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L’esito positivo della mediazione civile e commerciale del d.lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali - Judicium

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ROBERTA TISCINI

L’esito positivo della mediazione civile e commerciale del d.lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali

SOMMARIO: 1.Il piano dell’indagine. - 2. I possibili esiti della mediazione. Dall’accordo amichevole alla formulazione della proposta. - 3. L’accordo conciliativo ed il suo verbale. Le sottoscrizioni. – 4. La trascrivibilità del verbale. – 5. Il contenuto dell’accordo. Profili di responsabilità del mediatore. - 6. La clausola penale o astreinte convenzionale. - 7. L’efficacia

“estesa” di titolo esecutivo. - 8. L’omologazione del tribunale. Le questioni di competenza. - 9.

Segue: il controllo del giudice in sede di omologazione ed il rito applicabile. - 10. La stabilità del verbale di accordo in sede esecutiva tra titoli giudiziali e stragiudiziali. - 11. I (mancati) effetti della cd. actio iudicati.

1.Il piano dell’indagine.

Come tutte le procedure, anche quella che si svolge davanti al mediatore e sotto la direzione dell’organismo – nel disegno della mediazione amministrata del d.lgs. n. 28/2010 - è destinata ad un epilogo. Esso però, tenuto conto delle differenze che separano mediazione e processo, accordo conciliativo e sentenza, si distingue non poco da quello del sistema giurisdizionale, o più genericamente dagli altri modelli “eteronomi” di soluzione del contenzioso (non ultimo l’arbitrato) chiamati a rispondere alla cd. logica avversariale. In questi ultimi (processo, arbitrato) l’obiettivo è conseguire un provvedimento capace di riconoscere torti o ragioni, di assegnare la soluzione

“giusta”; nella mediazione si punta invece al raggiungimento di un accordo – da collocare perciò sul piano del diritto sostanziale – il quale può pure prescindere da qualsiasi prospettiva aggiudicativa.

Non è questa la sede per occuparci delle differenze strutturali tra i due modelli (processo e mediazione), differenze la cui conoscenza va data per presupposta1. Né si vuole qui prendere in considerazione l’ipotesi in cui la mediazione non abbia buon esito e la procedura si chiuda con un verbale negativo (con tutte le possibili conseguenze sull’eventuale successivo processo giurisdizionale)2. Obiettivo del presente scritto è – più limitatamente - esaminare il risultato concreto a cui la procedura conciliativa giunge qualora le parti addivengano ad un accordo (con uno sguardo particolare all’ipotesi in cui esso sia idoneo a costituire titolo esecutivo3). Due i profili di indagine: a) da un lato, inquadrare il modello tipizzato dal d.lgs. n. 28 cit. nelle categorie generali,

1 Ampia è la letteratura che si è occupata del tema. Per tutti, vd. Luiso, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, in GPC, 2011, 325 ss.; Id, Istituzioni di diritto processuale civile, Torino, 2009, 13; Id, Diritto processuale civile, vol. V, Milano, 2011, in corso di pubblicazione. Per una ricostruzione delle differenze tra mediazione e tutela giurisdizionale, alla luce del d.lgs. n. 28/2010, sia consentito rinviare a Tiscini, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo nel d.lgs. n. 28/2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino, 2011, passim.

2 Anche su questo profilo si rinvia a Tiscini, La mediazione civile e commerciale, cit., 280 ss.

3 In realtà, alcuni effetti del verbale di accordo che si esamineranno hanno carattere di generalità, operando sia nell’ipotesi in cui il verbale sia potenzialmente idoneo a costituire titolo esecutivo, sia nell’ipotesi in cui esso abbia un contenuto di mero accertamento, senza attitudini condannatorie. Altri invece sono tipici dell’accordo contenente prestazioni che, ove non spontaneamente adempiute, si prestano all’attivazione delle tecniche esecutive.

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secondo ciò che la mediazione è nel contesto delle ADR; b) da un altro, individuare le specificità che il d.lgs. n. 28 cit. ha voluto riconoscere all’accordo conciliativo.

2. I possibili esiti della mediazione. Dall’accordo amichevole alla formulazione della proposta.

L’esito positivo della mediazione è ben rappresentato nell’art. 11 d.lgs. n. 28/2010, che, da un lato, individua diverse modalità di conciliazione della lite, da un altro, offre una chiara differenziazione tra due atti tipici della fase conclusiva (l’uno parte integrante dell’altro) che consentono di delineare compiutamente ruoli e funzioni del mediatore.

“Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento”

(art. 11 comma 1 d.lgs.). La disposizione distingue due modalità di conciliazione, da collocare l’una in successione rispetto all’altra4. La prima (più lineare) ipotesi è che tra le parti si raggiunga un

“accordo amichevole”5; l’altra presuppone che l’accordo amichevole non sia raggiunto e che il mediatore formuli una proposta (su richiesta congiunta delle parti, vincolativamente, ovvero di sua iniziativa, discrezionalmente, in assenza di richiesta congiunta). Sulle modalità di formulazione della proposta, i suoi presupposti, i suoi limiti si annida uno dei problemi più spinosi della riforma in esame (il cui approfondimento richiederebbe quindi una trattazione a sè)6. Basti qui ricordare – ai nostri fini - che la distinzione tra “accordo amichevole” ed accordo raggiunto a seguito della proposta coincide con quella tra mediazione facilitativa e valutativa: il passaggio dalla fase negoziale in cui il mediatore si limita a favorire l’emersione degli interessi, a quella in cui egli contribuisce con una propria iniziativa ad offrire una soluzione autonoma da quella prospettata dalle parti (la “proposta”, appunto) segna uno stacco nelle dinamiche e nella natura dell’attività conciliativa, passandosi dal modello “puro”7, ad uno che nella storia dell’istituto risulta un

“derivato”8.

4 Entrambe le modalità conciliative sono dominate dal consenso, solo con esso raggiungendosi l’accordo (Impagnatiello, La «mediazione finalizzata alla conciliazione» di cui al d.lgs. n. 28/2010 nella cornice europea, in www.judicium.it, § 11).

5 L’espressione “accordo amichevole” esprime la natura negoziale dell’accordo, quando cioè esso si raggiunge attraverso un percorso al quale il terzo si sia limitato ad assistere. Si è osserva tuttavia come la locuzione “accordo amichevole” non è felicissima “poiché non vi è ragione per cui un accordo conciliativo debba essere necessariamente

“amichevole””. In questo senso, Santi, Commento all’art. 11, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di Bove, Padova, 2011, 271 ss., spec. 277 nt. 9.

6 Vd. Tiscini, La mediazione, cit., 209 ss.

7 Vd. sul tema, Besso, Inquadramento del tema: lo sviluppo del fenomeno della risoluzione alternativa delle

controversie, in La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, Torino, 2010, 1 ss.; Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011, 225 ss.; Santi, Commento all’art. 11, in La mediazione per la

composizione, cit., 271 ss.; Valerini, L’esito del procedimento di mediazione, in Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, a cura di Sassani e Santagada, Roma, 2010, 54 ss.

8 Il discorso vale a prescindere dal fatto che la proposta sia “facilitativa”, ovvero – resa secondo la logica avversariale -–

assuma caratteri “aggiudicativi” (Santi, Commento all’art. 11, cit., 283; Capobianco, I criteri di formulazione della cd.

proposta “aggiudicativa” del mediatore, in www.judicium.it, § 1 ss.; Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo, cit., 229).

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Di qui l’esigenza di collocare in successione l’una ipotesi rispetto all’altra: fintanto che può operare il tentativo di accordo amichevole, fintanto che il mediatore può gestire il conflitto sulla base dei soli interessi, è questo il criterio da seguire. Il passaggio alla proposta si può avere solo in seconda battuta9, una volta appurato il fallimento della prima fase10.

3. L’accordo conciliativo ed il suo verbale. Le sottoscrizioni.

E’ centrale la distinzione tra accordo e verbale, atti tra loro separati non solo sul piano formale-documentale, ma anche su quello della relativa paternità, l’accordo facendo capo alle parti, il verbale di spettanza invece del mediatore11.

“Se è raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere” (art. 11 comma 3 d.lgs. cit.). La verbalizzazione è quindi un elemento essenziale di questa fase (anche in caso di esito negativo12), da distinguere sia sul piano formale che su quello sostanziale dall’”accordo”. Quest’ultimo è atto delle parti, che esse devono sottoscrivere ed al quale il mediatore non partecipa (né sottoscrive) se non per l’attività che si pone a monte, quella che ha condotto all’incontro delle volontà. Il d.lgs. n. 28 cit. si disinteressa di descrivere limiti, contenuti, profili di validità dell’accordo perché esso non appartiene alla mediazione, se non per segnarne gli esiti. L’attività del mediatore (facilitatore o valutatore che sia) consiste infatti nel favorire l’emersione degli interessi, ma – una volta che ciò sia avvenuto – il contratto che le parti stipulano non è diverso da quello che esse avrebbero potuto concludere autonomamente senza il contributo del terzo. L’accordo tra le parti può avere quindi qualsiasi contenuto in conformità alla atipicità della autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. ss., come può avere qualsiasi contenuto la manifestazione di volontà negoziale in cui l’incontro delle parti sia avvenuto senza la partecipazione di terzi13.

9 E’ evidente quindi la preferenza del legislatore per l’”approccio facilitativo” rispetto a quello “valutativo o aggiudicativo” (Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo, cit., 214).

10 Questo in breve l’iter procedimentale contemplato dal d.lgs. n. 28/2010 per la formulazione della proposta. Qualora si configuri la possibilità/necessità della proposta, il mediatore, prima della sua formulazione, “informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13”, rectius, sulle possibili conseguenze in punto di condanna alle spese (art. 11 comma 1 cit.). Una volta informate le parti, “la proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l'accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata” (art. 11 comma 2 d.lgs. cit.). La formulazione della proposta è poi accompagnata dall’esigenza di tutelare la riservatezza, dal momento che “salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento”

(art. 11 comma 2 d.lgs. cit.). per questi profini, vd. ancora una volta, Tiscini, La mediazione, 213 ss.

11 Su questi profili, ricostruendo puntualmente i diversi modelli di “verbale di accordo” offerti dal d.lgs. 28 cit., Capponi, Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione, in www.judicium.it., e in questa Rivista, … Sul tema, vd. approfonditamente anche Brunelli, Commento all’art. 11, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, a cura di Bandini e Soldati, Milano, 2010, 201 ss.

12 Nela, Il procedimento, in La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, cit., 263 ss. spec. 294.

13 Esemplificativamente, l’accordo potrà consistere in un riconoscimento del diritto, in una rinuncia alle proprie pretese, in una transazione, in un negozio di accertamento, in un accordo contenente una perizia contrattuale (per questa esemplificazione, vd. Valerini, La conclusione del procedimento di mediazione e il regime delle spese processuali, in Notarilia, 2011, in corso di pubblicazione).

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Ben diverso è il verbale, il quale si impone – in caso di esito positivo della mediazione – “se e' raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore” (art. 11 comma 2 d.lgs. cit.). Anche da questo punto di vista sfuma la distinzione tra mediazione facilitativa e valutativa, distinzione che – se ha un ruolo importante nel procedimento, in quanto impone al mediatore di accompagnare la formulazione della proposta con talune garanzie, e di assoggettarla a certi vincoli14 - non assume parimenti una posizione centrale nella fase conclusiva. In altri termini, una volta che la proposta sia stata accettata, l’accordo conciliativo è redatto in conformità ad essa, ma nel suo contenuto (non diversamente nei suoi profili di validità15) esso non si distingue di molto da un qualsiasi accordo tra le parti. La proposta torna invece ad assumere autonomo valore per l’ipotesi in cui l’accordo non si raggiunga, producendo (ma solo per il caso di sua coincidenza, eventualmente parziale, con la decisione giudiziale) non irrilevanti conseguenze sulle spese di lite (art. 13d.lgs. cit.)16.

Veniamo al verbale. La sua natura è diversa da quella dell’accordo, essendo questo un atto proprio del mediatore – che spetta a lui redigere – ed espressione dell’epilogo della mediazione (è perciò che la verbalizzazione della fase conclusiva si impone anche in caso di mancata conciliazione: art. 11 comma 4 d.lgs. cit.). La differente natura tra accordo conciliativo e verbale è confermata dal fatto che, mentre l’accordo è sottoscritto dalle sole parti, il verbale “deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere” (art. 11 comma 2 d.lgs. cit.). Tra l’uno e l’altro vi è tuttavia un rapporto di complementarietà, nel senso che al verbale deve essere allegato l’accordo (di cui fa parte integrante). Di questa necessità invero la legge fa indicazione esplicita solo nel caso in cui si raggiunga l’accordo amichevole (“se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo”: art. 11 comma cit.), ma non diversamente si deve ritenere qualora all’accordo si giunga tramite una proposta del mediatore.

Tornando brevemente sul problema delle sottoscrizioni, a fronte di un accordo sottoscritto dalle sole parti (e ad esse imputabile) si pone un verbale sottoscritto oltre che dalle parti, anche dal mediatore il quale certifica l’autografia della sottoscrizione17. Il potere di certificazione18 delle sottoscrizioni facente capo al mediatore in questa sede non basta per attribuire ad esso il ruolo di pubblico ufficiale19: esso però neppure può con sicurezza assimilarsi al potere di autenticazione

14 Su cui vd. supra § precedente.

15 La proposta deve sempre essere conforme alle norme imperative ed all’ordine pubblico, ex art. 14 comma 2 lett. c) d.lgs. n. 28/2010, e ciò incide, oltre che sulla validità del contratto ad essa conforme anche sul profilo della

responsabilità del mediatore. Sul tema vd, Tiscini, La mediazione, cir., 47 e 260.

16 Anche questo è un tema fortemente dibattuto della nuova disciplina, oltre che la ragione principale per la quale accese sono le critiche circa le modalità con le quali è contemplata la fase valutativa della mediazione nel d.lgs. n. 28 cit.

17 Si deve trattare di sottoscrizioni “autografe” in quanto apposte di mano dalla parte o dal suo rappresentante legale o volontario, autorizzato nei modi di legge (Brunelli, Commento all’art. 11, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, cit., 201 ss., spec. 206).

18 Diverso è il sistema delle certificazioni e autenticazioni delle sottoscrizioni del verbale di conciliazione nelle controversie di lavoro, alla luce della recente riforme nel collegato lavoro. Per alcune riflessioni sul punto si rinvia a Tiscini, Nuovi (ma non troppo) modelli di titolo esecutivo per le prestazioni derivanti dal contratto di lavoro: il verbale di conciliazione stragiudiziale dopo il restyling della l. n. 183/2010 (cd. collegato lavoro), in questa Rivista, 2010, … e in www.judicium.it; vd. anche Id, Il verbale di conciliazione stragiudiziale, in I profili processuali del collegato lavoro, a cura di Sassani e Tiscini, Roma, 2011, 32 ss.

19 Esclude che al mediatore possa essere riconosciuto in questa sede il ruolo di pubblico ufficiale, Nela, Il procedimento, cit., 295, con la conseguenza che egli non può essere assoggettato a responsabilità penale per l’ipotesi di falso; Brunelli, Commento all’art. 11, cit., 207, la quale esclude che la certificazione del mediatore possa equivalere ad accertamento

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spettante all’avvocato al momento della sottoscrizione della procura ad opera del cliente o comunque ad un potere di autenticazione “minore”20. Diversamente da quest’ultimo, il mediatore esercita funzioni che richiamano quelle tipicamente notarili: si pensi ad esempio al potere(-dovere) di certificare l’impossibilità per le parti di sottoscrivere il verbale, il quale, mutatis mutandis, dovrebbe corrispondere a quello che nella legge notarile obbliga il notaio al compimento di certe formalità nella redazione dell’atto21. Ci si può chiedere quindi se il potere del mediatore di certificare l’impossibilità per le parti di sottoscrivere l’accordo coincida con quello che il notaio esercita in sede di redazione dell’’atto pubblico22, ovvero se si tratti di un potere sostanzialmente diverso (anche se testualmente corrispondente nelle formule utilizzate). L“’impossibilità di sottoscrivere”, della quale il mediatore dovrebbe dare atto, potrebbe essere ricondotta ad una duplice fattispecie: sia quando la parte è materialmente impossibilitata (mancante di braccia, analfabetismo ecc.23), sia quando “l’impossibilità” – da intendersi in senso lato – deriva dal fatto che la parte non ha aderito (partecipato) alla procedura24. Certo è che, ove l’impossibilità di sottoscrivere fosse ricondotta alle stesse ipotesi descritte nella legge notarile, sarebbe eccessivo obbligare il mediatore a rivestire il verbale delle formalità tipiche dell’atto notarile; ciò soprattutto se si considera che può essere mediatore anche un soggetto privo di competenze giuridiche.

Le difficoltà nell’attribuire al mediatore il ruolo di pubblico ufficiale in sede di certificazione della autografia apposta nel verbale derivano poi dal successivo intervento del pubblico ufficiale. Sulla questione ci si soffermerà in seguito25, esaminando il valore del verbale quale titolo esecutivo. Per il momento, basti rilevare che “se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere

dell’identità personale del sottoscrittore ai sensi dell’art. 49 l. 89/1913, che per giurisprudenza costante richiede un quid pluris rispetto al mero riscontro del documento di identità; Valerini, La documentazione dell’esito del procedimento, in Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, cit., 58; Id, La conclusione del procedimento, cit., § 7. Osserva in proposito il CSM nel Parere sulla bozza di decreto legislativo: “vengono così riconosciuti al mediatore i poteri

certificativi propri del pubblico ufficiale, benché egli tale non sia qualificato né dalla legge delega né dallo schema di decreto legislativo in esame; l’attribuzione di siffatti poteri, oltre a determinare rilevanti conseguenze anche sul piano della responsabilità penale del mediatore, imporrebbe quanto meno l’attenta verifica dei titolo professionali dei mediatori e della loro affidabilità tecnica, aspetti sui quali l’atto normativo in esame non si sofferma affatto”. Sul tema vd. anche Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo, cit., 257.

20 Su questi profili, Capponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., § 1, secondo cui “l’autentica sembra richiamare quella che l’avvocato opera nel processo riguardo alla procura ad litem, ma a ben vedere le fattispecie non sono affatto

assimilabili”. Osserva l’autore che il compito del mediatore, in base al comma 3 dell’art. 11, è certamente più ampio di quello assegnato al difensore dagli artt. 83 e 125 c.p.c., non limitandosi esso all’autentica della sottoscrizione delle parti, ma potendo addirittura documentare le ragioni dell’impossibilità delle parti di sottoscrivere l’accordo (che vale

comunque a vincolare le parti, ancorché non sottoscriventi). Inoltre, il potere del difensore si spiega nel contesto dello svolgimento dell’incarico di rappresentanza e difesa in giudizio, laddove il mediatore non è legato alle parti da alcun rapporto di mandato. Mi sembra quindi che, almeno per questo riflesso, la figura del mediatore assuma un aspetto decisamente pubblicistico che svolge un ruolo fondamentale anche nella formazione del titolo esecutivo”. In senso contrario Valerini, L’esito del procedimento di mediazione, cit., 59, nt. 200; Id, La conclusione del procedimento, cit., § 7. 21 Sull’importanza del potere del mediatore di certificare l’impossibilità nella sottoscrizione, Capponi, op. loco cit.

22 Impossibilità di sottoscrivere sussistente, sia nel caso in cui la parte non sappia sottoscrivere (analfabetismo), sia nel caso in cui non possa sottoscrivere per cause temporanee (ad esempio, avere le mani ingessate) o per cause stabili (paresi degli arti superiori). Per questi esempi, vd. Brunelli, Commento, cit., 209.

23 Vd. supra nt. precedente.

24 Ipotesi questa espressamente contemplata nell’art. 11 comma 4 d.lgs. cit. per il caso di verbale negativo, laddove si stabilisce che “nello stesso verbale, il mediatore da' atto della mancata partecipazione di una delle parti al

procedimento di mediazione”.

25 Vd. infra § 4.

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alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” (art. 11 comma 3 d.lgs. cit.). Ora, dal fatto che per consentire la trascrizione del verbale è necessaria una specifica autenticazione ad opera di un pubblico ufficiale si può desumere che lo stesso effetto non sia conseguito attraverso la certificazione dell’autografia da parte del mediatore. Il che inevitabilmente “declassa” il suo potere “pubblicistico” di autenticazione, conducendo verso una lettura della disposizione che, nell’imporre la certificazione al mediatore, gli attribuisce – molto più semplicemente – il compito di verificare l’identità delle parti ed accertare che la sottoscrizione sia apposta alla loro presenza. Il che è altro rispetto al potere di autenticazione tipico del pubblico ufficiale26.

Una ultima questione – connessa a quella delle sottoscrizioni del verbale - verte sul dubbio se e quando esso venga ad esistenza, nel caso in cui le parti non lo sottoscrivano ovvero lo sottoscrivano successivamente rispetto alla sottoscrizione del mediatore. Si tratta di due ipotesi collegate, entrambe dipendenti dall’unico problema di “pesare” il valore delle sottoscrizioni apposte al verbale, nel confronto tra quelle delle parti e quella del mediatore. A fronte di chi ritiene che il verbale viene a giuridica esistenza con la sottoscrizione di tutte le parti27 (sicché i suoi effetti decorrono dal momento in cui sono integrate tutte le sottoscrizioni), vi è chi nega tale opzione, sul presupposto che si tratta di atto del mediatore (sicché, è indispensabile la sua sola sottoscrizione ai fini della esistenza), anche perché “a tacer d’altro, se una delle parti non volesse sottoscrivere (non essendone ovviamente impedita) il verbale non potrebbe esistere”28. Pure condividendo le perplessità che desterebbe la soluzione più rigida, a noi sembra di poterla condividere, imponendo quindi – ai fini della sua esistenza – la sottoscrizione del verbale ad opera di tutti soggetti (parti e mediatore).

Varie le ragioni. Innanzi tutto, sarebbe difficile superare il dato testuale di una norma che colloca sullo stesso piano tutte le sottoscrizioni (il che non toglie rilievo al dato, pur sempre certo, che la paternità di esso è da attribuire al mediatore); inoltre, sul piano funzionale, seppure si tratta di atto addebitabile al mediatore, esso ha lo scopo di porre fine ad una lite (ovvero in caso di esito negativo di attestarne l’impossibilità) nella quale i protagonisti sono le parti stesse. Se dunque queste ultime non vogliono sottoscrivere il verbale così impedendo che venga ad esistere, imputet sibi: le conseguenze di tale comportamento ricadrebbero su di loro, non potendosi giovare degli esiti della mediazione29. Né il fatto che il verbale non sia venuto ad esistenza per mancata

26 Diversa sarebbe stata la lettura della disposizione ove fosse mancata la previsione menzionata nel testo che impone l’intervento del pubblico ufficiale ai fini della trascrizione. Forse, l’art. 11 comma 4 d.lgs. cit., che coinvolge il pubblico ufficiale per la trascrizione, provoca delle complicazioni che si sarebbero potute evitare, tenuto conto dei riflessi, a monte, sulla qualificazione del potere del mediatore (a monte) di certificare la sottoscrizione.

27 In questo senso Brunelli, Commento all’art. 11, cit., 204.

28 Valerini, La conclusione, cit., § 7. Nello stesso senso, Id, La documentazione dell’esito del procedimento conciliativo, in Mediazione e conciliazione, cit., 58, nt. 199.

29 Sostanzialmente nello stesso senso, Brunelli, Commento all’art. 11, cit., 205, osserva che “nel caso di verbale che formalizzi il raggiungimento dell’accordo, la ratio della previsione legislativa della sottoscrizione può essere

ulteriormente individuata nel fatto che solo la sottoscrizione dell’accordo formalizza il raggiungimento dello stesso, o, in altri termini, solo una manifestazione espressa di volontà, formalizzata con la sottoscrizione, fa sì che quella volontà diventi impegnativa per il sottoscrivente”. Seppure condividendo l’osservazione, non si può non rilevare come vada considerata anche l’ipotesi in cui le parti hanno sottoscritto l’accordo, ma non il verbale, con la conseguenza che l’accordo verrebbe a giuridica esistenza, ma non ugualmente il verbale. In questo caso, le parti sarebbero sempre vincolate all’accordo, ma quest’ultimo non sarebbe raggiunto in sede di mediazione civile e commerciale (in quanto non trasposto nel relativo verbale), con la conseguenza che esso non si potrebbe valere dei vantaggi (fiscali ed in punto di

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sottoscrizione delle parti (salva la loro impossibilità), potrebbe generare una responsabilità del mediatore nei confronti dell’organismo: verificando che l’impedimento è ascrivibile alle parti, il mediatore sarebbe certamente esente da qualsiasi profilo di responsabilità nei confronti dell’organismo per la mancata conclusione della procedura. E l’organismo di riflesso non sarebbe responsabile nei confronti delle parti sotto il corrispondente profilo.

Tenuto conto del silenzio del legislatore sul punto, è senz’altro da escludere che il verbale debba o possa essere sottoscritto da altri soggetti che pure hanno partecipato alla procedura a diverso titolo (ad esempio, l’esperto, il segretario nel procedimento, il tirocinante), trattandosi di soggetti, ai quali, pur avendo assunto un ruolo ufficiale nella procedura, non è ascrivibile la paternità del verbale30.

La legge non contempla – sotto il profilo delle sottoscrizioni - l’ipotesi della pluralità di mediatori31. Ci sembra tuttavia che, qualora la procedura sia gestita collegialmente, a prescindere dalle modalità con cui la collegialità si costituisce (sia che si nomini un collegio di mediatori ab origine, un mediatore ausiliario in corso di procedura, un mediatore per la sola formulazione della proposta), tutti i più mediatori siano tenuti alla sottoscrizione del verbale: a favore di questa opzione soccorre il fatto, non solo che l’attività svolta fa capo a tutti i più mediatori - ciascuno con i propri incarichi - ma anche che, pure sotto il profilo dei costi, non vi sono differenze tra procedure gestite da un solo mediatore e procedure in cui si realizza in qualsiasi forma la collegialità (art. 16 comma 10 DM 180 cit.). Non deve invece sottoscrivere il verbale il mediatore che in corso di procedura sia stato sostituito (la sottoscrizione spettando in quest’ultimo caso al mediatore subentrato), né il mediatore tirocinante (art. 4 comma 3 lett. b) D.M. n. 180/2010, come modif. dal D.N. n.

145/201132).

4. La trascrivibilità del verbale.

“Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” (art. 11 comma 3 d.lgs. cit.)33. La disposizione ha lo scopo di corredare il verbale della solennità necessaria per l’acquisizione dell’efficacia di titolo idoneo alla trascrizione (in un sistema in cui il regime delle trascrizioni è assoggettato a rigide regole di tassatività)34. Tuttavia, forse al medesimo risultato si sarebbe potuti giungere anche in assenza di siffatta previsione, la cui mancanza avrebbe peraltro semplificato il sistema. Ma tant’è. Della scelta del legislatore si deve prendere atto ed offrirne la migliore lettura per i profili problematici che può generare.

titolo esecutivo) che il d.lgs. n. 28 cit. riconosce. Le conseguenze negative della mancata sottoscrizione del verbale (pure avendo sottoscritto l’accordo) sarebbero destinate a ricadere sulle parti.

30 Brunelli, Commento all’art. 11, cit. 205.

31 Questa ipotesi è invece descritta in altra sede, per individuare la figura del mediatore ausiliario (art. 8 comma 1 d.lgs.

cit.), nonché per disciplinare il regime dei costi di mediazione (art. 16 comma 10 DM 180 cit.).

32 L’esigenza che ciascun mediatore partecipi - nel biennio di aggiornamento ed in forma di tirocinio assistito ad almeno venti casi di mediazione – è frutto delle recenti modifiche apportate al D.M. n. 180/2010 dal D.M. n. 145/2011.

33 Sul tema, vd. anche supra § precedente.

34 In questo senso, Brunelli, Commento, cit., 212.

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Quanto all’individuazione del “pubblico ufficiale a ciò autorizzato”, tale è senz’altro il notaio (ancorché non espressamente previsto35), ma pure ogni altro soggetto dotato per legge di tali funzioni pubblicistiche. Quanto agli atti soggetti a trascrizione, la disposizione evoca solo quelli

“previsti dall’art. 2643 c.c.”, ma non vi sono difficoltà36 nel ritenere che la medesima disciplina vada estesa a tutti gli altri atti soggetti a trascrizione37 (ad esempio quelli degli artt. 2645, 2645 bis, 2645 ter, 2647, 2648, 2649 c.c.)38.

Si pone a questo punto un problema. Ipotizzando che mediatore nel caso di specie sia un notaio, ci si può chiedere se l’eventuale autenticazione ad opera del pubblico ufficiale possa essere effettuata dallo stesso mediatore-notaio una volta spogliatosi delle vesti di mediatore (rectius, una volta redatto e sottoscritto il verbale) ed assunte quelle di notaio. Seppure la soluzione positiva sarebbe la più celere ed informale (nella prospettiva di una procedura a tali principi ispirata39), essa contrasta con altri principi parimenti importanti nelle dinamiche conciliative. Primo tra tutti il divieto del mediatore “di assumere diritti o obblighi connessi con gli affari trattati” (art. 14 cit.), ma poi anche il più generale dovere di imparzialità che informa di sé l’intera procedura (art. 14 d.lgs. cit., art. 4 comma 2 lett. e) DM 180 cit.). Si tratta peraltro di regole che trovano conferma in più puntuali previsioni di natura negoziale, nei codici etici dei singoli organismi, i quali non esitano a porre divieti stringenti a che il mediatore possa instaurare rapporti professionali di alcun tipo con le parti40.

Quanto all’utilità di ammettere la trascrivibilità del verbale di accordo, ciò consente di riconoscere una importante garanzia al risultato conciliativo (ai fini della sua opponibilità ai terzi), avvicinandolo non poco alle corrispondenti garanzie della sentenza (o più in generale dell’atto aggiudicativo)41. Tuttavia, sotto questo profilo non è totale la corrispondenza di effetti tra accordo conciliativo (rectius, verbale di accordo) e sentenza, dal momento che, mentre a quest’ultima viene riconosciuto l’effetto prenotativo dato dalla trascrizione della domanda giudiziale (art. 2652 c.c.), una analoga regola non trova diritto di cittadinanza nella mediazione; né a questo scopo può bastare la trascrizione della domanda giudiziale – che pure la legge consente (art. 5 comma 3 d.lgs. cit.) –

35 Come avviene invece nell’art. 2703 c.c. (Brunelli, op. cit., 212).

36 A meno che le conservatorie non impongano letture fin troppo formalistiche, procedendo alla trascrizione dei soli atti ex art. 2643 c.c. A dire il vero, la prima esperienza applicativa sembra prospettare questo rischio, ma ci si augura che il problema sia quanto prima superato a favore dell’estensione applicativa della norma, sicuramente più ragionevole (e perciò meglio conforme anche al dettato costituzionale).

37 Ne è conferma quanto riconosce la stessa Relazione illustrativa al d.lgs. 280 cit., ove si afferma sul problema delle trascrizioni che “al fine di garantire la certezza dei traffici e offrire maggiori garanzie alle parti, è stato previsto che l’autografia della sottoscrizione del verbale di accordo che abbia ad oggetto diritti su beni immobili soggetti a trascrizione (e annotazione), per poter effettuare quest’ultima debba essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La disposizione si estende, logicamente, agli atti di divisione immobiliare per effetto del combinato disposto con l’articolo 2645 c.c.”.

38 Sarebbe stato opportuno il richiamo all’art. 2657 c.c., che qualifica più in generale il titolo idoneo per la trascrizione (Brunelli, op. cit., 214). Secondo Luiso, Diritto processuale, cit., ed. 2011, “si devono intendere richiamati, insieme all’art. 2643 c.c., non solo gli artt. 2645, 2648, 2655 c.c., ma anche gli artt. 2684 e ss. c.c. in materia di beni mobili registrati, nonché, ad es., l’art. 2470 c.c. in materia di trasferimento delle quote di s.r.l., e così via”.

39 In questo senso, sembra di capire, si orienta Brunelli, Commento all’art. 11, cit., 217.

40 A titolo esemplificativo si veda l’art. 12 del codice etico per mediatori approvato da Unioncamere secondo cui “il mediatore non potrà svolgere in seguito, tra le stesse parti e in merito alla stessa controversia, funzioni di consulente, difensore o arbitro. Inoltre egli non potrà ricevere dalle parti alcun tipo di incarico professionale di qualunque natura per una durata di dodici mesi dalla conclusione della mediazione”.

41 Il tutto a vantaggio della conformità a Costituzione del sistema conciliativo, soprattutto quando imposto come obbligatorio.

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trascrizione destinata a restare priva di effetti se non seguita (ove si raggiunga l’accordo in sede conciliativa) dalla trascrizione della sentenza42.

5. Il contenuto dell’accordo. Profili di responsabilità del mediatore.

Tenuto conto dei requisiti di sostanza e forma del verbale, e dunque della distanza che lo separa dall’accordo (in esso contenuto, ma profondamente diverso anche sotto il profilo della relativa paternità)43, occorre a questo punto accennare – seppure brevemente – al problema dei limiti in cui il mediatore possa contribuire o incidere sulla formazione della volontà negoziale delle parti attraverso la redazione materiale dell’accordo, nonché a quello - in parte dipendente - della responsabilità del mediatore per l’ipotesi in cui le parti addivengano alla stipula di un contratto invalido. Iniziamo dal primo profilo.

E’ indubbio – lo si è già ripetuto più volte – che la redazione dell’accordo non appartiene al mediatore, bensì alle parti direttamente o tramite il proprio legale (il sistema delle sottoscrizioni ne è il chiaro indice); al mediatore spetta il solo compito di verificare che quanto le parti hanno dichiarato nell’accordo corrisponde effettivamente alle volontà da loro espresse nella fase negoziale, nonché certificare nel verbale l’avvenuto accordo. Ogni diversa soluzione (rectius, la confezione materiale dell’accordo ad opera dello stesso mediatore) non solo sarebbe contraria a ruolo e funzioni del terzo44, ma anche lo esporrebbe a taluni profili di responsabilità (ad iniziativa delle parti, che potrebbero ad esempio addebitargli di aver trasposto nell’accordo una volontà non corrispondente a quella effettiva)45.

Vi sono tuttavia taluni casi limite in cui non è facile escludere a priori la possibilità che il mediatore incida in qualche modo sulla redazione materiale dell’accordo (il che è altro dal ritenere che egli condizioni le volontà negoziali delle parti). Appartiene ai suoi obblighi professionali adoperarsi affinché, una volta raggiungo il consenso, si addivenga all’accordo materiale (alla stipula del contratto); spetta quindi al terzo verificare che le parti abbiano trasposto nel contratto la volontà negli esatti termini con cui si sono delineati i relativi interessi46. Il problema si pone se le parti, una volta manifestata la volontà consensuale, non siano in grado di redigere materialmente l’accordo. Si pone in questi casi un obbligo, un potere o un divieto per il mediatore di sostituirsi lui nella confezione materiale di un atto che corrisponda esattamente alla volontà negoziale? In astratto, neppure in questo caso il mediatore sarebbe tenuto a redigere il contratto; egli però è senz’altro obbligato a fare di tutto affinché al contratto si giunga, ad esempio invitando le parti a nominare un legale anche solo per l’assistenza nella fase conclusiva del negoziato, ovvero suggerendo lui stesso (all’organismo) la nomina di un mediatore ausiliario (si pensi al caso in cui mediatore sia un non giurista e si nomini per l’assistenza giuridica un tecnico in materie giuridiche, avvocato, notaio

42 Per le conseguenze in punto di deminutio di effetti che derivano dalla mancata produzione del cd. effetto prenotativo, vd. Tiscini, La mediazione, cit., 166 e 234; Id, Vantaggi e svantaggi della nuova mediazione finalizzata alla

conciliazione: accordo e sentenza a confronto, in GC, 2010, 489 ss.

43 Su cui vd. supra §§ precedenti.

44 Stanti appunto nell’esigenza di favorire l’incontro delle volontà, non di costruire materialmente l’atto negoziale conclusivo.

45 Sul difficile tema della responsabilità del mediatore, vd. Tiscini, La mediazione, cit., 47.

46 In questo senso, Valerini, La conclusione, cit., § 7.

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ecc.47). Non si può escludere poi l’opportunità di un contributo anche materiale del mediatore nella redazione del contratto, qualora sia questa l’unica via per condurre la procedura alla sua migliore conclusione. Pure non rientrando la redazione del contratto tra le competenze del mediatore, resta il fatto che egli è contrattualmente obbligato nei confronti dell’organismo per la prestazione di un servizio (o opera professionale) che segue tutto il corso del negoziato e (pur non costituendo una obbligazione di risultato) comprende anche il momento conclusivo (una volta appurato che vi sia spazio per il consenso reciproco). In altri termini, la responsabilità va guardata anche sotto il profilo dell’opera professionale che il terzo deve prestare all’organismo (a cui è contrattualmente vincolato) ed a sua volta che quest’ultimo deve assicurare alle parti per il servizio-mediazione; servizio-opera professionale che non può non estendersi anche alla fase finale. Ciò, lungi dall’attribuire al mediatore il compito di redigere l’accordo, vuol dire imporgli la piena diligenza nel consentire (eventualmente attraverso un proprio contributo materiale, se limitato alla trasposizione di una chiara volontà delle parti espressamente manifestata) che all’atto negoziale si addivenga se il negoziato ha avuto esito positivo.

D’altra parte, costituendo la mediazione un modello di soluzione del contenzioso alternativo alla giustizia (ADR), non si può negare valore all’esigenza di pervenire ad un risultato48 che, pure nelle sue differenze, possa sostituirsi alla sentenza. Dire che il servizio di mediazione – che le parti chiedono all’organismo e per il quale sostengono dei costi – non comprenda nei suoi profili obbligatori anche quello di condurre ad un contratto (ove ve ne siano le condizioni) significa privare questo modello della forza necessaria per vincere la concorrenza dell’omologo sistema giurisdizionale in cui l’unica certezza che il cittadino ha è che alla sentenza (prima o poi) si arriverà.

Se veramente si vuole costruire un sistema in grado di promuovere la mediazione, è necessario predisporre ogni cautela affinché le parti escano dal negoziato con un accordo che possa fare le veci della sentenza.

Veniamo all’ipotesi della responsabilità del mediatore per il caso in cui le parti stipulino un contratto invalido. Ci si deve chiedere se quest’ultimo risponda per qualsiasi profilo di invalidità di un contratto che le parti hanno concluso all’esito della mediazione in maniera esattamente conforme ai loro interessi49. Tra gli obblighi del mediatore non vi è quello di condurre le parti alla conclusione di un contratto e tanto meno di un contratto “valido”: la priorità per la tutela in mediazione degli interessi piuttosto che dei diritti (e l’esigenza di favorire un incontro di volontà quale che sia, al di fuori della logica avversariale) offre la misura della responsabilità del mediatore sotto questo profilo. Il contratto è e resta materia delle parti e solo ad esse vanno ascritte le eventuali invalidità.

Il che però non esclude taluni profili (seppure indiretti)50.

Vi è il limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative: limite sicuramente operante quando al contratto si giunge attraverso la formulazione di una “proposta” ad opera del mediatore (art. 14 comma 2 lett. c) d.lgs. cit.). Se il contratto corrisponde esattamente alla proposta e questa è

47 Seppure, a rigore, in questa ipotesi, il mediatore ausiliario risponderebbe per la medesima responsabilità del mediatore originario (fanno capo all’ausiliario gli stessi diritti ed obblighi di qualsiasi mediatore): il fatto è che l’ausiliario giurista (tecnico sotto il profilo giuridico) potrebbe assistere le parti nella confezione materiale dell’atto.

48 Qualora ovviamente ve ne siano i presupposti, che in mediazione sono rappresentati dall’emersione degli interessi, più che dalla tutela dei diritti.

49 Prescindiamo qui dall’ipotesi in cui le parti non siano in grado di redigere il contratto ed ipotizziamo che lo concludano materialmente esse stesse.

50 Vd. amplius Tiscini, La mediazione, cit., 47.

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contraria a norme imperative e all’ordine pubblico – profili che lo rendono nullo (art. 1418 c.c.) – del vizio non può non rispondere il mediatore51. Il problema è se il limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative (con le conseguenze in punto di nullità dell’eventuale contratto) sia fonte di responsabilità del mediatore anche nelle ipotesi in cui le parti addivengano ad un “accordo amichevole”. A noi sembra che il limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative sia immanente nel d.lgs. n. 28 cit. e perciò fonte di responsabilità a carico del mediatore qualora l’accordo non sia ad esso conforme, anche quando di natura “amichevole”. Basti pensare al controllo reso in sede di omologazione ex art. 12 d.lgs. cit., il quale si estende al contenuto dell’accordo nei limiti della sua conformità al’ordine pubblico e delle norme imperative52. Vi è cioè una regola generale – non scritta – nel senso che l’autonomia negoziale espressa nell’attività conciliativa incontra un limite nell’osservanza di principi generali dell’ordinamento (per ragioni di carattere pubblicistico) che si concretano nella conformità all’ordine pubblico ed alle norme imperative: limite al quale è assoggettato anche il mediatore nell’espletamento delle proprie funzioni53.

6. La clausola penale o astreinte convenzionale.

“L'accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento” (art. 11 comma 3 d.lgs. cit.). A commento della disposizione, osserva la Relazione illustrativa che “si tratta dell’avallo di forme di astreintes convenzionali, che le parti, nella loro autonomia, possono inserire per rendere più efficace l’accordo”. La qualificazione in questi termini non risolve il problema di ricostruirne la reale natura. Il termine astreinte potrebbe indurre ad individuarne analogie con la disciplina dell’esecuzione indiretta, oggi esplicitamente collocata nell’art. 614 bis c.p.c.54 Tuttavia, troppo evidenti sono le differenze. Non avrebbe senso annettere una clausola del tipo di quella dell’art. 614 bis c.p.c. ad un accordo negoziale, essendo essa dotata di carattere sanzionatorio (non risarcitorio) e perciò da ricondurre a provvedimenti

51 Osserva Valerini, La conclusione, cit., § 8, tuttavia che anche in questo caso è necessario che la violazione

dell’ordine pubblico e delle norme imperative debba essere imputabile al mediatore per generare una sua responsabilità:

“nell’eventualità che oggetto del procedimento di mediazione sia rappresentato dall’esecuzione di un contratto espressione di un cartello in violazione della disciplina della concorrenza l’eventuale accordo che presuppone l’esecutività di quel cartello sarà inevitabilmente contrario all’ordine pubblico. Senonché e salva l’ipotesi di concorso del mediatore sarà difficile che il mediatore possieda tutte le informazioni rilevanti che gli consentano di evitare di formulare una proposta verosimilmente contraria all’ordine pubblico”.

52 Sul sindacato del giudice in sede di omologa ed i relativi effetti, infra § 9.

53 Non riteniamo perciò di condividere la tesi di Valerini, La conclusione, cit., § 8 secondo cui, dal momento che l’art.

28 legge notarile pone divieto al notaio di formare atti pubblici e autenticare le sottoscrizioni di scritture private contrari a norme imperative all’ordine pubblico ed al buon costume, e dal momento che una simile norma non è presente nell’ambito del d.lgs. n. 28, si deve ritenere che “il mediatore non potrà che formare il processo verbale di accordo allegandovi il testo dell’accordo anche se, per avventura, contrario all’ordine pubblico, al buon costume o a norme imperative”. Piuttosto, proprio il richiamo alla disciplina notarile, e tenuto conto del fatto che il mediatore svolge pur sempre un controllo in sede di certificazione dell’autografia, induce a ritenere che – invocando l’analogia – anche il mediatore sia assoggettato agli stessi vincoli.

54 Pagni, Introduzione, in Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giurisdizionale dei diritti, in Soc. 2010, 619 ss., spec. 624.

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condannatori di natura giurisdizionale55; il che non è l’atto conciliativo56. Collegata naturaliter ad una decisione giurisdizionale, ben più complicata è la possibilità di configurarla con riferimento ad un accordo conciliativo che solo nei possibili risultati deflattivi del contenzioso può essere assimilato alla sentenza. Si osserva opportunamente infatti che “espiantata dal terreno elettivo del dictum giudiziale ed impiantata su quello negoziale, l’astreinte cambia radicalmente la sua natura così come la sua funzione: al punto che può riuscire fuorviante lo stesso riferimento all’esecuzione forzata indiretta”57.

Più calzante è la riconduzione dell’istituto nella categoria della clausola penale58 (con funzione risarcitoria, dunque e non sanzionatoria59), anche se a questo punto ci si deve chiedere che senso ha contemplarlo specificamente nella materia conciliativa, dal momento che, pure in assenza dell’art. 11 comma 3 d.lgs. cit. le parti avrebbero potuto inserire nell’accordo conciliativo una clausola penale, in applicazione dell’art. 1382 c.c.60 La disposizione nulla aggiunge ad una regolamentazione delle condizioni contrattuali conseguibili attraverso le categorie generali dell’autonomia privata.

Di contro, la previsione esplicita dell’art. 11 comma 3 d.lgs. cit., causa un non irrilevante problema, stante nell’esigenza di stabilire se e come procedere all’eventuale liquidazione delle somme dovute. Secondo taluno, “se diamo importanza al fatto che il verbale omologato è titolo esecutivo per quanto le parti hanno concordato, e dunque anche per la clausola penale, potremmo anche ritenere che la parte “creditrice” possa auto-liquidare il danno nell’atto di precetto (non diversamente dall’autoliquidazione della svalutazione monetaria oggetto di un dispositivo di condanna non determinato) facendo rimbalzare sull’altra parte l’onere di proporre opposizione all’esecuzione”61. Subentra in altri termini l’esigenza del processo giurisdizionale, dovendosi – a monte rispetto alla liquidazione delle somme – accertare il ritardo o l’inadempimento a cui la clausola aggancia il profilo risarcitorio62. L’esigenza di ottenere un ulteriore e diverso (rispetto all’accordo negoziale) provvedimento giudiziale volto a rendere concreta ed attuale la condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di clausola penale (se non allo scopo di ottenere la quantificazione, per lo meno allo scopo di accertarne l’an, stante nel presupposto

55 Noto è che si tratta di un provvedimento del giudice della cognizione più che del giudice dell’esecuzione. Così Capponi, Un nuovo titolo, cit., § 3.

56 Così Dalfino, Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, in FI, 2010, V, 107 , secondo cui l’art. 614 bis c.p.c. non avrebbe potuto essere direttamente importato nel verbale di conciliazione, posto che la norma del codice di rito ha come riferimento i provvedimenti aventi natura condannatoria. In critica a tale previsione, Fabiani, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in Soc., 2010, p. 1142 ss., spec. 1144. Individua pregi e difetti di entrambe le alternative Pagni, Introduzione, in Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali, cit., 625.

57 Capponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., § 3.

58 In questo senso Capponi, Un nuovo titolo esecutivo, cit., § 3; Fabiani, Profili critici, cit., 1144; Bove, La riforma in materia di conciliazione tra delega e decreto legislativo in RDP, 2010, 343 ss., spec. 352; Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, , in RTDPC, 2010, 653 ss., spec. 665; Velerini, Commento all’art. 12, in La nuova disciplina della mediazione, cit., 229 ss., spec. 238; Id, L’adempimento degli obblighi infungibili, in Mediazione e conciliazione, cit., 62; Minelli, Commento all’art. 11, in La mediazione per la composizione, cit., 300.

59 Vd. sul tema Pagni, Introduzione, cit., 625.

60 Pagni, op. loco cit.

61 Fabiani, op. loco cit.

62 In questo senso, ancora Capponi, op. loco cit. il quale osserva come “maturate tali condizioni nella realtà, ai fini della tutela esecutiva occorrerà pur sempre una pronuncia condannatoria, e cioè quella “modificazione rafforzativa” del diritto di credito che può esser data soltanto da un provvedimento giudiziario”.

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dell’inadempimento o del ritardo) rischia di svilire il ruolo della clausola (se collegata ad un accordo conciliativo che dovrebbe porre fine alle liti), ovvero di aprire nuovi spazi a contestazioni in sede esecutive ex art. 615 c.p.c.63

In conclusione. Una previsione forse fin troppo ovvia (probabilmente inutile ripetizione di quanto già l’art. 1382 c.c. consente in via generale), se collocata nel contesto conciliativo, rischia di provocare nuovi conflitti che, seppure risolvibili in sede negoziale, trovano il loro terreno di elezione in diversi contesti giurisdizionali contenziosi. L’unica speranza è che alla norma sia riconosciuta una residuale portata applicativa, non già perché le parti si asterranno di introdurla nell’accordo, quanto perché non se ne verificherà in concreto il presupposto (rectius, inadempimento o ritardo). Alla fine dei conti essa risolve il caso che l’obbligato non adempia spontaneamente la prestazione dedotta in contratto; ipotesi che in sede conciliativa – quando le parti già hanno trovato un punto di incontro delle volontà – non dovrebbe configurarsi, ben più probabile essendo l’adempimento spontaneo e tempestivo.

7. L’efficacia “estesa” di titolo esecutivo.

Al fine di attribuire utilità concreta all’accordo conciliativo (rectius, al verbale che lo contiene), il d.lgs. n. 28 cit. assicura ad esso l’efficacia di titolo esecutivo nelle forme più “estese”.

Stabilisce infatti l’art. 12 cit. che “il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo”. Tale verbale, all’esito dell’omologa, quindi “costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”

(art. 12 comma 2 cit.).

La previsione di un apposito procedimento (giudiziale) volto ad attribuire efficacia di titolo esecutivo al verbale di accordo, oltre che opportuna, costituisce al contempo, da un lato lo sbocco naturale dell’evoluzione legislativa in tema di mediazione, da un altro una conclusione niente affatto necessitata che avrebbe potuto raggiungersi per altra via. E’ sotto gli occhi di tutti l’opportunità che anche un verbale di accordo (rectius, una manifestazione di volontà negoziale volta al componimento di una lite) sia corredato della forza esecutiva per il caso dell’inadempimento dell’obbligato. Seppure avendo origine in un contesto volontaristico (in cui è l’accordo che conduce alla cessazione della lite), nulla garantisce che l’adempimento sarà spontaneo, non potendosi escludere l’esigenza di strumenti di esecuzione coattiva. E’ perciò da apprezzare la scelta legislativa di corredare l’accordo della forza esecutiva, onde evitare gli inconvenienti ricorrenti ogni qualvolta l’atto di componimento della lite contenga l’obbligo ad

63 Vi è poi il problema di individuare il momento dal quale decorre il ritardo nell’adempimento. Secondo Pagni, op.

loco cit., sarebbe innanzi tutto opportuno che le parti, al fine di evitare contestazioni sul punto, prevedano nel verbale quale sia il termine per l’attuazione degli obblighi. Quanto alla determinazione della somma da pagare, individua l’A.

una ulteriore alternativa tra il ritenere che tale determinazione vada chiesta al giudice dell’esecuzione (come se si trattasse di “determinare le modalità dell’esecuzione” ex art. 612 c.p.c.), oppure – analogamente a quanto avviene nell’art. 614 bis c.p.c. – effettuare tale quantificazione direttamente dal creditore, nell’atto di precetto, rimettendo all’obbligato l’onere di affrontare la questione in sede di opposizione all’esecuzione.

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effettuare una prestazione64 che resti inadempiuta (in mancanza di siffatta previsione si sarebbe imposto agli aventi diritto l’onere di attivare un nuovo e diverso procedimento giurisdizionale volto al conseguimento di un titolo esecutivo, per l’ipotesi dell’inadempienza dell’obbligato65).

Si tratta poi di una soluzione alla quale il legislatore delegato difficilmente poteva sottrarsi tenuto conto, da un lato del chiaro testo della legge delega n. 69/200966, da un altro delle sollecitazioni nel medesimo senso della direttiva comunitaria 2008/52/CE67, da un altro ancora dell’omologa soluzione adottata nella conciliazione societaria68. Nella medesima direzione conduce poi il sistema normativo generale, sempre più proiettato verso l’introduzione di nuovi modelli di titolo esecutivo estendendo tale efficacia agli accordi conciliativi69 giudiziali o stragiudiziali70.

Che tuttavia nel caso di specie non si trattava di conclusione necessitata deriva dal fatto che – proprio stando all’art. 11 d.lgs. cit – il verbale di accordo costituisce titolo esecutivo prima ed a prescindere dall’omologazione. Ciò in ragione della regola secondo cui la sottoscrizione del verbale può essere autenticata ad opera di un pubblico ufficiale ai fini della sua trascrizione (art. 11 comma 3 d.lgs. cit.)71. Trattandosi infatti di una scrittura privata autenticata, essa costituisce titolo esecutivo ancora prima della omologazione ai sensi dell’art. 474 comma 2 n. 2) c.p.c.72 Tuttavia, pure da questo punto di vista, l’espressa previsione dell’omologa ha un senso perché, mentre in

64 In questo senso, Luiso, Commento all’art. 40, in Il nuovo processo societario, a cura di Luiso, Torino, 2006, 614;

Valerini, Commento all’art. 12, cit., 231.

65 In questo senso, ancora Luiso, Commento all’art. 40, cit., 614.

66 Stabilisce infatti l’art. 60 lett. s) l. 69/2009 che il legislatore delegato avrebbe dovuto “prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”. Il valore vincolante della legge delega sta non solo nel riconoscere efficacia di titolo esecutivo al verbale di accordo, ma anche nell’imporre ad esso efficacia di titolo per qualsiasi forma di esecuzione forzata.

67 È chiara la direttiva comunitaria nell’imporre a ciascuno Stato membro l’obbligo di assicurare all’accordo

conciliativo efficacia esecutiva, seppure lasciando liberi circa le modalità tecniche con le quali realizzare il risultato (vd.

art. 6 dir. cit.)

68 In particolare l’art. 40 comma 8 d.lgs. n. 5/2003 stabiliva che “il verbale, previo accertamento della regolarità formale, è omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede dell’organismo di conciliazione, e costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”. Su analogie e differenze rispetto al modello di conciliazione societaria, vd. Minelli, Commento all’art. 12, in La mediazione per la composizione, cit., 295.

69 Molteplici sono nella legislazione speciale gli accordi conciliativi a cui la legge attribuisce oggi efficacia esecutiva.

Per una elencazione in tal senso, si rinvia a Minelli, Commento all’art. 12, cit., 290.

70 Non è questa la sede per ripercorrere le vicende che hanno interessato la questione dell’attribuibilità o meno di efficacia di tiolo esecutivo ad accordi conciliativi, ed alla eventuale qualificazione in termini di titolo esecutivo

giudiziale o stragiudiziale. Basti ricordare che di recente il legislatore ha modificato il testo dell’art. 474 comma 1 lett. a) c.p.c., il quale, nell’evocare l’elenco dei titoli esecutivi giudiziali, include gli altri “atti” di formazione giudiziale a cui la legge attribuisce efficacia esecutiva, così riconoscendo in essi pure il verbale di conciliazione, tanto “giudiziale” (Ziino, Commento all’art. 474, in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani e Monteleone, Padova, 2007, 192 ss., spec.

195; Oriani, Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, in FI, 2005, IV; 105; Izzo, Commento all’art.

474, in Commentario alle riforme del codice di procedura civile. Il processo esecutivo, a cura di Briguglio e Capponi, Padova, 2007, 1 ss., spec. 11), quanto “stragiudiziale” (Dalfino, Il titolo esecutivo e il precetto, a cura di Miccolis e Perago, Torino, 2009, 7 ss., spec. 21; Santagada, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, 356). Vd. sul tema, Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 100.

71 Amplius supra § 4.

72 Si deve invece escludere – allo stato attuale della situazione normativa – che sia titolo esecutivo il verbale di accordo sottoscritto dalle parti la cui firma sia stata certificata dal mediatore ai sensi dell’art. 11 comma 3 d.lgs. cit., non potendosi in tale sede attribuire al mediatore stesso il ruolo di pubblico ufficiale, il cui prodotto possa essere ritenuto scrittura privata autenticata ai sensi dell’art. 474 comma 2 d.lgs. cit.

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