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Esperienze in materia di danno biologico nell’ambiente forense e giudiziario ferrarese

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Academic year: 2022

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Avv. Luigi Vezzani Camera Civile di Ferrara

Esperienze in materia di danno biologico nell’ambiente forense e giudiziario ferrarese

1. Evoluzione storica e giurisprudenza di base

I primi approcci con le questioni di liquidazione del danno alla persona risalgono per me alla ormai remota epoca del praticantato (1967 - ‘68) e sono collegati allo studio di un piccolo testo (“Manuale della responsabilità penale e civile da illecito, della prescrizione e del danno” Giuffrè 1968) scritto dal Magistrato di Cassazione Vinicio Geri (un vero e proprio “pioniere” e maestro); ho cercato e ritrovato, in un angolo della biblioteca del mio studio, quel vecchio libro un po’ ingiallito dal tempo e consumato dal frequente uso, ne ho sfogliato le pagine e vi ho ritrovato i principi - cardine che, allora, informavano la tecnica liquidativa nella prassi giurisprudenziale e assicurativa.

Insegnava il Geri che per potere determinare la quantità del risarcimento occorreva fare riferimento a tre fattori del calcolo: il coefficiente di capitalizzazione, la percentuale di invalidità lavorativa, il guadagno della persona lesa. Come è noto il coefficiente di capitalizzazione veniva tratto dalle cosiddette tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate a approvare con R.D. 9 OTTOBRE 1922 n. 1403 riguardante l’allora Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali (ora INPS): tale coefficiente costituisce la capitalizzazione anticipata di una lira pagabile in rate mensili anticipate in rapporto all’età e al tasso di interesse del 4,50%, cosicché per ottenere la liquidazione tabellare del danno da invalidità permanente occorreva compiere la seguente semplicissima operazione: moltiplicare il coefficiente di capitalizzazione di una lira corrispondente all’età per il reddito medio annuo e ancora per il grado di invalidità; il Geri portava l’esempio dell’operaio quarantenne (coeff. di capitalizzazione 16, 318) con un reddito annuo di £. 2.000.000 (siamo nel 1986) invalido al 40%, per lui la somma dovuta a titolo di risarcimento da lucro cessante risultava di £. 13.054.400 = (16,318 x 2.000.000 x 0,40) = £. 13.054.000). Si introduceva, peraltro, il correttivo dello scarto fra vita fisica e lavorativa, nel senso che, dovendosi ipotizzare, solitamente, la cessazione dell’attività lavorativa qualche tempo prima di quella fisica, ed essendo la capitalizzazione anticipata rapportata, in base ai detti coefficienti, alla durata media della vita umana, appariva equa una riduzione del risarcimento in misura variabile dal 10% al 20% a seconda dell’età, del sesso, del tipo di professione. Come si vede, si trattava di un metodo liquidativo caratterizzato da una connotazione tipicamente patrimonialistica, nell’ambito del quale il soggetto leso veniva in considerazione esclusivamente quale “forza lavoro” e produttore di reddito. Tale concezione era, a quei tempi, così radicata ed esclusiva da prescindere in via assoluta da ogni indagine relativa all’effettiva incidenza negativa della lesione invalidante sulla capacità lavorativa (specifica, come oggi si dice) del danneggiato, risultando sufficiente in binomio invalidità permanente accertata = attività lavorativa retribuita per farne conseguire il diritto, allora indiscusso, al risarcimento del lucro cessante (effettivo o fittizio che fosse) con il citato metodo della capitalizzazione anticipata; tale concezione patrimonialistica era così profonda e radicata che perfino nei casi di soggetti lesi privi di reddito (come ad esempio le casalinghe e i fanciulli) Giurisprudenza e dottrina (più che suggerire il criterio equitativo) si sbizzarrivano nel cercare soluzioni patrimonialistiche elaborando i concetti di “reddito figurativo” o di “reddito presunto”

sicché per la casalinga si tendeva a considerare (a seconda del livello sociale) il normale guadagno (reddito figurativo) di un’operaia, di una domestica o di un impiegata, mentre per i fanciulli si tendeva a considerare una sorta di reddito presunto per lo più dedotto, a livello di valutazione del reddito medio futuro annuo, dall’attività professionale dei genitori. Per la verità già allora il Geri, come altra dottrina e giurisprudenza, si soffermava sul concetto di “danno extra - lavorativo”

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accennando, ad esempio, alle menomazioni estetiche o comunque ai riflessi negativi che un’invalidità o infermità permanente può comportare non solo per il lavoro, ma anche per le attività sociali, ricreative, sportive; si elaborò così il concetto di “danno alla vita di relazione” che, però, non venne inteso come evento immediatamente correlato all’illecito e inevitabilmente dannoso alla persona in sé e per sé considerata, ma come conseguenza eventuale ed estranea, variabile a seconda del tipo di lesione, del soggetto, dell’ambiente, tanto da tradursi, nella pratica, in una sorta di corollario della capitalizzazione dell’invalidità permanente che era e restava, nella sua accezione tipicamente patrimonialistica, la liquidazione base cui poteva eventualmente aggiungersi, ove ne fossero ravvisati i presupposti, la liquidazione, per lo più in via equitativa, del cosiddetto danno alla vita di relazione. Siamo dunque ancora lontani anni luce dal moderno concetto di danno biologico.

La liquidazione del danno avveniva, allora, esclusivamente con il metodo della capitalizzazione anticipata legata all’età e al reddito, salva (ove questa non fosse ritenuta già esaustiva) la eventuale liquidazione equitativa del danno alla vita di relazione e quella, pure equitativa e nelle sole ipotesi di reato, del danno morale. Nei primi anni ‘70 si registrò, nella Giurisprudenza, un movimento di contestazione delle prassi liquidative fondate sul sistema patrimoniale e tabellare; cominciò il Tribunale di Genova con la storica sentenza 25 MAGGIO 1974 (“Nell’ipotesi di lesioni fisiche della persona, per la determinazione del danno risarcibile occorre considerare due distinti profili: da un lato il pregiudizio di ordine patrimoniale subito dal danneggiato in conseguenza delle lesioni, da accertarsi nella sua concreta effettività, e non già tramite un astratto riferimento al reddito percepito dal soggetto leso, sulla base del sistema tabellare correntemente impiegato nella prassi; dall’altro - e cumulativamente - il pregiudizio non patrimoniale consistente nel danno biologico e cioè nella lesione dell’integrità fisica in sé e per sé considerata, il cui risarcimento deve variare solo con il variare dell’età del danneggiato, restando invece affatto indipendente dal livello dei redditi di questo”). Tale sentenza, come si vede fortemente innovativa, richiama il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, non solo, la sentenza appare anche rivoluzionaria perché, forse per la prima volta, nel criticare il sistema tabellare legato al reddito proclama l’iniquità derivante dalla sperequazione tra due soggetti con redditi di diversa entità e con pari grado di invalidità di una rispettiva liquidazione definita in termini di astratta (perché tabellare) incapacità lavorativa.

L’intuizione genovese, non priva di punti oscuri quali la catalogazione del danno biologico nell’ambito della categoria dei danni non patrimoniali ritenuti comunque risarcibili perché provocati da fatto ingiusto ex art. 2043 c.c., trovò, poi, perfezionamento in successive pronunce della Corte Costituzionale 26 Luglio 1979 n. 88 (riconoscimento al leso, nell’ambito dell’art. 2059 c.c., del risarcimento di tutti i pregiudizi non patrimoniali compresi quelli corrispondenti alla menomazione dell’integrità fisica in sé considerata), della Corte di Cassazione 6 Giugno 1981 n.

3675 (Il danno cosiddetto biologico, in quanto lesivo del diritto alla salute che per esplicito dettato costituzionale è diritto fondamentale dell’individuo, deve essere considerato risarcibile ancorché non incidente sulla capacità di produrre reddito, ed anzi, indipendentemente da quest’ultima); 14 Aprile 1984 n. 2422 (E’ pienamente risarcibile ai sensi dell’art. 2043, in quanto suscettibile di liquidazione monetaria, ancorché con ricorso a criteri equitativi, il c.d. danno biologico, consistente nella menomazione agli organi e alle funzioni fisiopsichiche della persona, indipendentemente dalle conseguenze pregiudizievoli di ordine patrimoniale e in particolare dai suoi effetti sulla capacità di lavoro e di produzione del soggetto); 20 Agosto 1984 n. 4661 (il danno biologico consistente nella lesione del diritto alla salute, costituisce una specie, al pari delle tradizionali categorie del danno patrimoniale, comprendente le menomazioni del complesso dei rapporti giuridici patrimoniali che fanno capo al soggetto, e del danno non patrimoniale, ristretto alla nozione della somma delle sofferenze fisiche e morali conseguenti al torto subito e risarcibile nei limiti dell’art. 2059 c.c.); 11 Febbraio 1985 n. 1130 (“E’ da considerare risarcibile il danno biologico, inteso come menomazione dell’integrità psicofisica, in quanto il bene della salute rappresenta un vero e proprio diritto soggettivo, pienamente operante nei rapporti interprivati e suscettibile di autonomo apprezzamento, indipendentemente da ogni incidenza sulla produzione di reddito. Il danno alla salute è un danno di valore patrimoniale, perché colpisce un valore eccezionale che fa parte del patrimonio del soggetto,

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cioè di quel complesso di beni di sua esclusiva e diretta pertinenza”); 16 Gennaio 1985 n. 102 (“E’

da considerare risarcibile il danno biologico, inteso come menomazione della integrità psico - fisica, in quanto il bene della salute rappresenta un vero e proprio diritto soggettivo, pienamente operante nei rapporti interprivati e suscettibile di autonomo apprezzamento, indipendentemente da ogni incidenza nella produzione di un reddito”). Sul problema della natura e risarcibilità del danno biologico è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza del 14 Luglio 1986 n. 184 togliendo ogni equivoco fra le diverse interpretazioni (danno biologico rientrante nella categoria del danno morale, danno biologico quale “tertium genus”), chiarendo che esso va tenuto nettamente distinto dal danno morale e che la correlazione fra l’art. 32 della Costituzione e l’art. 2043 c.c. consente di risarcire non solo i danni in senso stretto patrimoniali ma tutti i danni che ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, indicando - quindi - nell’art. 2043 c.c. la disposizione di carattere generale che consente la risarcibilità, senza alcuna limitazione, del danno biologico riaffermando l’esistenza, in materia, di un diritto vivente al quale la Corte stessa si richiama.

2. Criteri di liquidazione del danno biologico, ovvero la salute non ha prezzo.

Il prezzo della salute, riflessi dell’invalidità sulla capacità lavorativa

Il principio statuito dalla Corte costituzionale relativamente alla risarcibilità del danno alla salute ha comportato, nella giurisprudenza e nella dottrina, una complessa e tormentata revisione critica del sistema tradizionale della liquidazione del danno, in riferimento al quale, inizialmente, sul presupposto che il danno alla salute fosse un “tertium genus” tra danno patrimoniale e danno morale, la prassi liquidativa giudiziaria e assicurativa si orientò a liquidare il danno biologico in via accessoria ed equitativa rispetto al danno principale da invalidità permanente calcolato secondo il metodo tradizionale; l’evoluzione critica portò, come si è visto, a riconoscere al danno biologico un connotato di “patrimonialità” anche se non in senso stretto, per cui, abbandonato il concetto di

“tertium genus” e tornati alla fondamentale dicotomia del Codice Civile (danno patrimoniale e danno non patrimoniale), ci si orientò verso la tesi che il danno alla persona civilisticamente risarcibile ricomprende: da una parte il danno patrimoniale, a sua volta scomponibile in una voce necessarie e indefettibile (danno alla salute) e in una voce meramente eventuale (danno patrimoniale in senso stretto, nella sua tradizionale accezione di danno emergente e lucro cessante);

ed in tale contesto il danno alla salute viene ad assorbire nel suo ambito le vecchie voci del danno alla vita di relazione, del danno estetico, del danno alla sfera sessuale e della menomazione della capacità lavorativa generica; dall’altra il danno non patrimoniale comprensivo del solo danno morale e risarcibile unicamente nei casi tassativamente previsti dalla legge. (Così Francisco Nanni, segretario della Commissione Legale dell’A.N.I.A. nella relazione svolta a Madrid il 17/11/1993 nel contesto delle “Giornate comunitarie dell’assicurazione dei veicoli”). L’attuazione pratica dei suddetti principi (risarcibilità sempre e comunque del danno alla salute, risarcibilità eventuale del lucro cessante lavorativo solo se rigorosamente provocato) ha tardato a trovare applicazione pratica nei Tribunali. Ad esempio il nostro Tribunale, in una sentenza depositata nel ‘93 relativa alla fattispecie di una casalinga con postumi accertati nella misura del 2% liquidava L. 2.000.000 = per danno patrimoniale e, in aggiunta, L. 1.000.000 = per danno biologico, sovrapponendo così il danno

“lavorativo” a quello biologico, ritenendo - in pratica - automaticamente esistente un danno reddituale soltanto sulla base dell’accertata microinvalidità e aggiungendo la liquidazione del danno biologico. Nello stesso anno il nostro Tribunale ad un impiegato cui era stata accertata invalidità permanente del 15% riconosceva a titolo di danno biologico (comprensivo del danno alla vita di relazione e del danno estetico) L. 12.000.000 = (in moneta di sette anni prima) e quindi procedeva al calcolo del danno patrimoniale utilizzando (in difetto di produzione della dichiarazione dei redditi) il triplo della pensione sociale dell’epoca in base alla deduzione dell’influenza negativa della riscontrata invalidità sul lavoro, peraltro di tipo sedentario, svolto dal danneggiato: in pratica, come avveniva ai tempi del Geri e prima della clamorosa sentenza genovese, il danno da inabilità permanente lavorativa veniva semplicemente liquidato sul presupposto dell’esistenza dell’invalidità e senza precisa e approfondita esamina delle componenti patrimoniali del danno a livello reddituale,

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di eventuali occasioni di lavoro mancante, di perdite retributive, insomma pur mancando la prova di un lucro cessante anche in via presuntiva. Il disorientamento derivante dall’introduzione del principio dell’autonoma risarcibilità del danno biologico produceva effetti non solo, come si è visto, sulla tormentata questione relativa ai presupposti della cumulabilità del danno alla salute con quello

“lavorativo”, ma anche sul criterio adottabile per la concreta liquidazione del danno biologico. Tale profondo disagio si avverte in alcune pronunce dei nostri Giudici relative a sentenze depositate nel

‘93, ad esempio due casi quali simili riguardanti l’accertamento di un danno biologico del 2% sono stati liquidati entrambi (diversi erano i Giudici Relatori) con criterio equitativo ma con evidente disparità di trattamento: in un caso il danno biologico fu liquidato equitativamente in L. 1.000.000

= senza rivalutazione e interessi, nell’atro caso in L. 3.500.000 = con rivalutazione e interessi di circa cinque anni (in pratica circa L. 6.000.000 = in moneta attuale), sicché per una stessa invalidità biologica (e a condizioni simili per età a data di accadimento del sinistro) un soggetto ha ricevuto L.

500.000 = a punto, l’altro L. 3.000.000 = a punto, sei volte tanto. Bisogna dire che i Giudici del nostro Tribunale, nelle pronunce più recenti (per tutte si cita la sentenza n. 102 depositata il 10/02/’95, Giudice Relatore Dott. Messini D’Agostini) sembrano avere criticamente revisionato il sistema liquidativo del danno alla persona negando la capitalizzazione riferita al reddito effettivo o figurativo in mancanza di prova dell’incidenza dell’invalidità sulla “capacità di lavoro e di guadagno” e riconoscendo quindi soltanto il danno biologico che, si legge, nella citata sentenza,

“secondo l’ormai acquisita elaborazione giurisprudenziale (cfr, fra le ultime, Cass. 3/6/’94 n. 5380, Cass. 19/3/’93 n. 3260, Cass. 4/12/’92 n. 12911, Cass. 10/3/’92 n. 2840 e Cass. 9/5/’91 n. 5161), fondato su un titolo diverso da quello conseguente all’invalidità permanente, non è legato al reddito del soggetto danneggiato e va inteso come la menomazione all’integrità psicofisica della persona in sé considerata, in quanto incidente sul “valore uomo” in tutte le sue concrete dimensioni e sul bene primario della salute, diritto inviolabile costituzionalmente sancito”. E’ importante sottolineare come, nella stessa sentenza, (a differenza di quanto avvenuto nel ‘93) il nostro Tribunale (ciò è emerso in diverse altre decisioni fra le più recenti) riveli la tendenza non solo a liquidare il danno biologico, con il criterio equitativo “nella fattispecie, in considerazione dei modesti esiti invalidanti - consistenti una c.d. micropermanente -, appare opportuno ricorrere a una stima equitativa, consentita dagli artt. 1226 e 2056 c.c. e ritenuta legittima dalla costante giurisprudenza - Cass.

18/2/93 n. 2008 - qualora il Giudice indichi gli estremi logico - giuridici e fattuali sui quali è fondata la liquidazione del danno alla salute”, ma anche (a differenza di quanto avvenuto in passato) in moneta attuale, cioè al momento della decisione, senza adottare il meccanismo della rivalutazione - interessi, e ciò porterebbe a pensare che il nostro Tribunale ritenga la liquidazione in moneta attuale più consona al sistema equitativo anche al fine di evitare possibili sperequazioni tra casi consimili.

3. Il quesito medico legale, le tabelle, una proposta

Di fondamentale importanza, ai fini dell’accadimento del danno alla persona, appare il quesito al C.T.U. medico - legale; dovrà pertanto il Giudice chiedere al Consulente si precisare “se ed in quale percentuale gli esiti permanenti incidano sulla capacità lavorativa specifica”, soltanto ad esito di tale accertamento potrà il Giudice, se condividerà le conclusioni del C.T.U., liquidare, oltre al danno biologico, anche il danno da invalidità permanente lavorativa sotto il profilo del risarcimento del lucro cessante. Per tornare al tema trattato, cioè al danno biologico, l’osservazione dei dati giurisprudenziali consente, per il momento, di dedurre che il criterio liquidativo si fonda su tre principali criteri:

1) il criterio equitativo puro cui si è fino ad ora, solitamente, ispirato il nostro Tribunale; tale criterio è ritenuto legittimo dalla Giurisprudenza della Cassazione (Cass. 18/2/’93 n. 2008) qualora il Giudice ne indichi gli estremi logico - giuridici e fattuali, che - in pratica - si sostanziano nel sintetico richiamo della natura ed entità dei postumi, delle limitazioni psico - fisiche derivatene, della durata della malattia, del tempo trascorso dal sinistro; a conclusione di tali richiami il Giudice

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opera una liquidazione globale del danno biologico faciendosi guidare soltanto dalla Sua prudenza ed esperienza;

2) il criterio misto, seguito da molti Tribunali, che consiste nel prendere come riferimento base del prezzo della salute dell’uomo il triplo della pensione sociale capitalizzando la somma mediante l’utilizzazione, quali fattori di calcolo, del coefficiente di capitalizzazione di cui al richiamo R.D.

9/10/1922 n. 1403 e del grado di invalidità. Fin qui il sistema appare rigidamente tabellare e il calcolo del tutto automatico, ma si tratta soltanto della liquidazione base, uguale per tutti; infatti la rigidità del sistema viene considerevolmente temperata mediante l’intervento del Giudice con strumenti idonei ad evitare sperequazioni e a rendere il calcolo flessibile e personalizzato. Così una micropermanente (inferiore al 10%) riguardante un soggetto anziano privo di impegni sociali comporterà un abbattimento percentuale della somma calcolata tabellarmente, mentre una macropermanente del 30% riguardante un giovane con intensi impegni extralavorativi di carattere sociale e sportivo e - magari - con aspetti di danno estetico, potrà comportare un “appesantimento”

del risultato finale mediante aumento percentuale della somma calcolata tabellarmente, fino a giungere, a seconda dei casi, alla duplicazione o triplicazione o comunque all’adozione di un multiplo del calcolo di base.

3) Criterio Tabellare.

Si tratta di tabelle predisposte con il sistema “a punto” crescente per fascia di invalidità e decrescente per fascia di età; ad esempio il Tribunale di Como, per un giovane di 38 anni con invalidità permanente dell’85% ha liquidato, a titolo di danno biologico, L. 2.000.000 = a punto, L.

170.000.000 = (Tribunale di Como 2 Marzo 1993 n. 865 in Riv. Giur. Circolazione Trasporti - Maggio - Giugno ‘94 pag. 376, con nota critica di Umberto Biondi); il Tribunale di Venezia, in base alle sue tabelle qui allegate, avrebbe liquidato L. 3.700.000 = a punto, L. 314.500.000 = il Tribunale di Milano, in base alle tabelle di recente elaborazione qui allegate, L. 7.875.000 = a punto, L.

669.375.000 =. Come dire, dimmi che tabella hai e ti dirò che Tribunale sei !!!

Un breve commento merita la recente tabella elaborata da Tribunale di Milano; si legge, nella relazione di presentazione della tabella, che “obiettivo della ricerca è stato quello di elaborare criteri tendenzialmente uniformi per la liquidazione del danno, superando la diversità - talora notevoli - dei parametri usati presso i vari uffici ed eliminando le conseguenti incertezze fra gli operatori e le possibili disparità di trattamento”. Altro obiettivo, si legge nella relazione, consiste nell’evitare che il valore del punto sia fisso essendo evidente, per esemplificare, “come il valore da attribuirsi ad ogni punto di invalidità per una lesione comportante una riduzione della capacità psico - fisica del soggetto pari al 2% del totale debba essere nettamente inferiore a quello da assegnarsi quando la percentuale di invalidità sia pari, ad esempio, al 50%”. Quale terzo obiettivo viene considerato l’indubbia deflazione del contenzioso che la predeterminazione tabellare del “valore”

dell’invalidità biologica potrà produrre, perché, una volta concordato o accertato il grado di invalidità, non vi potrà poi essere alcuna discussione essendo il “punto” già previsto in via preventiva, un po’ come avviene per i massimali contrattuali previsti nelle polizze infortuni; se, in ipotesi, tale tabella fosse concordata tra le associazioni delle compagnie assicuratrici e dagli assicurati (magari inserita come condizione contrattuale inderogabile, che prevedesse anche sul modello delle polizze infortuni - la clausola compromissoria dell’arbitrato per la determinazione della percentuale dell’invalidità - ebbene potrebbe accadere che i Tribunali della nostra Repubblica non si dovrebbero mai più occupare di procedimenti di risarcimento dei danni alle persone. Non vi è dubbio che lo sforzo compiuto dai Giudici del Tribunale di Milano sia ammirevole e che i conclamati obbiettivi siano più che meritevoli di attenzione; se è consentita una critica, a me pare che l’elaborazione della tabella, fondandosi essenzialmente sul dato medico - legale e da qui sull’equazione grado di invalidità valore del punto sia pure con i correttivi degli incrementi per i punteggi più elevati e del demoltiplicatore in relazione alle crescenti fasce di età, non possa che

“ingabbiare” il danno biologico attraverso la sua connotazione anatomico - funzionale nel suo aspetto statico, trascurandone l’aspetto dinamico tipizzato dalla somma delle funzioni naturali e delle caratteristiche del soggetto leso nell’ambiente in cui opera, fra di esse l’aspetto estetico, la vita

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sessuale, l’attività politico - sociale, culturale, ricreativa, sportiva, del tempo libero, di relazione in generale. Per venire ad un esempio pratico, l’applicazione della “tabella ambrosiana” porterebbe al seguente risultato: un anziano barbone novantenne con invalidità del 70% conseguirebbe un risarcimento di L. 266.700.000 =, un quarantenne con una invalidità anche estetica e sessuale del 50%, di alta posizione professionale e sociale, socio e frequentatore di club fra i più esclusivi, praticante di più attività sportive, attivo anche politicamente, conseguirebbe un risarcimento inferiore, L. 248.437.000 =. Se, allora, il danno biologico non si può identificare, staticamente, nella lesione, ma - dinamicamente nella “lesione psicofisica in rapporto alle attività realizzatrici della persona umana” (Enrico Giani “L’accertamento del danno biologico nel processo civile” in Riv.

Giur. Circ. e Trasp. - Gennaio - Febbraio ‘92 pag. 76 e segg.) e se è vero che “la società contemporanea vede un gran numero di soggetti dedicare tempo ed energie ad attività che non sono remunerative in termini monetari, ma forniscono comunque appagamento e ratificazione a chi le esercita, si pensi all’attività sportiva dilettantistica, di volontariato, alla partecipazione a movimenti, gruppi, associazioni” (Marco Rossetti, nota a sent. Trib. Roma, in Riv. Giur. Circ. Trib. - Luglio - Ottobre ‘94 pag. 657 e segg.), di ciò si dovrà ben tenere conto nella liquidazione, in concreto, di tale specie di danno. Traendo le conclusioni, riterrei più affidabile il criterio di liquidazione definito

“misto”; non quello puramente equitativo perché potrebbe sconfinare in involontaria arbitrarietà e disparità di trattamento; non quello rigidamente tabellare perché, ancorandosi al dato anatomico - funzionale, sembra destinato a disattendere il fondamentale aspetto dinamico del danno biologico, con il rischio di sottrarre al Giudice la prerogativa di adattare, con le sue doti di prudenza, esperienza, e - perché no - di creatività, la decisione al caso concreto tenendo conto di tutti gli aspetti di esso in relazione a tutto quanto risulta provato in causa, in altre parole compiendo le sue valutazioni e prendendo le sue decisioni esaminando la persona nella sua soggettività non la lesione in sé. Del resto la Cassazione (3 Giugno 1994 n. 5380 in Riv. Giur. Cir. e Trasp. Novembre - Dicembre ‘94, pag. 891) dopo decisioni contrarie, ha da ultimo avallato come legittimo il ricorso

“come affidabile parametro di riferimento” alla disciplina dell’art. 4 L. 26/2/1977 n. 39, stabilendo - in sostanza - che il triplo dell’ammontare annuo della pensione sociale può essere ritenuto il limite minimo invalicabile da servire come parametro di base del calcolo del valore convenzionale dell’uomo; se a ciò si aggiunge che in altre decisioni giurisprudenziali si fa riferimento, quanto al calcolo in concreto, ai concetti di “flessibilità” e di “personalizzazione”, non si vede perché non si debba aderire a tale indicazione adottando decisamente il sistema di liquidazione cosiddetto “misto”

che offre il duplice vantaggio di assicurare a tutti un trattamento base uguale in relazione al tipo di lesione e all’età, lasciando aperta la possibilità di opportuni e adeguati correttivi evitando, oltre tutto, il pericolo di condizionare la libera decisione del Giudice oltre che di sminuire la funzione Giurisdizionale e il prestigio del Giudicante.

Il quesito medico legale

A mio parere il sistema “misto” potrà funzionare soltanto se al C.T.U. medico - legale sarà demandato un compito più diffuso e approfondito (ciò sarebbe auspicabile anche nella pratica assicurativa della liquidazione del danno per favorire il più possibile le transazioni e prevenire così la litigiosità), in pratica si dovrebbe chiedere al C.T.U. di non limitare le sue indagini all’accertamento della durata dell’invalidità temporanea totale e parziale (o assoluta e relativa), del grado percentuale di invalidità permanente e se quest’ultimo incide sulla capacità lavorativa specifica, ma occorrerebbe chiedergli di indagare più a fondo affinché ponga il Giudice in condizione di valutare se vi sia “anche” danno estetico, sessuale, alla vita di relazione. E’ ben vero, infatti, che, per costante Giurisprudenza e dottrina, tali voci di danno sono ormai ricomprasse nella liquidazione del danno biologico, ma pur sempre conservano una loro autonomia ontologica che - se accertata - non potrà che indurre il Giudice (esaminando anche le prove “storiche” acquisite al processo quanto alle specifiche attività extralavorative compromesse nell’ambito del danno alla vita di relazione) ad apportare al parametro di base uno o più multipli a causa dell’invalidità; e si vedrà, allora, che - seguendo tali criteri - il Giudice non potrà liquidare al soggetto quarantenne invalido -

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anche esteticamente e sessualmente - al 50% somma inferiore, come si è visto, a quella liquidabile, secondo la tabella milanese, al barbone invalido al 70%.

Proposta di Quesito medico legale

1) Descriva il C.T.U., esaminati gli atti e i documenti di causa, sentita la parte, compiuti tutti gli accertamenti ed esami, anche specialistici, che riterrà opportuni, le lesioni riportate dalla persona perizianda nell’incidente di cui è causa;

2) Determini la durata dell’inabilità temporanea totale e/o parziale;

3) Accerti l’eventuale sussistenza di esiti permanenti e ne indichi l’incidenza negativa percentuale sull’integrità psicofisica;

4) Dica se sussiste anche danno estetico, eventualmente descivendolo;

5) Dica se sussista anche pregiudizio per l’attività sessuale o incidenza negativa sulla stessa;

6) Dica quali attività di relazione del periziato risultino abolite, compromesse o limitate;

7) Dica se l’accertata invalidità renda l’abituale lavoro esercitato usurante;

8) Dica se i postumi accertati comportino diminuzione della capacità lavorativa e di guadagno della persona offesa, con particolare riferimento alla capacità lavorativa specifica, indicandone le ragioni e il grado percentuale;

9) Esponga le spese sostenute e sostenente, indicandone la necessità e congruità; trattandosi di spese odontoiatriche indichi anche il numero dei rinnovi.

10) Specifichi se la persona perizianda abbia avuto e/o avrà per il futuro necessità di assistenza e/o accompagnamento.

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