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1.9 Modello monotraccia con pneumatici non lineari

Come già fatto notare nel paragrafo precedente, un legame lineare è del tutto inadeguato a rappresentare la forza laterale Fy in funzione di α, quando gli angoli di deriva siano superiori a pochi gradi, ovvero quando l’accelerazione laterale a regime sia superiore a circa 0.3 g su strada asciutta e asfaltata. [8, 9] Dal momento che è preferibile evitare le condizioni di funzionamento in cui i pneumatici possano essere impiegati fino al limite di aderenza, occorre utilizzare l’effettivo legame non lineare tra forza laterale ed angolo di deriva. Comunque, dal momento che anche in condizioni limite di perdita di aderenza gli angoli di deriva non superano i 15° - 20°, è ancora lecito utilizzare tutte le linearizzazioni trigonometriche già introdotte (sinα ≈ α, cosα ≈ 1, ecc.). Lo stesso vale per l’angolo di sterzo δ.

Con riferimento alla Fig. 2.6 continuano quindi a valere le due equazioni di equilibrio linearizzate (1.34), dove si è supposto, per maggiore semplicità, di avere trazione posteriore e sterzo anteriore

2 1 ) (v ur Fy Fy m &+ = + b F a F r J&= y1y2

e le due equazioni di congruenza linearizzate

u ra v+ − = 1 1 δ α u rb v− − = 2 2 δ α

mentre per i pneumatici si fa uso del legame costitutivo non lineare qui riscritto in notazione diversa

) ( 1 1 y1 α y F F = (1.74) ) ( 2 2 y2 α y F F =

(2)

E’ importante osservare che queste due funzioni che descrivono il comportamento dei pneumatici vengano ora a dipendere anche dal coefficiente di aderenza µ tra ruota e strada. Questo non accadeva nei modelli lineari perché la rigidezza di deriva era indipendente da µ.

Dalle due equazioni di congruenza discende subito la

2 1 2 1 ) ( α α α α δ = + + − = + − R l u r b a

Inserendo le equazioni di congruenza nei modelli di pneumatico, e questi nelle equazioni di equilibrio, si ottiene un sistema di due equazioni differenziali del primo ordine in forma normale nelle funzioni incognite v(t) e r(t).

A differenza del modello monotraccia precedentemente trattato, le equazioni del sistema dinamico sono non lineari e quindi non è più possibile ottenere analiticamente la soluzione. Si possono però studiare le condizioni di equilibrio e la loro stabilità. Può facilitare di molto l’operazione il considerare dδ/dt = 0 e du/dt = 0, ovvero costanti nel tempo l’angolo di sterzo e la velocità di avanzamento, in modo da avere il seguente sistema autonomo ) , ( )) , / ( )) , ( ( 1 2 1 2 1 ur f v r m r v F r v F v&= y α + y α − = (1.75) ) , ( )) , / ( )) , ( ( 2 2 1 2 1 f v r J b r v F a r v F r&= y α − y α =

L’ipotesi di u uniforme era stata fatta anche nel precedente modello lineare: in quel caso essa serviva per avere l’ulteriore proprietà dei coefficienti costanti e quindi una soluzione generale data da una somma di esponenziali. Dato, invece, che l’angolo di sterzo compariva solo nel termine noto, si poteva anche ammettere senza grossi problemi che fosse variabile nel tempo. Nel caso in esame può essere conveniente utilizzare (α1, α2) quali variabili di stato [7], invece di (v, r) visto che le funzioni non lineari (1.74) che

(3)

modellano i pneumatici dipendono ciascuna da un solo angolo di deriva. Utilizzando le equazioni inverse (1.38) (con u e δ costanti nel tempo), si ottengono al posto delle (1.75) le seguenti equazioni, ancora in forma normale

[

]

) , ( ) ( ) ( ) ( 1 2 2 1 2 1 1 2 1 2 1 2 1 α α α α α α δ α g Jg b F a F a mg F F gl u u g y y y y =       − − + − + − = &

[

]

) , ( ) ( ) ( ) ( 1 2 2 1 2 2 2 1 2 1 2 2 1 α α α α α α δ α g Jg a F b F b mg F F gl u u g y y y y =       − − + − + − = & (1.76)

In (1.75) e (1.76) l’angolo di sterzo e la velocità di avanzamento compaiono come parametri alla stregua delle altre grandezze costruttive. variando δ e u si hanno sistemi dinamici diversi, anche se ovviamente il veicolo è lo stesso. Questa differenza di modellizzazione porta alla possibilità, recepita dal normatore, di effettuare diversi tipi di prove su strada per la verifica dei parametri, della stabilità e del comportamento dei prototipi di autoveicoli. [8, 9, 10].

Se si assume J = mab, le equazioni (1.76) si semplificano nella froma seguente       − + − = 1 1 2 2 1 1 ) ( ) ( 1 W F gl u u g δ α α y α α&       − + − = 2 2 2 2 1 2 ) ( ) ( 2 W F gl u u g δ α α y α α& dove W1 = mgb/l e W2 = mga/l (1.77)

rappresentano i carichi verticali sui due assali dovuti alla sola forza peso. In generale, gli effettivi carichi verticali Fz1 e Fz2 saranno diversi a causa, principalmente, delle forze di origine aerodinamica. A tale proposito si vedano studi più approfonditi su [17 e 18].

(4)

Come già avvenuto nel caso del modello lineare anche nella trattazione che segue, che pur utilizza le posizioni (1.77), non richiede alcuna ipotesi sul valore di J.

Sistemi autonomi di ordine due come in (1.75) o (1.76) possono essere studiati con l’ausilio del piano delle fasi (phase plane), ovvero facendo uso della teoria geometrica (o qualitativa) per i sistemi dinamici non lineari. Il piano delle fasi è un piano (astratto) che ha quali coordinate cartesiane le due variabili di stato. In sintesi, si interpreta una soluzione (v(t), r(t)), ovvero (α1(t), α2(t)), ottenuta a partire da certe condizioni iniziali (v0,r0) (ovvero (α10, α20)), come le equazioni parametriche di una curva piana. Ogni curva di questo tipo è detta traiettoria. La totalità di queste curve (phase flow) rappresenta la totalità delle possibili soluzioni.

Se si elimina il tempo dalle equazioni (1.75) si ottiene l’equazione differenziale che definisce le traiettorie nel piano delle fasi

) , ( ) , ( 2 1 r v f r v f dr dv =

e che integrata per via analitica o numerica permette l’effettivo tracciamento delle traiettorie stesse.

1.9.1 Moto a regime

Il primo passo passo per comprendere il comportamento di un sistema dinamico e quindi di un autoveicolo è la determinazione di eventuali configurazioni di equilibrio (α1p, α2p) (ovvero (vp, rp)).

In termini fisici, essere in condizioni di equilibrio (o stazionarie) vuol dire che il veicolo percorre traiettorie circolari di raggio costante con angolo di assetto β costante. Matematicamente ciò equivale ad annullare le derivate delle variabili di stato dv/dt = 0 e dr/dt = 0, ovvero dα1/dt = dα2/dt = 0, dato

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che si sono ipotizzate dδ/dt = 0 e du/dt = 0. Di conseguenza le equazioni differenziali (2.76) diventano equazioni algebriche

0 = g1(α1, α2)

(1.78) 0 = g2(α1, α2)

le cui soluzioni (α1p, α2p) forniscono proprio le richieste condizioni di equilibrio. Il numero delle soluzioni non è noto a priori perché le equazioni non sono lineari.

Ogni configurazione di equilibrio corrisponde ad un punto singolare nel piano delle fasi. Può essere utile interpretare le (1.78) come equazioni implicite di due curve in (α1, α2) i cui punti di intersezione rappresentano proprio le soluzioni cercate (α1p, α2p).

Tutto ciò va bene da un punto di vista generale, ma fornisce poche indicazioni su come ottenere effettivamente i punti singolari. Osservando attentamente si scopre che le (1.78) sono verificate se e sole se valgono le seguenti relazioni più semplici

[

( )

]

) ( ) ( 2 1 2 2 2 1 1 α + α = δ α α gl u mg F Fy y (1.79) 0 ) ( 1 2 2 1 aF b= Fy α yα

Se si tiene conto che per definizione R = u/r, ci si accorge che queste due relazioni si potevano direttamente ottenere annullando le derivate in (1.75), e altro non sono che le due equazioni di equilibrio (1.35) in condizioni stazionarie.

Risulta però molto più conveniente ([14]) sviluppare ulteriormente le (1.79). Infatti, si può introdurre nella prima relazione il fatto che Fy2 = Fy1a/b, oltre a considerare le definizioni (1.77).

(6)

Con questi accorgimenti si perviene alle relazioni seguenti. ) ( ) ( 2 1 2 1 1 1 α = δα α gl u W Fy (1.80) 2 2 2 1 1 1( ) ( ) W F W Fy α y α = (1.81)

che sono quelle tipicamente utilizzate per tracciare l’handling diagram o diagramma di maneggevolezza. Per gli sviluppi successivi, si ricorda che a regime valgono le uguaglianze.

k g a gR u W F W Fy y y = = = = ( ) ~ ) ( 2 2 2 2 1 1 1 α α

Nonostante il nome suggestivo, l’handling diagram non è che un metodo grafico per determinare le condizioni di moto a regime (punti singolari) del modello monotraccia non lineare. Esso non rappresenta quindi una migliore formulazione delle equazioni che governano il moto del veicolo, ma rappresenta uno strumento potente per verificare il comportamento del sistema dinamico e verrà qui trattato ampiamente perché necessario per poter acquisire correttamente una certa serie di nozioni necessarie alla comprensione del sistema stesso.

Le (1.78) contengono le stesse informazioni, anche se le (1.80) e (1.82) sono indubbiamente una scelta felice. Infatti, la (1.80) è semplicemente l’equazione di una retta nelle variabili Fy1/W1 e (α1, α2) con i due parametri velocità di avanzamento u e angolo di sterzo δ che ne determinano la posizione e l’angolazione. Al contrario, la (1.81) è l’equazione di una curva nelle stesse due variabili, in cui non compaiono i parametri u e δ, ma solo le grandezze costruttive del veicolo.

Per costruire la curva (1.81) dell’handling diagram (detta handling curve) per prima cosa si riportano sullo stesso grafico, come in Fig. 1.12, gli andamenti di Fyi(αi)/Wi, i = 1,2, ovvero delle caratteristiche effettive dei due assali,

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normalizzate rispetto alle forze peso (statiche). Queste vengono introdotte nel caso di non linearità dei pneumatici per considerare il mutato rapporto tra la risposta longitudinale degli assali ad una forza applicata dovuta allo spostamento di carico verticale su ogni singoli assale per il moto di rollio. Per ogni valore dell’ordinata, si ottengono uno o più valori della differenza α1 -

α2. Si ottiene, cioè, quello o quei valori della differenza fra gli angoli di

deriva che corrispondono al valore fissato di Fy1(α1)/W1 = Fy2(α2)/W2. In Fig.

1.12 sono riportati due esempi. In quello più in basso si ha un solo valore di α1 - α2, mentre nell’altro si hanno addirittura quattro valori possibili, di cui tre

positivi ed uno negativo.

Fig. 1.12: Caratteristiche effettiva normalizzate

Si osservi che in Fig. 1.12 la derivata nell’origine delle due funzioni è proporzionale a C1/b e C2/a. Pertanto si evince immediatamente dal grafico in

(8)

esame il carattere sottosterzante del corrispondente modello monotraccia lineare.

Fig. 1.13: Handling diagram

Il relativo handling diagram è riportato in Fig. 1.13. Per consuetudine, l’ascissa α1 - α2 è positiva se diretta verso sinistra. In ordinate si ha la stessa quantità della precedente Fig. 1.12, ossia il rapporto k = Fyi/Wi = u2/(gr) = /g. Il valore della massima ordinata è talvolta detto “tenuta in curva”, se corrisponde ad una condizione di equilibrio stabile. Ovviamente, una diversa

y

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posizione relativa delle due curve in Fig. 1.12 avrebbe prodotto una diversa curva in Fig. 1.13.

Si noti che la massima tenuta in curva raggiungibile dal veicolo è limitata dal picco più basso, ossia da M2 in Fig. 1.12. In auto da competizione si ha

quindi tutto l’interesse ad avere caratteristiche effettive dei due assali con picchi allo stesso livello [17].

La parte nel semipiano superiore del diagramma di Fig. 1.13 contempla le condizioni di regime in cui il veicolo curva verso sinistra (R > 0), mentre la parte inferiore è relativa alle condizioni di regime in cui il veicolo curva verso destra (R < 0). Le due parti del diagramma non sono necessariamente simmetriche in un veicolo reale.

Se ci si riferisce proprio al diagramma di Fig. 1.13, si nota che la curva è composta da un ramo principale (in questo caso a forma di “S”) e da due rami secondari. La parte più interessante per le applicazioni è quella che va dall’origine O al punto di massimo M del ramo principale (lo stesso vale per la parte inferiore). Infatti, questo tratto O-M si ottiene considerando entrambe le caratteristiche dei due assali in Fig. 1.12 nelle loro parti crescenti. In tutti gli altri tratti, sia del ramo principale che secondari, almeno un assale si trova a lavorare nel tratto discendente. Si tratta, quindi, di condizioni di funzionamento anomale ed in cui è lecito aspettarsi un equilibrio instabile (anche questo non necessariamente vero).

In Fig. 1.13 è anche riportata una possibile retta definita dalla (1.80). il coefficiente angolare è pari a -u2/(gl) = -kR/l. L’angolo di sterzo comporta una traslazione orizzontale in modo che la retta intersechi l’asse delle ascisse proprio ad α1 - α2 = δ.

E’ di fondamentale importanza comprendere che le eventuali intersezioni fra retta e curva individuano tutte e sole le possibili configurazioni di equilibrio per quei valori di velocità di avanzamento u e di angolo di sterzo δ.

(10)

Nell’esempio di Fig. 1.13 si hanno due possibili condizioni di funzionamento indicate con P e Q. Al momento, niente si può però dire sulla stabilità dell’equilibrio.

Il diagramma di maneggevolezza è quindi composto di due parti: una curva che rappresenta la parte più “laboriosa” da ottenere e che però non dipende dai parametri di prova u e δ, ma solo dalle grandezze costruttive, e da una retta, “facile” da tracciare e che varia in modo semplice in funzione di u e δ. Per questo si è detto che la scelta delle equazioni nella forma (1.80) e (1.81) è da ritenersi felice. Fissati u e δ si traccia la retta e si individuano le intersezioni con la curva. Per ogni punto di intersezione, si legge il valore dell’ordinata k = Fyi/Wi, da cui si possono ottenere gli angoli di deriva anteriore e posteriore, utilizzando i grafici di Fig. 1.12. Infine, con le equazioni di congruenza si ottengono la velocità laterale vp e la velocità di imbardata rp a regime.

A questo punto, sembrerebbe che l’handling diagram avesse esaurito il suo compito di indicare, in forma grafica, le condizioni di moto a regime. In realtà si possono ricavare molte altre informazioni, motivo questo che impone di soffermarvisi ancora.

Ad esempio, il valore del rapporto l/Rp, fra il passo del veicolo ed il raggio di curvatura, può essere valutato facilmente. Una volta nota, per una certa configurazione di equilibrio, la differenza α1 - α2 e l’angolo di sterzo, basta applicare la (1.7). Graficamente, si ha la costruzione indicata in Fig. 1.13, che utilizza una retta ausiliaria per l’origine parallela all’altra. Il valore di l/Rp si legge sull’asse delle ascisse orientato verso destra.

(11)

1.9.2 Definizione di veicolo sovra-sottosterzante

L’introduzione dell’handling diagram e più in generale la trattazione del modello monotraccia con pneumatici non lineari portano naturalmente ad una generalizzazione delle precedenti definizioni. Il concetto di sovra-sottosterzante non è più associabile al veicolo, ma alla particolare condizione di equilibrio. In altre parole, uno stesso veicolo può per certi valori di u e di δ comportarsi come sottosterzante, mentre per altri diventare sovrasterzante. Eventuali rilievi sperimentali dovranno quindi essere effettuati attendendo sempre che il veicolo raggiunga le condizioni di regime, oppure variando molto lentamente le condizioni di funzionamento.

E’ bene dunque introdurre il concetto di manovra, nel senso di successione di stati di equilibrio. Casi particolari di manovra saranno a velocità u variabile e raggio di curvatura R costante, o viceversa. Più in generale si parlerà di manovre ad accelerazione laterale variabile [8, 9, 10]

In una qualsiasi configurazione di equilibrio si definisce neutro il comportamento del veicolo se, per manovre infinitesime, si annulla la derivata 0 1 =       − p R dx d δ (1.82)

fatta rispetto ad un qualunque parametro x che controlla il tipo di manovra. Se, all’equilibrio, si considera la relazione puramente cinematica (1.7) e la si deriva rispetto al parametro x si ottiene anche che

dx d R l dx d p p p ) (α1 α2 δ = −       − (1.83)

In base alla definizione (1.82), in una certa configurazione di equilibrio si ha quindi comportamento neutro se la variazione di angolo di sterzo δ porta ad una eguale variazione dell’angolo di Ackermann δ0 = l/Rp. Ovviamente allora

(12)

un veicolo viene definito dal comportamento sottosterzante, in una certa configurazione di equilibrio, se la deriva (1.82) è positiva (la manovra richiede una variazione di δ superiore alla variazione di δ0 richiesta dalla sterzatura cinematica), e dal comportamento sovrasterzante se negativa (la manovra richiede una variazione di δ minore della variazione di δ0). Di queste definizioni un po’ astratte se ne possono dare versioni equivalenti, ma forse più espressive.

Da ora in poi si ometterà il pedice p, dando per scontato che si tratta di equazioni di equilibrio.

Fig. 1.14: Esempio di handling diagram con manovra a raggio R costante

Si consideri una manovra a raggio di curvatura R costante, esemplificata in Fig. 1.14, in cui si aumenta gradualmente la velocità u e si varia l’angolo di sterzo δ in modo da mantenere il veicolo su un cerchio di raggio assegnato (manovra di steering pad). In questo caso, nella equazione (1.83), qualunque

(13)

sia il parametro x che controlla la manovra, si ha

dx R l

d( / )= 0, dato che l e R

sono costanti. Pertanto, se si pone x = u, il tipo di comportamento del veicolo in una certa configurazione di equilibrio è così definito

1. du dδ < 0 sovrasterzante 2. du dδ = 0 neutro (1.84) 3. du dδ > 0 sottosterzante

L’interpretazione fisica è evidente. Ad esempio, si ha comportamento sottosterzante se, per percorrere una stessa traiettoria circolare di raggio R con velocità sempre maggiori, sono richiesti angoli di sterzo crescenti; al contrario, se sono richiesti angoli di sterzo sempre minori, si ha comportamento sovrasterzanti.

In Fig. 1.14 si è indicato con T il punto corrispondente al comportamento neutro. In tutte le configurazioni di equilibrio relative al tratto O-T, ossia per angoli di sterzo l/R ≤ δ < δT, corrispondenti a velocità 0 ≤ u < uT, il veicolo ha comportamento sottosterzante. Per velocità superiori il veicolo in esame diventa sovrasterzante.

Un’altra tipica manovra è a velocità u costante e raggio R variabile, illustrata in Fig. 1.15. In questo caso si può porre x = l/R e, di conseguenza, in (1.83) si

ha 1 ) / ( ) / ( = R l d R l

d . Pertanto, il tipo di comportamento del veicolo in una certa

(14)

1. ) / ( Rl d dδ < 1 sovrasterzante 2. ) / ( Rl d dδ = 1 neutro (1.85) 3. ) / ( Rl d dδ > 1 sottosterzante

Anche qui l’interpretazione fisica è evidente. Si ha comportamento sottosterzante (tratto O-T in Fig. 1.15) se per ridurre il raggio della curva (quindi aumentare l/R), a velocità fissata, occorre variare l’angolo di sterzo più di quanto richiesto in condizioni di sterzatura cinematica.

Fig. 1.15: Esempio di handling diagram con manovra a velocità u costante

Una manovra più generale si ha utilizzando quale parametro x l’accelerazione laterale a regime a~y =ur=u2/R. Tutte queste definizioni sono fra loro equivalenti, nel senso che la classificazione del veicolo in sovra-sottosterzante è del tutto indipendente dal tipo di manovra, ma dipende solo

(15)

dal livello di accelerazione laterale a~y e quindi dalla condizione di equilibrio.

questo fatto è già abbastanza evidente dalle precedenti Figg. 1.14 e 1.15, in cui la posizione del punto di transizione T non è influenzata dalla manovra che si sta compiendo, ma solo da caratteristiche intrinseche alla curva dell’handling diagram (tangente verticale) e quindi del veicolo stesso.

,i ip

= )

=

Questo fatto può essere sottolineato definendo le rigidezze di deriva generalizzate Фi 2 , 1 = = Φ = d dF i i yi i α α α (1.86)

che rappresentano le pendenze delle curve dei pneumatici valutate per il valore dell’angolo di deriva αip che si ha in una certa condizione di equilibrio. Si noti che Фi ≡ Ci per angoli di deriva nulli, ovvero in marcia rettilinea.

Come già visto, dalle (1.80) e (1.81) si ottiene, in ogni configurazione di equilibrio, k g a gR u W F W Fy y y = = = ( ~ ) ( 2 2 2 2 1 1 1 α α (1.87)

Queste relazioni, valide solo in condizioni stazionarie, permettono di ottenere le seguente funzioni del singolo angolo di deriva:

nel caso di manovra generica (u e R entrambi variabili)

i i yi y W gF a ( ) ~ α

nel caso di manovra a raggio R costante

i i yi W gRF u= (α )

e nel caso di manovra a velocità u costante

i i yi W u glF R l 2 ) (α =

(16)

Da queste relazioni è immediato calcolare le seguenti derivate, tutte valutate ad α1 = α1p e α2 = α2p m l b d a d y 1 1 ~ Φ = α , m l a d a d y 2 2 ~ Φ = α ; (1.88) mu Rl b d du 2 1 1 Φ = α , mu Rl a d du 2 2 2 Φ = α , (R = cost); (1.89) 2 2 1 1 ) / ( mu l b d R l d =Φ α , 2 2 2 2 ) / ( mu l a d R l d =Φ α , (u = cost); (1.90)

dove si è fatto uso delle (1.77).

Invertendo le precedenti derivate, si possono ottenere le seguenti importanti relazioni       Φ Φ Φ − Φ − = − 2 1 2 1 2 1 ~ ) ( a b l m d d y α α α , (1.91)       Φ Φ Φ − Φ − = − = 2 1 2 1 2 1 ) 2 ( a b Rl mu du d du dδ α α , (R = cost), (1.92)       Φ Φ Φ − Φ − = − + = 2 1 2 1 2 2 2 1 1 ) / ( ) ( 1 ) / ( b a l mu R l d d R l d dδ α α , (u = cost). (1.93)

Le ultime due relazioni altro non sono che casi particolari della prima. Infatti, se R = cost si ha da~y/du=2u/R, mentre se u = cost si ha da~y/d(l/R)=u2/l. Se si definisce il gradiente di sottosterzo generalizzato Kg come

      − = R l d d K y g α~ δ , (1.94)

(dove R = Rp) si ha nel modello in esame e in base alle equazioni (1.83) e (1.91)       Φ Φ Φ − Φ = 2 1 2 1a b l m Kg . (1.95)

(17)

Si possono allora generalizzare le precedenti definizioni: 1. veicolo sovrasterzante se Kg < 0;

2. veicolo neutro si Kg = 0;

3. veicolo sottosterzante si Kg > 0.

Se, come spesso accade, si è solamente interessati alle configurazioni di equilibrio in cui Φ1 e Φ2 sono entrambe positive, si possono dare le

precedenti definizioni anche in termini della differenza Φ2b - Φ1a.

Fig.1.16: Esempio di handling diagram con manovra ad angolo di sterzo δ costante

Un ulteriore esempio può essere ricavato dalla fig. 1.16, dove è illustrata una manovra ad angolo di sterzo fissato. In particolare nel caso in questione si ha un aumento del raggio di curvatura al crescere della velocità di avanzamento, confermando il carattere sottosterzante del tratto O-T.

(18)

Nelle manovre di steering pad, quindi con R costante e u variabile, è prassi comune riportare in un diagramma l’andamento dell’angolo di sterzo δ in funzione dell’accelerazione laterale a regime a~y. In effetti, come si ricava anche dall’handling diagram, sul cui asse delle ordinate altro non c’è che k =

/g, il livello di accelerazione laterale determina il valore della differenza α y

a~ 1

- α2, indipendentemente dal raggio a cui si conduce la prova. Pertanto, in base alla solita equazione (1.7), la scelta di R (di solito 40 o 100 metri) comporta solo una traslazione in senso verticale del diagramma di δ in funzione di a~y,

ma non ne altera la forma. Tutto ciò che si è affermato è confrontabile con buona approssimazione con i rilevamenti sperimentali su strada. [17]

Fig.1.17: Manovra di steering pad: l’angolo di sterzo in funzione dell’accelerazione laterale

(19)

Con i risultati ottenuti è immediato esprimere la derivata dell’angolo di sterzo in funzione dell’accelerazione laterale nel caso delle manovre di steering pad

g y y K b a l m a d d a d d =       Φ Φ Φ − Φ − = − = 2 1 2 1 2 1 ~ ) ( ~δ α α (R=cost).

La precedente derivata si definisce gradiente di sottosterzo K (understeer

gradient) se valutata ad accelerazione laterale (quasi) nulla

      − − = = = 1 2 2 1 0 ~ ~ ml CCa CC b a d d K y a y δ (R=cost). (1.96)

Si potrà notare la coincidenza di questa con l’equazione (1.65) valida per il modello monotraccia lineare. L’unica importante differenza è che qui le derivate vanno valutate ad accelerazione laterale nulla.

Di solito in autovetture da turismo (e quindi sempre sottosterzanti), K vale circa 1.5 - 2.5 gradi/g. Se, come si fa molto spesso, si definisce il gradiente di sottosterzo come la derivata dell’angolo di rotazione del volante rispetto all’accelerazione laterale, si hanno valori di circa 30 - 50 gradi/g, dato che il sistema di sterzo ha un rapporto di trasmissione fra volante e ruote di circa 1:20. [19]

Per consentire un elevato comfrot di guida e garantire efficace sicurezza nelle manovre, nelle comuni automobili da turismo si deve avere un comportamento sempre più sottosterzante all’aumentare dell’accelerazione laterale (evitando comportamenti come quello dell’handling diagram di Fig. 1.13). L’ andamento crescente della derivata dδ/d , rispetto a , (come in Fig. 1.17) può considerarsi tipico per autovetture di serie.

y

a~ a~y

Il gradiente di sottosterzo K può essere valutato in prove a velocità costante e raggio variabile, anche se sono più difficili da condurre [10]. Anche in questo

(20)

caso basta riportare in un grafico l’andamento dell’angolo di sterzo δ in funzione dell’accelerazione laterale a regime e poi tenere conto che adesso a~y

K iu a d d a d R l d a d d y y y y a y a a y + = − + = = = = 2 0 ~ 2 1 0 ~ 0 ~ 1 ~ ) ( ~/ ) ( ~δ α α (u = cost)

dove si è utilizzata la relazione l/R = a~yl/u2, valida a regime.

A questo punto, l’estensione al caso non lineare è completa. In definitiva, la non linearità del modello ha richiesto definizioni di tipo incrementale, ovvero in termini di derivate. Fortunatamente, l’handling diagram permette di valutare facilmente il carattere sovra-sottosterzante di una certa configurazione di equilibrio, soprattutto sfruttando le equazioni (1.84) e (1.85).

Fig. 1.18: Andamento dell’angolo di sterzo in funzione di R

l

nella manovra a bassa velocità costante di Fig. 1.15

(21)

1.9.3 Analisi mediante sistemi linearizzati

Nel caso non lineare non si sanno, in generale, esprimere le soluzioni in forma analitica. Nella maggioranza dei casi però si possono dedurre le proprietà di stabilità e il comportamento qualitativo nell’intorno di un punto di equilibrio mediante lo studio del sistema linearizzato.

I fondamenti teorici di questo procedimento, peraltro molto semplice da applicare, si possono trovare in qualunque trattato di meccanica analitica, come [12, 15]. In breve, il sistema non lineare ha il comportamento asintotico del corrispondente sistema linearizzato, perché quest’ultimo non abbia autovalori con parte reale nulla.

Il modello non lineare in esame è descritto dalle due equazioni differenziali in forma normale (1.81).

Nell’intorno di ogni condizione di equilibrio (vp, rp), si possono sviluppare i membri di destra in serie di Taylor fino al primo ordine

2 , 1 ..., ) ( ) ( ) , ( ) , ( ) ( ) , ( , = + − ∂ ∂ + − ∂ ∂ + = r r i r f v v v f r v f r v f p r v i p r v i p p i i p p p p (1.97) dove fi(vp, rp) = 0 per definizione di punto di equilibrio (derivate temporali in (1.78) tutte nulle).

Il corrispondente sistema linearizzato si ottiene trascurando in (1.97) i termini di ordine superiore al primo e sostituendo ciò che resta in (1.78). In notazione matriciale, le equazioni che governano il sistema linearizzato possono essere scritte nella forma seguente

) ( )

(t Aw t

w& = (1.98)

dove si sono introdotte le variabili traslate       − − =       = p p r r v v w w t 2 1 ) ( w ,

(22)

da cui w& =( rv &&, ), e la matrice             Φ + Φ Φ − Φ + Φ − Φ Φ + Φ − = Ju b a Ju b a u mu b a mu 2 2 2 1 2 1 2 1 2 1 A . (1.99)

Le rigidezze di deriva generalizzate Φi sono state definite in (1.86).

Se si considera la matrice jacobiana J associata alle due funzioni f1(v, r) e f2(v, r) si vede subito che A = J(vp, rp). Pertanto, mentre la matrice jacobiana è una matrice di funzioni, A è una matrice di numeri reali dipendenti dalla configurazione di equilibrio in esame. Si noti come da uno stesso veicolo si possano ottenere infiniti sistemi linearizzati (uno per ogni condizione di equilibrio), tutti fra loro diversi.

1.9.4 Studio della stabilità di marcia

Se si confrontano le espressioni (1.99) e (1.41), ci si accorge che le due matrici A sono formalmente identiche se si sostituisce Φi con Ci. In primo luogo, ciò conferma che il modello non lineare comprende quello lineare come caso particolare (marcia in rettilineo). inoltre, lo studio della stabilità può essere condotto allo stesso modo, anche se le rigidezze generalizzate Φi

sono dipendenti dalle condizioni di funzionamento e possono anche risultare negative.

In base a quanto esposto nel §1.8, punto di equilibrio è asintoticamente stabile se e sole se entrambi gli autovalori λ1 e λ2 di A hanno parte reale negativa, e ciò accade se e solo se

tr(A) < 0 e det(A) > 0 Infatti, basta ricordare che λ1 + λ2 = tr(A) e λ1λ2 = det(A).

(23)

La traccia e il determinante sono dati da 2 2 2 2 1 2 2

)

(

)

(

)

(

umk

b

k

a

k

tr

A

=

+

Φ

+

+

Φ

, (1.100) e             Φ Φ Φ − Φ − Φ Φ − = 2 1 2 1 2 2 2 2 2 1 1 ) ( ) det( a b l mu umk l A , (1.101)

dove si è posto J = mk2. queste espressioni sono formalmente identiche alle (1.44) e (1.45).

Il termine fra parentesi quadre dell’espressione del determinante è la derivata dell’angolo di sterzo δ, fatta rispetto a l/R, in una manovra a velocità costante. Si hanno quindi le importanti relazioni

    + Φ Φ =       Φ Φ = Kg u l umk l R l d d umk l 2 2 2 2 1 2 2 2 1 ) ( ) / ( ) ( ) det(A δ (u = cost). (1.102)

Per discutere la stabilità ci si può ancora riferire all’handling diagram riportato in Fig.1.14 perché permette di valutare facilmente la derivata dδ/d(l/R).

Se l’intersezione fra retta e curva cade nel tratto O-M, la condizione (1.100) sulla traccia è sempre verificata. Infatti, entrambe le Φi sono positive.

L’eventuale perdita di stabilità viene quindi a dipendere solo dal segno del determinante o, più precisamente, dal segno della derivata cambia segno quando la retta e la curva nell’handling diagram sono tangenti. Nell’esempio di Fig. 1.15 ciò accade nel punto S.

Si noti che, mentre la transizione fra sovra e sottosterzo avviene sempre nel punto T della curva dove la tangente è verticale (caratterizzato da Φ1a - Φ1b = 0, ovvero da un ben preciso valore dell’accelerazione laterale ), il passaggio da stabilità ad instabilità avviene in un punto S dipendente anche direttamente dalla velocità u, come ovvio che sia.

y

(24)

Fig. 1.19: Tracciamento della frontiera di stabilità

Interessante è anche osservare che nel tratto O-M in cui Φ1 > 0 e Φ2 > 0, la transizione da veicolo stabile a instabile si può avere solo se il veicolo ha comportamento sovrasterzante. in altre parole, se in una certa configurazione il veicolo ha comportamento sottosterzante, allora l’equilibrio è necessariamente stabile.

Se si ha un handling diagram come in Fig. 1.15, ogni velocità può diventare critica per il veicolo, purché lo si faccia muovere su una curva di raggio sufficientemente piccolo. Infatti si può facilmente associare ad ogni velocità u il valore del raggio di curvatura RS che rende instabile l’equilibrio. Il valore indicato con RS in Fig. 1.15 rappresenta il raggio minimo di curvatura percorribile in modo stabile alla velocità impostata.

In generale, occorre quindi sostituire all’unica velocità critica ucr tipica del modello lineare, un’infinità di coppie critiche (u, R)cr, ovvero (a~y, u)cr o (l/R, a~ )cr, dato che a~ = u2/R. Se per ogni velocità si marca il punto (l/R, a~ )cr

(25)

sull’handling diagram, come mostrato in Fig. 1.19, si ottiene una linea che separa le configurazioni stabili da quelle instabili, detta frontiera di stabilità. Per evidenziare che quanto concluso precedentemente per il modello totalmente lineare è inadeguato, basta osservare che nel tratto T-M in Fig. 1.15, in cui il veicolo ha comportamento sovrasterzante, si ha sempre angolo deriva anteriore maggiore di quello posteriore (α1p - α2p > 0).

Il tratto O-M, corrispondente a condizioni di equilibrio in cui entrambi gli assi lavorano nel tratto crescente delle curve di risposta all’angola di deriva, è indubbiamente quello più significativo, sia per automobili da turismo, che per quelle da corsa. Vale comunque la pena discutere anche gli altri tratti, se presenti nell’handling diagram.

Il tratto M-B di Fig. 1.15 corrisponde a condizioni di equilibrio instabile. Infatti, una sola delle Φi è negativa e ciò rende negativo il determinante perché la derivata in (1.102) è positiva. Si osservi, come risulta dalla Fig. 1.15 e dalla definizione (1.85), che il veicolo ha comportamento sottosterzante, pur essendo instabile. Ciò dimostra l’inferenza “sottosterzo → stabilità” vale solo in condizioni normali (Φ1 e Φ2 positive) nell’attraversare il punto M la derivata dδ/d(l/R) è discontinua, passando da -∞ a +∞ (Fig. 1.15). Non si ha quindi il passaggio dalla condizione di veicolo neutro.

Nel ramo secondario (riportato solo in Fig. 1.13) la situazione è più difficile da decifrare con considerazioni qualitative. Nel tratto D-E, in cui entrambe le Φi sono negative, si ha tr(A) > 0 e quindi instabilità. Si noti che la perdita di instabilità causata dalla violazione delle condizioni sulla traccia tr(A) non si poteva avere nel modello di veicolo con pneumatici lineari.

Nel tratto C-D in cui una sola Φi è negativa, ammesso che la traccia si mantenga negativa, si potrebbe avere stabilità se anche la derivata dδ/d(l/R) fosse negativa. In ogni caso si tratta di condizioni di funzionamento anomale,

(26)

in cui i pneumatici di un assale si trovano a lavorare già nel tratto discendente e quindi con angolo di deriva molto elevato.

1.10 Riepilogo

Grazie ad opportune ipotesi, è stato possibile arrivare alla formulazione di un modello molto semplice che rappresenta correttamente i vari aspetti della dinamica di un autoveicolo, il modello monotraccia. La trattazione è stata articolata in tre fasi distinte, considerando rispettivamente gli aspetti geometrici (equazioni di congruenza), l’equilibrio del sistema (equazioni di equilibrio) e il comportamento dei pneumatici (equazioni costitutive). La variazione di questo ultimo aspetto ha portato all’analisi di due differenti modelli: quello lineare e quello non lineare.

Si è preso in esame per ogni modello il significato di “sovra e sottosterzo” per l’analisi della stabilità del veicolo.

Infine, è stato introdotto l’handling diagram per facilitare la comprensione della dinamica del modello non lineare e della sua frontiera di stabilità.

Figura

Fig. 1.12: Caratteristiche effettiva normalizzate
Fig. 1.13: Handling diagram
Fig. 1.14: Esempio di handling diagram con manovra a raggio R costante
Fig. 1.15: Esempio di handling diagram con manovra a velocità u costante
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