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L'accampamento romano

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Academic year: 2021

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(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Storia

L’accampamento romano

Relatore

Prof. ssa Maria Domitilla Campanile

Candidato Cecilia Piscini

(2)
(3)

i

INDICE

INDICE ... i

INDICE DELLE FIGURE ... iv

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI USATE NEL CORSO DEL LAVORO ... vi

INTRODUZIONE ... vii

CAPITOLO PRIMO ... 1

L’accampamento romano ... 1

Conclusioni ... 29

CAPITOLO SECONDO ... 36

Terminologia tecnica su parti/opere di difesa dell’accampamento romano in base alle fonti letterarie ... 36

Conclusioni ... 44

CAPITOLO TERZO ... 45

CASTRUM e CASTELLUM, uno studio toponomastico ... 45

Italia ... 47

Francia ... 52

Penisola Iberica ... 54

Sardegna ... 58

(4)

ii

Conclusioni ... 61

CAPITOLO QUARTO ... 62

La difesa dell’Impero e il limes Africae: origine, storia e dislocazione strategica delle sue postazioni difensive. ... 62

Il limes Africae ... 67

CAPITOLO QUINTO ... 79

Verifica degli schemi degli autori classici attraverso i resti di alcuni campi collocati lungo il limes nord-africano ... 79

Lambaesis ... 79

Thamusida ... 89

Castellum Dimmidi ... 98

Gemellae e il suo castrum ... 103

CAPITOLO SESTO ... 112

Campi africani più piccoli situati lungo il limes nord-africano ... 112

Il castrum di Thabudeos ... 115

La fortezza di Bu-Ngem ... 118

La fortezza di Gheriat el-Garbia ... 121

CAPITOLO SETTIMO ... 124

Centenaria, fattorie fortificate, burgi ... 124

Centenarium quod Aqua viva appellatur ... 126

Il centenarium di Mselletin ... 128

(5)

iii Conclusioni ... 132 BIBLIOGRAFIA ... 134 APPENDICE I ... POLIBIO, Storie (Libro VI 27-42) ... Il campo dei Romani ... APPENDICE II ... 143 IGINO, De munitionibus castrorum ... 143

(6)

iv

INDICE DELLE FIGURE

FIGURA 1 - Schema di accampamento di un esercito romano di due legioni ... 11

FIGURA 2 - Schema generale del campo descritto da Polibio per un esercito consolare di due legioni e due ali di socii ... 15

FIGURA 3- L’accampamento di Igino ... 23

FIGURA 4- L’accampamento secondo l’Imperatore Maurizio ... 25

FIGURA 5 - Campo militare organizzato in caso di riunione di due eserciti consolari ... 35

FIGURA 6 - Tipologie di profilo del fossato. A = fossa fastigata ; B = fossa punica ... 40

FIGURA 7- I cervoli ... 41

FIGURA 8 - Tipi di clavicula ... 44

FIGURA 9 - Il limes Tripolitanus ... 78

FIGURA 10 - Il limes Numidicus ... 78

FIGURA 11- Pianta dell’accampamento di Lambaesis ... 87

FIGURA 12 - Pianta e veduta del praetorium di Lambaesis ... 88

FIGURA 13 - Pianta del campo di Thamusida ... 97

FIGURA 14 - Pianta di Castellum Dimmidi ... 102

FIGURA 15 - Campo di Gemellae ... 111

FIGURA 16 - Posizione geografica del Castrum du Confluent/Mesarfelta ... 113

FIGURA 17 - Castrum di Thabudeos ... 117

FIGURA 18 - Fortezza di Bu-Ngem ... 120

FIGURA 19 - Fortezza di Gheriat El-Garbia ... 123

FIGURA 20 - Pianta del campo di Aqua Viva ... 127

(7)

v FIGURA 22 - Piante di fattorie fortificate africane ... 129 FIGURA 23 – Piante fattorie fortificate sul limes triplitano ... 131

(8)

vi

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI USATE NEL

CORSO DEL LAVORO

ANT.AFR. = Antiquités africaines

BAR = British Archeological Reports (International Series) CIL = Corpus inscriptionum Latinarum

CRAI = Académie des inscriptions et belles-lettres.Comptes rendus des séances de l’année

DS = Daremberg-Saglio Pottier, Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines

DBG = De bello gallico

EAA = Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale ILS = H.Dessau, Inscriptiones Latinae selectae

IRT = Inscriptions of Roman Tripolitania

JRS = The Journal of Roman Studies

MEFRA = Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité PBRSCHR = Papers of the British School at Rome

RAF = Revue Africaine

(9)

vii

INTRODUZIONE

L’oggetto di questo lavoro è l’esame della struttura dell’accampamento romano, dal modello fornito dallo storico greco Polibio fino a quello bizantino dell’Imperatore Maurizio e dell’Imperatore Leone il Filosofo, cercando di individuare le analogie, le differenze e le novità sia sul piano teorico che su quello pratico.

La ricerca, quindi, ha affrontato un’indagine di tipo diacronico sull’evoluzione da un modello all’altro, all’incirca dal II sec. a.C. al periodo bizantino (X sec.d.C.)

Lo studio del materiale riguardante il castrum è stato indirizzato verso diversi campi di indagine, dalla verifica delle fonti antiche, all’innalzamento vero e proprio di tali costruzioni, all’impiego dei materiali, ai componenti della struttura stessa, all’evoluzione che l’accampamento subisce nel corso dei secoli.

Alcune delle fonti esaminate sono contemporanee al periodo trattato: ad esempio, il trattato di Igino, De munitionibus castrorum, (del III sec. d.C.), di Vegezio, De re militari, (390 circa d.C.) di Maurizio Imperatore (VI sec.d.C.), Strategikon, senza omettere le notizie riguardanti l’accampamento fornite da altre fonti, come “Le Storie” del greco Polibio (150 a.C.), dello storico Flavio Giuseppe, (75 circa d.C.), di Africano (220 circa d.C.), dell’Imperatore Leone il Filosofo (X sec.d.C), che forniscono notizie altrettanto utili sulle regole utili all’innalzamento del castrum e che sono, cronologicamente, i punti iniziali e finali di questa ricerca, oltre a pubblicazioni più o meno recenti di studiosi che hanno ricostruito la fisionomia e l’evoluzione dei castra “dell’Impero romano.

La seconda parte ha riguardato l’analisi e la comparazione di varie tipologie di accampamenti romani situati sul limes africano, allo scopo di mettere in evidenza l’evoluzione strutturale delle difese lineari romane in questa zona dell’Impero.

(10)

viii L’indagine di tipo storico-archeologico è stata affiancata da una prima indagine di tipo linguistico volta a fornire, quando possibile, una comparazione tra il lessico greco e quello latino riguardo alla terminologia tecnica su parti/opere di difesa dell’accampamento in base alle fonti letterarie.

E’stata seguita da quella di tipo toponomastico al fine di verificare in toponimi dell’area latino-romanza l’evoluzione e gli esiti del termine castrum.

L’argomento trattato, di per se’ molto vasto, è stato oggetto di precedenti indagini, ricerche e considerazioni da parte di studiosi di ogni epoca che hanno magistralmente delineato l’evoluzione e l’aspetto dell’accampamento romano.

Le aspettative di questo lavoro, di tipo compilativo, non sono tanto quelle di scoprire materiale inedito o di tirare nuove e sorprendenti conclusioni, quanto quelle di essere riuscita a fornire un quadro sufficientemente esauriente dell’argomento.

(11)

1

CAPITOLO

PRIMO

L’accampamento romano

Per indicare qualsiasi tipo di difesa, anche un semplice muro, il termine usato dai Romani era munimentum (Tac., Ann., III 26,2; CIL, VIII, nn. 2546 e 2548; Isid., Etym., XV II 13 ), invece, per indicare l’accampamento, si servivano del termine castra, la struttura di dimensioni diverse, con scopi di protezione, che veniva allestita e fortificata dall’esercito, o in modo permanente o dopo ogni giornata di marcia.

Poteva alloggiare un’intera legione e, se temporanea, spesso veniva smontata la mattina seguente o, comunque, dopo pochi giorni dal suo innalzamento.

Usato era anche il termine castrum, che, secondo il grammatico Servio1, indicava opere non necessariamente militari ma anche civili.

Derivante dall’osco castrous che significava “proprietà”, forse, in origine, il termine assunse il significato di “luogo munito di recinti” e simili (Corn.Nepote, Alc. 9,3) dove stava ad indicare “un luogo chiuso e fortificato” per assumere, alla fine, quello di “forte/fortezza” .

Poteva riferirsi, come il sostantivo castra, a strutture temporanee di varie dimensioni o a quelle fisse di epoca imperiale e, in epoca tardo-imperiale, addirittura a vere e proprie fortezze.

Se per molto tempo il sostantivo castrum ha indicato qualsiasi struttura fortificata, recentemente studiosi moderni consigliano, invece, l’uso del termine castra per indicare le

1

(12)

2 installazioni di tipo militare, qualunque sia la loro superficie, in quanto non esiste altro termine per un impianto di dimensioni tali da accogliere un’intera legione2.

Ricorrente è anche il termine castellum, diminuitivo di castra indicante, durante l’Alto Impero, sia un piccolo avamposto (Cesare, DBG,VII 69; Tac., Agr., XVI 1; XX 3; XXV 3) sia un campo di dimensioni più contenute ma anche un grande villaggio con status giuridico subordinato alla città3.

Esiste poi una serie molto ricca di termini indicanti installazioni militari di dimensioni diverse e diverse anche cronologicamente, quali presidium, burgus, burgi speculatorii,

stationes, centenaria, turris 4.

Si distinguevano campi provvisori, castra aestiva, spesso costruiti e distrutti giornalmente, e campi permanenti, castra hiberna/stativa, tant’è che per indicare le giornate di marcia di un esercito, si usava l’espressione secundis castris, “dopo due giorni di cammino” (Livio, XLIV 7; Tac. Hist. III 15) o quintis castris “dopo cinque giorni di cammino” (Cesare, DBG, VII 36).

La differenza tra gli uni e gli altri consisteva piuttosto nelle dimensioni e nei materiali utilizzati per costruirli e, vista questa loro caratteristica, di essi non sono rimaste tracce archeologiche ma solo testimonianze letterarie e iconografiche da ricercare, queste, nella Colonna Traiana e nella Colonna di Marco Aurelio.

L’origine delle fortificazioni romane si può far risalire, forse, ad un passo di Frontino (Stratagemata, IV I,14) in cui si fa riferimento ad un assalto compiuto da soldati italici ad un campo fortificato del re Pirro, dal quale essi avrebbero tratto ispirazione al fine di costruire un elemento difensivo:” .. nei tempi antichi i Romani e gli altri popoli erano soliti stabilire gli accampamenti qua e là per reparti, poiché solo le città conoscevano le mura. Pirro, re dell’Epiro, istituì per primo l’uso di accogliere l’esercito all’interno di un’unica 2 BACCOLINI 2000, p. 28. 3 MATTINGLY 2013, p. 14. 4 CASCARINO 2010, pp. 181-186.

(13)

3 difesa. Quindi i Romani, preso il suo campo e osservatene la struttura, gradualmente arrivarono a tracciare quel campo che oggi conosciamo”.

La scelta del luogo su cui innalzare l’accampamento, di forma rettangolare o quadrata, con i lati lunghi 500m., circa e con una superficie di 3.328.128ft2 secondo Polibio, o di 21.600 secondo Igino5, era considerata in ogni epoca prerogativa distintiva di un buon comandante (Cesare, DBG,V 9; Livio, XXXV, 14, 28; Quintiliano, Inst.Orat., XII 3; Tacito, Agr., XX; Hist., II 5) che ne affidava il compito prioritario agli ufficiali e al metator e doveva rispondere ad alcuni requisiti indispensabili: lati orientati verso i punti cardinali, fronte volto verso levante, parte posteriore verso occidente, lato destro verso sud, sinistro verso nord.

Il campo, di chiara ispirazione ippodamea6, era diviso da linee distinte di cui i decumani erano orientati da est a ovest, le altre, cardini, da nord a sud, criteri derivanti dalla aruspicina.

Doveva essere facilmente difendibile, (Ces., DBG, II 18; VIII 36) non presentare strapiombi, possedere giusta pendenza del terreno per favorire areazione, rapida sortita in caso di assedio, eliminazione dei liquami, oltre a fornire acqua, legna e abbondanza di foraggio per i cavalli.

Si sceglieva un terreno preferibilmente difeso da elementi naturali quali fiumi o ruscelli 7 e possibilmente livellato, altrimenti si procedeva alle operazioni di spianamento, operazione eseguita da un agrimensore, mensor, che poneva al centro del terreno uno strumento, la

groma, costituito da quattro fili a piombo che disegnavano, tramite livellazioni di 90°, le

dislocazioni delle vie e del muro, seguite da quelle dello scavo di un fosso.

5

POLIBIO, Storie VI 26, 10-37, 6. IGINO, De mun. castrorum. 6

CASTAGNOLI 1956, p. 98. 7

(14)

4 Una volta tolta la terra dal fosso scavato, essa veniva depositata subito a ridosso, poi spianata, al fine di creare un terrapieno, agger.

Sopra all’agger era costruita una palizzata di legno, a volte sostituita da un muretto di terriccio o di pietra, vallum, dotata anche di torri e bastioni che potevano sostenere pezzi di artiglieria.

Queste operazioni richiedevano circa due ore di lavoro8.

Subito dietro il vallum veniva lasciato uno spazio libero, intervallum, con lo scopo di raccogliere frecce e giavellotti, una volta che i nemici fossero riusciti a superare il muro di cinta.

Su ciascun lato del campo si apriva una porta che poteva essere provvista di un muretto davanti all’apertura, titulus, o di un prolungamento dei due muri con archi di cerchio detti

clavicula, utilizzati per bloccare una eventuale intrusione del nemico9 di cui bisognava respingere l’assalto. Per tale motivo, davanti alla fortezza i soldati scavavano buche, in fondo alle quali depositavano tronchi d’albero completi di rami, detti cervuli 10.

Quindi quattro ingressi, di cui la porta praetoria era quella che guardava il nemico,

la porta decumana quella dalla quale entravano gli approvvigionamenti e che era anche utilizzata come via di fuga, la porta dextera e la porta sinistra sugli altri lati.

Queste porte, a loro volta, erano collegate da due strade principali, via praetoria e via

principalis, corrispondenti, la prima al cardo (da nord a sud) e la seconda al decumanus

( da est a ovest) e la via quintana.

Le strade si intersecavano ad angolo retto al centro del campo e in questo punto erano allestiti la tenda del generale, praetorium, quella del questore, quaestorium, le tribune per i

8

IGINO, De munitionibus castrorum XXVI-XXVII; LVII. VEGEZIO, Epitoma rei militaris, III,8.

9

IGINO, De munitionibus castrorum XLIX, LV. FLAVIO GIUSEPPE, La guerra giudaica, III 5,I (80). LENOIR M., MEFRA, Roma 197, pp. 697-722. 10

IGINO, De mun.castrorum, LI. FRONTINO, Stratagemata, I 5,2.

(15)

5 consigli di guerra tribunal, l’altare per i sacrifici auguratorium e la piazza, forum, gli alloggi per gli ufficiali e i soldati, tabernacula o tentoria, costruiti con pelli e tela, laboratori, ospedale, infermeria per i cavalli 11.

Gli attendamenti dei reparti formavano delle strigae, cioè sei rettangoli separati da vie e tagliati a metà dalla via quintana con la maggior lunghezza in senso longitudinale o nel senso della latitudine a seconda che occupassero la pars postica o quella antica.

In ognuna della strigae erano accampati dieci reparti, velites, manipuli, cohortes, numericamente diversi a seconda delle forze presenti o dello spazio disponibile.

Sia le tende degli ufficiali, tabernacula, che quella del generale, praetorium, e quelle dei soldati, tentoria, erano costruite con pelli, donde l’espressione sub pellibus habere milites (Liv.V 2,7; Caes. DBG. III 29,2) e tela, (Veg. III ,VIII 15) se si trattava di tende innalzate in campi temporanei; nei campi permanenti erano sostituite da capanne il cui tetto era ricoperto da paglia e pelli.

Strutturate come moderne canadesi, avevano una base quadrata di circa tre metri di lato, due aperture, una davanti, l’altra dietro e tetto a doppio spiovente, teso mediante picchetti. Erano dette tentoria da tendere e stavano ad indicare la tenda mobile eretta con pelli o stoffe, oppure tabernacula, indicanti più propriamente una baracca eretta con tavole di legno tipiche del campo permanente dell’esercito; contubernales erano detti i soldati che convivevano nella stessa tenda.

Secondo alcune fonti antiche, (Livio I 5; Cesare, DBG, III 13 e 29; Tacito Ann.., XII 35 e addirittura Ammiano, XX VI 9 e Floro I 6), l’espressione sub pellibus era sinonimo di accampamento e, addirittura, di campagna militare senza contare, poi, che l’altra espressione, sub pellibus hiemare era considerata una punizione piuttosto grave, dovuta a gravi mancanze (Frontino, Strat., IV I,24)12.

11

IGINO, De mun. castrorum, XI, XII, XIII. 12

(16)

6 Dette anche papiliones perché molto simili, una volta ripiegate, a farfalle, misuravano 10ft di lato e 5 di altezza ed erano progettate per ospitare 8 uomini e siccome una centuria completa contava 80 soldati, si avevano 10 tende che si estendevano per una lunghezza di 120ft (Hyginus, De mun.castr.,1).

Secondo Vegezio, invece, una tenda ospitava 10 uomini (Vegezio, II 13).

Il nome assegnato da Igino a questo tipo di tende risiede nel fatto che, una volta arrotolate, alle due estremità rimanevano due pezzi di stoffa che ricordavano l’immagine della larva e più precisamente l’insetto che emerge dalla crisalide: in una parola, potevano rievocare l’immagine delle ali di una farfalla.

L’esigenza di usare materiali facilmente pieghevoli derivava dalla necessità di caricare in modo agevole, durante gli spostamenti del campo, le tende arrotolate sulle bestie da soma che trasportavano anche altre salmerie13.

Stessa forma dovevano avere sia la tenda del comandante che quella degli ufficiali, che erano però, più grandi e spaziose. La stessa colonna Traiana e Aurelia mostrano, nei loro rilievi, piccole case con doppio tetto a spiovente e tende che ne chiudono l’ingresso che possono essere considerate dei tabernacula.

Le fonti storiche analizzate non esprimono considerazioni in merito, quindi si deve dedurre che questo tipo di tenda si mantenne inalterato nel tempo.

La tenda del generale era generalmente un edificio considerevole rispetto agli altri, si chiamava praetorium e non era molto diversa dalle altre se non perché più grande, tuttavia il comandante poteva personalizzarla in qualche modo con arredi portati da casa come dimostrato da Svetonio (Suet., Caes.46) in cui si ha notizia di un pavimento a mosaico che

13

IGINO, De mun.castrorum, I.

VEGEZIO, Epit.rei militaris, I 3, 23; II 3; III 8. ISIDORO, Origines, XV 40.

(17)

7 Cesare, durante le campagne militari di Gallia, avrebbe trasportato per stenderlo sul terreno della propria tenda.

Il nome stesso di praetorium come tenda del comandante deriverebbe da praetor titolo assegnato al generale prima che ricevesse il titolo di consul e cioè prima che il consolato diventasse, nel 367 a. C., un’istituzione disgiunta dalla pretura.

Anche dopo questo mutamento giuridico il termine praetorium rimase inalterato per indicare il luogo in cui trovava posto il console, in particolare nei campi mobili, mentre in quelli permanenti diventa una costruzione stabile che comprende addirittura un insieme di edifici come l’augural il tribunal ed altre stanze adibite ad usi ben particolari.

L’uso del termine praetorium rimane dunque invariato nel tempo a definire non più un’unica tenda, quella del praetor, bensì tutta la parte del campo prospiciente la via

principalis e definita principia ed era il punto principale intorno al quale si dislocava un

accampamento di qualsiasi tipo.

Se si considera che l’innalzamento di castra aestiva era un’organizzazione assai complessa e che questi, data la loro funzione di campi temporanei potevano essere innalzati e distrutti anche in un giorno, non possiamo non ammettere che ogni soldato, dagli ufficiali ai semplici legionari, avevano ognuno competenze e conoscenze ben strutturate da operare bene e in fretta.

Quando il pericolo non era incombente o si aveva poco tempo a disposizione da dedicare alla difesa del campo, accadeva di munirlo in modo più approssimativo, da cui l’espressione castris levi munimento positis, oppure castella temere munit 14.

L’accampamento da temporaneo, castra aestiva, (se si trattava di campi innalzati durante le campagne estive), divenne stabile castra stativa o castra hiberna ed era destinato al riposo invernale dell’esercito, come recitano autorevoli fonti:

14

SALLUSTIO, Jugurt 91 “ innalzato l’accampamento debolmente fortificato”. SALLUSTIO, Jugurt.54 “ fortezze scarsamente difese”.

(18)

8 LIV., XXIX 35,13: Et (iam hiems instabat) castra hiberna in promunturio quod, tenui iugo

continens adhaerens, in aliquantum maris spatium extenditur, comminuit. uno vallo et navalia castra amplectitur.

“E incombendo già l’inverno, si fortificò sopra un promontorio che, attaccato con dolce prominenza al continente, si protende per alquanto spazio in mare e in un solo steccato racchiude anche gli alloggiamenti navali”.

CAES., Bell.Gall., I 10,54: Ob eas causas ei munitioni, quam fecerat, T.Labienum

praefecit; ipse in Italiam magnis itineribus contendit duasque ibi legions conscribit et tres, quae circum Aquileiam hiemabant, ex hibernis deducit et, qua proximum iter in ulterior Galliam per Alpes erat, cum his quinque legionibus ire contendit.

“Per queste ragioni mise il luogotenente T.Labieno a capo delle fortificazioni che aveva fatto; egli stesso scese in Italia a marce forzate e qui arruolò due legioni e ne richiamò dai quartieri invernali tre che svernavano vicino Aquileia e con queste legioni si diresse verso la Gallia Ulteriore per la strada più vicina attraverso le Alpi”.

CAES., Bell.Gall., II 35: Ipse in Carnutes, Andes, turones, quaeque civitates propinquae

his locis erant, ubi bellum gesserat legionibus in hiberna deductis, in Italiam profectus est.

“E condotte le legioni negli accampamenti invernali, nelle terre dei Carnuti, degli Andi, dei Turoni e dei popoli vicini ai luoghi in cui aveva combattuto, partì per l’Italia”.

CAES., Bell.Gall., III 3: His nuntiis acceptis Galba, cum neque opus hibernorum

munitionesque plenae essent perfectae neque de frumento reliquaque commeatu satis esset provisum, quod deditione facta, obsidibusque acceptis nihil de bello timendum existimaverant, consilio celetiter convocato sententias exquirere coepit.

“Galba, ricevute queste notizie, poiché i lavori e l’opera di fortificazione del campo invernale non erano stati ultimati né si era provveduto a sufficienti scorte di viveri e di

(19)

9 grano, dato che non si vedeva motivo, dopo la resa e la consegna degli ostaggi, di temere una guerra, convocò d’urgenza i membri del consiglio di guerra e chiese loro il parere”. TAC., Ann., II 23: Sed aestate iam adulta legionum aliae itinere terrestri in hibernacula

remissae; pluris Caesar classi impositas per flumen Amisiam Oceano invexit.

“L’estate era ormai avanzata; alcune legioni furono rimandate negli alloggiamenti invernali per via terra, ma la maggior parte delle altre furono condotte da Cesare su nave, all’Oceano lungo l’Amisia”.

TAC., Ann., XIV 38: Auxitque copias Caesar missis ex Germania duobus legionarium

milites, octo auxiliarium cohortibus ac mille equitibus; quorum adventu nonani legionario milite suppleti sunt, cohortes alaeque navis hibernaculis locatae quoque nationum ambiguum aut adversum fuerit igni atque ferro vastatum.

“Cesare aumentò il contingente con l’invio di duemila legionari dalla Germania, di otto coorti di ausiliari e mille cavalieri; con il loro arrivo furono rimpiazzati i vuoti della nona legione, coorti e squadroni vennero sistemati nel campo invernale e le tribù prima indecise o ostili, furono messe a ferro e fuoco”.

VEG., Res militaris, II 11: Habet praetera legio fabros, tignarios structores carpentarios

ferrarios, pictores reliquosque artifices ad hibernorum aedificia fabricanda.

“Inoltre la legione ha con se’i fabbri, i falegnami, muratori,carpentieri, fabbri ferrai, pittori e altri

artistiper innalzare l’accampamento invernale”.

Questi campi, di dimensioni ben più grandi e spesso costruiti in muratura, offrivano alle truppe riparo in costruzioni più comode, in vere capanne ricoperte di pelli e di paglia, le cosiddette casae strumenticiae15 qualora la stagione non permettesse il soggiorno sotto le tende; anche le armi erano conservate nelle capanne e le bestie sotto le tettoie.

15

(20)

10 I castra hiberna avevano lo scopo di presidiare i territori conquistati dai Romani e non del tutto pacificati e divennero tali già al tempo dell’assedio di Veio (386 a.C.) quando fu deciso di non far rientrare a casa i soldati per la stagione invernale ma di trattenerli e pagare loro anche una quota in denaro (Livio, V 8).

A seguito della espansione territoriale questo modus agendi divenne la regola, sia perché le distanze da coprire da parte dei soldati per tornare a casa erano rilevanti, sia per la necessità di presidiare certe zone non ancora totalmente sottomesse dai Romani.

In tal modo, in località situate in punti strategici, furono costruiti accampamenti invernali più strutturati, allo scopo di proteggere i legionari dagli agenti atmosferici (Livio, XXVII 12), diventando così accampamenti permanenti, castra stativa e sedi stabili di guarnigioni (Cesare, DBG, III 30,37; Sallustio, BJ, XLI 4; Tacito, Ann., III 21), vicino ai quali sorsero interi villaggi divenuti in seguito vere e proprie città le cui tracce sono riscontrabili nei nuclei urbanistici attuali di molte città europee.

A seconda del carattere più o meno stabile ricoperto dalla legione, i castra assumevano una loro diversa connotazione: castra hiberna, campi semi-permanenti in uso fino dal tempo della Repubblica con lo scopo di mantenere l’occupazione e il controllo politico e amministrativo del territorio non ancora definitivamente romanizzato, (Tito Livio, Ab urbe condita, V 2) o come li descrive Cesare (DBG, I 54; II 35; III 3) e castra stativa, campi che assunsero tale definizione quando, in età augustea, con la riorganizzazione del limes imperiale, divennero difese permanenti non solo durante la stagione invernale (Tac., Hist., III 46,4; Ann.., I 16,2; I 30,3; Vegezio, II 11; III 8

;

Arriano, Periplo del Ponto Eussino, IX 3 )16. (Figura 1)

16

(21)

11

FIGURA 1 - Schema di accampamento di un esercito romano di due legioni

(22)

12 La fonte più antica che affronta la costruzione dell’accampamento romano risale allo storico greco Polibio17, (150 a.C.) che nelle “Storie” (VI 27-42) fornisce un’ampia descrizione del castrum di marcia giornaliero di età repubblicana, costruito per accogliere un esercito consolare formato da due legioni e un contingente di truppe alleate. (Figura 2) Il campo aveva la forma di un quadrato di 2.580ft di lato (=763m) calcolando il piede di 30,48cm18, occupava una superficie di 6.656.400 ft2(=582.000m2), un perimetro di 10.320 fti ( = 3054m) e poteva accogliere 16.800 fanti e 2.400 cavalieri.

Il terreno su cui doveva essere elevato veniva scelto e misurato da ufficiali in numero di tre (Pol. VI 41,3) χίλιαρχος καὶ ταξιάρχοι, un tribuno e due centurioni, che precedevano l’esercito, coadiuvati da agrimensori.

Di solito si sceglieva una posizione elevata che dominasse il terreno circostante per meglio difendersi da un accerchiamento nemico; nella scelta della posizione assai importante era la presenza di abbondante acqua sul luogo di approvvigionamento del foraggio (Pol.VI 27,3).

La costruzione del castrum (v.Figura 1), destinato ad accogliere circa 30.000 soldati, era subordinata all’installazione del σηµεἶον, punto di intersezione di due linee incrociantesi ad angolo retto detto anche γραμμή o, come dice Igino (De munit.castr.,12) groma, dal nome dello strumento usato dai tecnici agrimensori per determinare il punto d’incontro di due rette ortogonali.

Il σηµεἶον, diveniva il punto centrale di una linea larga cento piedi che era la via

principalis o principia (Tit.Liv. X 33), (Hyg., De munit.castr.,14) e dal centro di questa

linea era possibile avere una visione di tre delle quattro porte del campo.

Anche secondo Igino, dal punto in cui era posta la groma erano visibili le porte del campo in modo tale da disegnare una stella ( Hig., De munit.castr., 12).

17

Per il testo di Polibio, v. Appendice I. 18

(23)

13 A partire dal punto di intersezione, lungo una linea perpendicolare, τομὴ, alla via

principalis, si installavano, faccia a faccia, i cavalieri di due legioni; la parte della τομὴ che

separava le due legioni di cavalieri deve essere individuata con la διάστηµα, cioè la via

praetoria.

Dal centro della via principalis si dipartiva la ρύμη, la via decumana, larga 50ft.

(ibidem VI 29,1) che divideva trasversalmente, in due gruppi uguali, le tende degli alleati. La ρύμη era, a sua volta, tagliata perpendicolarmente da una quarta strada, la πέπτην o via

quintana che correva parallela alla via principalis (ibidem VI 30, 6).

Definite le vie intersecanti lo spazio quadrato destinato all’innalzamento del campo, Polibio passa a descrivere l’orientamento del castrum, fondamentale per definire l’assetto del quartier generale: situato in quella parte del campo che egli definisce “fronte del campo”, πρόσωπον τοῦ παητὸς σχήματος (ibidem VI 27,6), era destinato ad accogliere il

praetorium, la tenda riservata al comandante, posto al centro, quella del questore quaestorium e il forum, punto di raccolta per tutto l’esercito, per ogni decisione da

prendere19.

Ai lati di queste tre strutture si trovavano rispettivamente, da ambo i lati e posti di spalle, gli equites delecti (οὑτῶν ἐπιλεκτωνιππέων ἀπόλεκτοι) e, alcuni volontari (τίνες τῶν

ἐϑελοντήν στρατευομένων) a guardia, gli uni, del quaestorium e gli altri, del forum,

mentre i pedites delecti (οἱ πεζοί) schierati subito dietro a queste truppe, avevano il compito di salvaguardare le difese laterali.

Nell’area immediatamente retrostante al quartier generale, ai fanti (οἱ πεζοί) e ai volontari,

19 La definizione di questa “frons” ha posto non pochi problemi relativi alla sua ubicazione, in quanto per esempio, Cesare ( Bellum Civ.I 4) definisce “ fronte del campo” la parte più vicina al nemico ma dice anche che questa era la parte dove si apriva la porta pretoriana. Sembrerebbe allora trattarsi della stessa parte frons definita da Polibio che parla però di frons interna, Cesare di “ lato esterno”. Anche Vegezio (I 23) dice che la porta pretoriana “deve riguardare l’oriente o il lato in cui si trova il nemico”.

Ancora dello stesso tenore troviamo citazioni in Tacito (Ann. I 6) e Tito Livio (X 32) secondo i quali il

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14 erano collocate le tende riservate ai tribuni e ai prefetti, rivolte verso la via principalis

.

Di faccia al praetorium, veniva lasciata una via di passaggio della larghezza di cento piedi, parallela alle tende dei tribuni, sulla quale si affacciavano le tende dei cavalieri e dei fanti alleati extraordinarii (οἱ τῶν συμμάχων ἰππεῖς) che guardavano verso il tergum del

castrum, cioè verso quella che Polibio definisce τὴν ὄπισθεν ἐπιφάνειαν, faccia posteriore

di tutto l’accampamento; lo spazio rimanente tra equites e pedites extraordinarii poteva essere attribuito alle truppe alleate di rinforzo (ibidem VI 31

).

Lo spazio compreso tra la via principalis e la porta decumana era così organizzato (ibidem VI 29): davanti alle tende dei tribuni si installava la cavalleria divisa in due gruppi speculari rispetto alla via decumana; a lato di ognuno di questi due gruppi si piazzavano i

triarii e si lasciava poi libero uno spazio di cinquanta piedi sul quale era proibito il transito.

Su questa via si affacciavano i principes Romanorum (οἱ πρίγκιπες), dietro ai quali, volgendo loro le spalle e senza intervallare alcuno spazio, erano collocati gli hastati (οἱ

ἀστάτοι).

Si creava una seconda via parallela alla via decumana verso la quale erano rivolti

principes, equites e hastati alleati con un contingente identico a quello romano; la stessa

disposizione veniva messa in atto nella zona sottostante divisa, però, dalla via quintana. Definiva il perimetro di questa installazione uno spazio di duecento piedi, τὸ κένωμα, che correva lungo tutti e quattro i lati utile per lo scorrimento laterale delle truppe, evitando, così, di creare ingorghi nelle strade interne dell’accampamento e come difesa contro il lancio a lunga gittata dei proiettili nemici, oltre ad essere il luogo di ricovero del bestiame e quello in cui si ammassava il bottino tolto al nemico.

Su tutti i fianchi dell’accampamento potevano essere collocati i velites, οἱ γροσφόμαχοι, che, in gruppi di dieci e su incarico della guardia delle porte, ricoprivano funzioni di

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15 sorveglianza ma Polibio non precisa se avevano anch’essi tende proprio nei posti di guardia.

Per quanto concerne poi, le opere di fortificazione che delimitavano il campo, vengono offerti solo ragguagli marginali (ibidem VI 34): solo al par.1 del cap.34 si parla di fossato e palizzata ταφρεία καὶ χαρακοποία per stabilire la responsabilità dei costruttori piuttosto che la loro funzione.

Le fortificazioni poste ai due lati paralleli della via praetoria erano guardate dagli alleati, gli altri due dai soldati romani.

FIGURA 2 - Schema generale del campo descritto da Polibio per un esercito consolare di due

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16 Flavio Giuseppe (3 7 d.C-100 d.C.), descrive, seppure in modo eccessivamente schematico, la dislocazione dell’accampamento e la sua messa in opera (Bellum Iudaicum III 5.1. 76-84).

Rispetto alla descrizione polibiana risulta evidente che, nell’arco di tre secoli, non si erano verificati sostanziali cambiamenti relativi alla modalità di innalzamento e costruzione dell’accampamento e, da quanto l’autore scrive, si ricava l’impressione che la fondazione del castrum era un’operazione complessa ma ben definita nella distribuzione dei lavori relativi al suo impianto.

Flavio Giuseppe accenna all’opera di τέκτονες (ibidem III 5.1.76-78) persone addette alla livellazione del terreno se disuguale e ad altri problemi tecnico-pratici concernenti la dislocazione delle tende prima dell’arrivo dell’esercito.

L’accampamento, di forma quadrata, al suo interno è diviso in varie file di tende, mentre all’esterno, il recinto presenta l’aspetto di un muro, κύκκλος τείχως ὄψιν, munito di torri poste ad intervalli regolari entro i quali si ponevano armi da lancio pronte per essere usate (ibidem III 5.3. 76-78).

Nel recinto si aprono quattro porte, una su ciascun lato, utili per l’ingresso delle bestie da tiro e spaziose per le sortite degli uomini, quando necessario.

La fortificazione, difesa all’esterno, se necessario, da una fossa profonda quattro cubiti e larga altrettanto, è intersecata da strade che si incrociano ad angolo retto e la fine di ogni metà strada incontrava una porta che si apriva su ciascun lato della fortificazione; nel mezzo del recinto veniva posta la tenda del comandante, simile ad un tempio, oltre a quelle degli ufficiali μέσας μέν τὰς τῶν ἡγεμόνων σκηνὰς τίθενται, delle botteghe degli artigiani e dei seggi destinati agli ufficiali nel caso in cui debbano giudicare qualche lite (ibidem III 5,83).

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17 In questo passo sembra che Flavio Giuseppe sottolinei la necessità di assimilare urbanisticamene il castrum alla patria lontana per garantire la disciplina da parte dei soldati ma anche di offrire loro sicurezza e tranquilità, concetto ripreso anche da Tito Livio (XLIV 39): Patria altera militaris est haec sedes, vallumque pro moenibus et

tentorium suum cuique militi domus ac penates sunt.

“Per il soldato il campo rappresenta la patria assente, le opere di difesa e la tenda sono la sua casa e i suoi Penati”.

Nel III secolo d.C. il cronografo Sesto Giulio Africano, nella sua opera enciclopedica intitolata Κεστοί, dà indicazioni pratiche sull’impianto dell’accampamento (VI 6).

A differenza di Flavio Giuseppe, Africano suggerisce, come ottimale, la forma di un rettangolo allungato in quanto il nemico è obbligato a dividere le sue truppe concentrando la maggior parte delle sue forze verso il lato che egli sceglie di attaccare.

In questo tipo di campo è possibile addossare uno dei lati più lunghi ad una difesa naturale, fiume o monte, in modo da concentrare la difesa su tre lati anziché su quattro.

Africano fa riferimento al vallum lungo il quale devono accampare le truppe leggere e, a partire da questo e fino alle tende della fanteria, deve essere lasciato uno spazio vuoto di 300-400ft per bloccare il lancio delle frecce del nemico e perché le truppe possano riunirsi in caso di uscita dal campo.

A questa distanza dal vallum e su linee parallele ai fianchi del campo, devono essere posti i diversi corpi di truppe ai quali si assegnano posti proporzionati al loro effettivo, mentre truppe più affidabili devono essere poste vicino alle porte.

Accenna, inoltre, soltanto ad una grande via principale di 30-40ft di larghezza che taglia il campo a metà, senza meglio specificare se si tratta del cardo o del decumanus e lungo la quale si trovano le tende della cavalleria; la tenda del comandante non viene più posta al

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18 centro dell’accampamento per non ostacolare il libero percorso di questa grande via di comunicazione.

Igino, contemporaneo di Africano, scrive invece proprio un’opera specifica riguardante la costruzione dell’accampamento intitolata De munitione castrorum20, secondo alcuni studiosi al tempo di Traiano, secondo altri, al tempo delle guerre contro i Marcomanni condotte da Marco Aurelio (fine del II secolo d. C.); sicuramente è da considerare una fonte di informazione di grande interesse sui diversi aspetti organizzativi dell’esercito romano a prescindere dal contesto storico e operativo.

Come già aveva fatto Polibio, anch’egli offre una descrizione particolareggiata della fortificazione destinata ad accogliere circa 42.000-45.000 uomini in totale, con precise indicazioni sulle misure, sulla spartizione del terreno e sull’alloggiamento della legione all’interno di essa.

Il campo da lui descritto ha la forma di un rettangolo allungato, (Figura 3) in cui la larghezza è 2/3 della lunghezza (per esempio, largo 1660ft e lungo 2400ft) e per definire questa proporzione egli si serve del termine tertiatus (ibidem 21), termine che, di regola, significa “moltiplicato per tre” ma che, nel contesto del trattato di Igino, non sembra riferirsi tanto alla forma che il campo dovrà assumere quanto alla funzione e al vantaggio che tale forma apporterà all’esercito schierato.

Preferisce infatti un campo di forma allungata perché più salubre di altri, ut flatus aurae

aestus exercitus leniat (ibidem 21), in quanto il vento impedisce l’accumulo dell’aria calda,

constatazione un po’ particolare in quanto non si capisce come questo non possa accadere in un campo dalla forma quadrata.

20

Per il testo di Igino, v. Appendice II.

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19 Non esclude che l’accampamento possa aver una forma diversa, essere cioè, più lungo o più largo, pur comportando svantaggi nell’uso di strumenti che ritmano la vita del campo, fino ad assumere una forma molto vicina a quella di un quadrato (ibidem 21).

Anche se Igino non trascura di trattare delle tecniche usate per fortificare l’accampamento, di parlare di cinque difese fossa, vallo, [vimine], agmine, aggere, (ibidem 48), di dire che il campo deve essere protetto in tutta la sua lunghezza e larghezza dalle militiae

provinciales fidelissimae che dovevano accampare vicino al vallum, evidentemente con lo

scopo di difendere i lati esterni della pretentura, del praetorium e della retentura ( ibidem 2), preferisce, comunque, un campo di forma allungata.

Il campo deve essere innalzato in un luogo distante da montagne, posizione che i nemici potrebbero utilizzare per attaccare dall’alto o spiare la vita dentro di esso, da una foresta, nella quale i nemici potrebbero nascondersi, ne’ presso burroni, che potrebbero favorire il loro avvicinamento senza essere visti e neppure presso corsi d’acqua le cui inondazioni potrebbero danneggiare il campo (ibidem 57).

Fin dai primi capitoli, si comprende che il campo descritto da Igino è formato da tre parti che rivestono una maggiore o minore importanza in base alla carica dei soldati qui accampati: il praetorium, la pretentura e la retentura.

Il praetorium, lungo 720ft e largo dai 160 ai 220, era la parte più importante di tutto il

castrum e si trovava in posizione centrale; era diviso dalle altre due zone dalla via principalis, la strada più importante del campo, larga 60ft , compresa tra la porta dexterior

e la porta sinisterior.

Al centro del praetorium si trovava il punto chiamato locus gromae, spazio, forse un po’ troppo contenuto, in cui la turba si riuniva21 ma anche quello in cui, quando si determinavano le misure dell’accampamento, era posto il piede di ferro sul quale si

21

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20 installava la groma, in modo che, chi osservava da questo punto, le porte dell’accampamento disegnassero una stella (ibidem 12).

Nella parte anteriore del praetorium definita da Igino in forma partis imae (ibidem 12) veniva posto, nella parte destra prospiciente la via principalis, l’auguratorium, luogo in cui il comandante poteva prendere gli auspici; nella parte sinistra era collocato il tribunal sul quale il comandante saliva per arringare le sue truppe, una volta presi gli auspici presso l’auguratorium.

Nella parte posteriore del pretorio, indicata come posticum praetorii veniva posto il picchetto di guardia (ibidem 19).

Anche se Igino non si esprime a tale proposito, una volta individuata la parte anteriore e quella posteriore del pretorio, si può pensare che la tenda del comandante fosse issata, all’incirca, entro questi spazi.

I lati del pretorio erano occupati dalla cohortes praetorianae (ibidem 6,7), che potevano ricevere uno spazio doppio in quanto usufruivano di tende più grandi, dai primi pilares e dagli evocati.

Dietro alle coorti pretoriane, sul lato destro, erano accampati gli equites praetoriani, su quello sinistra gli equites singulares, insieme alle alae quingenariae o miliariae, poi le prime coorti che ricevevano uno spazio doppio perché comprendevano un effettivo doppio. Dietro di esse si accampavano i vexillarii legionum che ricevevano uno spazio equivalente a quello di una coorte legionaria (ibidem 5), possibilmente non vicino al vallum, forse perché tali truppe non erano abbastanza attrezzate per sostenere l’impeto nemico.

Nello spazio occupato dai vexillarii legionum potevano essere dislocate le coorti seconde o le coorti a piedi, di 500 uomini, poste al di sopra delle prime coorti, (ibidem 23) e, insieme ai vexillarii, dovevano essere considerate un’aggiunta quando lo spazio lo permetteva, si

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pedatura permiserit, dal momento che il praetorium era delimitato dalle alae quingenariae.

Poteva accadere che il comandante fosse accompagnato da amici ai quali, allora, era riservato uno spazio da 50 a 70ft immediatamente adiacente alla via principalis e posto sul lato sinistro davanti alla coorte pretoria nel quale trovava spazio anche il praefectus

praetorii; il lato destro era invece assegnato agli officiales (ibidem 10).

La praetentura era divisa dal praetorium dalla via principalis nel cui spazio adiacente si accampavano i legati della legione ed i tribuni delle cohortes praetoriae oltre alla schola

militum.

Su uno spazio adiacente al primo, accampavano invece, i tribuni delle legioni, ai quali, secondo Igino, non era permesso assegnare uno spazio fisso perché il numero delle legioni poteva variare, eccetto assegnare loro una larghezza di 50 o 80ft, secondo le esigenze della legione (ibidem 15).

Un’altra strada, certamente una via vicenaria, separava questo spazio assegnato alle ali miliarie o quingenarie che si trovavano subito dietro e dietro alle quali (ibidem 15, 24) Igino pone gli equites Mauri ed i Pannoni veredarii con funzioni di protezione degli omnes

classici, addetti alla costruzione di strade.

Poi, a fianco della prima coorte dovevano accampare i vexillarii e, alla stessa maniera, anche gli exploratores dovevano essere dislocati nella banda della prima coorte.

Dietro la prima coorte erano poi posti il valetudinarium, il veterinarium e una fabrica, edifici occupanti uno spazio di 120ft ( ibidem 35); nella banda posta di fronte a questa erano attendati i Pannoni veredarii, la legio tertia e le cohortes secundatertia et quarta (ibidem 35).

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22 Il posto più importante della retentura sembrava essere il quaestorium, così definito, secondo Igino, perché i questori, qui, ricevevano il loro spazio; era posto dietro al

praetorium, a sua volta in corrispondenza della porta decumana, rispetto al quale doveva

essere di una larghezza minore (ibidem18, 39) ed era anche il luogo in cui venivano alloggiati gli ambasciatori dei nemici, gli ostaggi e il bottino.

I suoi lati erano occupati dalle centuriae stratorum che si affacciavano sulla via quintana e che proteggevano, per la loro vicinanza, il lato posteriore del praetorium e alle quali era assegnato uno spazio doppio perché anch’esse, come le coorti pretorie, si servivano di tende più grandi.

Dietro di esse era posta la cohors peditata quingenaria vel equitata e altre cohortes

peditatae vel equitatae erano dislocate nelle altre bande laterali e rivolte verso la via quintana.

Dietro a questi corpi erano attendati gli alleati e i popoli di nazionalità straniera, Cantabri,

Gaesati, Palmyreni, Daci, Brittones, insieme alle centuriae stratorum e ad altri eventuali

alleati (ibidem 29).

Nell’accampamento dovevano trovare posto anche i cammelli con i loro guidatori che ricevevano uno spazio di 50ft i ma non una dislocazione fissa: potevano trovarsi accampati nella praetentura, vicino ai milites classici se dovevano partecipare ai combattimenti ma se il loro compito era quello di trasportare il bottino, dovevano trovarsi nella retentura, perché era questo il luogo in cui esso veniva ammassato (ibidem 18, 29).

Il campo, poi, predisposto per ospitare fino a 40.000/43.000 soldati (ibidem, 30) in tutta la sua lunghezza e larghezza, era protetto dalle legioni militiae provinciales fidelissimae che dovevano accampare vicino al vallum con lo scopo di difendere i lati esterni della

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24 Nel IV sec. d.C. Publio Renato Vegezio nella sua opera intitolata Res militaris offre indicazioni a proposito dell’innalzamento dell’accampamento ma non prende una decisa posizione in merito alla sua forma: Interdum autem quadrata, interdum trigona, interdum

semirotunda prout loci qualitas aut necessitas postulauerit, castra facienda sunt (Res

milit., I 21-27; III 8).

Quanto alla scelta del luogo in cui innalzare l’accampamento, alle opere di difesa e alla struttura del campo, Vegezio non fa altro che riprendere notizie offerteci da fonti quali Polibio, Igino, Flavio Giuseppe, Africano.

Al VI sec. d.C. risale l’opera intitolata Strategikon di Maurizio Imperatore.

Il campo qui descritto ha caratteristiche assai diverse da quelle descritte da Igino ma presenta anche alcune analogie: ha una forma quadrangolare, è difeso, lungo il perimetro, dal fossato, ampio cinque o sei piedi e profondo sette od otto, riempito di terra e provvisto di triboli e piccole buche con pali piantati sul fondo.

Deve essere presente un fiume, un lago o qualche ostacolo naturale come protezione, se il luogo della battaglia è in pianura; sono previste le tradizionali quattro porte oltre ad un certo numero di ingressi minori.

Tutte gli ingressi d’accesso e di uscita dal campo dovevano essere sorvegliati dall’ufficiale comandante dell’unità accampata più vicina.

Il campo doveva essere attraversato da due strade larghe 40-50ft ai cui lati dovevano essere piantate le tende, in fila, poco spaziate tra di loro.

La tenda del comandante doveva essere posta da una parte, fuori il punto d’incrocio delle due strade per non ostacolare il flusso dei movimenti, mentre ogni comandante doveva accamparsi in mezzo alle proprie truppe; la cavalleria, doveva trovarsi all’interno del campo ed essere collocata al centro e non ai margini del campo.

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25 I carri dovevano prendere posto intorno al perimetro del campo e, se necessario, essere interrati; all’interno della linea dei carri dovevano essere innalzate le tende e dopo uno spazio libero di trecento-quattrocento piedi, essere innalzate le restanti tende. (Strategikon XII B-22). (Figura 4)

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26 La fonte più tarda sull’innalzamento dell’accampamento si data al X sec. d.C. nella persona dell’Imperatore Leone il Filosofo, che scrive un trattato, Institutiones tacticae, singolare soprattutto, non tanto per le informazioni relative all’impianto del castrum, quanto per la numerosa mole di notizie che offre in merito alla dislocazione delle truppe all’interno del campo e sugli attacchi bellici.

A proposito della forma da dare all’accampamento, propone la forma di un rettangolo allungato da porre vicino ad un fiume in modo che uno dei due lati più lunghi si serva del corso d’acqua come difesa naturale e debba essere protetto da un fossato.

A differenza di Africano, però, e concordemente con la più ampia tradizione, per Leone l’accampamento è tagliato da due strade che si incrociano ad angolo retto nel centro del campo.

Esistevano, poi, lungo il limes dell’Impero, altre costruzioni difensive minori, destinate a piccole unità di soldati, circa 200-300 uomini, definiti castella, cioè piccoli accampamenti con struttura del tutto simile a quella dei grandi campi e con lo scopo di sorvegliare ed eventualmente, di assicurare l’ordine nelle zone di confine.

Poi un’ampia categoria di altre costruzioni difensive quali forti, fortini, burgi, torri, fortezze fluviali, depositi fortificati e fortificazioni rurali, sorti in seguito alla riorganizzazione del sistema difensivo ordinato da Diocleziano per fronteggiare le incursioni sempre più frequenti di popoli provenienti da nord22.

Accanto all’accampamento destinato a proteggere e difendere i territori della Repubblica e dell’Impero romano esistevano anche altre tipologie di postazioni, innalzate a protezione di navi, anche tirate in secco e di truppe che sbarcavano, erano i cosiddetti castra navalia o

nautica ricordati anche dalle seguenti fonti:

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27 CAES., Bell.Gall., V 11: Ipse, etsi res erat multae operae ac laboris, tamen statuit, omnes

naves subduci et cum castris una munitione coniungi. In his rebus circiter X dies consumit, ne nocturnis quidem temporibus ad laborem militum intermissis. Subductis navibus castrisque egregie minitis easdem copias, quas ante, praesidio navibus relinquit, ipse eodem, unde redierat, proficiscitur.

“Egli stesso, anche se la situazione risultava molto complicata e faticosa, decide che la soluzione migliore consisteva nel tirare in secco tutte le navi e congiungerle all’accampamento con un’unica fortificazione. I lavori richiedono circa dieci giorno durante i quali i soldati non si concedono mai una pausa, neppure di notte. Tirate in secco le imbarcazioni e ben difeso l’accampamento, lascia a difesa delle navi le stesse truppe di prima e ritorna da dove era venuto”.

CAES., Bell.Gall.,V 22: Dum haec in his locis geruntur, Cassivellaunus ad Cantium

nuntios mittit atque his imperat ut, coactis omnibus copiis castra navalia de improviso adoriantur atque oppugnet.

“Nel corso di tali avvenimenti, Cassivellauno invia ambasciatori nel Canzio e comanda loro, una volta raccolte tutte le truppe, di sferrare un improvviso attacco all’accampamento romano e di porlo sotto assedio”.

LIV. XXIX, 35,13: Et (iam hiems instabat) castra hiberna in promunturio quod, tenui iugo

continens adhaerens, in aliquantum moris spatium extenditur, comminuit, uno vallo et navalia castra amplectitur.

“E incombendo già l’inverno, si fortificò sopra un promontorio, che attaccato con dolce prominenza al continente, si protende abbastanza spazioso in mare e in un solo steccato racchiude anche gli alloggiamenti navali”.

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28 CORN.NEP., Alcib., 8, 5: Ab hoc discedens Alcibiades “Quoniam – inquit- victoriae

patriae repugnans, illud moneo, iuxta hostem castra habeas nautica: periculum est enim, ne immo desta militum vestrorum occasio detur Lysandro vestri opprimendi exercitus”.

“Andandosene da lui Alcibiade disse: “Poiché ti opponi alla vittoria della patria, ti avverto di una cosa: non tenere vicino al nemico gli alloggi navali: infatti c’è il pericolo che per l’indisciplina dei vostri soldati si dia a Lisandro l’occasione di annientare il vostro esercito”.

CORN.NEP., Hann., 11, 6: Postquam autem naves suas oppletas conspexerunt

serpentibus, nova re perterriti, cum, quid potissimum vitarent, non viderent, puppes averterunt seque ad castra nautica rettulerunt.

“Ma dopoché videro le loro navi piene di serpenti, spaventati dalla nuova situazione, non sapendo che cosa dovessero evitare di più, levarono le ancore e si diressero verso gli alloggi navali”.

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Conclusioni

Tutti gli accampamenti descritti dalle fonti precedenti e da altri storici, Tito Livio, Cesare, Tacito, Ammiano Marcellino, pur con evidenti differenze cronologiche tra di loro, (dal campo di età repubblicana descritto da Polibio a quelli di età imperiale descritti da Flavio Giuseppe, Igino e Vegezio, fino a quelli dell’Imperatore Maurizio e quello dell’Imperatore Leone il Filosofo, di età bizantina), sono castra aestiva, ovvero accampamenti provvisori e temporanei che, al segnale convenuto, i soldati, non prima del comandante e dei tribuni, dovevano smontare a cominciare dalla propria tenda. (Pol.VI 40-42).

Quanto al loro impianto emergono notevoli differenze .

L’accampamento di Polibio, campo da marcia giornaliero destinato ad accogliere un esercito formato da due legioni e da un a contingente di truppe alleate, è impostato su due assi paralleli, la via principalis e la via quintana, tagliati perpendicolarmente da vie secondarie che formano porzioni rettangolari, strigae, riservate agli alloggi dei legionari. Il campo descritto da Igino è basato sull’incrocio di centrale di due assi, il kardo e il

decumanus; l’accesso avviene attraverso quattro porte, porta praetoria, decumana, principalis dextera, principalis sinistra, che si aprono al centro dei lati; la tenda del

comandante, praetorium è situata al centro.

È anch’esso un campo di tipo estivo non permanente23, destinato ad accogliere un esercito formato da tre legioni, quattro coorti pretorie e varie truppe ausiliarie per un totale di 45.000 uomini, distribuite non nella parte centrale del campo ma lungo l’intervallum e separate dal resto del campo dalla via sagularis.

Lo spazio interno è diviso in tre parti, la prima e più importante è quella dove si trovava il quartier generale, cioè il praetorium, seguiva la praetentura, compresa tra la via

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principalis e la fronte, latera praetorii, compresa, a sua volta, tra la via principalis e la via quintana, e la retentura, tra la via quintana e il lato posteriore, spazi in cui erano

alloggiate le varie truppe e i vari servizi. (De mun. castrorum, 21)

L’innalzamento dell’accampamento era comunque ritenuto argomento di grande interesse e importanza e operazione laboriosa, complessa e minuziosa, finalizzata a mantenere la disciplina nei militari oltreché garantire loro un senso di sicurezza.

A differenza del campo repubblicano di forma quadrata, durante l’Alto Impero la forma preferita ha un rapporto di 3:2 fra larghezza e lunghezza ma non tutti i forti obbediscono a questa regola e addirittura Vegezio (Res Militaris, I 21-27; III 8) consiglia un rapporto di 4:3.

Pur non esistendo uno schema fisso da seguire, sia che questi campi siano innalzati in età repubblicana, durante l’Alto Impero e durante il Basso Impero, permangono ancora le stesse modalità nella scelta delle caratteristiche del terreno: a sovrintendere sono gli ufficiali e il metator, che organizza lo spazio interno servendosi della groma che permette di tracciare, ad angolo retto, la via principalis e la via praetoria.

Erano castra destinati ad ospitare almeno due legioni, come Colonia Ubiorum (Koln) o

Novaesium (Neuss), il cui compito era quello di condurre a termine operazioni esterne e

offrire, al contempo, una certa sicurezza24 trovandosi in particolari posizioni strategiche. Le difese esterne più importanti rimanevano ancora il muro di cinta e i tre elementi fossa,

agger, vallum e intervallum, già caratteristici dei campi di marcia ma in periodo imperiale i

fossati possono essere anche due o tre.

Il muro, su cui sono installate macchine da guerra, è di mattoni come pure le torri sopra costruite; le fondamenta sono più solide.

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31 Lo spazio interno è organizzato intorno ai principia spazi più grandi se assegnati agli alloggi del capo e degli ufficiali distribuiti lungo la via principalis, più piccoli e da dividere in comune, se assegnati, invece, ai centurioni e ai soldati.

In questo tipologia di campo, dove vivevano all’incirca 5000 soldati e che equivaleva, nella sua superficie ad una città, erano presenti tutti gli ingredienti destinati a soddisfare una comunità, a cominciare dalle strade, le piazze, poi l’ospedale, magazzini, laboratori, bagni, terme cui arrivava l’acqua grazie ad un sistema di canalizzazione della stessa con la sorgente più vicina e anche le latrine pubbliche.

Durante il Basso Impero i campi assumono forme diverse, legate alle caratteristiche del territorio, con prevalenza della forma quadrata ma compare perfino il campo di forma circolare; scompare l’intervallum, permangono le quattro porte affiancate da torri, quali elementi di rafforzamento sulle quali porre macchine dia artiglieria.

Lo spazio interno è diviso in tre parti secondo questo schema: la via principalis separa la

praetentura dai lati dei principia, (a torto chiamati pretorio), la via quintana si trova tra i

due lati dei principia e la retentura, che altro non è se non lo schema descritto da Igino con tutti gli altri edifici che dovevano servire ad accogliere tre legioni25.

Scompaiono molte costruzioni al centro del campo per presentarne altre più addossate alle mura come i contubernalia, forse con lo scopo di accogliere, nella parte centrale resa più libera da costruzioni, la popolazione sfollata.

A partire dal IV sec. d.C. i principia scompaiono del tutto, mentre attorno alla metà del V sec., in molti campi le costruzioni, ad esempio i contubernia, sono distribuite in modo disordinato, come si può notare nell’angolo nord-ovest del campo di Alteius (Alzey), un forte a pianta quadrata usato dal III al V secolo oppure sistemati lungo le mura allo scopo di ottimizzare gli spazi interni come accade ad Altrip.

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32 Vengono invece valorizzati gli horrea per avere provviste di ogni genere all’interno del campo (Vegezio IV 7) a cui il nemico non potesse accedere, tant’è che si assiste alla realizzazione di mura più spesse allo scopo di difenderli.

Dal VI al X sec. si continua a consigliare la forma quadrata del campo a svantaggio di quella circolare più facilmente attaccabile dal nemico, il fossato deve essere profondo sette o otto piedi e ampio cinque, sei piedi; al comandante è riservato lo spazio centrale che ospita il suo seguito e le truppe di scorta, mentre la cavalleria occupa il resto dello spazio centrale, l’intervallum è cresciuto dai duecento piedi del campo di Polibio a trecento o quattrocento piedi, distanza forse dettata dalla mutata gittata degli archi usati all’epoca. Un’altra differenza consiste anche nelle dimensioni delle tende, non più quadrate ma circolari e più spaziose di “tipo Avaro, in cui si combinano praticità e bell’aspetto”

( Strategikon I 2), le tende degli irriducibili nemici dell’impero d’Oriente del VI e VII sec.. Se poi si considerano le descrizioni della realizzazione dell’accampamento da parte delle altre fonti esaminate, Flavio Giuseppe, Africano, Vegezio e l’Imperatore Leone, ne consegue che nell’arco di tre, quattro secoli, dall’impianto di campi dell’età repubblicana a quelli dell’età imperiale, non intervennero modificazioni sostanziali nell’impianto del

castrum, costruito per ospitare un esercito formato da due legioni al comando di un solo

console.

Cesare stesso, nella disposizione del suo accampamento segue le regole fisse dello schema regolamentare, come sembra testimoniato dal campo di Mauchamp sull’Aisne del 57 a.C. (Cesare, DBG, II 5) anche se il campo cesariano si distingue per la maggiore solidità e complessità della cinta di protezione.

Per dovere di completezza, sembra opportuno fare riferimento alla lunga disputa verificatasi a proposito del numero delle legioni che potevano accampare, secondo Polibio, in un castrum.

(43)

33 P.Fraccaro, seguito anche da Walbank26, riferendosi al cap.32 delle Storie di Polibio, precisa che il campo descritto da Polibio altro non è che la metà di un campo consolare romano in quanto, normalmente, l’esercito romano guerreggiava sotto il comando dei due consoli, nonostante si presentasse sempre meno di frequente il ricorso a questa situazione. Quindi se l’esercito era guidato da un solo console, ne consegue che lo schema da osservare per l’innalzamento del campo altro non era che la riproduzione di una metà campo destinato a quattro legioni.

Questo sembrerebbe testimoniato anche dagli spazi occupati dal praetorium, quaestorium e dal forum: essi devono sempre trovarsi in mezzo alle due metà dell’esercito quando quattro legioni al comando di due consoli accampavano insieme (v. Figura 1).

Ognuno dei due poneva il proprio quartier generale vicino e parallelo all’altro nella parte centrale del campo con il resto dell’esercito alle spalle secondo la regola per l’esercito romano di età repubblicana.

Poiché il campo descritto da Polibio ha il praetorium, il quaestorium e il forum posti verso la porta posteriore del campo, se ne deve dedurre che la descrizione da lui operata si riferisce proprio alla metà di un esercito regolare di quattro legioni al comando di due consoli.

La questione è stata riaffrontata da Rawson e da Pamment Salvatore27 che hanno ipotizzato che Polibio non descrivesse un accampamento agli ordini di due consoli perché già la sua fonte consisteva in una serie di commentarii destinati ai tribuni per istruire le reclute a costruire metà del campo di loro spettanza; il campo sarebbe poi stato completato quando i due eserciti consolari, formatisi separatamente, avrebbero operato insieme.

26

FRACCARO , Athenaeum XXII (1934) 9 p. 154. WALBANK 1957, 1967, 1979.

MUSTI 2002, pp. 512-513. 27

PAMMENT SALVATORE 1996, pp. 5-20. RAWSON 1971.

(44)

34 Lo schema così utilizzato si rendeva più utile e immediato per far apprendere alle reclute le modalità necessarie quando avressero dovuto innalzare successivamente, in territorio nemico, il campo destinato ad un esercito agli ordini di due consoli.

Il che spiegherebbe la precisazione inserita dallo stesso Polibio ai par.6-8.

Secondo il Lenoir28 “la presenza congiunta di due consoli, ciascuno dei quali ha sotto la propria responsabilità due legioni, è in effetti la norma per l’esercito romano di epoca repubblicana; il campo di due armate, per rispettare le esigenze della collegialità consolare, doveva essere composto di due insiemi simmetrici: Polibio, brevitatis causa, descrive uno dei due insiemi o, se si vuole, una delle due metà di un campo normale. Secondo questa ipotesi, la norma del campo romano descritto da Polibio, è un rettangolo composto da due quadrati giustapposti (dunque nella proporzione di 2:1); quando i due consoli agiscono separatamente, le due legioni che compongono ciascuna armata utilizzano un campo quadrato”. (Figura 5)

28

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35

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36

CAPITOLO SECONDO

Terminologia tecnica su parti/opere di difesa

dell’accampamento romano in base alle fonti letterarie

Operiamo adesso una scelta terminologica al fine di chiarire alcune espressioni e termini ricorrenti relativi alla descrizione degli accampamenti.

- Il termine più ricorrente nelle fonti greche per definire l’accampamento risulta essere Στρατόπεδον: etimologicamente scomposto in στρατός e πέδον significherebbe “ luogo dove si accampa l’esercito”, considerando l’accampamento la disposizione risultante dallo schieramento dell’esercito.

Molti sono gli esempi di questo termine usato proprio con il significato di “esercito”, per esempio in Senofonte (Hell.6,3,18) dove si trova l’espressione στρατόπεδα καὶ πεζικά per indicate le truppe di terra e di mare.

Parimenti Flavio Giuseppe (Bellum Iudaicum) e Africano (Κεστοί) usano il termine στρατόπεδον .

- Στρατοπεδεία: usato anche da Polibio (VI 27,1) come sinonimo di στρατόπεδον ha, dal punto di vista prettamente etimologico, una sfumatura riguardante la sfera del significato. Infatti risulta sinonimo di στρατοπέδευσις che, come tutti i sostantivi greci terminanti in -σις, indica lo svolgimento di un’azione prima che il suo risultato, per cui significherebbe “ l’atto dell’accamparsi” ancor prima e non tanto “l’esercito accampato”.

- Παρεμβολή: usato anch’esso come indicante l’accampamento. Dal verbo παρεμβάλλω, usato anch’esso in Polibio (VI 30, 1) nel senso di “schierare accanto”, deriva il significato di “schieramento in ordine di battaglia”e, di conseguenza, di “accampamento”.

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37 Si può ulteriormente notare che, talvolta, si trovano accomunati i due termini στρατόπεδον e παρεμβολή (Pol. VI 28, 1; Flavio Gius., 5, 4, 90) in cui, allora, il primo termine assume l’accezione di “esercito” o, meglio, di “legione”.

- Χῶμα: (dal verbo χόω che significa “elevare, ammucchiare” detto di terra) sta a indicare la terra che dopo l’escavazione viene ammucchiata presso la fossa per innalzare il terrapieno.

Nei capitoli di Polibio esaminati non si trova questo termine ma è usato dallo stesso autore in I 47,5: κατὰ δέ τινα τόπον ἐἰχοντα βράχεα συνέστη χῶμα con il valore di “argine” o di “molo”. Anche in Tucidide (II 75,1) si ritrova questo termine impiegato con il significato di terrapieno: ἔπειτα χῶα ἔχουν πρὸς τὴν πὸλιν.

- Ταφρεία: (< radice del verbo θάπτω col significato di “seppellire”) ha valore di “fossa”,

cioè lo spazio che rimane vuoto dopo un’operazione di scavo.

Flavio Giuseppe (Bellum Iudaicum, III 5, 84) usa tuttavia il termine τάφρος in questa accezione; sia esso ταφρεία o τάφρος , di per se’ privo di problematica, assume tuttavia un’accezione globale lievemente diversa quando è usato nel sintagma ταφρεία καὶ

χαροποιία, “ fossa e palizzata”.

- Χαροποιία”: composto da χάραξ (< verbo χαραρáσσω, affilare) che significa “palo

affilato” e dalla radice ποιέω (fare), significherebbe di per sé “ fatto con i pali”, da cui il valore di “palizzata”.

Unito al sostantivo ταφρεία (anche in Polibio e nei capitoli presi in esame) il sintagma ha il significato di “fossa” e “palizzata” meglio identificabile con il termine vallum esaminato tra i corrispondenti termini latini.

- Castra: in latino è il termine corrispondente del greco στρατόπεδον.

Come già detto nel capitolo 1°, con questo termine si indicava una struttura di dimensioni diverse, a scopo di difesa, che veniva allestita dall’esercito o in modo temporaneo, dopo

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