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Sospensione e cancellazione dal registro - Le indennità - Judicium

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Paolo Porreca

Sospensione e cancellazione dal registro - Le indennità∗∗

SOMMARIO: 1. Profili generali inerenti alla sospensione e cancellazione: contenuti della vigilanza amministrativa sugli organismi di mediazione e sui mediatori. 2. Impulso della vigilanza e impugnabilità del relativo provvedimento. 3. Procedimento di sospensione e cancellazione 4.

Monitoraggio statistico. 5. Le tariffe amministrativamente vigilate. 6. Rapporti con la condizione di procedibilità.

1. La mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 e successivo decreto attuativo regolamentare del Ministro della giustizia del 18 ottobre 2010 n.

180, è un’attività professionale tanto privilegiata – nel supporto fiscale piuttosto che negli esiti positivi o negativi della negoziazione assistita in cui si risolve – quanto vigilata dall’autorità amministrativa.

Tale vigilanza, come noto, è esercitata dal Ministero della giustizia, e in specie dal direttore generale della giustizia civile ovvero anche da persona delegata con qualifica dirigenziale di secondo livello nell'ambito della direzione generale.

Il merito del controllo è naturalmente maggiore al momento dell’iscrizione, ma, altrettanto logicamente, non si limita ad esso.

Il responsabile del registro degli organismi di mediazione, istituito nel citato dicastero proprio a tale fine, non deve cioè limitarsi a valutare soltanto la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi stabiliti nell’art. 16 del d.lgs. n. 28/2010 richiesti per la costituzione dell’organismo e necessari per l’inserimento nel registro, ma ha anche il compito di vigilare sul corretto espletamento del servizio.

In particolare, il legislatore prevede, nell’art. 8, comma 1, del decreto ministeriale, che l’organismo iscritto ha l’obbligo di informare prontamente il responsabile tutte le vicende modificative dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione.

Relazione per il seminario La riforma della mediazione civile e commerciale alla luce del decreto ministeriale n. 180 del 2010, Milano, 3 febbraio 2011.

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È qui che si inserisce la latitudine operativa dei provvedimenti di sospensione o cancellazione dal registro.

Immaginiamo il venir meno della capacità finanziaria dell’organismo, per mancata ricapitalizzazione della società a responsabilità limitata costituita a tal fine; o la decadenza dalla polizza assicurativa di cui all’art. 4, comma 2, lettera b), del d.m. n.

180/2010.

Altro delicato caso è quello del regolamento dell’organismo che vìoli disposizioni legislative o regolamentari.

Un esempio può essere proprio il recente quanto autorevole modello di regolamento proposto agli Ordini professionali forensi dal relativo Consiglio Nazionale (CNF), il 21 dicembre 20101.

In questo modello è previsto, ad esempio, all’art. 1 comma 3, che nell’ipotesi in cui è prescritta l’assistenza tecnica legale in sede giurisdizionale, le parti non possono partecipare al procedimento se non con il ministero di un difensore.

Nei casi in cui è prescritta l’assistenza tecnica in giudizio, si è quindi ritenuto,

«limitare la prestazione del servizio di mediazione offerto dagli organismi forensi alle sole parti che intendano giovarsi del ministero di un difensore. Ove il procedimento di mediazione costituisca, ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 28/2010, condizione di procedibilità, sarà cura dell’Organismo Forense individuare meccanismi idonei ad assicurare l’accesso» (così la relazione illustrativa al modello di regolamento del CNF).

Ora, il d.lgs. n. 28/2010 non ha previsto questa obbligatorietà e la mediazione non è, com’è agevole intuire, un processo, motivo per cui né la normativa statale secondaria né la paranormazione privata possono sul punto imporre alcunché.

Anzi, in tal modo si innalzerebbero illegittimamente (in chiave prospettica anche da punto di vista costituzionale), i costi dell’accesso alla mediazione nella quasi totalità

1 Il regolamento è reperibile in http://www.consiglionazionaleforense.it/on-line/Home/BancaDation- line/Circolari/articolo6629.html.

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delle ipotesi di conflitto, e quindi, nei casi di c.d. mediazione obbligatoria, dell’accesso alla giustizia (su questo v. infra in punto di indennità).

Né si potrebbe sostenere che l’organismo limita il suo servizio liberamente a queste ipotesi: si tratterebbe, evidentemente, di limitazione inammissibile perché al servizio vengono poste condizioni illegittime.

A identica si dovrebbe giungere, per intendersi, qualora un organismo decida di escludere dal suo raggio operativo le ipotesi in cui una o più parti rientrando nelle categorie dei beneficiari del gratuito patrocinio, hanno diritto, come si vedrà, a una prestazione gratuita del servizio di mediazione. Altro, infatti, è limitare ad alcune materie quel servizio, per come normato dall’ordinamento, altro è erogarlo al di fuori delle condizioni legali, per esclusione di alcune di esse o per aggiunta di altre diverse, derogatorie ovvero additive e in contrasto con la disciplina statale.

Sebbene, poi, l’art. 8 del regolamento parli dei destinatari della vigilanza con riferimento agli organismi iscritti, è in ogni caso del tutto evidente che il contenuto dell’attività in parola va esteso ai mediatori. Tanto che l’art. 8, comma 1, citato, indica che il menzionato obbligo d’informazione, che mette capo agli organismi, comprende l’adempimento dell’obbligo formativo dei mediatori.

A mente dell’art. 4, commi 2 e 3, del d.m. n. 180/2010, si può pensare al caso in cui il numero dei mediatori sia divenuto inferiore a cinque; o alla sopravvenuta mancanza dei requisiti di onorabilità dei soci o dei mediatori.

Se, dunque, dopo l’iscrizione, sopravvengono o risultano nuovi fatti che l’avrebbero impedita, ovvero in caso di violazione degli obblighi di comunicazione di cui agli articoli 8 e 20 del regolamento, o di reiterata violazione degli obblighi del mediatore, il responsabile dispone la sospensione e, nei casi più gravi, la cancellazione dal registro (così stabilisce l’art. 10 del d.m. n. 180/2010).

La disposizione appena richiamata pone in evidenza alcuni profili.

Innanzi tutto si è fatto espresso riferimento sia ai fatti sopravvenuti, impeditivi dell’iscrizione, sia a quelli la cui risultanza sopravvenga, e che quindi siano precedenti ma non emersi nella istruttoria inerente all’iscrizione.

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Viene così escluso ogni effetto di c.d. “giudicato” in senso stretto amministrativo rispetto a fatti non già analizzati, e ogni valutazione compiuta dall’amministrazione non esclude la sua revisione e modifica alla luce d nuove risultanze.

Ci si può chiedere se la norma consenta la nuova valutazione di fatti invece già esaminati. Nonostante il carattere speciale della norma – peraltro solo regolamentare – potrebbe indurre a conclusione negativa, va detto in contrario che nessuna deroga può ravvisarsi al generale principio di modificabilità e revocabilità degli atti amministrativi di cui solo in seguito di ravvisi l’illegittimità anche per erroneità del vaglio pregresso (C. Stato, sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6234, afferma che il riesame di legittimità del provvedimento amministrativo ai fini del suo annullamento in via di autotutela implica l’esercizio di una potestà discrezionale rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’amministrazione: infatti, l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ribadisce che il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio sussistendo le ragioni di interesse pubblico, con scelta quindi che, in presenza di vizi afferenti alla validità dell’atto, resta altresì subordinata a una preventiva valutazione di opportunità dell’amministrazione; v. nello stesso senso, ad esempio, C. Stato, sez.

V, 22 dicembre 2005, n. 7342).

In secondo luogo, l’art. 10 comma 1, in esame, menziona sia gli obblighi di comunicazione dell’art. 8, sia quelli dell’art. 20.

Si è detto dell’art. 8. L’art. 20 concerne invece le comunicazioni inerenti all’acquisizione dei requisiti formativi integrativi o dell’esercizio professionale ai primi equipollente, per i mediatori iscritti di diritto in quanto abilitati all’esercizio del servizio di conciliazione societaria ai sensi del decreto del Ministro della giustizia del 23 luglio 2004 n. 222.

In effetti l’art. 20 comma 1 del d.m. n. 180/2010 prevede, per gli organismi di mediazione, che sia il responsabile del registro a richiedere, con apposita comunicazione, le integrazioni ritenute necessarie rispetto a quelli iscritti di diritto (anch’essi) perché abilitati alla conciliazione societaria.

In caso di inottemperanza l’iscrizione di diritto – stabilisce l’art. 20 comma 1 – si intende decaduta.

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Diversamente, il comma 2 del medesimo articolo impone all’organismo di comunicare direttamente e immediatamente le acquisizioni integrative dei mediatori.

In quest’ultima ipotesi sarà necessario un apposito provvedimento di cancellazione, quando non sia di previa sospensione.

Infine, nell’art. 10, comma 2, del d.m. n. 180/2010, viene previsto che l’organismo debba anche trattare almeno dieci procedure nel biennio, pena la cancellazione dal registro.

Si tratta di un’ipotesi speciale che conduce direttamente e necessariamente alla cancellazione dal registro.

La cancellazione, poi, impedisce all'organismo di ottenere una nuova iscrizione, prima che sia decorso un anno. Si tratta, quindi d’ipotesi considerata particolarmente grave, che ha conseguenze inibitorie non previste per la decadenza e ad essa non estensibili, in peius, analogicamente.

La menzione fatta propria dalla fattispecie in parola è relativa ai procedimenti di mediazione, e deve intendersi non qualsiasi mediazione o composizione stragiudiziale assistita della controversie, ma precisamente quella ai sensi del d.lgs. n.

28/2010.

Dunque andranno esclusi quei procedimenti di tale natura che sono stati fatti salvi dal decreto legislativo in quanto obbligatori o perché relativi alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. (art. 23 del d.lgs. n. 28/2010).

Il regolamento in commento, cioè, richiede lo svolgimento in forma continuativa dell’attività di mediazione, valutando il tetto minimo di attività quale indice di professionalità dell’organismo.

2. Il fatto che sia l’organismo a dover trasmettere queste informazioni all’autorità vigilante, non può escludere, d’altro canto, che la vigilanza sia esercitata officiosamente.

Il comma 4 dell’art. 10 del regolamento dispone che spetta al responsabile, per le finalità in questione, l'esercizio del potere di controllo, «anche mediante acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti

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amministrativi equipollenti, di cui viene curato il preventivo recapito, anche soltanto in via telematica, ai singoli organismi interessati».

In questa circostanza il dirigente ministeriale assume le proprie determinazioni mediante l’adozione di un decreto, o atto equivalente, avente natura di provvedimento amministrativo, come tale, direttamente impugnabile innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio secondo il codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104).

In questa sede sarà possibile, allora, un’ulteriore ipotesi di sospensione dell’organismo, ossia quella giudiziale (in caso d’impugnativa da parte di controinteressati). Così come sarà possibile la sospensiva avverso la sospensione disposta in sede amministrativa, con effetti attivi ai fini della legittimità dell’esercizio del servizio di mediazione (in caso d’impugnativa da parte dell’ente destinatario).

3. Al procedimento di sospensione e a quello cancellazione si dovranno applicare le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni, e non, analogicamente, quelle di cui all’art. 5 del d.m. n. 180/2010 che detta, per il procedimento d’iscrizione, una disciplina speciale sulla base della specialità della normativa primaria di cui al d.lgs. n. 28/2010.

4. L’art. 11 del d.m. n. 180/2010 prevede anche che il Ministero della giustizia provveda a un monitoraggio statistico dei procedimenti di mediazione, avvalendosi delle strutture dei responsabili degli organismi, con cadenza annuale.

In specie, anche congiuntamente con il Ministero dello sviluppo economico per i procedimenti di mediazione inerenti gli affari in materia di rapporti di consumo, i dati statistici dovranno essere separatamente riferiti alla mediazione obbligatoria, volontaria e demandata dal giudice.

Per ciascuna di tali categorie dovranno essere indicati i casi di successo della mediazione e i casi di esonero dal pagamento dell’indennità ai sensi dell’articolo 17, comma 5, del decreto legislativo.

Una particolare sezione del monitoraggio sarà dedicata alla raccolta, presso gli uffici giudiziari, dei dati relativi all’applicazione, nel processo, dell’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo.

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Ciò all’evidente fine di registrare i casi di mediazione valutativa e la statistica delle sovrapponibilità tra le proposte del mediatore e le decisioni finali dei giudizi civili conseguenti e non evitati.

La raccolta dei dati è proprio su questo: infatti si domanda con preciso riguardo alle ipotesi di responsabilità di cui all’art. 13 comma 1 del decreto legislativo, e non anche con riguardo a tutte le ipotesi di mera compensazione delle spese quale contemplata dal comma 2 del medesimo articolo.

I dati raccolti saranno utilizzati anche ai fini della determinazione delle indennità spettanti agli organismi pubblici, nell’evidente prospettiva dell’invarianza finanziaria pubblica.

Va sottolineato che l’esercizio del potere di monitoraggio e controllo che la normativa pone in capo al responsabile risulta molto ampio, tanto che egli può anche acquisire atti e notizie, i cui modi e tempi possono stabilirsi con circolari o atti amministrativi equivalenti.

Si nota, tuttavia, che un così esteso potere di vigilanza, correlato alla vasta platea dei soggetti interessati, renderà estremamente difficile che il Ministero della giustizia possa esercitarlo in modo analitico e puntuale, specie con riferimento a ciascun organismo.

Appare più probabile che, in concreto, l’esercizio della vigilanza sugli organismi possa avvenire soprattutto su impulso di parte, per mezzo di comunicazioni, di segnalazioni, di esposti inviati alla direzione generale della giustizia civile, da parte di soggetti privati, di mediatori, di ulteriori organismi, ed altri.

5. Il decreto attuativo in esame stabilisce anche i criteri per la determinazione dell’indennità dovuta per l’attività di mediazione.

Questa previsione, contenuta, quanto ai criteri, nell’art. 16 del d.m. n. 180/2010 e, quanto all’ammontare degli importi, nella tabella A, allegata al decreto stesso, appare di estremo rilievo perché potrà concorrere non solamente a determinare la piena operatività e il diffondersi – o meno – della nuova disciplina, ma, altresì, la sua sostenibilità costituzionale.

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La Corte di giustizia dell’Unione europea, infatti, considera legittima la mediazione obbligatoria nazionale purché siano soddisfatte sei condizioni: la procedura a) non deve condurre a una decisione vincolante per le parti, b) non deve comportare un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, c) deve consentire l’adozione di provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo imponga, d) deve sospendere la prescrizione dei diritti in questione, e) non può essere accessibile solo per via elettronica, f) non deve generare costi per le parti, ovvero non deve generarne di ingenti (Corte giust., 18 marzo 2010, Alassini).

Il tema dei costi è proprio il più delicato.

In questa prospettiva il regolamento ha cercato di raggiungere un punto di equilibrio tra l’accesso al servizio di mediazione e la necessaria garanzia di professionalità del mediatore.

Naturalmente, va detto che la cornice dei costi è più ampia di quella relativa alle indennità, in quanto vanno considerati i sostegni fiscali, a parte il minor costo complessivo nel caso in cui la lite venga chiusa prima di quelli che potrebbero essere tre gradi di giudizio in cui è, di regola, necessaria l’assistenza legale professionale. E dunque l’esenzione da bolli, tasse e imposte del procedimento di mediazione, l’esenzione dall’imposta di registro anche del verbale di accordo fino a 50.000 euro di valore, e soprattutto il credito d’imposta fino a 500 euro, da ridurre a 250 euro solo in ipotesi d’insuccesso della mediazione medesima.

L’indennità, dunque, comprende due voci: le spese di avvio del procedimento e quelle di mediazione.

Le spese di avvio sono stabilite nella misura fissa di euro 40,00, che l’istante deve versare al momento del deposito della domanda di mediazione e che ogni altra parte chiamata alla mediazione deve corrispondere al momento della sua adesione (art. 16, comma 2, del d.m. n. 180/2010).

Come specificato nella citata norma regolamentare, questo importo è «a valere»

sull’indennità complessiva, e quindi andrà da quest’ultima scomputato.

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Le spese di mediazione sono corrisposte da ciascuna parte sulla base degli importi indicati nella tabella A allegata al decreto (art. 16, comma 3, del d.m. n. 180/2010).

Il regolamento in argomento ha recepito la suddivisione in scaglioni, secondo lo schema contenuto nella Tabella A, allegata al d.m. n. 223/2004, relativa alle indennità previste per gli esistenti organismi di conciliazione societaria.

In proposito va evidenziato che mentre le somme dei primi scaglioni risultano aver subito una modifica in aumento, per i procedimenti che riguardano liti del valore superiore, il trend si inverte: infatti, se per le controversie ricomprese negli scaglioni da euro 50.001 a euro 500.000, la somma da versare non è sostanzialmente modificata rispetto al passato, per quelle di valore da euro 500.001, in su, il regolamento stabilisce delle cifre minori.

Secondo l’art. 16, comma 5, del regolamento, sono considerati importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente applicabile; l’importo minimo relativo al primo scaglione è liberamente determinato.

Inoltre, gli importi dovuti per il singolo scaglione non si sommano tra loro (seguente comma 6).

L’art. 16 menzionato stabilisce, inoltre, che l’importo massimo delle spese:

a) può essere aumentato in misura non superiore a un quinto, tenuto conto della particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare;

b) deve essere aumentato in misura non superiore a un quinto, in caso di successo della mediazione;

c) deve essere aumentato direttamente di un quinto, in caso di formulazione della proposta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 28/2010.

In questa ipotesi, infatti, l’ordinamento riconosce un corrispettivo per l’ulteriore prestazione che il mediatore pone in essere quando l’accordo amichevole non viene raggiunto ed egli formula la proposta valutativa, che, come visto, può avere conseguenze rilevanti sulle future spese processuali ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n.

28/2010.

In senso opposto, l’ammontare delle spese deve essere ridotto:

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a) di un terzo, nelle materie soggette alla condizione di procedibilità, di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010;

b) di un terzo, nel caso di semplicità dell’affare derivante, tipicamente, dal suo carattere “contumaciale”, il che si verifica quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione partecipa al procedimento.

In difetto di specifiche, ogni aumento o diminuzione non potrà che essere autonomamente determinato sul quantum base, e non operato sull’importo come derivante dalla precedente variazione (arbitrariamente scelta come previa).

Il valore della lite è determinato nella domanda di mediazione, ai sensi delle disposizioni contenute negli artt. 10 e ss. del codice di procedura civile. E’, tuttavia, rimessa al medesimo organismo la determinazione del valore di riferimento qualora esso risulti indeterminato, indeterminabile o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima (art. 16, commi 7 e 8, del d.m. n. 180/2010).

Il deposito della domanda di mediazione, nonché l'adesione della parte invitata al procedimento, costituiranno, evidentemente, accettazione del regolamento dell’organismo e delle sue indennità, e, dunque, perfezionamento del rapporto contrattuale con l’ente.

Quanto alle modalità di adempimento, le spese di mediazione devono essere corrisposte antecedentemente all’inizio del primo incontro, in misura non inferiore alla metà. In caso di mancato versamento, l’organismo comunica che il procedimento è sospeso finché non interviene il pagamento.

Il mancato pagamento delle spese di mediazione può costituire giusta causa di recesso (in questo senso v. l’art. 11 comma 5 del modello di regolamento del CNF).

La riassunzione è disposta, a questo punto, sulla base delle modalità disciplinate dal regolamento di procedura dell’organismo (art. 16, comma 9, del d.m. n. 180/2010).

Il decreto ministeriale, peraltro, opportunamente chiarisce che tale periodo di sospensione non si scomputa dal termine dei quattro mesi, stabilito dall’art. 6 del d.lgs. n. 28/2010 per la durata massima del procedimento di mediazione.

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In merito, va evidenziato che le spese di mediazione sono onnicomprensive, nel senso che esse includono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, indipendentemente dal numero degli incontri che questi debba svolgere, e rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero anche di nomina di un collegio di mediatori, di nomina di uno o più mediatori ausiliari, o di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta (art. 16, comma 10, del d.m. n. 180/2010).

E’ importante aggiungere che il regolamento stabilisce che le spese di mediazione sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento (dunque in pari misura salvo diverso accordo tra le parti), ma che, ai fini della corresponsione dell’indennità, quando più soggetti rappresentano un unico centro d’interessi, si considerano come un’unica parte (art. 16, commi 11 e 12, del d.m. n. 180/2010).

Questa previsione è diretta ad evitare possibili abusi nel caso di multisoggettività del conflitto, che potrebbero determinare delle non corrette ricadute sulla finanza pubblica, stante il credito d’imposta accordato alle parti dall’art. 20 del d.lgs. n.

28/2010.

La previsione, d’altro canto, potrebbe portare a incertezze interpretative, quanto all’individuazione del centro di interessi.

Una soluzione ragionevole appare essere quella di individuare l’autonoma richiesta di attribuzione di beni della vita: ad esempio, se si tratti di parti comuni di un edificio, e dei relativi condomini, non potrà dirsi che si tratti di centri di interessi distinti solo perché formalmente autonomi e autonomamente legittimati ad agire in giudizio.

Dubbi potrebbero sorgere quando, pur essendo distinte le attribuzioni, sono convergenti le posizioni assunte dalle parti: ad esempio in una lite ereditaria, una parte dei pretesi eredi potrebbe sostenere un’unica posizione rispetto alla validità di un testamento o di una disposizione testamentaria. Effettivamente, in questa ipotesi, pur essendo distinte soggettività e possibili attribuzioni, l’interesse è omogeneo. Ma essendo appunto omogeneo e non unico, la soluzione sembra, a differenza dell’esempio fatto in precedenza, quella della spettanza di plurime indennità, qualora la presenza nel procedimento di mediazione, anche solo per la stesura dell’accordo, sia unica.

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Per evitare inutili costi generali, d’altra parte, è evidente che potrebbe partecipare al procedimento, almeno “formalmente”, un unico soggetto, e solo al momento della stesura dell’accordo potrebbero aderire gli altri. In questo modo le indennità per la mediazione sarebbero sempre moltiplicate per ciascuna delle parti, ma il raggiungimento dell’accordo garantirebbe i minori costi specifici di una lite giudiziaria potenzialmente “plurigrado”.

Se la struttura, “il meccanismo” di determinazione dell’indennità, come delineato nell’art. 16 del decreto in argomento, vale per tutte le procedure di mediazione, gli importi indicati nella tabella A per le spese di mediazione sono cogenti esclusivamente per gli organismi costituiti presso gli enti di diritto pubblico interno, mentre gli altri possono liberamente stabilirne gli ammontare.

Questo è vero, però, tranne che per le materie in cui opera la condizione di procedibilità. In quest’ultimo caso resteranno fermi gli importi fissati per gli organismi pubblici, come ridotti di un terzo, rispetto a quelli riportati in tabella, ai sensi dell’art. 16, comma 4, lettera b). E’ chiara la volontà di assicurare il contenimento dei costi in funzione del rispetto dell’accesso alla giustizia.

Naturalmente le tariffe degli organismi privati devono essere approvate dopo la presentazione della domanda di iscrizione, ai sensi degli artt. 4 e 5 del decreto, dal responsabile del registro.

Le indennità in generale previste per gli organismi pubblici interni possono essere, in ogni caso, rideterminate ogni tre anni dal Ministero della giustizia, di concerto con il Dicastero dello sviluppo economico, per quanto riguarda la materia del consumo, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nei tre anni precedenti (art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 28/2010).

Va poi tenuto a mente che l’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 28/2010, secondo la quale all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 76 del testo unico in materia di spese di giustizia, di cui al d.p.r. n. 115/2002), quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del medesimo decreto legislativo.

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In questa circostanza, dunque, è l’organismo stesso che si fa carico del pagamento dell’indennità senza che gravi alcun onere a carico del bilancio dello Stato.

Anche questa disposizione mira ad assicurare il rispetto dell’accesso al servizio giustizia complessivamente inteso.

6. Un peculiare quanto rilevantissimo problema si è posto – con il deposito delle domande di iscrizione di enti privati e relativi regolamenti interni – con riferimento ai specifici aspetti dei rapporti tra indennità e condizione di procedibilità.

Ad esempio, l'art. 3, comma 5, del modello di regolamento del CNF stabilisce che

«ove l'incontro non abbia avuto luogo perché la parte invitata non ha tempestivamente espresso la propria adesione ovvero ha comunicato espressamente di non voler aderire e l’istante ha dichiarato di non volervi comunque procedere, la Segreteria rilascerà, in data successiva a quella inizialmente fissata, una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata».

In questa ipotesi, dunque, anche le spese di avvio del procedimento andrebbero restituite, dato che sono "a valere" sull'indennità complessiva.

Mentre, però, nella mediazione volontaria la norma del regolamento è certamente legittima, e anzi ragionevolmente diretta a ridurre i costi, in quella obbligatoria una tale previsione pare in violazione della norma primaria, come del resto già segnala la frizione tra l'attestazione di "procedimento concluso" e il mancato pagamento dell'indennità, derivante dal fatto che in realtà il procedimento non ha mai avuto corso.

Ne risulterebbe illegittimamente aggirata, in tal modo, la condizione di procedibilità.

La mediazione obbligatoria è tale proprio perché deve andare avanti ed essere esperita pure in caso di mancata adesione della parte invitata, e non solo nel senso che l'istante deve adire l'organismo salva chiusura ove non vi sia previa adesione della controparte a partecipare all'incontro: diversamente, saremmo solo nell’ambito di una mediazione volontaria, sia pure “rafforzata”, posto che, presa l'iniziativa da parte di uno dei "litiganti", sarebbe pur sempre necessaria l'adesione della controparte.

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Il tutto porterebbe verosimilmente a rendere burocratico e fittizio il passaggio in mediazione c.d. obbligatoria, e cioè a fare l'istanza, far risultare la mancata adesione e farsi rilasciare l'attestato di procedimento "concluso", e quindi condizione di procedibilità "evasa".

In tal caso, invece, il procedimento non è stato mai esperito, non essendosi dato corso allo stesso, a tal punto da farsi restituire le spese di avvio.

Il mediatore, invece, anche senza adesione della controparte, può e deve non solo verificare se davvero, all'incontro, la controparte persiste nel non presentarsi, profilo valutabile dal giudice, ma anche ragionare con l'unica parte presente sul ridimensionamento o sulla variazione della sua pretesa, da comunicare alla controparte come proposta dello stesso soggetto in "lite" anche se non del mediatore, con le conseguenze di cui agli artt. 91 e 96, terzo comma, c.p.c., anche se non quelle di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 28/2010.

La condizione di procedibilità, cioè, comporta che la mediazione vada comunque, effettivamente esperita.

Non a caso il modello di regolamento Unioncamere, che pure registra una simile previsione, ne esclude l’operatività nelle fattispecie in cui opera la condizione di procedibilità (art. 3, quarto comma, del regolamento in parola).

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