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Storia della pedagogia — Portale Docenti - Università  degli studi di Macerata

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Una breve premessa che precisi il senso del corso:

Due obiettivi:

provare a delineare taluni caratteri di fondo di un’istituzione, la scuola, destinata a rivestire un ruolo centrale nell’ambito dell’apprendimento e della formazione;

offrire una serie di spunti di riflessione e di strumenti interpretativi per cogliere il significato delle trasformazioni in atto all’interno del sistema formativo italiano.

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Bibliografia del corso:

R. Sani, Sub specie educationis, Macerata, EUM, 2011 (limitatamente ai capitoli della seconda e terza parte).

Modalità dell’esame:

Esame orale (2-3 domande di carattere generale; approccio non nozionistico ma volto a verificare la conoscenza del quadro d’insieme).

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A. CARATTERI ORIGINARI

Prenderei le mosse, sia pur rapidamente, da quelli che sono i caratteri originari (il vero e proprio D.N.A.) del sistema scolastico italiano.

Essi rivestono un’importanza peculiare, in quanto ne hanno influenzato profondamente - e ne influenzeranno ancora, in parte - l’evoluzione e le caratteristiche.

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che, fin dalle origini, riflette più le esigenze della classe dirigente che quelle della realtà sociale.

1. UN SISTEMA SCOLASTICO – QUELLO ITALIANO – A FORTE CURVATURA IDEOLOGICA E POLITICA

Regno di Sardegna

Basti dire che tanto

la LEGGE BONCOMPAGNI (1848)

e la LEGGE CASATI (1859)

poi estesa, nel 1861, al neonato Regno d’Italia

quanto la RIFORMA GENTILE (1923) (l’unica legge-quadro che riordinava l’intero sistema scolastico nazionale)

sono state varate in regime di pieni poteri, ossia con decretazione governativa e senza dibattito parlamentare.

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2. UN SISTEMA SCOLASTICO – QUELLO ITALIANO – CARATTERIZZATO DALLA STATALIZZAZIONE DELLA ISTRUZIONE A TUTTI I LIVELLI E DALLA ASSUNZIONE IN TOTO DEL MODELLO DI ORDINAMENTO NAPOLEONICO

→ centralismo amministrativo e didattico Ossia di un impianto caratterizzato da:

→ elevato grado di burocratizzazione e scarsa autonomia (decentramento) a livello periferico (MPI – Provveditorati locali)

→ uniformità didattico-metodologica

→ rigido controllo sulla formazione e sul reclutamento degli insegnanti e del personale direttivo e ispettivo.

(7)

Il modello napoleonico si riflette nella Legge Casati ed è addirittura accentuato (come vedremo) dalla Riforma Gentile (1923).

Esso non costituiva l’unico modello possibile:

MODELLO ANGLOSASSONE caratterizzato da:

* Ampia autonomia (territoriale e funzionale)

* Valorizzazione dell’apporto dei privati e della società civile e degli enti intermedi (famiglia, chiesa, comuni, ecc.)

MODELLO BELGA caratterizzato da:

* Collaborazione fra Stato-Enti locali-privati (corpi intermedi).

(8)

Il modello napoleonico era però più funzionale alle esigenze del nascente Stato unitario (e alla sua classe dirigente):

> una élite minoritaria

> un Paese che presentava forti differenze (culturali, sociali, civili), nonché forti squilibri economici

> Il conflitto Stato-Chiesa che segna la stagione risorgimentale e condiziona il compimento del processo unitario.

(9)

3. UN TERZO CARATTERE E’ RAPPRESENTATO DALLA RICEZIONE DI UN ASSE CULTURALE E FORMATIVO DI TIPO TRADIZIONALE

nel quale si riflette anche una ben precisa concezione dei rapporti di classe, per cui il criterio della differenziazione sociale assurge anche a criterio per la determinazione delle condizioni e modalità di accesso all’istruzione e alla cultura e per la definizione degli stessi percorsi formativi e scolastici.

(10)

Per chiarire meglio:

> DICOTOMIA TRA SCUOLE PER IL POPOLO E SCUOLE PER LE ÉLITES

ossia a seconda del ceto sociale si precisano due diversi canali:

→ quello della alfabetizzazione e della prima istruzione (a lungo limitato al ciclo elementare)

→ quello dell’accesso ai livelli più elevati della conoscenza e della cultura, che dal ciclo primario giunge fino all’università.

(11)

Si tratta di una differenziazione che istituzionalizza, a livello scolastico e formativo, la differenza e/o contrapposizione tra:

CULTURA POPOLARE (dei ceti subalterni)

e che avrà ripercussioni anche sull’ordinamento istituzionale e la gestione delle scuole elementari affidata ai comuni fino alla legge Daneo-Credaro del 1911).

CULTURA ALTA (delle élites) e

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→ Ma la ricezione di un impianto culturale e formativo di tipo tradizionale ha prodotto anche il determinarsi, nella realtà scolastica italiana, di una seconda dicotomia:

CULTURA SCIENTIFICO-TECNOLOGICA

(che rivestirà da subito carattere subalterno e significato marginale nell’istruzione e negli ordinamenti e programmi formativi).

quella tra CULTURA UMANISTICO-LETTERARIA

(che avrà una funzione egemone nei curricula scolastici) e

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Basti pensare al ruolo egemone esercitato dal ginnasio- liceo classico (e dagli studi classici) fino a tempi recenti (1969), vale a dire fino alla liberalizzazione degli accessi universitari (ma anche in seguito). Si pensi

- alla tradizione gesuitica

- all’ideale classico-umanistico

- alla egemonia della formazione culturale letterario- filosofica: l’unica vera formazione ritenuta propedeutica agli studi superiori (universitari) per l’accesso alla ricerca e alle professioni liberali.

(14)

Quest’ultima dicotomia è stata resa possibile e alimentata da una serie di fattori:

l’arretratezza del sistema economico italiano

Due sono le conseguenze riscontrabili nel lungo periodo:

- scuole professionali e poi, dopo l’Unità, scuole e istituti tecnici affidati alla competenza del Ministero dell’Agricoltura, Commercio e Industria

→ una struttura agricolo-artigianale prevalente e tecnologicamente arretrata;

→ l’assenza di una vera e propria struttura produttiva di tipo industriale e terziario.

[nell’immaginario collettivo → scuole di serie A e di

(15)

Un sapere scientifico incapsulato nel curricolo umanistico

→ una “versione umanistica” delle scienze nei licei (classico e scientifico)

→ una gerarchizzazione delle discipline con una minore rilevanza nel curriculum e riflessi sullo stesso status degli insegnanti, ecc.

(16)

La selezione assurge a cardine del sistema

→ l’evasione dell’obbligo scolastico e gli abbandoni, ossia la mortalità scolastica come conseguenza dell’inadeguatezza dei singoli e non del sistema.

4. Un quarto carattere originario del sistema formativo nazionale attiene al criterio di selezione.

Fino ai primi anni Sessanta del XX secolo i livelli di mortalità scolastica erano elevatissimi (Don Milani, la

“Scuola di Barbiana” e il famoso testo Lettera a una professoressa).

(17)

La preoccupazione didattica si pone solo a livello di scuola elementare (e solo nella trasmissione dei saperi di base: leggere, scrivere, far di conto).

5. Il quinto carattere riguarda il ruolo della didattica.

A livello più alto (scuola secondaria e università) si afferma la convinzione che “chi sa, sa anche insegnare”

(come teorizzerà Gentile).

→ i contenuti disciplinari prevalgono sul modo di comunicarli

→ scarsa o nessuna attenzione alla metodologia dell’apprendimento, alla psicologia dell’età evolutiva e alle condizioni dell’apprendimento.

(18)

I fattori condizionanti:

- l’incapacità della cultura scientifica positivista di fine Ottocento di affermare un nuovo paradigma culturale e un nuovo modello di insegnamento (Aristide Gabelli);

- il primato della filosofia (fino al trionfo dell’idealismo crociano e, soprattutto, gentiliano fra le due guerre) e lo scarso sviluppo delle scienze umane nel nostro Paese (psicologia, sociologia, antropologia culturale, ecc.);

- la frattura fra “scienze dello spirito” e “scienze della natura”.

(19)

Un sistema scolastico vòlto a formare essenzialmente le élites

→ classi dirigenti, quadri amministrativi medio-alti, liberi professionisti (avvocati, notai, medici, ecc.)

6. Altri caratteri originari del sistema scolastico italiano, anch’essi destinati ad esercitare un forte peso fino a tempi recenti:

→ costante carenza di insegnanti secondari (lettere e filosofia, scienze naturali e matematica ecc.)

→ prevalenza quantitativa delle Facoltà di Giurisprudenza e di Medicina rispetto ad altre.

→ assenza o forte carenza di figure chiave per lo sviluppo produttivo del Paese: ingegneri, economisti, agronomi, ecc.).

(20)

Un sistema scolastico che privilegia l’istruzione, ossia la trasmissione di contenuti culturali e di saperi rispetto all’educazione.

Basti pensare che:

→ gli asili e le scuole infantili non rientrano nell’ordinamento scolastico determinato dalla legge Casati ma, dopo l’Unità, saranno annoverati tra le Opere Pie. Saranno riconosciuti come vere e proprie scuole (sia pure facoltative) solo con la riforma Gentile nel 1923.

→ Una scuola materna statale nascerà soltanto un secolo dopo: con la legge 18 marzo 1968 n. 444.

(21)

→ Allo stesso modo le scuole speciali per soggetti handicappati (sordomuti, ciechi, tardo mentali, ecc.) con forti ricadute nella qualità e diffusione.

Fino alla riforma Gentile apparterranno ad un circuito separato e saranno posti sotto il diretto controllo del Ministero dell’Interno (opere assistenziali) e non di quello dell’Istruzione.

→ L’integrazione dei soggetti portatori di handicap avverrà solo negli anni Settanta del nostro secolo.

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→ Un sistema che accentua e determina in modo peculiare la distinzione Pubblico/Privato.

7. A determinare le caratteristiche del sistema scolastico italiano contribuiranno anche la particolare natura e la specifica evoluzione, dopo il 1861, dei rapporti Stato/Chiesa.

Il primo termine si definisce nella prospettiva di una identificazione Pubblico=Statale e il secondo vede il prevalere della dimensione confessionale.

→ La secolare discussione e polemica sul significato e sull’ampiezza della Libertà di insegnamento.

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→ Il prevalere della logica (tutta italiana) secondo la quale il circuito scolastico privato si costruisce in opposizione e come potenziale alternativa al circuito scolastico pubblico, come difesa di interessi culturali, religiosi, ideali, ecc.

* l’accentuazione della dimensione laicista e anticlericale nella scuola statale

* Il prevalere della matrice clericale e antistatalista nelle scuole private confessionali. L’enfasi viene posta sui diritti acquisiti, sull’identità e sull’ appartenenza, sul rifiuto dell’omologazione culturale, anziché sul miglioramento qualitativo e sull’elaborazione di una proposta pedagogica e didattica di alto profilo.

Due sono le gravi conseguenze:

* Un processo tipicamente italiano, sconosciuto nel resto d’Europa!

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in termini di impiegato/funzionario statale

8. Il prevalere del modello centralistico e statalistico d’impronta napoleonica nella determinazione del sistema scolastico italiano si riflette anche sul ruolo e sulle funzioni dell’insegnante

e ne definisce il particolare status

al pari dell’impiegato/funzionario pubblico. Ne segue:

stabilità e inamovibilità

carriera bloccata (unico criterio di avanzamento è l’anzianità di servizio)

stipendi bassi, svincolati dalla qualità delle competenze e dal merito (prevale la logica burocratica)

assenza di una cultura dell’aggiornamento

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B. LA RIFORMA GENTILE DEL 1923 E LA POLITICA SCOLASTICA DEL FASCISMO

La Riforma Gentile del 1923 presenta continuità con il passato e accentua alcuni aspetti del modello tradizionale.

Mussolini, intervenendo alla Camera, la definì

“LA PIU’ FASCISTA DELLE RIFORME”

In realtà, essa s’inscrive nella tradizione del liberalismo conservatore ottocentesco (e quindi si colloca sulla scia della esperienza casatiana) della quale rappresenta, per molti aspetti, il frutto più maturo!

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Con essa si realizza:

• il completamento del PROCESSO DI STATALIZZAZIONE e di accentramento del governo della scuola

→ oltre la Daneo-Credaro (1911)

→ riordino dell’amministrazione scolastica centrale e periferica (rafforza il ruolo del MPI e cancella ogni autonomia a livello universitario e scolastico)

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→ cancella l’accesso alle Facoltà scientifiche ed economiche e a Ingegneria per la sezione (indirizzo) logico-matematico dell’Istituto tecnico

→ ridefinisce l’ordinamento delle scuole secondarie superiori creando una pluralità di indirizzi ma accentua il ruolo egemone del Ginnasio/Liceo (il liceo femminile non ha sbocchi all’Università)

• l’accentuazione del carattere elitario e selettivo della scuola italiana

→ introduce l’Esame di Stato: il ruolo della scuola statale selettiva e formativa della classe dirigente: “poche scuole (statali) ma buone”

→ generale svalutazione della didattica (Programmi Lombardo Radice per le elementari del 1923)

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→ dalla Scuola Normale all’Istituto Magistrale (didattica, pedagogia, tirocinio)

(Istituto Magistrale come un Liceo in scala ridotta)

• sotto il profilo delle DISCIPLINE:

• riforma della scuola destinata alla PREPARAZIONE DEI MAESTRI ELEMENTARI:

→ Filosofia come storia della Filosofia (prospettiva neo- idealistica)

→ La Storia come storia etico-politica a forte impianto filosofico-ideologico (svalutazione del documento, della dimensione sociale)

→ Pedagogia come branca della Filosofia (anch’essa approfondita nel suo sviluppo storico)

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→ Filosofia e Pedagogia nell’Istituto Magistrale

ACCORPAMENTO delle discipline:

→ Storia e Filosofia nei Licei

→ Scienze naturali, Chimica e Geografia nelle Scuole Tecniche

→ Italiano e Latino nei Ginnasi

SCARSA ATTENZIONE ALL’INSEGNAMENTO TECNICO- SCIENTIFICO

→ in una fase di grande espansione, nel resto d’Europa, di tali insegnamenti!

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• per il suo carattere elitario e selettivo (imbuto rovesciato/selezione crescente)

Va tuttavia sottolineato che la scuola disegnata da Gentile

• per il mantenimento della dicotomia tra istruzione popolare (ciclo di base) e istruzione d’élite (scuole di cultura)

• per la generale svalutazione della dimensione professionale e scientifica (formazione di quadri per l’industria e per il terziario)

ERA DESTINATA A RAPPRESENTARE UNA SORTA DI OSTACOLO AL PROCESSO DI FASCISTIZZAZIONE AVVIATO DAL REGIME MUSSOLINIANO DOPO IL 1925

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→ La trasformazione del sistema scolastico come canale privilegiato per promuovere il consenso ideologico al regime

→ L’educazione nazionale di massa delle nuove generazioni

→ la stessa prospettiva di veicolare, attraverso la scuola, una cultura del lavoro tra le masse e di favorire una crescita economica e produttiva in ambito agricolo e industriale

TROVARONO UN OSTACOLO FORMIDABILE PROPRIO NELLA SCUOLA RIFORMATA NEL 1923 DA GENTILE!

Fenomeno che potrebbe riassumersi come ETEROGENESI DEI FINI.

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OPERA NAZIONALE BALILLA (1926)

Non a caso, nella persecuzione del suo obiettivo di fascistizzazione delle nuove generazioni e di edificazione dello Stato totalitario, il fascismo punterà soprattutto sul canale extrascolastico attraverso la creazione di apparati e istituzioni paralleli alla scuola:

L’ORGANIZZAZIONE DEL TEMPO LIBERO attraverso una rete capillare di iniziative e organismi (dalle colonie estive alle attività ricreative, ai littoriali della cultura.

poi GIOVENTU’ ITALIANA DEL LITTORIO (1937)

GRUPPI UNIVERSITARI FASCISTI (GUF)

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si avvierà una politica di “ritocchi” alla riforma:

Sul versante propriamente scolastico, a partire dal 1924 (quando Gentile lascia il MPI)

ACCENTUAZIONE DEL CONTROLLO IDEOLOGICO E POLITICO SUI DOCENTI E SUI LIBRI DI TESTO

FASCISTIZZAZIONE DEI PROGRAMMI

Ma si tratta di provvedimenti parziali, che non modificano la struttura complessiva del sistema scolastico italiano.

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Solo nel 1939 sarà promulgata la CARTA BOTTAI

il quale, tuttavia, a causa dell’entrata in guerra del nostro Paese, e poi della caduta del regime fascista, NON ENTRERA’ MAI IN VIGORE.

Non si tratta di una vera e propria legge di riordinamento, ma di un manifesto che fissa i principi della nuova scuola fascista;

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Si profilano nuove esigenze:

C. SECONDO DOPOGUERRA

→ la ricostruzione materiale e la scarsità di finanziamenti per la scuola (doppia lettura)

→ la riforma della scuola per adeguarla al nuovo sistema politico democratico

La Carta Costituzionale stabilisce:

di elevare l’obbligo scolastico

di estendere l’istruzione come “diritto della persona”

di realizzare un criterio di selezione diverso da quello per censo e per reddito (i “capaci e meritevoli”)

di formare le coscienze delle nuove generazioni ai valori e ai principi di libertà, di democrazia, di solidarietà e di partecipazione civile

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→ l’esigenza di adeguare la scuola e l’istruzione ai nuovi bisogni dello sviluppo economico e produttivo di un paese che si avvia verso la trasformazione da paese agricolo a paese industriale e che è chiamato a svolgere un ruolo importante all’interno del capitalismo internazionale.

Sopravvivono, però, i vecchi mali, accentuati dalla guerra o talora dalle scelte operate durante il ventennio fascista:

l’analfabetismo, tornato ai livelli del 1931 (+ 20%)

l’insufficiente diffusione delle scuole elementari sul territorio nazionali (distribuzione squilibrata nord/sud, città/campagna)

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l’inapplicazione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni (già fissato, ma solo sulla carta, dalla riforma Gentile)

un sistema che, man mano che si sale di livello d’istruzione si fa più asfittico e ristretto, ma che presenta situazioni di carenza anche alla base.

Laureati Università 1%

Diplomati Scuola Media Superiore 3,30%

Licenziati Scuola Media Inferiore 5,90%

Licenziati Scuola Elementare 59%

Senza titolo di studio 17,90%

Analfabeti 13%

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→ necessità di avviare una vera defascistizzazione dei programmi e dei contenuti della scuola a tutti i livelli (Sotto Commissione alleata: Carl Washburn - Dewey).

→ necessità di elaborare una nuova pedagogia e una nuova didattica per una scuola che si offra davvero al popolo.

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LE CARATTERISTICHE NUOVE DEL CONTESTO ENTRO IL QUALE QUESTI PROBLEMI SI PONGONO:

→ 1947 Inchiesta nazionale per la riforma della Scuola italiana (Guido Gonella MPI 1946-1951)

→ 1951 DDL n. 2100 di Gonella per il riordinamento e la riforma della scuola (non sarà neppure discusso in Parlamento)

LE RAGIONI:

dalla collaborazione tra le forze politiche del CLN alla frattura (maggio 1947-18 aprile 1948). Il Paese è diviso per

la Guerra Fredda. Non alternanza

maggioranza/minoranza e diverso concetto di democrazia. Preoccupazioni per un’involuzione:

-rivoluzionaria (comunismo)

-reazionaria (svolta moderata o conservatrice);

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un sistema politico bloccato, che non favorisce il consenso per le riforme;

la sopravvivenza (solo in parte spiegabile con le difficili condizioni economiche del Paese) dell’idea che gli investimenti per l’istruzione e per la scuola siano investimenti improduttivi!

l’accentuazione della polemica ideologica cattolici/laici, con le accuse di occupazione della scuola pubblica e di volontà di distruggere le scuole libere confessionali (vicenda della PARITA’ SCOLASTICA – emendamento Corbino).

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Il fallimento del disegno di una riforma unitaria apre le porte ad una strategia diversa. La gestione della riforma passa:

COSA SUCCESSE DOPO?

- per via amministrativa (ad opera del Governo e del MPI anziché in Parlamento)

- per provvedimenti parziali, settoriali, slegati tra loro:

leggine, circolari e regolamenti

Viene meno il disegno unitario e con esso l’obiettivo di una riforma di ampio respiro e di una progettualità scolastica organica.

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L’avvento del centro-sinistra (e l’ingresso dei socialisti nell’area di governo) al principio degli anni ’60 segna una pur parziale ripresa del proposito di una riforma generale della scuola e del sistema formativo italiano.

→ 1 fase: 1963-1968 (governi Moro)

→ 2 fase: 1969-1973 (governi Rumor, ecc.)

Si tratta di una fase significativa che sfocia nella creazione della SCUOLA MEDIA UNICA (1962) e della SCUOLA MATERNA STATALE (1968) ma che proprio con il 1968 si arresta definitivamente.

(43)

La crisi del riformismo del centro-sinistra coincide con il dispiegarsi della contestazione studentesca e anche con il prevalere di una diversa concezione del ruolo e delle finalità dell’istruzione e della scuola nella società italiana.

Ciò comporta un mutamento radicale dei termini del dibattito sui processi formativi scolastici e sulle riforme.

DAL 1968 AI PRIMI ANNI SETTANTA

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Se nella fase iniziale l’obiettivo del centro-sinistra era quello:

• di adeguare le strutture e gli ordinamenti scolastici alle esigenze della produzione economica e del mercato del lavoro

• di favorire la “modernizzazione” dei saperi per adeguarli alle nuove esigenze culturali e scientifiche

con il ’68 (e, soprattutto, negli anni Settanta) la questione centrale diviene:

- DEMOCRATIZZARE LE STRUTTURE E GLI ORDINAMENTI

- PROMUOVERE LA PARTECIPAZIONE POPOLARE

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Si registra, di fatto, una sorta di capovolgimento degli obiettivi e delle prospettive. Gli aspetti dominanti del primo centro-sinistra:

→ dirigismo statale

cedono progressivamente il posto alle spinte in favore:

- DELLA SOCIALIZZAZIONE DEMOCRATICA DELLA SCUOLA

- DELLA TRASFORMAZIONE IN STRUTTURA DI LIVELLAMENTO SOCIALE E CULTURALE

→ programmazione scolastica saldata a quella economica

→ modernizzazione dei curricula e dei programmi

- DEL SUPERAMENTO DELLA LOGICA DEL MERCATO, DEL CAPITALISMO, DELLA MERCIFICAZIONE DELLA CULTURA

- DELLA CULTURA COME SODDISFACIMENTO DEI BISOGNI INDIVIDUALI E DI CLASSE PIUTTOSTO CHE COME STRUMENTO DI CRESCITA ECONOMICA E PRODUTTIVA

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Sul piano concreto il rovesciamento del discorso è ancora più evidente:

si passa alla LOGICA delle concessioni e dei cedimenti corporativi e alla

LOGICA degli interventi volti a tamponare e a soddisfare le rivendicazioni della base politica, sociale e sindacale.

dalla LOGICA DELLA COMPLESSITA’ e della MEDIAZIONE tra esigenze di giustizia sociale e scolastica e istanze di crescita socio-economica, culturale e scientifica

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Il tema della SELEZIONE, del MERITO, delle CAPACITA’ e dell’IMPEGNO non è ripensato in forme nuove: E’

RIFIUTATO IN BLOCCO!

Nel nostro Paese, negli anni ’70, le riforme più incisive e di maggiori impatto sono state introdotte in via sperimentale, “in attesa di riforme quadro”.

Di fronte ad un sistema incapace di accogliere e di metabolizzare le riforme e le grandi trasformazioni di struttura e di ordinamento si ricorre all’escamotage della

SPERIMENTAZIONE.

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Qualche esempio:

→ l’introduzione in via sperimentale (D.L. 15.02.1969) del nuovo esame di maturità e del quinto anno facoltativo per l’istituto magistrale e il liceo artistico

→ l’avvio della sperimentazione (L. 27.10.1969 n. 754) dei corsi quinquennali negli istituti professionali (maturità professionale)

→ l’apertura generalizzata, sempre in via sperimentale, degli accessi universitari e la liberalizzazione dei piani di studio (L. 11.12.1969)

→ l’istituzione, al principio degli anni ’70, dei corsi abilitanti per l’immissione nei ruoli dell’insegnamento (che faceva seguito al blocco dei concorsi!!).

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A fronte di tali provvedimenti-tampone (e delle loro conseguenze pratiche sul sistema formativo) maturarono, nei primi anni ’70, alcuni propositi riformatori più generali la cui attuazione ebbe, tuttavia, tempi diversi e sortì effetti molto vari.

→ Istituzione da parte dell’on. Misasi (ministro della P.I.

nei governi III Rumor, Colombo e Andreotti 1970-1972) di un COMITATO TECNICO PER LA RIFORMA SCOLASTICA con il compito di mettere a punto un piano di riforma qualificante, da realizzare nel quadro delle disponibilità finanziarie 1971-1975.

Messa a punto di un documento (fine 1971): PROPOSTE PER IL NUOVO PIANO DELLA SCUOLA

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Esso prospettava una sorta di parziale autonomia scolastica:

→ più ampio decentramento amministrativo

→ conferimento di più larghi spazi di autonomia didattica alle scuole

→ apertura del sistema formativo alle società, attraverso la partecipazione e la gestione democratica (tramite organizzazioni di rappresentanza delle componenti sociali).

(51)

→ adeguamento dell’asse culturale (programmi, contenuti, ordinamenti) ancora improntato al modello gentiliano.

→ raccordo con la nuova scuola media inferiore (ormai entrata a pieno regime) e con l’università (specie dopo la liberalizzazione degli accessi e dei piani di studio).

→ necessità di ridefinire i profili culturali e professionali dell’istruzione tecnica alla luce delle nuove esigenze del sistema produttivo e del mercato del lavoro.

Sul piano degli ordinamenti didattici il tema centrale è quello della SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE secondo quattro direttive:

→ problema della formazione degli insegnanti a tutti i

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Un provvedimento fondamentale, la cui effettiva applicazione, tuttavia, è emblematica della complessità e contraddittorietà del sistema.

Ancora una volta ci troviamo di fronte a una serie di innovazioni fondamentali in linea di principio, la cui attuazione pratica si rivelerà, tuttavia, in larga misura lenta, insoddisfacente, talora impropria e inadeguata.

Tali istanze trovarono parziale attuazione legislativa con l’approvazione della Legge Delega 30.07.1973 n. 477 sullo stato giuridico degli insegnanti, la sperimentazione, gli organi collegiali e con i successivi Decreti Delegati DPR 31.05.1974 dal n. 416 al n. 420.

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→ Idea illuministica che bastasse creare le condizioni perché sorgesse dal nulla una coscienza della partecipazione.

Prendiamo il tema della partecipazione scolastica e della gestione democratica attraverso gli organi collegiali.

> Delusione dei genitori

> Irritazione/insoddisfazione dei docenti

> Trionfo dell’immobilismo e dell’incompetenza sul piano gestionale/amministrativo

Un’indagine CENSIS dopo il primo anno di applicazione dei decreti delegati rivela la crescente delusione di tutti!

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→ la trasformazione della scuola come un nuovo ambito nel quale trasferire la conflittualità ideologica e politica in atto nella società (non solo i partiti politici tradizionali, ma anche i nuovi movimenti politici espressi dal post ’68: da

“Avanguardia Operaia” a “Ordine Nuovo”).

Ma i risultati/effetti sono più complessi:

→ confusione/ambiguità circa i poteri e le competenze (permangono in vigore due diversi modelli: quello tradizionale e quello nuovo. Ad esempio: i poteri del PRESIDE e quelli del CONSIGLIO D’ISTITUTO…)

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→ scarsi poteri decisionali degli organi collegiali, minima autonomia di scelta;

Ma soprattutto si tratta di un’innovazione a metà:

→ trionfo dei ceti superiori: prevalgono i genitori più colti e più preparati, il cui punto di vista, le cui scelte

“competenti”, si affermano più facilmente…

→ crescente burocratizzazione (eterogenesi dei fini);

Da un’indagine CENSIS risulta che dopo un anno la partecipazione si riduce al 25-30% (famiglie benestanti e con più alto titolo di studio). Si può parlare di effettiva democratizzazione della scuola italiana?

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Passiamo ora all’altro tema: quello della SPERIMENTAZIONE

(DPR 31.05.1974 nn. 416-420 – Legge Delega 30.07.1973 n. 477)

Una innovazione di eccezionale importanza che, però, è calata in una realtà scolastica incapace di gestirla in maniera soddisfacente:

→ impreparazione (culturale, prima ancora che professionale) dei docenti (didattica, metodi sperimentali, ecc.);

→ risorse carenti sotto il profilo finanziario;

→ un quadro normativo tendente a limitare le iniziative di sperimentazione troppo ardite promosse dalla base (sussiste il vizio di fondo del sistema: il valore legale dei titoli di studio che non consente sperimentazioni volte a stravolgere il quadro degli ordinamenti).

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→ la mancanza – gravissima – di un sistema funzionale di sostegno, promozione e impulso alla sperimentazione scolastica di base

[divertente, ma anche amaro, è oggi rileggere i resoconti delle iniziative sperimentali promosse da gruppi di insegnanti e pubblicate su “Scuola e Città” o su “Riforma della Scuola” o su altre riviste didattiche e scolastiche]

> pressappochismo, ideologismo, scarsa attuazione a ciò che veniva fatto all’estero

Ad esempio: I.N.R.P. in Francia (Parigi, Lione)

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Prendiamo, infine, la questione della formazione degli insegnanti.

Le disposizioni relative allo stato giuridico del personale docente di ogni ordine e grado introdotto con il decreto delegato del 31.05.1974 n. 416 risultano particolarmente significative. Vi si prevedeva, fra l’altro:

1) il riordino delle Scuole e degli Istituti magistrali 2) l’introduzione della laurea per i maestri

3) l’istituzione di una scuola di specializzazione post- lauream per coloro che aspirano a insegnare nelle scuole secondarie inferiori e superiori [era il 1974, e noi oggi sappiamo come è andata a finire!]

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1) IL RIORDINO DELLE SCUOLE E DEGLI ISTITUTI MAGISTRALI

Il riordinamento delle Scuole e degli Istituti magistrali (legato alla più generale riforma dell’istruzione secondaria superiore) in teoria non si è ancora realizzato (senza sanzione legislativa).

La trasformazione di tali scuole e istituti si è verificata di fatto per via sperimentale, attraverso l’adozione di sperimentazioni ministeriali (ad es.: progetto Egeria).

2) L’INTRODUZIONE DEL TITOLO UNIVERSITARIO

Più complesso il discorso relativo al trasferimento della competenza di formare gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado (compresi i maestri di scuola materna ed elementare) all’Università.

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3) L’ISTITUZIONE DI UNA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE POST- LAUREAM PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO

L’obiettivo era quello di rovesciare la tradizionale logica gentiliana per cui “chi sa, sa anche insegnare”, e di stabilire l’obbligo per i futuri insegnanti secondari di conseguire, oltre al titolo disciplinare (la laurea) anche una formazione di tipo metodologico-didattico.

C’è voluto un venticinquennio (un quarto di secolo!) perché tali istanze di riforma trovassero concreta realizzazione con l’introduzione:

→ del corso di laurea in Scienze della Formazione primaria (dall’a.a. 1998-1999)

→ della SSIS, la Scuola di specializzazione per

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Un lungo travaglio che si pone un po’ come una metafora dell’evoluzione del sistema formativo italiano, delle difficoltà e delle resistenze a riformare tale sistema, dei ritardi e delle lentezze che lo caratterizzano, della tradizionale sfasatura tra progettualità teorica e innovazione concreta.

Altre riforme e innovazioni parziali hanno caratterizzato la scuola italiana negli anni Ottanta e Novanta (si pensi alla scuola materna e a quella elementare, all’innalzamento dell’obbligo, ai mutamenti nel settore universitario, ecc.).

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La vera e più radicale svolta risiede, tuttavia, nell’approvazione dell’AUTONOMIA SCOLASTICA con la Legge 24.12.1994 n. 537, resa operativa con la Legge 15.03.1997 n. 59.

Non si tratta dell’ennesima riforma scolastica, ma di un approccio completamente nuovo alla riorganizzazione del sistema formativo nazionale.

Un meccanismo destinato a destrutturare e a rovesciare l’ordinamento scolastico e le logiche tradizionali, con il superamento del modello statalista e centralista della scuola italiana.

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Un provvedimento destinato a segnare un profondo mutamento dei ruoli, delle funzioni e competenze, della stessa mentalità degli addetti ai lavori:

→ centralità della singola unità scolastica (singolo istituto) che diviene il cuore del sistema

→ ridefinizione del ruolo e delle mansioni del personale direttivo e insegnante

→ superamento della logica pubblico-privato e apertura al mercato e alla dimensione concorrenziale

Ma in che cosa consiste concretamente l’autonomia scolastica?

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→ Nel TRASFERIMENTO DI COMPETENZE REALI DAL CENTRO (Ministero Pubblica Istruzione) ALLA PERIFERIA

(singoli istituti scolastici): non solamente decentramento, dunque!

→ Nell’AUTONOMIA AMMINISTRATIVA, GESTIONALE E DIDATTICA: il centro ridefinisce le sue competenze non più in termini di gestione ma di controllo/verifica del rispetto dei parametri e degli obiettivi generali fissati. E’ il sistema di valutazione nazionale che determina gli standard.

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I PROBLEMI CONNESSI CON L’AUTONOMIA AMMINISTRATIVO-GESTIONALE

→ finanziamenti minimi statali (con verifica dei risultati)

→ finanziamenti per progetti mirati

→ finanziamenti privati (ricerca di nuove risorse sul territorio)

I PROBLEMI CONNESSI CON L’AUTONOMIA DIDATTICA

→ curricolo in parte comune (gli obiettivi e gli standard qualitativi sono fissati a livello nazionale per il riconoscimento legale del titolo di studio)

→ curricolo in parte affidato alla progettualità e alle risorse del corpo docente del singolo istituto

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> esigenze del mercato del lavoro

> sperimentazione di nuovi percorsi formativi

> ampliamento dell’offerta curricolare sulla base delle esigenze del territorio e della domanda dell’utenza

→ Nel RIDEFINIRE LO STATO GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI E DELLE COMPETENZE DEI SINGOLI COLLEGI DEI DOCENTI:

tramonta il modello dell’insegnante come impiegato statale con tutto ciò che tale status comportava in positivo e in negativo.

Infine, l’autonomia scolastica consiste:

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→ C’è una cultura dell’autonomia da inventare ex novo

→ C’è una sorta di welfare scolastico (già in fortissima crisi) che va smantellato

> ridefinizione del ruolo dei sindacati scolastici, ma anche delle associazioni degli insegnanti e dei presidi;

> superamento delle logiche del movimentismo, dell’assemblearismo, delle dinamiche della lotta di classe…

→ non mancheranno in sede di attuazione concreta dell’autonomia squilibri e passaggi critici

→ determinazione di sfasature e dislivelli per cui ci saranno aree o istituti di eccellenza e di elevata funzionalità e altri in maggiori difficoltà. Non mancheranno neppure rischi di continuità con il passato e ritardi nell’assunzione di una nuova mentalità

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L’obiettivo, da tenere sempre presente, tuttavia, è quello della fuoriuscita e del definiivo superamento di un sistema scolastico non solamente inefficiente e poco funzionale alle esigenze di una società e di un Paese in rapida evoluzione, ma anche falsamente egualitario e, viceversa, occultamente, ma ferocemente, classista.

Un sistema che, allo stato attuale, si presenta come aperto pressoché a tutti ma che, come documentano i dati del

CENSIS:

REALIZZA DI FATTO UNA SELEZIONE STRISCIANTE E ASSURDA, perché svincolata da qualunque criterio di merito e di valore!

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Una selezione in base alla quale:

su 100 studenti iscritti alla scuola media inferiore, solo 92 sono licenziati (l’8% non adempie nessun obbligo).

Di questi 42 diplomati, 27 s’iscrivono all’Università, ma solo 8 (meno di un terzo) completano gli studi universitari e conseguono la laurea!

(Dati MIUR anno 2003)

Di questi 92 studenti licenziati, solo 75 s’iscrivono alla scuola secondaria superiore ma, di costoro, solamente 42 conseguono un diploma.

(70)

Si comprende bene, allora, la complessità della sfida, che investe anche la più generale crescita economico-sociale e civile del Paese e che pone naturalmente anche agli insegnanti il problema di guardare in modo nuovo alla loro professione e al loro ruolo.

Riferimenti

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