Operiamo adesso una scelta terminologica al fine di chiarire alcune espressioni e termini ricorrenti relativi alla descrizione degli accampamenti.
- Il termine più ricorrente nelle fonti greche per definire l’accampamento risulta essere Στρατόπεδον: etimologicamente scomposto in στρατός e πέδον significherebbe “ luogo dove si accampa l’esercito”, considerando l’accampamento la disposizione risultante dallo schieramento dell’esercito.
Molti sono gli esempi di questo termine usato proprio con il significato di “esercito”, per esempio in Senofonte (Hell.6,3,18) dove si trova l’espressione στρατόπεδα καὶ πεζικά per indicate le truppe di terra e di mare.
Parimenti Flavio Giuseppe (Bellum Iudaicum) e Africano (Κεστοί) usano il termine στρατόπεδον .
- Στρατοπεδεία: usato anche da Polibio (VI 27,1) come sinonimo di στρατόπεδον ha, dal punto di vista prettamente etimologico, una sfumatura riguardante la sfera del significato. Infatti risulta sinonimo di στρατοπέδευσις che, come tutti i sostantivi greci terminanti in -σις, indica lo svolgimento di un’azione prima che il suo risultato, per cui significherebbe “ l’atto dell’accamparsi” ancor prima e non tanto “l’esercito accampato”.
- Παρεμβολή: usato anch’esso come indicante l’accampamento. Dal verbo παρεμβάλλω, usato anch’esso in Polibio (VI 30, 1) nel senso di “schierare accanto”, deriva il significato di “schieramento in ordine di battaglia”e, di conseguenza, di “accampamento”.
37 Si può ulteriormente notare che, talvolta, si trovano accomunati i due termini στρατόπεδον e παρεμβολή (Pol. VI 28, 1; Flavio Gius., 5, 4, 90) in cui, allora, il primo termine assume l’accezione di “esercito” o, meglio, di “legione”.
- Χῶμα: (dal verbo χόω che significa “elevare, ammucchiare” detto di terra) sta a indicare la terra che dopo l’escavazione viene ammucchiata presso la fossa per innalzare il terrapieno.
Nei capitoli di Polibio esaminati non si trova questo termine ma è usato dallo stesso autore in I 47,5: κατὰ δέ τινα τόπον ἐἰχοντα βράχεα συνέστη χῶμα con il valore di “argine” o di “molo”. Anche in Tucidide (II 75,1) si ritrova questo termine impiegato con il significato di terrapieno: ἔπειτα χῶα ἔχουν πρὸς τὴν πὸλιν.
- Ταφρεία: (< radice del verbo θάπτω col significato di “seppellire”) ha valore di “fossa”, cioè lo spazio che rimane vuoto dopo un’operazione di scavo.
Flavio Giuseppe (Bellum Iudaicum, III 5, 84) usa tuttavia il termine τάφρος in questa accezione; sia esso ταφρεία o τάφρος , di per se’ privo di problematica, assume tuttavia un’accezione globale lievemente diversa quando è usato nel sintagma ταφρεία καὶ χαροποιία, “ fossa e palizzata”.
- Χαροποιία”: composto da χάραξ (< verbo χαραρáσσω, affilare) che significa “palo affilato” e dalla radice ποιέω (fare), significherebbe di per sé “ fatto con i pali”, da cui il valore di “palizzata”.
Unito al sostantivo ταφρεία (anche in Polibio e nei capitoli presi in esame) il sintagma ha il significato di “fossa” e “palizzata” meglio identificabile con il termine vallum esaminato tra i corrispondenti termini latini.
- Castra: in latino è il termine corrispondente del greco στρατόπεδον.
Come già detto nel capitolo 1°, con questo termine si indicava una struttura di dimensioni diverse, a scopo di difesa, che veniva allestita dall’esercito o in modo temporaneo, dopo
38 una giornata di marcia, castra aestiva, o in modo permanente, castra hiberna, destinata ad alloggiare, perlopiù, una sola legione.
Usato era anche il termine castrum che, secondo il grammatico Servio29, indicava opere non necessariamente militari ma anche civili, come sembra confermare la sua etimologia dall’osco castrous che significava “proprietà”30.
Come il sostantivo castra poteva riferirsi a strutture temporanee di varie dimensioni o a quelle fisse di epoca imperiale e, in epoca tardo-imperiale, addirittura a vere e proprie fortezze.
Ricorrente è anche il termine castellum, diminuitivo di castra indicante, durante l’Alto Impero, o un piccolo avamposto o un campo di dimensioni più contenute31.
- agger: (< aggero, verbo composto dalla preposizione ad + il verbo gero, nel senso di “portare sopra”, “ammassare”, “ammucchiare”); propriamente ha valore di “terra per argini/fortificazioni” e quindi, per metonimia, è passata ad indicare il terrapieno stesso in determinati contesti.
Nel senso di “terra ammucchiata” può, dunque, essere assimilabile alla forma greca χῶμα esaminata precedentemente ed essere considerate suo sinonimo greco.
A conferma si può citare, per esempio, un passo di Igino (De munit.castr., 48) in cui il termine agger assume il significato proprio di “terra ammucchiata”: munitio aestivalium generibus quinque. Fossa, vallo, cervolis, aggere, armis.
In tale contesto si nota che agger non è sinonimo di vallum o di fossa, ma è uno dei sistemi di difesa di un accampamento.
È, in verità, rispetto ad altri, uno dei sistemi di difesa meno validi e sicuri in quanto formato dalla sovrapposizione di blocchi regolari di zolle erbose tagliate nel terreno per formare un muro subito a ridosso del fossato, rinforzato con materiali disuguali e gettati 29 V.cap.1. 30 CASCARINO 2010, p. 11. 31 V.cap.1.
39 senz’ordine, uno dopo l’altro, come conferma anche Isidoro (Orig.15, 9, 3) che definisce l’agger acervatio cuiuslibet rei.
Ancora, secondo Igino (ibidem 63) ci si serviva dell’agger si locus petrosus aut arenosus fuerit e cioè quando non si poteva usare né il vallum (per la presenza sul terreno di pietra) né una fossa, a causa del terreno sabbioso.
Che l’agger non fosse un vero e proprio baluardo di difesa sembra confermato anche da Vegezio (Res militaris III 8) 32 secondo cui fascine e rami di alberi venivano ammassate sul mucchio di terra innalzato perché il terreno non subisse smottamenti.
Tutto questo materiale ligneo era facilmente deperibile soprattutto se attaccato dal fuoco e si hanno notizie proprio di incendi di agger:
Tito Livio 5,7,3 aggerem ac vineas incendium hausit,
Cesare, DBG VII 24 paulo ante tertiam vigiliam est animadversum, fumare aggerem; Tacito, Ann II 19, postremo deligunt locum flumine et silvis clausum, arta intus planitie et umida: silvas quoque profunda palus ambibat nisi quod latus unum Angrivarii lato aggere extulerant quo a Cheruscis dirimerentur.
- Fossa: ( < fodio “scavare”) è, insieme al vallum, una delle difese più usate per i castra. Si tratta di un fossato che veniva scavato intorno all’accampamento da marcia, largo almeno 5 piedi (148cm) e profondo almeno 3 piedi (89cm), misure raccomandate da Igino (De munit.castr. 49) e da Vegezio (De re milit., III 8,10).
Flavio Giuseppe che dà la descrizione di un campo mobile dell’epoca di Vespasiano (Bellum Iudaicum, III 5, 1) dice che la fossa tipica doveva essere profonda e larga 6ft (=1,77m).
Le misure potevano comunque variare a seconda delle caratteristiche del luogo o di particolari necessità (Caes., DBG, II 5; DBG, III 63; DBG, VII 72).
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40 Vegezio, come detto precedentemente, cita la fossa solo per quanto concerne le dimensioni non dando ulteriori chiarimenti, Polibio non affronta l’argomento 33.
Igino distingue due tipi di fossato (De munit.castr.,49), la fossa fastigata, cioè “appuntita”, con i lati che convergono verso il basso sì da presentare un aspetto a”V” e la fossa punica (cosiddetta perché forse usata dai Cartaginesi), con parete esterna perpendicolare al terreno che permetteva ai difensori una visuale più immediata sulla zona da colpire (Figura 6). Il solo Igino si rivela fonte univoca nel far riferimento anche ad un altro fossato, titulum (ibidem 49), che deve essere realizzato a 60ft all’esterno delle porte del quale però, per mancanza di confronti letterari e archeologici, non è dato sapere con precisione la dimensione e la natura.
Nei campi permanenti lo scavo del fossato più profondo veniva effettuato a breve distanza dall’agger e lasciava una banchina larga almeno un metro al fine di evitare possibili smottamenti dello stesso terrapieno.
Le prospezioni archeologiche hanno evidenziato addirittura dai tre ai cinque ordini di trincee specialmente in installazioni più soggette ad attacchi34.
FIGURA 6 - Tipologie di profilo del fossato. A = fossa fastigata ; B = fossa punica
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CASCARINO 2010, p. 76.
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41 - Cervus: nome assegnato ad un sistema di difesa formato da tronchi biforcuti simili alle corna dei cervi35.
Già in Cesare troviamo menzione di questi strumenti che venivano usati come ulteriore difesa della fortificazione per non frapporre spazio tra il terrapieno e i tavolati di rinforzo grandibus cervis eminentibus ad commissuras pluteorum atque aggeris ( Caes.,DBG.,VII 72).
Molta importanza viene assegnata a questo cervus o cervolus da Igino che lo considera uno dei cinque modi usati per fortificare l’accampamento.
Si ricorre ai cervi quando il terreno si presenta troppo friabile per costruire un terrapieno, oppure come alternativa al vallum o alla fossa che non possono essere edificati a causa della natura del terreno (De munit.castr.,51) come afferma anche Polibio (XVIII 18) che descrive le loro caratteristiche e le modalità del loro uso. ( Figura 7)
FIGURA 7- I cervoli
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-Vallum: il termine, riconducibile alla parola vallus” che significa “palo” o
collettivamente, “ palizzata” usato in questo senso, sembra derivare da uno strumento usato dai Galli per la mietitura e considerato innovatore ai fini dell’economia agricola del tempo consistente, appunto, in un palo con la punta biforcuta36.
Il vallum era un muro da innalzare tassativamente in territorio nemico: largo 8ft e alto 6 secondo Igino (De munit.castr.,50); come altre opere di difesa, a seconda delle necessità, poteva subire variazioni (Caes., DBG., I 8).
Per il suo innalzamento si procedeva innanzitutto con lo scavare la terra che veniva accumulata all’interno del campo e usata per formare il terrapieno rialzato, agger; questo poteva essere a sua volta rinforzato con materiali di ogni genere, quindi spianato per favorire il passaggio agevole delle sentinelle e la posa di una palizzata generalmente ottenuta con tronchi d’albero di grosse dimensioni ricavati da riserve boschive viciniori o, in assenza di esse, trasportati appositamente, o di un parapetto (Caes. DBG, VII 72).
Se il terreno era roccioso o sabbioso il vallum poteva consistere semplicemente nel terrapieno innalzato con sassi e tronchi d’albero e doveva essere difeso, secondo Igino, da quattro file di uomini armati (De munit.castr., 52).
Secondo Vegezio è l’unione dei valli che forma il vallum (Veg., III 8): la prima cosa da sottolineare, tenendo presente questa definizione, è che il vallum e l’agger sono due cose ben distinte come già risulta in Polibio, che considera la difesa del campo come formata da due parti aventi da sole una loro precisa funzione, cioè ταφρεία καὶ χαρακοποία (Pol.,VI 34,1).
Anche per i Romani il vallum considerato come insieme di pali, valli, era la parte superiore dell’agger per il cui scopo venivano tagliati pali con più ramificazioni che venivano
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43 intrecciati tra loro a formare una rete inestricabile (T.Liv., XXXVII 5): Vallo et Macedone et Graeci usi sunt, sed usum nec ad commoditatem ferendi nec ad ipsius munitionis firmitatem aptaverunt; nam et maiorese magis ramosas arbores caedebant quas fere cum armis miles posset, et cum castra his ante obiectis saepissent, facilis molitio eorum valli erat.
Cesare e Livio tendono più volte a diversificare i due elementi costitutivi della difesa: è infatti assai ricorrente l’espressione vallum ac aggerem extruxit (Caes., DBG, VII 72; T.Liv., X 5).
L’uso di questa endiadi non deve trarci in inganno nell’assegnare il giusto valore a frasi come: vallum ducĕre, vallum caedĕre, vallum cingĕre, in vallo permanēre.
Pare di poter concludere che nell’uso più generale, quando si prescinda da una descrizione metodica della difesa, il vallum non debba essere considerato soltanto come un insieme di pali ma, globalmente, come elemento comprendente anche il rialzo di terra sul quale si innalza la palizzata vera e propria.
Insomma, il termine vallum diventa, “ tout-court” , sinonimo di trinceramento difensivo. - Titulum: nei campi provvisori era una fossa che correva parallela alla linea di difesa principale allo scopo di rompere un eventuale attacco nemico.
- Clavicula: (“piccola chiave”) si trattava di una protezione più complessa introdotta sia in campi mobili che in campi permanenti nel 1° sec. d.C., forse all’epoca di Vespasiano, ottenuta facendo compiere al muro un prolungamento di due quarti di cerchio verso l’esterno e verso l’interno. Fu utilizzata per circa cento anni, fino al 135 d.C., come si rileva nel campo di Nahal Hever in Israele37. (Figura 8)
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CASCARINO 2010, p. 91. LE BOHEC 1992, p. 174.
44 FIGURA 8 - Tipi di clavicula
Conclusioni
Si può notare che molti dei termini usati comunemente per designare parti/opere di difesa o presentano problemi di slittamento semantico nel passaggio dalla lingua greca a quella latina o, all’interno della stessa lingua, vengono adoperati in accezioni diverse.
Per quanto riguarda il primo problema infatti, ci troviamo di fronte a fonti in lingua greca (Polibio, Flavio Giuseppe, Africano) e fonti in lingua latina (Vegezio, Igino), per cui, solo in certi casi si è potuto procedere alla comparazione linguistica in cui si è cercato di mettere in evidenza il parallelismo lessicale oppure, viceversa, la diversa scelta del vocabolo.
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