;

iii. la capacità di aderire a cellule buccali epiteliali umane (Human Buccal

Epithelial Cells, HBEC).

Alla luce dei risultati ottenuti, si è ritenuta necessaria la costruzione del ceppo ricostituito nel gene CpALS3 nel background del ceppo mutante nullo (CpALS3KOb), per verificare se il fenotipo osservabile nel ceppo mutante nullo fosse ascrivibile alla sola delezione del gene CpALS3. Il ceppo ricostituito è stato saggiato, insieme al ceppo wild type e alla restante collezione di ceppi mutanti, per quanto riguarda:

i. la capacità di crescere in terreno liquido in presenza di agenti perturbanti la parete cellulare;

ii. la capacità di aderire a cellule buccali epiteliali umane (HBEC); iii. la capacità di indurre danno citotossico nella linea cellulare A459;

iv. l’analisi del potenziale patogenico tramite infezione nel modello sperimentale costituito dalla forma larvale di G. mellonella;

Il presente lavoro di tesi è stato svolto al “Dipartimento di Biologia, sezione di Genetica, Unità di Microbiologia” dell’Università di Pisa, Via San Zeno 35-39. "

" " "

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Materiali e metodi, 19

!

2. Materiali e metodi

2.1 Ceppi di C. parapsilosis

I ceppi di C. parapsilosis utilizzati in questo studio fanno parte di un’ampia collezione depositata presso il Dipartimento di Biologia, Unità di Genetica, sez. Microbiologia dell’Università di Pisa. In particolare il ceppo di riferimento di C. parapsilosis ATCC 22019 è stato utilizzato come ceppo parentale (wild type), dal quale erano state create due linee indipendenti di ceppi mutanti privi di una copia (CpALS3Ha e CpALS3Hb) o di entrambe le copie (CpALS3KOa e CpALS3KOb) del gene CpALS3. Nella

Tabella 2-1 sono riportate le caratteristiche genotipiche dei ceppi utilizzati in questo

studio.

Tabella 2.1: ceppi di C. parapsilosis ATCC 22019.

Ceppo Ceppo parentale Genotipo

CpALS3WTa Wild type

CpALS3aHC CpALS3WT ALS3/als3Δ::SAT1-FLP

CpALS3bHC CpALS3WT ALS3/als3Δ::SAT1-FLP

CpALS3aH CpALS3aHC ALS3/als3Δ::FRT

CpALS3bH CpALS3bHC ALS3/als3Δ::FRT

CpALS3aKOC CpALS3aH als3Δ::SAT1-FLP/als3Δ::FRT

CpALS3bKOC CpALS3bH als3Δ::SAT1-FLP/als3Δ::FRT

CpALS3aKO CpALS3aKOC als3Δ::FRT/als3Δ::FRT

CpALS3bKO CpALS3bKOC als3Δ::FRT/als3Δ::FRT

a:

ceppo di riferimento ATCC 22019

I ceppi erano mantenuti in piastre di YPD agar [10g/l yeast extract, 20g/l peptone, 20 g/l destrosio, 15 g/l agar, Liofilchem s.r.l. Roseto degli Abruzzi (Te)] ad eccezione dei ceppi con la cassetta che venivano invece mantenuti su piastre di YPD agar in presenza dell’agente di selezione nurseotricina 100 µl/ml (Nou, Warner BioAgents).

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Materiali e metodi, 20

!

2.2 Caratterizzazione dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb, CpALS3KOa, CpALS3KOb

2.2.1 Crescita in terreno liquido

La capacità replicativa in terreno liquido dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb, CpALS3KOa, CpALS3KOb è stata valutata mediante l’allestimento di curve di crescita in brodo YPD. Per ogni ceppo in esame veniva effettuato un inoculo in 10 ml di terreno YPD, successivamente incubato a 30°C per 16 ore. Al termine dell’incubazione veniva effettuata una diluizione aliquotando 1 ml della brodocoltura in 60 ml di terreno YPD fresco preparato in beute di vetro sterili. Le beute erano incubate a 30°C in agitazione per 7 ore. A intervalli regolari di 60 minuti veniva prelevato 1 ml dalla coltura per valutare la densità ottica (O.D.λ600) tramite

misurazione spettrofotometrica (Agilent 8453, Hewlett Packard, U.S.A.). Per valutare la vitalità delle cellule di lievito presenti nella brodocoltura, contestualmente alla misurazione della densità ottica era prelevata un’aliquota (500 µl) per poi effettuare delle diluizioni seriali in ragione 10 (10-1-10-5). Le diluizioni 10-3, 10-4, 10-5 venivano quindi seminate su agar Sabouraud ed incubate per 24h a 30°C. Al termine dell’incubazione erano contate le unità formanti colonia (CFU).

2.2.2 Formazione pseudoife

La capacità dei ceppi in studio di produrre pseudoife era valutata mediante l’osservazione al microscopio ottico, dopo coltivazione dei microrganismi in condizioni inducenti (10% siero bovino fetale, FBS). In breve, una colonia per ciascuno dei ceppi CpALS3WT, CpALS3Ha, CpALS3Hb, CpALS3KOa, CpALS3KOb era inoculata in 10 ml di terreno YPD e la brodocoltura era incubata a 30°C per 16 ore. Al termine dell’incubazione, si procedeva alla determinazione del numero di lieviti/ml mediante conta in camera di Bürker della diluizione 1:10 (cellule/ml= n° medio cellule x 102 x 104). A seconda del valore ottenuto per ciascun ceppo, le colture erano diluite o concentrate fino alla concentrazione di 1 x 106 cellule/ml richiesta per l’allestimento del saggio.

All’interno di ciascun pozzetto di una piastra per colture cellulari (24 pozzetti) era distribuito 1 ml di YPD brodo addizionato con 10% di siero bovino fetale (FBS, Lonza) e 50 µl di una sospensione cellulare di ogni ceppo alla concentrazione di 6 x 106 cellule/ml. Nel pozzetto adibito al controllo negativo erano aliquotati 50 µl di

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Materiali e metodi, 21

!

brodocoltura e 1 ml di terreno YPD non addizionato con siero bovino fetale. Come mostrato in Figura 2.1, per ogni ceppo erano effettuate quattro repliche.

Figura 2.1: Rappresentazione schematica di una piastra a 24 pozzetti per colture cellulari utilizzata per

l’allestimento del saggio di valutazione della produzione di pseudoife.

La piastra era incubata a 30°C per 24 ore in assenza di agitazione. Al termine dell’incubazione, 10 µl della sospensione erano prelevati da ciascun pozzetto per allestire un preparato fresco. I vetrini erano quindi osservati al microscopio ottico con un ingrandimento 400x.

2.2.3 Valutazione delle proprietà adesive dei ceppi in studio a cellule epiteliali buccali umane (HBEC)

Allo scopo di valutare il contributo di CpALS3 alla capacità di C. parapsilosis di aderire a cellule epiteliali buccali umane (HBEC), è stato allestito un saggio di adesione a cellule buccali esfoliate. In breve, le sospensioni di ciascun ceppo in studio (CpALS3WT, CpALS3Hb e CpALS3KOb) erano preparate mediante inoculo in 10 ml di brodo YPD e incubati a 30°C per 16 ore in agitazione. Allo scadere dell’incubazione veniva effettuato un inoculo aliquotando 500 µl da ciascuna brodocoltura in 20 ml di terreno YPD fresco, incubando la coltura per 24 ore a 30°C in agitazione. Le brodocolture erano quindi sottoposte a centrifugazione per 10 minuti a 4200 rpm e il pellet lavato per due volte con 10 ml di PBS e un’ultima volta con 5 ml di PBS. Parallelamente, venivano prelevate, tramite esfoliazione con tampone, le HBEC da un donatore non portatore di Candida. Una volta strofinato per un paio di minuti all’interno della guancia, il tampone veniva posto all’interno di tubo con 5 ml di PBS sterile per permettere il rilascio in soluzione delle cellule buccali. Il campione di cellule buccali era sottoposto a centrifugazione a 2200 rpm per 5 minuti e il pellet

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lavato una volta con 5 ml di PBS e infine con 3 ml di PBS. A partire da ciascuna sospensione di lievito erano allestite delle diluizioni seriali in ragione 10 (1:10, 1:100, 1:1000) in acqua deionizzata. Successivamente si procedeva al conteggio dei lieviti in camera di Bürker e alla determinazione della concentrazione cellulare. Ciascun ceppo era successivamente diluito o concentrato fino alla concentrazione di 1 x 108 cellule/ml. A differenza delle colture di lievito, la sospensione di HBEC non era diluita e si procedeva direttamente al conteggio in camera di Bürker. Anche le cellule buccali erano diluite o concentrate fino ad arrivare alla concentrazione di 1 x 105 cellule/ml.

La co-incubazione di ciascun ceppo in esame con le cellule buccali era allestita aliquotando in una vial di vetro 200 µl della coltura di lievito e 200 µl della sospensione di HBEC alle rispettive concentrazioni finali. Per ciascun ceppo in studio la co-incubazione veniva effettuata in triplicato. Ciascuna vial era incubata a 37°C per 45 minuti in agitazione.

Allo scadere dell’incubazione il contenuto di ciascuna vial veniva lavato con 2 ml di PBS, il quale veniva prelevato e sottoposto a filtrazione tramite l’utilizzo di filtri di diametro di 10 µm (Merck Millipore Ltd, Tullagreen). Questa azione era ripetuta due volte al fine di sottoporre a filtrazione l’intero contenuto della vial. I filtri avevano una porosità tale da lasciar passare le cellule di Candida ma non le cellule buccali. Per tale motivo, i lieviti non adesi alle cellule buccali venivano persi con la filtrazione, mentre i lieviti che nel corso dell’incubazione avevano aderito alle cellule del donatore rimanevano sulla superficie del filtro assieme alle cellule buccali.

Il filtro veniva infine prelevato tramite l’utilizzo di pinzette e posizionato su un vetrino porta-oggetti per sottoporlo a colorazione di Gram, che rendeva le cellule di lievito color blu scuro e le cellule buccali color rosa chiaro. I filtri erano quindi osservati al microscopio ottico ad ingrandimento 1000x. La capacità adesiva di ciascun ceppo era espressa come numero di lieviti adesi a 100 cellule buccali osservate. La standardizzazione dei dati grezzi è stata eseguita tramite il rapporto tra il singolo valore ottenuto per ciascun ceppo in esame e il valore medio ottenuto nell’esperimento con il ceppo CpALS3WT. Infine è stata effettuata un’analisi statistica tramite ANOVA a una via con il software GraphPad InStat, utilizzando il test di Dunnett.

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2.3 Creazione del ceppo ricostituito nel gene CpALS3

Allo scopo di confermare il contributo di CpALS3 nell’adesione di C. parapsilosis, nel corso di questo lavoro di tesi è stato creato un ceppo complementato, tramite la re-introduzione di una copia wild type del gene CpALS3 nel background del mutante nullo CpALS3KOb.

2.3.1 Ceppi batterici e plasmidi utilizzati per la creazione del ceppo ricostituito Il ceppo di Escherichia coli DH10β (genotipo: F-, mcrA, Δ[mrr-hsdRMS-mcrBC], φ80dlacZΔAM15, ΔlacX74, endA1, recA1, deoR, Δ[ara, leu]7697, araD139, galU,

galK, nupG, rpsL, λ-) è stato utilizzato in questo studio in quanto viene comunemente

impiegato negli esperimenti di trasformazione di plasmidi di grandi dimensioni ed è caratterizzato da una elevata efficienza di trasformazione. I due plasmidi utilizzati sono elencati nella sottostante Tabella2-2.

Tabella 2.2: Caratteristiche dei plasmidi utilizzati in questo studio. ! Plasmide Caratteristiche genotipiche Utilizzo P3ALS3 [FRT-MAL2p- CaFLP-ACT1t- CaSAT1-FRT-3’ALS3] Plasmide di base per la costruzione di P3RALS3 P3RALS3 [CpALS3-FRT- MAL2p-CaFLP- ACT1t-CaSAT1-FRT-3’ALS3] Creazione del ceppo ricostituito nel gene CpALS3

aPSFS2 è stato gentilmente donato dal Prof. Morschäuser (Reuss et al.,2004).

Per descrivere le caratteristiche di ciascun plasmide sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni:

• CaFLP gene codificante per la ricombinasi sito specifica flippasi adattato a C.

albicans;

• CaMAL2p promotore (di C. albicans) inducibile in presenza dell’induttore maltosio; • CaSAT1 gene codificante per la resistenza alla Nurseotricina (marker di selezione dominante) adattato a C. albicans;

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• FRT sito di riconoscimento minimo della ricombinasi FLP; • ACT1t terminatore della trascrizione del gene actina (ACT1).

2.3.2 Preparazione del DNA plasmidico

L’estrazione del DNA plasmidico (pDNA) veniva effettuata mediante lisi alcalina con SDS delle cellule batteriche. Una colonia del ceppo DH10β di E. coli, contenente il DNA plasmidico di interesse, era inoculata in 5 ml di terreno LB (Luria Bertani) addizionato con Ampicillina (Sigma-Aldrich) alla concentrazione di 100 µg/ml e incubato O.N. a 37°C. Al termine dell’incubazione, la brodocoltura era centrifugata a 4600 rpm per 5 minuti e il pellet risospeso in 100 µl di Alkaline solution I (50 mM glucosio, 25mM Tris-Cl pH 8.0, 10 mM EDTA pH 8.0) precedentemente mantenuta in ghiaccio. La sospensione batterica era aliquotata in un tubo eppendorf al quale erano aggiunti 200 µl di Alkaline solution II (0.2 N NaOH, 1% SDS). La soluzione veniva mescolata delicatamente per inversione, dopodiché venivano aggiunti 150 µl di Alkaline Solution III (60 ml di una soluzione 5M di acetato di potassio, 11.5 ml di acido acetico glaciale e 28.5ml di H2O) e i campioni conservati per 5 minuti in

ghiaccio. Il lisato batterico veniva centrifugato a 4°C alla massima velocità e il sovranatante trasferito in una nuova provetta alla quale era aggiunto un egual volume di fenolo-cloroformio-alcol isoamilico (PCAI, 24:1:1). La centrifugazione permetteva di distinguere due fasi: una fase organica inferiore contenente le proteine e una fase acquosa superiore, contenente il pDNA, che veniva prelevata e trasferita in un nuovo tubo. Gli acidi nucleici venivano precipitati tramite aggiunta di due volumi di etanolo al 96%, incubati per 2 minuti a temperatura ambiente, e centrifugati alla massima velocità per 5 minuti a 4°C. Il pellet formatosi era lavato con 1 ml di etanolo al 70% al fine di rimuovere qualsiasi traccia di sali e incubato per 1 ora a 37°C in 50 µl di TE in presenza di RNasi A (20 µg/ml). Il campione veniva infine conservato a -20°C.

2.3.3 Costruzione del plasmide P3RALS3

L’intera regione codificante il gene CpALS3 (4439 bp, incluse 26 bp a monte e 21 bp a valle della open reading frame, ORF) veniva amplificata a partire dal DNA genomico del ceppo di riferimento di C. parapsilosis ATCC 22019, mediante l’utilizzo della Q5® High-Fidelity DNA Polymerase (New England Biolabs Inc.) e dei primer 5COMF2 e 5COMR2 (Tabella 2.3) contenenti il sito di restrizione rispettivamente per ApaI e XhoI (New England Biolabs Inc.). Il prodotto di PCR era in seguito digerito

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con 25 unità dell’enzima ApaI per 2 ore a 25°C e successivamente con 25 unità di XhoI per 2 ore a 37°C, in presenza di 5 µl di tampone (NEBuffer 4) e 0.5 µl di BSA (50 µl volume totale della reazione). Parallelamente, era eseguita la digestione del plasmide P3ALS3 (estratto come descritto nel paragrafo 2.3.2), utilizzato come

backbone per l’inserimento della copia wild type di CpALS3, con 25 U per ciascuno

degli enzimi ApaI , XhoI e SacI. Come raffigurato in Figura 2.2, la digestione del plasmide P3ALS3 con i tre enzimi di restrizione permetteva di discriminare due differenti prodotti: il backbone del plasmide pBluescript (circa 3 Kb) e la cassetta

SAT1 con la regione di omologia al 3’ di CpALS3 (circa 4.7 Kb). Questa strategia di

digestione con tre enzimi consentiva di discriminare facilmente le digestioni parziali dovute al malfunzionamento di uno dei tre enzimi.

Tabella 2.3:!Elenco dei primer utilizzati in questo studio.! Primer Sequenza (5’-3’) A4REV1 TGGTTGTTAATTTCTTATCGCCA UP4F1 CGCGCAGAGAAGAAGAAAAAGTT But237 GCTGTTCCGTTATGTGTAATCATCC CPAG_05056F AAAGTCACCACCACCGAGGTT 5COMF2 ATAAGGGCCCGTCTCACCAACACGAATCCA (sito ApaI) 5COMR2 GTATCTCGAGCACGACGATATTGGTCAAAGC (sito XhoI) PROB4UPF CGTCAAGTCTCACCAACACG PROB4UPR CCTTGGAAGTTTGCAGTGGT

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