L'ECONOMISTA
GAZZETTA SETTIMANALE
D E I B A N C H I E R I , D E L L E S T R A D E F E R R A T E , D E L C O M M E R C I O , E D E G L I I N T E R E S S I P R I V A T I A B B O N A M E N T I Un anno j , . 3 5 . Sei mesi 2 0 • Tre mesi 10 • Un numero 1 . Un numero arretrato 2 • G l i a b b o n a m e n t i d a t a n o d a l 1° d ' o g n i m e s eGLI ABBONAMENTI E LE INSERZIONI
si ricevono
R O M A FIRENZE
S. Malia in Via, 51 ! Via del Castellacelo, 6 DAL BANCO D'ANNUNZI COMMISSIONI E RAPPRESENTANZE
I N S E R Z I O N I Avviso per linea.
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L. 1 — ... 100 — ... 60 — In un bollettino bibliografico si annunzieranno tutti quei libri di cui saranno spedite due copie alla Direzione.
Anno I - Yol. II
Giovedì 3 dicembre 1874
N. 31
SOMMARIO
Ir'apt© e c o n o m i c a : Della Imposta sui redditi di Ricchezza mobile in Italia — Dell'ingerenza governativa — Del Riporto — Le Relazioni dei Giurati italiani sulla Esposizione universale di Vienna del 1873 Le tasse sugli affari (anni 1801-1873) — L'amministrazione del Banco di Napoli nel 1873 — Il commercio dell'Inghilterra durante i primi dieci mesi del 1874 -r- I l commercio della Francia durante i primi dieci mesi del 1874 — U commercio dell'Austria durante i primi nove mesi dol 1874. P a r t e f i n a n z i a r i a © c o m m e r c i a l e : Rivista finanziaria g e
-nerale — Notizie commerciali — Atti ufficiali — Giurisprudenza commer-ciale e amministrativa m Listini delle borse.
G a z z e t t a d e g l i i n t e r e s s i p r i v a t i — E s t r a z i o n i — B o l l e t t i n o b i b l i o g r a f i c o — S i t u a z i o n i d e l l e B a n c h e — P r o d o t t i s e t t i m a n a l i d e l l e S t r a d e f e r r a t e .
P A R T E E C O N O M I C A
Della Imposta sui redditi di Ricchezza mobile in
(vedi n. 29)Ed avanti di scendere all'analisi critica di questa imposta giova completare i cenni storici delle vicende da essa subite in questo ultimo decennio, ricordando pure la recente legge del 14 giugno 1874, alla quale fanno corredo le disposizioni regolamentari pubblicate col regio decreto 11 luglio ora decofso. Cotesta legge, in attesa del resultato degli studii della Commissione governativa, si astenne dall'introdurre riforme radi-cali nell'assetto della imposta di ricchezza mobile, e perciò si limitò, 1° a risolvere alcuni dubbi che si erano elevati sulla tassazione di alcuni redditi di na-tura fondiaria od immobiliare, e che avevano dato causa a molte questioni dinanzi ai tribunali; 2° ad assicurare sempre più la esazione dell'imposta, sia aumentando i casi della esazione per rivalsa, sia esten-dendo il privilegio erariale sopra a tutti i mobili che si trovano nell'esercizio o nell'abitazione dèi contri-buente moroso benché non di sua proprietà, sia te-nendo responsabili i nuovi esercenti di uno stabilimento industriale delle imposte dovute e non pagate da tutti i loro antecessori per l'annata in corso e per la pre-cedente, sia imponendo alle autorità giudiziarie di non dar corso ai provvedimenti relativi a titoli di credito non denunziati per 1' effetto della imposta ; 3° a defi-nire varie questioni già sollevate dalle Casse di
Ri-sparmio ed altri istituti di credito relativamente agli interessi passivi dei conti correnti e dei depositi od alle imposte pagate per rivalsa o per ritenuta, decre-tandosi che la imposta sugli interessi dei depositi e conti correnti si misuri in via provvisoria sulle resul-tanze dell'annata antecedente, salvo conguaglio da farsi a fin d'anno in base ai rendiconti definitivi, e che dalle imposte dovute sui redditi denunziati dalle Casse di Risparmio si defalchi da qui in avanti quella gata per loro dagli enti morali debitori e quella pa-gata per ritenuta sui buoni del tesoro intestati alle Casse medesime.
842 L' ECONOMISTA 3 dicembre 1874 e industriali, ed anche su quelli dipendenti da
capi-tali se provenienti da titoli perpetui ed anteriori al-l'impianto della tassa di ricchezza mobile; 2° una riduzione degli interessi del Consolidato e degli altri passivi gravanti il bilancio dello Stato ; 3° nna ridu-zione delle promesse delle vincite al lotto e dei premi degli imprestiti governativi; 4° una riduzione gene-rale di tutti gli stipendi, pensioni ed assegni pagati dallo Stato ; 5° una tassa reale sui titoli delle Società anonime e in genere su tutti i capitali commerciabili ; 6° altra tassa reale sui frutti dei capitali ipotecari e chirografari ; 7° finalmente una tassa speciale sulle colonie agricole non ragguagliata al reddito netto della società colonica,^ma sibbene all' entità del fondo coltivato. Per molti casi della sua applicazione questa imposta ha dunque perduto il carattere personale at-tribuitole dalla legge fondamentale, per divenire una tassa reale e qualche volta una diminuzione effettiva del capitale piuttosto che degli interessi. Si noti inoltre come la confusione del nostro sistema tributario non fondiario viepiù si accrebbe quando venne non solo concessa, ma imposta, ai Comuni la istituzione di altre tasse personali dirette, come quelle di famiglia, sul valor locativo, sulle vetture e sui domestici, sugli esercizi e rivendite, sul bestiame, ecc., con che ci siamo viepiù allontanati dal sistema dell'imposta unica e personale per seguire quello che colpisce la ricchezza per sintomi e per indizi, complicandosi così maggior-mente la procedura tributaria con scapito inevitabile della equità e degli interessi dei cittadini dello Stato. Cotesta lamentata aberrazione da quei principii lo-gici e scientifici che dovrebbero informare un buon si-stema tributario, ha portato naturalmente nell'appli-cazione di questa imposta di ricchezza mobile una folla di inconvenienti che troppo lungo sarebbe esaminare ad uno ad uno, tantoché occorre per noi limitarci alla constatazione di quelli che più si fanno sentire sia per riguardo ai contribuenti che per ciò che attiene al-l' interesse delal-l' erario.
Il principalissimo inconveniente che si riscontra nella pratica attuazione di questa imposta si è quello che consiste nella poca equità del suo reparto. Essendosi quasi abbandonato il sistema di colpire in modo di-retto la persona del contribuente in ragione della sua possibilità, per sostituirvi quello delle tasse reali indi-rette, siamo inevitabilmente scesi a questo resultato, che alcuni pagano tassa gravissima per redditi che non hanno, mentre altri pagano nulla sui redditi che real-mente godono e possiedono. A giustificare cotesta as-serzione valgono meglio gli esempi che i ragionamenti. Si consideri un impiegato od un professionista qua-lunque che per compiere il corso dei suoi studii abbia dovuto contrarre un passivo sul quale debba corri-spondere un interesse annuo. Giustizia vorrebbe che cotesto cittadino pagasse un' imposta commisurata al reddito netto della sua professione od impiego, dimi-nuito però cotesto reddito di quel tanto che
impor-tano gli interessi annui dovuti da lui al suo creditore. Or bene, cotesto non consentono le leggi che gover-nano l'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile, mentre anzi permettono che il suo creditore faccia pa-gare da lui stesso la tassa gravante gli interessi del suo debito; così dunque cotesto cittadino pagherà una tassa commisurata sull' intiero reddito della sua pro-fessione e di più pagherà quella che dovrebbe pagare il suo creditore. Consideriamo d'altra parte un citta-dino che abbia impiegato l'intiera sua sostanza in mutui attivi ipotecari, in rendite sul debito pubblico, in azioni industriali e simili; qual sarà la tassa pa-gata da lui in correspettività dei comodi e dei van-taggi del consorzio civile? Nessuna, perchè l'imposta sugli interessi dei suoi mutui attivi la pagano per lui i suoi debitori, e perchè quella gravante i redditi dei titoli pubblici da lui acquistati, fu già scontata e cal-colata nel prezzo di compra restando a carico dei pre-cedenti possessori. Ma qui non si arrestano gli in-convenienti derivanti dall'attuale sistema di reparto di questa imposta di ricchezza mobile, e se conside-riamo il modo di tassazione introdotto dalle leggi posteriori a quella del 1864, ci troviamo di fronte ad altri assurdi. Coteste leggi hanno considerato che quando le rendite di un cittadino non varcano una certa misura esse, in ispecie se non provengono da capitali, sono così indispensabili alla sua sussistenza, che non sarebbe lecito toglierne una benché minima parte; e perciò hanno stabilito un reddito minimo esente da imposta fissandolo in L. 400 imponibili, le quali ragguagliano a L. 535 per i redditi industriali, a lire 640 per quelli professionali, ed a L. 800 per quelli dei pubblici impiegati. Il buon senso e la equità vor-rebbero che quando cotesto limite minimo viene sor-passato, l'imposta colpisse la somma eccedente, e così difatti, o presso a poco, seguiva nel primo modo d'im-pianto; ma non fu più così dopo l'applicazione della legge del 1866, giacché nel caso suindicato oggi si colpisce l'intiero reddito non usandosi che un lieve riguardo per i redditi che vanno dalle 401 alle 500 lire imponibili. Da cotesto strano modo di tassazione ne consegue che chi invece di 400 ha 401 lire di reddito imponibile, a cagione di quella lira di
L* ECONOMISTA 843 Ai danni che si risentono per la poca giustizia del
reparto di questa imposta si aggiungono quelli deri-vanti dalla procedura dell'accertamento dei redditi tassabili, nonché quelli dipendenti dal modo di esa-zione. Le leggi regolatrici di questa imposta di ric-chezza mobile hanno voluto prendere a base del ca-tasto mobiliare le denunzie dei cittadini; ma siccome sarebbe stata follia lo sperarle sincere, così hanno cercato di controllare le dichiarazioni del contribuente in mille modi, sia sottoponendole all'esame degli agenti governativi e delle Commissioni locali e provinciali, sia cercandone la riprova negli archivi ed uffici pub-blici ed anche privati. Da tutto questo apparato di controllo chiaro resulta che il legislatore non ha fiducia nessuna che le dichiarazioni del contribuente sieno conformi alla verità. Ma allora a quale scopo quella miriade di moduli, di schede, di avvisi, di stampe che inondano le città e le campagne? Per l'artigiano e per l'illetterato campaguuolo chi sa diro
di quanto creice l'imposta, già di per sé gravissima, appunto per cotesta complicata procedura che lo co-stringe a perdite di tempo e di denaro, imponendogli perfino, sotto la comminazione di multe gravissime, di far lunghi viaggi per presentarsi agli agenti tas-satori e alle commissioni ad ogni loro richiesta ? Ma potrebbe dimandarsi: hanno sì o no gli agenti e le commissioni il modo di conoscere i redditi tassabili di un cittadino ? Se sì, perchè l'annoiano chiedendo-gli la sua dichiarazione? Se no, con qual coscienza la correggono e la modificano ? Ed anche per cotesto lato le leggi posteriori a quella fondamentale del 1864 hanno peggiorato le cose rendendo più complicata la procedura. La legge ora ricordata voleva che le de-nunzie fossero rivedute dalle Commissioni locali com-poste di concittadini del dichiarante, e poi in grado di appello da quelle provinciali; l'agente delle im-poste non era che il registratore e l'esecutore delle sentenze delle Commissioni, salvo a lui il diritto di ricorrere in alcune circostanze. Oggi invece il primo tassatore dei redditi imponibili è appunto cotesto agente, sebbene a lui sia pressoché impossibile il co-noscere le persone tutte che deve tassare, e spesso non abbia neppure idea delle località dove abitano i contribuenti; siccome dunque cotesto funzionario spesso è costretto ad agire alla cieca, così gli errori del primo accertamento sono immensamente superiori a quelli che potevano commettersi dalle Commissioni locali, ed il numero dei reclami è aumentato in ci-fre favolose.
Né si possono passare sotto silenzio altri inconve-nienti che provengono dal modo di esazione tal quale è stato introdotto dalle leggi che mano mano si sono succedute su questa materia. Nel suo primo impianto la imposta di ricchezza mobile esigevasi in un modo solo, cioè mediante la inscrizione o tassazione della persona del contribuente nei ruoli d'imposta. Oggi abbiamo tre modi d'esazione, cioè : mediante ruoli al
nome del contribuente ; per trattenuta che fa l'erario dello Stato ai propri creditori ed assegnatarii ; per rivalsa quando invece di inscrivere il nome della persona che gode del reddito tassato si inscrive quello del debitore del reddito il quale paga la tassa per poi rivalersene sul suo creditore. I due primi modi di esazione non richiedono osservazioni o critiche speciali, e forse non darebbe materia di lamento neanche il terzo se con la recente legge del 14 giu-gno 1874 non se ne fosse abusato fino al punto di ledere un po' troppo la giustizia e la libertà privata. Difatti cotesta legge ha soverchiamente allargato l'obbligo che la legge del 1866 aveva fatto agli enti morali ed alle società ^anonime ed a quelle in acco-mandita per azioni, di denunziare i redditi dei prò- ; pri creditori ed assegnatari e di pagare per loro la tassa di ricchezza mobile, salvo rivalsa. Ora cotesto obbligo con la legge del decorso giugno si è voluto estendere alle società in accomandita semplice ed a quelle in nome collettivo, e di più a tutti gli eser-centi di stabilimenti industriali, nonché a tutti i commercianti od esercenti professioni, arti e mestieri per le mercedi ed assegni mensili pagate ai respet-tivi aiuti, commessi e dipendenti, mentre già con la legge del 1870 si era ingiunto ai proprietari di pa-gare l'imposta per i propri coloni. Finché la legge impone simili obblighi agli enti morali che sono sotto la tutela governativa, non vi è motivo a lagnanze, ma l'estenderli ai privati cittadini costringendoli a farsi mallevadori e pagatori dei debiti altrui, in spe-cie quando la sicurezza della rivalsa è più che pro-blematica, è troppo franca violazione dei supremi principii di giustizia e di libertà individuale.
Ora tutti cotesti inconvenienti che scaturiscono dai vigenti sistemi di reparto e di esazione della impo-sta di ricchezza mobile si considerino per poco cu-mulati, come sono, con la gravezza inusitata di cotesto balzello che toglie al capitalista quarantotto giornate del suo reddito annuo, all'industriale trentasei giornate dei suoi guadagni, al professionista ed all'operaio trenta giornate del suo lavoro, ed all'impiegato pubblico ven-tiquattro giornate del suo stipendio, e poi si dica se è giustificato il desiderio generale e vivissimo che que-sta malaugurata impoque-sta sia riformata radicalmente e resa più tollerabile ed equa.
(Contimi a)
DELL'INGERENZA GOVERNATIVA
(continuazione e fine, vedi n. 26, 27, 28 e 30)
Senza fantasticare sopra immaginarii contratti so-ciali, è certo che il semplice fatto della convivenza impone a ciascun uomo il dovere di esercitare la propria attività in modo da non impedire l'eguale libero esercizio negli altri.
844 L' ECONOMISTA 3 dicembre 1874 agli altri di fare il loro. In pratica però avviene
spesso che l'interesse dell'uno sia in opposizione col-l'interesse dell'altro; i produttori hanno interesse al monopolio, i consumatori alla concorrenza; gli operai hanno interesse a che sia cara la mano d'opera, i padroni a che sia a buon mercato.
In questo antagonismo d'interessi, se un potere superiore agl'individui interviene a prender parte per gli uni contro gli altri, la parte protetta la vince a detrimento dell'altra parte.
Ma, per distinguere quando sia equo e necessario questo intervento d'un potere superiore a favore di un dato interesse contro l'interesse contrario, per as-sicurare al primo la vittoria- sul secondo, bisogna osservare da qual parte sta la giustizia. E la giu-stizia sta dalla parte che può invocare un diritto.
Il potere superiore che deve intervenire nella lotta d'interessi per far rispettare il diritto dell'una parte contro l'altra, è lo Stato, la cui funzione è appunto quella di accertare con leggi i diritti dei cittadini, di prevenire ogni offesa ai medesimi, di reprimere, anche colla forza, ogni violazione alla legge. E que-sta funzione esercita lo Stato col suo duplice potere legislativo ed esecutivo.
Ma quando non si tratta di accertare un diritto, quando non vi ha alcun diritto privato minacciato od offeso, lo Stato, o per dir meglio il potere legi-slativo ed esecutivo, non può avere funzione alcuna.
Ogni industriale ha diritto di scegliere i suoi ope-rai, di offrir loro il salario che crede, di produrre o non produrre, come gli operai hanno diritto di chie-dere quel salario che credono, di servire il padrone che vogliono, di lavorare o non lavorare. Eincbè le cose stanno in questi termini, non vi ha diritto leso; ciascuno fa valere liberamente il proprio interesse; lo Stato non ha diritto d'intervenire a regolare le offerte dei padroni, o le pretese degli operai, di fissare le ore di lavoro, le mercedi, i modi di produzione, il genere dei prodotti. E se gli operai si mettano in sciopero per ottenere un aumento di salario, o una diminuzione di lavoro, se i padroni si coalizzino per resistere a queste pretese, lo Stato non ha ancora diritto d'intervenire in questa lotta, ma deve lasciare che i privati provvedano, da soli, al loro rispettivo interesse.
L'intervento del potere sarebbe sempre ingiusto, perchè darebbe agli uni appoggio contro gli altri.
Ma se gli operai scioperanti volessero colla vio-lenza far pressione sui padroni e ne vulnerassero la libertà, se i padroni volessero mancare ai patti sti-pulati cogli operai, se la coalizione degli uni o de-gli altri si servisse, per trionfare, di mezzi coattivi, allora vi ha un diritto leso, il diritto alla libertà individuale, e lo Stato deve intervenire per reprimere l'abuso.
Il produttore ha interesse alla carestia di prodotti, il consumatore all'abbondanza di essi ; il primo teme
la concorrenza, il secondo la desidera. Due opposti interessi in conflitto, i quali, però, lasciati a loro stessi, non tardano ad equilibrarsi, per la ragione che ognuno essendo produttore ad un tempo è con-sumatore, risente in sè stesso il duplice interesse contrario, ed è quindi spinto, per natura, a cercare e trovare quell'equilibrio, che amendue li soddisfi. Lo Stato nulla ha che vedere in questa lotta; il diritto comune dei cittadini è quello di restar liberi in esso, e di pretendere che il potere resti neutrale. Ma se la libertà degli uni è menomata a vantaggio degli altri, se il produttore non trova più libero il mercato, se il consumatore non ha più la scelta e la libertà del-l'offerta, se un qualche fatto interviene, come ostacolo, ad inceppare l'azione degli uni o degli altri, il Go-verno deve intervenire, per togliere l'ostacolo, per re-primere la coazione.
Ma certo non può concepirsi che lo Stato per pro-teggere i produttori a danno dei consumatori, stabili-sca barriere al commercio internazionale, imponga tasse di dogana sui prodotti stranieri, impedisca il li-bero scambio; queste tariffe non sono tollerabili, che come stromento di finanza.
Non può tollerarsi che lo Stato, per vantaggio d'una classe di cittadini, od una parte della nazione, menomi la libertà dell'altra parte; quindi non può ammettersi che, col pretesto di assicurare lavoratori all'agricol-tura nazionale, alle officine l'abbondanza della mano d'opera, il Governo impedisca o freni l'emigrazione.
Nè può scusarlo la considerazione che esso deve im-pedire che cittadini vadano incontro a miserie o pericoli in lontane ed ignote regioni; che il Governo deve rischia-rare gli emigranti sulle delusioni, che li aspettano, giac-ché se può e deve lo Stato usare d'una certa influenza, come consigliere e protettore, non può però vincolare la volontà dei privati, nè impor loro un modo anziché un altro di benessere. Quand'anche gli emigranti volessero correre il rischio di pericolose esplorazioni, ciò li ri-guarda, ed il Governo non è il loro tutore per impe-dirneli.
3 dicembre 1874 L' ECONOMISTA 845 e la frode, non occorre che il Governo assicuri anche
i privati contro la propria imprudenza od ignoranza. La speculazione è soggetta all'alea, ed il potere sociale non ha bisogno di mutarle natura, ma deve lasciare che chi vi si affida, pensi e provveda da sè ai rischi che può correre.
Yi sono interessi che riguardano tutto il corpo so-ciale, più che i privati;tali sono, ad esempio, la faci-lità delle comunicazioni, la sicurezza dei mari, la co-modità dei porti, la celerità e sicurezza del servizio postale e telegrafico, la rapidità delle comunicazioni. A questi interessi generali non possono certo prov-vedere i privati, ed appunto perchè generali, deve provvedervi la comunità, e per essa il Governo che la rappresenta.
Vi sono altri bisogni, a cui i privati non possono da soli soddisfare, e solo il potrebbero associandosi, e mettendo in comune pensieri, opera e capitali; tali sono l'istruzione, le vie ferrate, le intraprese di na-vigazione: per questi si può concedere che il Governo vi dia impulso con sussidii ai privati, o col fornire loro esempi e modelli, cioè istituti tecnici, scuole po-polari, poderi modello, e fino ad un certo punto sup-plisca all'inerzia dei privati, giacché il corpo so-ciale risentirebbe danno grave, se quei bisogni non fossero soddisfatti. Ma non si può concedere che, per principio, il Governo si sostituisca ai privati, assuma egli solo ad impartire l'istruzione, assuma la costru-zione, l'esercizio, od il sussidio di ferrovie, o il mo-nopolio di altre industrie.
Fra questi bisogni, disdicemmo generali, alcuni inte-ressano tutta la nazione; tali sarebbero le grandi reti ferroviarie, i trattati internazionali di commercio, i porti, i telegrafi, le poste, la navigazione dei fiumi e dei laghi; altri interessano più particolarmente le pic-cole associazioni che compongono la nazione, cioè i comuni.
Ogni città, ogni comune, ha i suoi interessi pecu-liari, i suoi bisogni locali, i quali, non tanto riflettono l'interesse dei singoli abitanti, quanto quello della comu-nità. Così ciascun comune ha interesse ad avere vie di comunicazione cogli altri comuni vicini ad avere comodi ed agi pel pubblico, quali l'illuminazione, la nettezza, l'igiene, la sicurezza cittadina, l'istruzione popolare. A questi bisogni non deve provvedere il Governo, ma quell'autorità che i cittadini del comune hanno eletto nel loro seno per amministrare gl'interessi cittadini.
Un buon sistema di decentramento, rispettando la autonomia dei comuni, lascerebbe alla loro ammini-strazione il regolare e soddisfare questi interessi, che non esorbitano dalla cerchia comunale, e toglierebbe al Governo quell' ingerenza che ora da noi esercita in cento modi sulle cose municipali ; e per primo atto di emancipazione, cesserebbe di avocare al Governo la nomina del sindaco, capo del comune, e di fare di questi un rappresentante del potere governativo.
Riassumendo, e senza per ora entrare in
partico-lari, ci pare possa stabilirsi: che la funzione del Go-verno è quella di assicurare, coi mezzi preventivi e repressivi, il libero svolgimento dell'attività privata, nella sfera del diritto personale, e di togliere gli osta-coli che a quella si frappongano; di provvedere, coi mezzi comuni, ai bisogni economici generali, e solo in caso di assoluta necessità, ai bisogni privati : funzione del comune di provvedere ai bisogni generali locali.
In ogni altra contingenza, in cui sia in giuoco il solo interesse individuale, i cittadini devono essere abbandonati a sè stessi.
DEL R I P O R T O
1. Fra i contratti, ai quali fu dato dalla nuova legge sul traffico dei titoli alla Borsa, il battesimo legale è il riporto. Corrono su questo contratto i più disparati giudizii, chè nell'ordine economico alcuni lo dicono affare serio, altri lo pongono nella categoria dei giuochi e delle scommesse di borsa e nell'ordine giu-ridico alcuno lo vuole un contratto sui generis, altri un contratto di pegno, altri infine una compra ven-dita con diritto di riscatto. Egli è appunto per tale disparità di pareri che crediamo non sia inutile il discorrerne; se dei contratti commerciali si ragionasse più di frequente, non resterebbero avvolti in tanto buio, come ora; gli avvocati durerebbero minor pena a discuterli ed i giudici a sentenziare sopra essi.
La parola riporto, come la più parte dei termini di borsa, è molto elastica e viene presa comunemente in diversi significati. A e B hanno fra loro stipulato un contratto, pel quale A deve consegnare a B alla fine del mese una certa quantità di consolidato al prezzo di lire 74 e B deve pagare il prezzo stabilito e riti-rare il consolidato. Venuta la fine del mese, si trova che il prezzo del consolidato è a lire 74 10 ed A e B fra loro convengono che il primo paghi al secondo la somma risultante dalla differenza fra i due prezzi di lire 74 e di lire 74 10 e che il contratto per la stessa quantità di consolidato, ma ad un nuovo prezzo, che viene fissato d'accordo, si intenda prolungato per la fine del prossimo mese. Ecco uno dei contratti, ai quali si dà comunemente il nome di riporto. Questo contratto è un affare serio se i due contraenti si propongono real-mente uno di consegnare il consolidato, l'altro di pa-garne il prezzo ed hanno effettivamente i mezzi per far questo, invece è agiotaggio, è giuoco se non hanno altro scopo che quello di speculare sulle differenze dei corsi. Sebbene però comunemente, come dicemmo, venga dato a questo contratto il nome di riporto, ci pare che tale nome male gli convenga e per evitare con-fusioni talora assai dannose, non solo nella teoria, ma nella pratica degli affari, vorremmo che il nome di ri-porto fosse riservato ad altro contratto, che ora
de-scriviamo.
pub-846 L' ECONOMISTA 3 dicembre 1874 blici. e industriali. Avviene che egli si trova aver
bi-sogno di danaro per soddisfare ad impegni assunti; mezzi a pagare non gli mancano, perchè possiede in titoli di credito una discreta somma; può dunque ven-dere i titoli e procurarsi in tal modo i danari per soddisfare agli impegni suoi. Però il vendere non gli garba, perchè oggi i corsi gli sembrano troppo bassi e spera in un prossimo rialzo, per aspettare il quale egli sarebbe disposto a fare anche un piccolo sacrifi-cio. Così il nostro uomo di affari si trova posto fra il bisogno urgente di aver denari e la perdita, che egli crede di subire vendendo. Sarebbe egli in una dolorosa posizione, se il commercio non gli avesse creato un modo molto semplice di uscirne. Questo mezzo è il contratto di riporto. Vi è Giovanni altro uomo d'affari, che ha una somma di denaro momen-taneamente giacente inoperosa, che egli non può im-piegare in compre o in prestiti a lunga scadenza, perchè, giusta i suoi calcoli, avrà bisogno di essa en-tro breve tempo, supponiamo per la fine del mese in corso. È appunto questo il tempo che abbisogna ad Antonio per aspettare il rialzo, nel quale spera, e per ciò è molto facile che Antonio e Giovanni addiven-gano fra loro ad un contratto di questa natura. An-tonio vende oggi i suoi titoli, poniamo il suo conso-lidato, a Giovanni, che tosto ne sborsa il prezzo, e Giovanni a sua volta vende per la fine del mese al-trettanta quantità di consolidato ad Antonio, che si obbliga a sborsarne per quell'epoca il prezzo. Questo è il riporto.
È certo che Giovanni vorrà un guadagno che cor-risponda almeno all'interesse corrente del suo denaro, perchè gli interessi o i dividendi, che maturano sul consolidato o sulle azioni date in riporto, sono a fa-vore di Antonio al quale Giovanni promise vendere per la fine mese altrettanta quantità di consolidato, non precisamente quella data in riporto, ma collo stesso godimento (non vi è parola che sappiamo sostituire a questa) che avea al momento del contratto. Spiegamoci con un esempio: Antonio vendette a Giovanni 5000 lire di consolidato, col godimento dal primo di gennaio, e Giovanni vendette per la fine del mese in corso ad Antonio 5000 lire di consolidato col godimento dal primo gennaio. Per ciò se nell'intervallo di tempo fu pagato sui titoli dati in riporto un interesse, il che è possibile specialmente quando trattasi di azioni di So-cietà commerciali, Giovanni dovrà alla fine del mese consegnare ad Antonio titoli sui quali non fu esatto l'interesse. Perchè dunque Giovanni possa avere un guadagno dall'impiego del suo denaro non resta altra via che quella di stabilire prezzi diversi alle due ven-dite. Antonio vende oggi a Giovanni il suo consolidato in ragione di lire 74 e Giovanni vende ad Antonio altrettanto consolidato per la fine del mese in ragione di lire 74 50. I cinquanta centesimi di differenza for-mano il guadagno di Giovanni, e, calcolato che il con-tratto venga concluso nei primi giorni del mese danno
al capitale un interesse del 6 per 100 all'anno. Chiun-que conosce le più elementari leggi di economia po-litica o che ha qualche pratica di affari commerciali, per sè stesso intende che l'interesse pagato sui capitali, che si impiegano in riporti, deve variare da giorno a giorno, da luogo a luogo; ma delle cause di queste variazioni diremo poi, ora ci preme precisare bene la natura del contratto.
2. Nel riporto si uniscono a formare un contratto solo, che ha propria natura e proprie forme, due con-tratti: uno compra-vendita a contanti ed uno com-pra-vendita a termine.
Antonio, che nel nostro caso prende nome di ri-portato vende a contanti a Giovanni, che prende il
nome di riportante, il suo consolidato, e compera a termine da lui altrettanto consolidato. Il primo con-tratto si compie colla reciproca consegna dei titoli e del denaro, pel secondo contratto Antonio rilascia una sua lettera di obbligo a Giovanni e questi un' altra ad Antonio.
Poiché in questo contratto ha molta importanza la forma copia dal vero, i modelli delle due lettere. La lettera che Antonio rilascia a Giovanni è del tenore seguente:
Sig. Giovanni X
S . . . . 1° aprile 1870. Al 30 del corrente mese e contro l'importo di lire 74,500 00 sarò a ricevere da voi lire cinquemila rendita italiana 5 (fio godimento dal primo di gennaio.
ANTONIO M . 'La lettera di Giovanni dice così:
Sig. Antonio M.
S . . . . 1° aprile 1870. Al 30 del corrente mese contro l'importo di L. 74,500 00, mediante resa della presente, il sottoscritto sarà a con-segnarvi lire 5000 rendita italiana 5 Op) godimento dal primo gennaio.
GIOVANNI X . La forma di queste lettere non è certamente tale da proporre ad esempio; ma per noi vale, perchè ci mette innanzi il fatto quale realmente appare nella pratica degli affari.
Se noi indaghiamo le cause, che hanno mosso Anto-nio e Giovanni ad addivenire al contratto di riporto, ci pare veramente che questo contratto nulla abbia di diverso da un prestito sopra pegno. Infatti Antonio volle procurarsi denaro per un determinato periodo di tempo senza vendere i suoi titoli, e fu col mezzo di questi titoli che si procacciò il denaro. Giovanni volle impiegare il suo denaro per quello stesso pe-riodo di tempo ed impiegarlo con una garanzia reale, e questa garanzia egli ebbe nei titoli di Antonio.
3 dicembre 1874
Del parere di Proudhon son molti economisti e giurisperiti, e potremmo citare anche parecchi giudicati di tribunali italiani e stranieri, che assegnano al ri-porto le conseguenze giuridiche del prestito sopra pegno. Però chi bene studia questo genere di con-tratto, tosto si accorge che, oltre molte differenze di forma, ha col prestito sopra pegno una differenza di grande momento, che ne tocca propriamente l'essenza. Nel prestito sopra pegno la cosa, che fu data in pegno, resta sempre proprietà del debitore, e il mu-tuante è obbligato a restituire quella identica cosa al-l'epoca della scadenza. Per ciò nei prestiti sopra deposito di titoli si usa individualizzare i titoli pub-blici o semi-pubpub-blici dati in pegno, segnando nella scritta del contratto la serie ed il numero di ciascuno dei titoli, e il mutuante non si scioglie interamente dall'obbligo suo che restituendo quei titoli, che por-tano la serie ed il numero segnati nel contratto. Cosi non è nel contratto di riporto; i titoli che Antonio consegna a Giovanni passano in intera proprietà di questo, che può disporre di essi in quel modo che crede, e solamente è obbligato a dare ad Antonio, pel prezzo convenuto, altrettanta quantità di titoli della stessa specie, alla fine del mese. Ricevette 5000 lire di consolidato 5 0[o, restituisce 5000 lire di consolidato 5 Op), e Antonio non può pretendere che gli vengano restituite precisamente le stesse car-telle che egli diede in riporto.
Basta solo accennare a questo fatto perchè per sè si rivelino alla mente del lettore le grandi differenze che esistono tra la posizione giuridica di chi ha fatto un prestito sopra pegno di titoli e quello di colui che ha presi titoli in riporto, e noi non crediamo sia ne-cessario intrattenerci più oltre su questo punto.
Però, dirà taluno, le differenze che si notano fra il contratto di riporto e il prestito sopra pegno, na-scono piuttosto dalla forma del contratto, artificiosa-mente studiata per sfuggire alle disposizioni della legge che disciplinano il prestito sopra pegno, che dalla intenzione vera delle parti contraenti. Ma nep-pure questo è vero. Vi son molti che mettono volen-tieri il loro denaro in riporti e che non lo dareb-bero per un prestito sopra pegno, cbè col prestito sopra pegno immobilizzano il capitale, mentre col riporto riescono ad aver fra le mani una mercan-zia, della quale possono disporre, come meglio loro piace, e che può servire loro come oggetto di nuovi traffichi. Per ciò molte volte avviene che, mentre non si può trovare denaro sopra pegno di titoli a meno del 5 per cento, si può fare su quegli stessi titoli un riporto in ragione del 4 per cento. In questo caso chi dà il denaro aggiunge al conto dell' interesse che percepisce, il benefizio da lui sperato nel traffico sui titoli, dei quali diventa proprietario. E questo benefi-zio talvolta può sembrare così grande e la speranza di esso può essere così forte stimolo da fargli, per esso, non solo rinunciare affatto all'interesse, ma da
spin-847 gerlo ad offrire egli stesso un compenso a chi gli dà i titoli in riporto. In questo caso Antonio ricompra da Giovanni per la fine del mese quella quantità di titoli che egli vende oggi a Giovanni ; ma ad un prezzo mi-nore di quello che oggi Giovanni paga a lui. Le ra-gioni che possono consigliare a Giovanni il sacrificio che con questo contratto incontra, saranno da noi espo-ste più innanzi.
Se il riporto, si dice, non è un prestito sopra pe-gno, è un contratto di compra e vendita con diritto di riscatto. Anche questa opinione conta molti se-guaci; ma neppure essa a noi pare approvabile, poiché il diritto a patto di riscatto si è sempre inteso come una facoltà concessa al venditore mediante la quale può ridiventare proprietario della casa o del podere che gli son cari; non già come un obbligo di que-sto; mentre invece nel contratto di riporto chi ha dato i titoli, assume obbligo assoluto di ricompe-rarli per l'epoca convenuta, e a questo obbligo egli deve adempiere e, se è galantuomo, adempie anche quando il farlo gli causa danno. E veramente l'origine del diritto di riscatto pare questo che il legislatore volle dare a chi da urgente necessità è costretto a vendere la casa che gli è cara, un mezzo per ricupe-rarla poi, onde in molti codici il diritto di riscatto si limitò alle case ed ai poderi che son le cose alle quali più facilmente restiamo uniti da vincoli di affetto. Non ha dunque nulla a che fare il diritto di riscatto col riporto, perchè colui che dà i titoli in riporto non ha alcun particolare affetto per essi, non esige neppure che gli siano resi gli stessi titoli che egli ha dati e gli basta averne altrettanta quantità della stessa specie.
E forza dunque concludere che il riporto è un con-tratto, che ha natura propria, un contratto sui generis, come disse bene l'egregio professor Yidari, e per ciò è dallo studio della sua intima natura, non dalle so-miglianze con altri contratti, che è giusto trarre le discipline colle quali il legislatore lo deve re-golare.
3. Così non pare intendesse la cosa la Commissione, che preparò il Progetto preliminare per la riforma del Codice di commercio. Questa Commissione trattò del riporto nel Titolo VII del Libro I, che si intitola della
848 L' E C O N O M I S T A 3 dicembre 1874 constatata col mezzo di notaio o di altro ufficiale
autorizzato a tale sorta di atti, e che se il datore a riporto ricusa di riceverli e di pagarne il prezzo con-venuto, il prenditore può, senza altra forma, venderli per di lui conto, col mezzo di un pubblico mediatore. La Commissione ha creduto fosse pericoloso pubbli-care una estesa relazione della discussione avvenuta nel suo seno sul tema del riporto, per ciò a noi non sono note le ragioni, che la mossero a porre il riporto nel Titolo della vendita, invece di fare a quello un posto distinto, come fece pel conto corrente e come avremmo creduto più ragionevole, e non ci sono noti neppure i motivi delle disposizioni che si trovano nei tre articoli citati, una delle quali a noi pare per lo meno assai singolare. È quella per cui si concede facoltà al riportato di riservarsi i premii che potes-sero toccare in sorte ai titoli dati in riporto, durante il termine del contratto. Perchè questa disposizione potesse avere effetto bisognerebbe che nella scritta del contratto si individualizzassero i titoli col tenere nota della sèrie e del numero di ciascuno di essi e che il riportante si obbligasse a conservare il pos-sesso di quei titoli per poterli poi restituire al ri-portato.
Ma un contratto di questo genere non è più ri-porto, è prestito sopra pegno. La Commissione, se noi non sbagliamo, credette applicabile ai premii quello che si fa per gli interessi; ma non si accorse che per gli interessi non è necessario individualizzare i titoli perchè vengono pagati egualmente sopra tutti quelli della stessa specie, mentre ciò è necessario per i premii, dei quali la sorte non favorisce che alcuni e anche questi in misura diversa.
(Continua).
LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI
sulla Esposizione universale di Vienna del 1873INDUSTRIA MINERARIA IN ITALIA ( 1 ) . Metalli.
La industria mineraria ha nel nostro paese una im-portanza grandissima, perchè, come risulta dagli studi geologici benché incompleti, tutta la serie delle forma-zioni geologiche vi è rappresentata.
I principali centri della produzione ferrifera sono tre, la Lombardia, il Piemonte e la Toscana. In Lombardia si producono attualmente circa 27,000 tonnellate di mi-nerale, per nove decimi carbonato spatico e per un de-cimo ossidulato ed ocraceo. Sono da ricordarsi le miniere di ferro spatico della Manina e di Schilpario in Valle di Scalve, quelle di Val Camonica, Pisogne, Monte Giovo, Monte Tinerle, nonché quelle di Valtellina presso Bornio e Sondrio. In Piemonte sono note la miniera di Cogne, che probabilmente è di epoca carbonifera, quella di Tra-versella, il giacimento di ferro ocraceo di Monte Scheno in vai di Toee, da cui si ricava ghisa di buona qualità.
(1) Dalla Relazione di Giulio Axerio.
La produzione annua delle miniere piemontesi può va-lutarsi a tonnellate 4,000 complessive, e tutto il minerale che ne proviene è adoperato in paese. La Toscana è il centro ferrifero più importante. TI minerale di ferro si trova a Pietrasanta e a Stazzema, ma più specialmente all'Elba. La produzione del continente toscano fu nel 1872 di 5,000 tonnellate e quella dell'Elba di tonn. 126,075. Questo minerale è in gran parte esportato alle fonderie estere, francesi ed inglesi. L'estensione superficiale delle miniere dell'Elba venne stimata dal cav. Mellini a me-tri quadrati 2,110,025, di cui 830,480 per la miniera detta di Calamita, 650,000 di Rialbano, 546,000 di Rio e Vigneria, e 83,545 di Terranera. Si ritiene che la quan-tità di minerale disponibile non sia inferiore a 20 mi-lioni e mezzo di tonnellate, sebbene il Cocchi la stimi di 60 e forse di 80 milioni di tonnellate.
In complesso i risultati del 1872 furono: minerale di ferro prodotto in Italia, tonn. 167,000, valore L. 2,087,500.
Quantità del minerale fuso in paese, tonn. 53,000. Quantità del minerale esportato, tonn. 168,472. Si sarebbe dunque esportato più della quantità pro-dotta, e ciò dipende dai depositi esuberanti che si ave-vano all'Elba in seguito al ristagno di affari dovuto alla guerra Franco-Prussiana. Non vi è importazione di mi-nerale di ferro in Italia.
Nel 1873 la produzione delle miniere di ferro in To-scana salì a tonnellate 209,861, e la produzione totale in Italia a 240,000 ; l'esportazione scese a tonnel-late 161,949. Crebbe il consumo in paese, ma l'eccesso
di produzione sulla esportazione deve anche ascriversi alla opportunità di supplire agli approvvigionamenti di minerale presso le miniere, i quali erano esausti per la repentina ripresa della esportazione dopo la guerra franco germanica.
Le miniere del ferro attualmente coltivate sono circa 70 e tengono impiegati 1,700 operai. I minerali esca-vati sono generalmente privi di solfo e di fosforo e atti a produrre ghise da getto e di affinazione per ferri ed acciai.
Poco più della quarta parte del minerale di ferro escavato è trattato in paese per la fabbricazione della ghisa, per la quale sono in esercizio 32 alti-forni, di cui 21 in Lombardia, 3 in Piemonte, 7 in Toscana, 1 nella provincia di Roma. La produzione fu nel 1872 di ton-nellate 26,000, valore lire 3,900,000. La quantità di ghisa risultante dalla fusione è molto inferiore ai nostri bisogni per mancanza di adatto combustibile fossile, ma i nostri prodotti vanno distinti per la loro qualità. Le ghise lombarde di Bondione e dell' Allione gareggiano colle svedesi e russe nella tenacità dei getti per bocche da fuoco e simili; i ferri ed acciai di Lovere, Gromo e Carcina, servono egregiamente per fucili, molle, fili, chiodi, attrezzi agricoli, ecc. Si potrebbe tentare di adoperare coke estero in mancanza di combustibili in-digeni. Si sono costrutti e si stanno costruendo nuovi alti-forni destinati ad adoperare carbone vegetale e fra questi e quelli che si costruiranno all'Elba la produ-zione di ghisa salirà quasi a 100,000 tonnellate al-l'anno.
l'indù-3 dicembre 1874 L' E C O N O M I S T A 849 stria del ferro è notevole per l'attitudine delle
popola-zioni e per l'indole operosa degli abitanti, che essendo ora agricoltori ed ora fabbri fanno sì che la mano d'opera a prezzo tenue permette che anche in condizioni eat-tive per le materie prime si possa reggere alla concor-renza estera in quei prodotti in cui il lavoro manuale entra in buona parte. Non si hanno scioperi perchè gli operai sono tutti più o meno interessati col proprieta-rio della fucina, non si hanno i grandi disastri com-merciali e la lavorazione essendo varia e divisa si evi-tano le crisi con una graduale trasformazione di lavori.
Il numero delle fucine disseminate nelle valli alpine ascende a circa 200. Vi si affina la ghisa o si rimpa-a stano i vecchi ferri, o si trasforma il ferro in oggetti varii come chioderie, attrezzi rurali, domestici, per le arti e simili. Nella maggior parte si usano i bassi fuochi antichi, ma nelle più importanti si sono intro-dotti i sistemi moderni, e i forni sono alimentati con gas di lignite, di torba o di legna. Le fucine più in-ternate nelle valli scomparvero, ma la produzione è in aumento. Da 7 milioni in Lombardia si è giunti circa a 11 milioni per l'impiego di grande copia di rot-tami, il cui trattamento si fa con minore dispendio di combustibile. Si hanno interi gruppi di officine in cui non si adopera la ghisa come materia prima. In tal modo si regge alla concorrenza estera.
La fabbricazione del ferro è ripartita in tre regioni in condizioni ben distinte.
Si hanno le ferriere situate nelle valli alpine, le fer-riere litoranee e le ferfer-riere situate nell'interno del con-tinente italiano. Le prime traggono dalie vicinanze tutte le materie prime, minerali, combustibili, fondenti, o trattano anche materie prime provenienti da altri centri industriali. Il limite della loro produzione dipende dal raggio di approvvigionamento dei combustibili, che non può eccedere un certo numero di chilometri, oltre il quale la spesa di trasporto farebbe cessare il tornaconto. La produzione quindi è circoscritta, ma buona: sale a 20,000 tonnellate all'anno. Quanto alle ferriere litoranee si trattano esclusivamente i rottami che vi si importano anche dal Levante e si adopera il litantrace. L'industria siderurgica litoranea produce da 10 a 15 mila tonnel-late di ferro all'anno e si è sostenuta anche nei tempi in cui i ferri inglesi erano a vii prezzo e ciò pel basso prezzo dei rottami e perchè il consumo di litantrace inglese coi migliori metodi di trattamento non supera l'egual peso di ferro finito. I ferri prodotti sono di qua-lità comune e si vendono ad un prezzo unitario supe-rante di poco la metà di quello dei ferri fini delle valli alpine. Quanto infine alle ferriere internate nel conti-nente si trovano in prossimità di giacimenti combusti-bili fossili o di forze idrauliche considerevoli, e fanno principalmente uso di rottami, oppure di ghise di To-scana. Queste si trovano in condizioni vantaggiose di fronte all'estero, perchè tanto la ghisa quanto i rottami sono provveduti a prezzo più basso che non all'estero, e perchè la scelta della posizione degli stabilimenti assi-cura il basso prezzo del combustibile o della forza motrice.
Riassumendo, la produzione complessiva salì a circa 50,000 tonnellate, valore oltre a 26 milioni. Ciò mostra che dal 1862 si è avuto un aumento del 50 per cento.
In complesso l'industria si sviluppò nelle valli alpine e in Toscana ove, nonostante il ribasso dei dazi doga-nali, trovò condizioni appropriate, e cadde nel Napole-tano, dove si reggeva unicamente sui dazi protezionisti del cessato Governo. Y' è ancora un largo campo aperto alla operosità degl' industriali italiani. La produzione in-digena non rappresenta che il quarto del consumo annuo (tonnellate 204,858, valore circa L. 81,000,000) in tempi quieti. Si potrebbe aumentare migliorando la lavorazione e fondendo il minerale elbano sulle spiagge dove le foreste sono ancora abbondanti e più, traspor-tando il carbon fossile estero presso le miniere del-l' Elba.
Gli stabilimenti meccanici propriamente detti sono 110, ma solo una diecina è capace di produzioni rile-vanti. Si notano lo stabilimento dell'Elvetica a Milano, Ansaldo a San Pier d'Arena, l'officina di Pietrarsa a Napoli. Vi sono addetti circa 8 mila operai, e il pro-dotto annuo supera i 26 milioni. Fra tutti producono lire 26,730,000 annue ed hanno 11,750 operai. Si aggiun-gano i 19 stabilimenti militari della guerra e marina con circa 7,000 operai. I nostri stabilimenti privati non sono all'altezza dei perfezionamenti moderni nè possono dedicarsi a una fabbricazione esclusiva, sebbene alcuni facciano ottimi lavori ed anche locomotive. Nel 1872 si è importato per lire 33,101,665 in macchine e stru-menti di cui gran parte potrebbe fabbricarsi da noi.
Le principali miniere di rame si trovano nel Veneto e nel Piemonte, nella Liguria e nella Toscana. In com-plesso il minerale di rame si escava in 18 miniere pro-ducenti 26,588 tonnellate del valore di lire 1,218,986.1 minerali più poveri sono trattati in paese; i più ricchi, del tenore di 12 a 20 per cento vengono esportati in Inghilterra. Poche e di poco momento sono le officine in cui si tratta il minerale di rame in Italia. La totale produzione annua di metallo indigena non supera le 500 tonnellate, mentre il consumo è quasi quadruplo. Il ri-basso di prezzo derivato dalle esportazioni dal Chili e il combustibile che si richiede pongono le nostre officine in cattive condizioni di fronte all'estero. Pure il rame di Val d'Aosta è ottimo e può servire ai lavori più deli-cati. Se poche sono le officine in cui si fondono i mine-rali di rame, assai numerose sono 18 piccole fucine in cui si lavora al maglio tale metallo per ridurlo in uten-sili domestici, caldaie ecc. Si hanno pure diverse fucine in cui si fonde l'ottone ed il bronzo. Non calcolando gli arsenali, la produzione complessiva sale a lire 2,600,000 circa. Siamo tributari dell'estero per circa 10 milioni e la nostra produzione rappresenta meno del terzo del-l'importazione, come provano anche le cifre relative del 1872. È difficile migliorare tali condizioni, perchè man-cano quasi affatto le grandi lavorazioni.
850 3 dicembre 1874 piombo zincifero. Dalla relazione presentata nel 1871
dall'onorevole Sella a nome della Commissione parla-mentare d'inchiesta sulle condizioni dell'industria mine-raria in Sardegna, si ricavano i seguenti dati. Per le miniere di piombo quintali 996,263, valore 26,539,217; di calamina quintali 874,698, valore 6,816,934; di piombo e zinco quintali 1,627,470, valore 27,412,006; di galena e blenda quintali 114,712, valore 984,682.
Si trovano annessi alle miniere diversi stabilimenti per la preparazione meccanica del minerale. Due officine si trovano l'una al Bottino, l'altra a Pertusola nel golfo della Spezia. Varie officine per raffinazione del piombo si hanno nel Cenovesato. In complesso la produzione di piombo indigeno e di litargirio ottenuta nel 1872 dalle fonderie nazionali sale a 5,565 tonnellate e quella del-l'argento a 3,500 chilogrammi. Quanto alla produzione dei minerali di piombo e zinco in tutta Italia nel 1872 si hanno in totale tonnellate 79,760, valore 5,872,000. Mancano officine per fabbricare lo zinco dal minerale ed è difficile rimediare pel combustibile e per la concor-renza estera. Pure in località opportune la cosa potrebbe farsi. L'esportazione di oggetti lavorati è quasi nulla. Si esportano invece quantità notevoli di rottami di piombo e zinco. Quanto alla lavorazione del piombo potremmo estenderla senza gravi difficoltà ; abbiamo già fabbriche di tubi a Milano, a Napoli ed a Torino.
L'oro si trae quasi esclusivamente da piriti di ferro aurifere nelle valli del Piemonte che si diramano dal Monte Kosa. Altro gruppo aurifero è quello della valle del Corsente, ove si ha in filoni il quarzo aurifero. Vi sono nella valle della Stura alluvioni e conglomerati di terre alluvionali aurifere ed altre sabbie aurifere ven-gono lavate dai pescatori d'oro presso parecchi fiumi e torrenti delle Alpi e degli Appennini piemontesi. Non-dimeno si può considerare la produzione dell'oro ridotta a quella delle valli che si diramano dal Monte Rosa. Il prodotto fu nel 1872 di circa chilogrammi 1, 5 al giorno, ossia 450 chilogrammi all'anno del valore di 1,500,000 lire, tenendo impiegati circa 650 operai.
A motivo del poco sviluppo delle grandi industrie chimiche e metallurgiche molti dei nostri giacimenti di pirite di ferro sono abbandonati. La produzione annua di piriti destinate 41a fabbricazione dell'acido solforico sale a 2300 tonnellate del valore di lire 45,000 e vi sono addetti circa 20 operai.
Quanto al nichelio, in complesso si può ritenere che si producano circa 3000 tonnellate pel valore di 240,000 lire. La ripresa delle relative miniere si deve soprattutto al rialzo considerevole del prezzo del nichelio che da lire 14 è salito, da 10 anni in qua, a più di lire 30. Tutto il minerale prodotto viene esportato in Inghil-terra e in Prussia.
Si fecero, non ha guari, esplorazioni per nichelio, co-balto e bismuto nell'altipiano granitico di Arbus in Sar-degna, e se ne ricavarono alcune tonnellate di minerale di gran pregio, ma finora non vi furono scoperte gia-citure che assicurino una coltivazione durevole.
La produzione del mercurio è stata in complesso nel-l'anno 1872 di chilogrammi 55,176 pel valore di lire 331,056, con 70 operai addettivi. Si esporta pressoché tutto. Nel 1872 l'esportazione salì a chilogrammi 88,300 (peso lordo) pel valore di lire 529,800. I depositi
esi-stenti e il peso dei recipienti spiegano questa ano-malia.
Riguardo all'antimonio nessun giacimento è in rego-lare coltivazione e tutto l'antimonio metallico che ci oc-corre per la formazione delle leghe o di preparati far-maceutici ci viene dall'estero.
I giacimenti di manganese sono piuttosto abbondanti in Italia, specialmente nella parte settentrionale. I più importanti si trovano in Val d' Aosta, in Liguria e in Sardegna. La totale produzione salì nel 1872 a 970 ton-nellate pel valore di lire 65,700. Una parte di questo minerale viene impiegato nelle vetrerie nazionali, ma la maggior parte viene esportata. I numerosi giacimenti di carbonato di ferro troppo ricco di manganese per dar ghise da getto o di affinamento, sparsi in valle Trom-pia e in Yalcamonica (Lombardia) potrebbero utilmente coltivarsi per alimentare la fabbricazione del
ferro-manganio, lega contenente intorno al 30 per cento di
manganese, adoperata nella fabbricazione del metallo Bessemer.
Le tasse sugli affari (anni 1861-1873)
Non è inopportuno di esaminare i risultnti del pro-dotto delle tasse sugli affari, durante il tredicennio 1861-73, essendo oramai accertato che queste imposte riproducano con sicurezza il movimento più o meno operoso della proprietà.
Le tasse sugli affari furono unificate con la legge 21 aprile 1862, vale a dire dopo poco la proclamazione del Regno d'Italia. Per la novità loro, osserva l ' o n o -revole Morpurgo nel suo scritto sulle finanze dello Stato, riuscirono moleste a non poche fra le popolazioni ita-liane, e di malagevole applicazione per parte degli im-piegati. A cagione poi delle frequenti riforme, le tasse suddette non profittarono alle finanze in quella misura che avrebbero potuto, e ciò anche per le attribuzioni modificate ed accresciute del personale amministrativo chiamato ad applicarle.
Nondimeno, i dati delle riscossioni segnano un pro-gresso pressoché costante; ma per apprezzarlo esatta-mente bisogna tener conto dell'aumento di prodotto ri-sultante dalle annessioni di nuove provincie e dalle vendite dell'asse già ecclesiastico.
Le cifre che andiamo esponendo indicano il totale delle riscossioni annuali delle tasse sui trapassi di pro-prietà e sugli affari, cioè : successioni, manimorte, re-gistro, bollo, ipoteche, Società e concessioni governative.
3 dicembre 1874 L' E C O N O M I S T A 851 Da questi dati si rileva che il prodotto annuo
com-plessivo salì nello spazio di 13 anni da circa 43 milioni di lire a più di 128 milioni. E questo progressivo au-mento continua il suo corso regolare anche per l'anno corrente. Dalla situazione del Tesoro al 31 ottobre 1874, pubblicata recentemente, vediamo che le riscossioni per l'imposta sugli affari durante i 10 mesi trascorsi del corrente anno, raggiunsero la cifra di L. 112,871,526 69 che confrontata con quella corrispondente dell'anno 1873 presenta un aumento nelle riscossioni del 1874 di lire 6,380,309.
Vediamo ora quale è l'ammontare complessivo delle riscossioni durante i tredici anni in esame per ciascun ramo di servizio: Rami di servizio Successioni Manimorte Società Registro Ipoteche Bollo Concessioni governative. Riscossioni L. 182,827,190 79 62,673,619 25 23,564,311 34 » 423,186,026 70 51,504,333 17 » 302,738,141 27 37,128,495 38 Totale L. 1,083,622,117 90 Come si scorge da queste cifre la categoria del re-gistro, che comprende le tasse di registro per gli atti
civili e per gli atti giudiziari e le tasse e gli emolu-menti degli archivi notarili, è quella che ha dato noi tredici anni il maggiore introito alle finanze dello Stato (423 milioni di lire); viene poi la tassa del botto che ha concorso per più di 302 milioni e mezzo di lire, e quindi i diritti di successione per quasi 183 milioni di lire. Le altre categorie non hanno nessuna raggiunto nei 13 anni 100 milioni d'incasso, e soltanto la tassa di manimorte ha superato i 62 milioni d'introiti.
Non sarà fuori di luogo mettere ora in confronto l'ammontare delle riscossioni che si verificarono per ciascuna categoria delle tasse suddette nell'anno 1861 con quello che si ebbe nell'anno 1873.
Categoria delle tasse Successioni. Manimorte. Società . . Registro . Ipoteche . Bollo. . . Cono, govern Riscossioni 186! 1873 L. 6,930,771 18 L. 22,149,766 54 1,834,966 54 418,141 52 19,993,890 80 2,128,221 94 11,605,351 97 1,431,668 93 6,486,467 34 5,348,804 44 49,237,320 72 5,584,465 45 34,520,895 00 4,891,774 75 Totale L. 42,911,343 95 L. 128,219,494 35 Per apprezzare giustamente le cifre suddette bisogna prima di tutto ricordare che nel 1867 cominciarono gli introiti delle provincie venete, e nel 1871 quelli della provincia di Roma, e che la tassa per le concessioni governative ebbe principio soltanto nell'anno 1862. Ciò premesso, esaminando ora i dati sopraesposti, vediamo che tutte le tasse segnano un fortissimo aumento, e possiamo dire che nel corso di tredici anni, in media, hanno triplicato i loro introiti. Questa proporzione, men-tre è di molto superata dalle riscossioni della tassa sulle Società, le quali nel 1861 oltrepassavano appena le 400 mila lire, e nel 1873 davano un introito di 5 milioni e 300 mila lire, non è però raggiunta dalla tassa di registro che presenta quasi 20 milioni di ri-scossioni nel 1861 e poca più di 49 milioni nel 1873.
Esposti in tal modo i resultati delle tasse sugli af-fari dalla costituzione del nuovo regno a tutto l'anno decorso, e che nel complesso possiamo ritenere come sodisfacenti, crediamo opportuno qui ricordare quanto in proposito osserva l'onorevole Morpurgo, che cioè i beni venduti per la somma di parecchie centinaia di milioni e pei quali divenne possibile una circolazione che era interdetta nel passato, lasciano prevedere con sicurezza uno svolgimento maggiore di queste tasse; ma le esperienze, che fin qui si fecero, danno a cre-dere molto savio il duplice desiderio manifestato dal-l'amministrazione, che non si proceda facilmente a nuove modificazioni legislative e che si lasci agio ai funzionarli di dedicarsi a quella varietà e moltiplicità d'indagini, senza delle quali è impossibile attendere che le leggi di tassa sugli affari diano tutto il frutto clie se ne può con ragione aspettare.
L'Amministrazione del Banco di Napoli nel 1813
Abbiamo ricevuta la relazione del Consiglio di A m -ministrazione al Consiglio generale del Banco di Napoli per l'esercizio del 1873 e ci affrettiamo a pubblicare le notizie che essa contiene.
Notiamo come questa relazione, la quale si pubblica ogni anno in questo mese, vada migliorandosi anno per anno e rendendosi sempre più perfetta per ciò che ri-guarda la parte statistica e i numerosi e precisi quadri riguardanti la situazione del Banco nelle varie epoche dell' anno.
La somma degli sconti impiegata dal 1° gennaio fino al 31 decembre 1873 ha avuto un aumento sensibilissimo. Gli sconti di effetti commerciali, buoni del tesoro e semestri di rendita pubblica ascesero a L. 257,175,339 19.
Le anticipazioni su ordini in derrate L. 13,537,429. Le anticipazioni su cartelle fondiarie, valute metalli-che e sopra titoli di rendita dello Stato ascesero a lire 123,877,428 59 ; sicché si ha una somma totale di lire 394,590,196 78, totale superiore a quello impiegato nel 1872 per 104,379,880 65.
Questo aumento va in parte attribuito alle difficili con-dizioni in cui si è trovato il cornmeacio italiano e spe-cialmente la piazza di Napoli e le altre dove il Banco ha sedi e succursali. Altro indizio che abbiamo da que-sta relazione, dal quale il 1873 ci è mostrato anno po-chissimo prospero per le provincie napoletane e per Na-poli specialmente, è l'aumento dei fondi impiegati dal Banco nelle sue officine di pegnorazioni di oggetti pre-ziosi e la differenza in più dei rimborsi sui depositi ese-guiti nella cassa di risparmio del Banco.
La somma totale impiegata nei monti di Pietà nel 1873 è stata di lire 19,474,540. I depositi fatti du-rante il 1873 sulla cassa di risparmio furono di lire 8,600,60194, mentre i rimborsi ascesero a L. 10,319,606 08 e al 31 decembre 1373 si trova un resto di cassa di L. 7,154,267 92.
Il servizio delle Ricevitorie provinciali frutta al Banco una somma molto meschina, poiché esso percepisce dallo stato un tenuissimo compenso.
852 L' E C O N O M I S T A 3 dicembre 1874 si tien conto del tenue compenso che il nostro istituto
di credito corrisponde ai correntisti.
Degna di osservazione è quella parte della relazione del Consiglio di Amministrazione del Banco sulla ge-stione del 1873, che riguarda la circolazione cartacea e la riserva metallica. Si rileva che la riserva del Banco in biglietti a corso forzoso e in denaro metallico è stata in media nel 1873 di lire 103,008,534, mentre la cir-colazione della carta monetata emessa dall'istituto fu di L. 195,865,696 96, essendo in questa città compreso an-che il valore delle così dette fedi di credito intestate. Queste cifre ci mostrano che il Banco si è tenuto, nel-l'emissione de'biglietti, in una riserva lodevolissima a paragone degli altri istituti di credito, molti de'quali si sono trovati in condizioni molto critiche durante il 1873, appunto per una smania, di operazioni rischiose ed a fondo perduto, di emettere carta moneta oltre i limiti assegnati e voluti dalla legge sulla circolazione cartacea. Il credito fondiario del Banco seguita ad apportare utili grandissimi alle provincie napoletane dove sempre più si spande e piglia radice. Ogni anno però la rela-zione del Consiglio d'amministrarela-zione del Banco segna un aumento di operazioni ed un maggior benefizio per le finanze dell'istituto. In tutto l'anno 1873 furono sti-pulati 272 contratti definitivi per la somma di lire 16,212,000.
Dalla sua fondazione il credito fondiario ha stipulato 806 contratti per la somma di lire 43,129,500. Il valore delle cartelle fondiarie variò tra lire 400 e 425.
Gli utili lordi ricavati dal Banco dalle sue svariate operazioni durante il 1873 ascesero a lire 6,150,916 44; a questa cifra però bisogna aggiungere l'altra di lire 983,012 52 che rappresenta utili spettanti al 1873, ma esigibili solo nel 1874, sicché in totale gli utili lordi asce-sero a L. 7,133,929 93. Dai quali bisogna sottrarre lire 4,026,470 29 per spese di amministraz. e L. 692,499 59 per tasse pagate e si avrà un utile netto in L. 2,414,960 05.
Il commercio fleUTngMlterra durante i primi dieci mesi
del 1874
Durante il mese di ottobre 1873, l'importazione del Regno Unito si è elevata a 31,648,000 lire st. Dal primo al 31 ottobre 1874 l'importazione non è stata che di 27,913,000 lire st., accusando così una diminuzione di 3,735,000 lire st., cioè, 11.7 0/0 sul corrispondente mese dell'anno precedente.
All'esportazione, le spedizioni d'ottobre 1873 erano per 22,341,000 lire st., il valore di quelle nel 1874 è arrivato solo a 21,919,000 lire st.; anche da questo lato si constata una diminuzione di 422,000 lire st. che rappresenta circa 1. 8 0/0 in meno.
Se si considera ora l'insieme degli scambi durante i primi dieci mesi del 1874, ci si trova di fronte ai se-guenti resultati :
Importazione Esportazione
1873 1874
Lire sterline Lire sterline
307,322,000 216,017,000 311,233,000 202,859,000
Da una parte si vede che nel 1874 l'importazione sorpassa di 3,911,000 lire st. la cifra del 1874. D'altra parte, si constata che l'esportazione nel 1874 è infe-riore di 13,158,000 lire st. a quella del 1873. Il cal-colo delle proporzioni dà per il 1874 un aumento di 1. 3 0/0 nell'importazione ed una diminuzione di 6. 1 0/0 nell'esportazione.
La leggera ripresa che si era manifestata nel mo-vimento delle esportazioni ha persistito durante il mese di ottobre, i Si ricordi che alla fine dei primi otto mesi il deficit sulle esportazioni era valutato a 7 0/0; alla fine di settembre corrispondeva ancora a 6.6 0/0; alla fine d'ottobre non è che di soli 6. 1 0/0.
La diminuzione che segnaliamo nelle importazioni del mese di ottobre, sarebbero in parte coperte se, come base d' apprezzamento, si prendessero le quantità e non i valori delle mercanzie ricevute dal Regno Unito du-rante questo periodo.
Infatti, il valore di alcuni prodotti, come le sostanze alimentari, e specialmente i cereali, durante il mese di ottobre 1874, differisce molto da quello che era durante il mese corrispondente dell'anno precedente. In sostanza le quantità di grani importati non sono diminuite che del 16 1 /2 per cento, cioè 3,758,934 quintali inglesi, invece di 4,514,103 quintali; mentre i valori perde-vano 35 per cento, ossia: 1,943,556 lire st. invece di 2,991,031 lire sterline.
Prima di entrare nel dettaglio degli scambi operati durante i primi dieci mesi che fanno il soggetto di questo articolo, segnaleremo la considerevole diminu-zione che ha avuto luogo nell'ottobre nell'importadiminu-zione di seta grezza.
Il Regno Unito che nel! ottobre 1873 aveva com-prato 1,224,300 libbre inglesi di seta grezza per il valore di 1,265,188 lire sterline, nè ha chiesto, nel-l'ottobre 1874, solo 362,163 libbre inglesi il di cui va-lore è di 269,709 lire sterline. Questa diminuzione è così straordinaria che siamo tentati di considerarla come il resultato di uno sbaglio.
Fran-3 dicembre 1874 L' E C O N O M I S T A 853 eia eonta in questa cifra per 3,000,341 lire st. nel 1873
e per 4,280,081 lire st. nel 1874. I nastri di seta e di raso sono egnalmente in progresso; nel 1873 non ar-rivavano che a 1,425,257 lire st. e nel 1874 ammon-tano a 1,802,751 lire st. Le importazioni di legname da costruzione sono state attive. Allo stato bruto ne è giunto nel 1874 per 6,798,404 lire st. contro 5,323,856 lire st. nel 1873. I legnami segati o lavorati figurano nel 1874 per 10,146,985 lire st., mentre nel 1873 non contavano che per 7,883,875 lire st. Le spedizioni della lana sono in leggero aumento: 18,986,200 lire st. con-tro 17,463,486 lire st. nel 1873.
Circa questi aumenti, ecco alcune mercanzie che ac-cusano nell'importazione, nel 1874, una debolezza che in parte bisogna attribuire al ribasso dei prezzi :
1 8 7 3 1 8 7 4 Lire Sterline Lire Sterline
Fromento 22,788,871 22,120,510
Cotone bruto 45,969,886 41,171,931
Zucchero bruto e
raffi-nato 18,285,387 17,030,684 Animali vivi 4,682,792 4,490,753 Caffè 6,629,628 6,353,902 Lardo 1,239,488 796,798 1,934,105 915,281 Sego e stearina . . . . 2,625,732 2,035,850 Vino 6,632,974 5,806,263
sterline nel 1874. I tessuti di lana pura o mista sono sempre in decrescenza: 10,136,735 lire st. nel 1874, contro 12,507,493 nel 1873.
Ci resta a parlare del movimento dei metalli pre-ziosi. L'importazione dell'oro è diminuita nel 1874. Alla fine dei primi dieci mesi essa non è più di 13,414,964 lire st., invece di 16,571,641 lire st. durante il periodo corrispondente del 1873. L'esportazione ha subito un ribasso ancora più considerevole. Essa è caduta da 17,876,628 lire st. nel 1873, a 9,410,882 lire st. nel 1874.
Un leggero aumento si è prodotto nell'importazione dell'argento: il Regno Unito ne ha ricevuto per 10,768,673 lire st. nel 1874 ; invece di 10,414,653 nel 1873. Lo stesso per l'esportazione che ammonta a 9,990,943 lire st. nel 1874, mentre che alla fine di ottobre 1873 non i elevava che a 8,655,162 lire sterline.
IL COMMERCIO DELLA FRANCIA
DURANTE I PRIMI DIECI MESI DEL 1874
Veniamo alla riesportazione delle merci provenienti dall'estero e dalle colonie inglesi. Basta citarne alcuni articoli. Nel 1873 il mercato inglese aveva riesportato lane per il valore di 7,775,083 lire, st.; nel 1874 le riesportazioni di lana raggiunsero la cifra di 9,470,840 lire st. La Francia che aveva comprato per 2,158,245 lire st. di lane nel 1873, ne ha richieste nel 1874 per 4,406,717 lire st. Le risportazioni di cotone che nel 1873 avevano raggiunto solo 5,221,631 lire st., nel 1874 salgono a 5,911,119 lire st. La Germania, l'Olanda e la Francia hanno preso la più gran parte di buesto tes-sile. Le riespedizioni del caffè che erano di 4,910,569 lire st. nel 1873, sono scese nel 1874 a 4,215,760 lire sterline.
In ciò che riguarda le esportazioni dei prodotti diretti del suolo e dell' industria dell' Inghilterra, la si -tuazione è rimasta presso a poco quella che era du-rante i mesi precedenti, tenendo conto tuttavia della leggera ripresa che abbiamo segnalato sul principio di questo articolo.
Per molti prodotti, il ribasso dei prezzi ha conti-nuato a determinare la diminuzione dei valori, allor-ché le quantità restano stazionarie o anche sono in aumento. È così che, quantunque il Regno Unito ha esportato nel 1874, 11,709,957 tonnellate di carbon fos-sile, invece di 10,590,661 nel 1873, i valori del 1874 sono molto inferiori a quelli del 1873, ossia: 10,273,080 lire st. invece di 11,100,354 lire sterline.
Per i ferri e gli acciai, vi è diminuzione tanto sulla quantità che sul valore; questi ultimi ammontano a 26,771,178 lire st., mentre nel 1873 si elevavano a 32,454,112 lire st. Fra gli altri articoli d'esporta-zione i fili di lana continuano a presentare qualche aumento: 4,493,924 lire st. nel 1873, e 4,658,674 lire
Dal mese di luglio prossimo passato in poi si è prodotto, neHe relazioni commerciali della Francia coli'estero, un movimento assai accentuato di ripresa, come abbiamo segnalato nei nostri precedenti rendi-conti. Questo miglioramento è continuato durante il mese di ottobre, almeno per le esportazioni che erano state così poco favorite durante la prima metà del-l'anno.
Il seguente quadro presenta i resultati delle impor-tazioni e delle esporimpor-tazioni della Francia fino al 31 ot-tobre 1874: IMPORTAZIONI Dal 1* gennaio al 30 1873 giugno . . . Fr. 1,611,635,000 Luglio . . . . » Agosto . . . . » Settembre . . . » Ottobre . . . . » Totale dei primi 10
mesi . . . 305,300,000 285,027,000 324,424,000 351,973,000 1874 1,854,524,000 352,195,000 275,052,000 344,552,000 321,703,000 Fr. 2,878,305,000 3,148,026,000 ESPORTAZIONI Dal 1° gennaio al 30 giugno , . . Fr. Luglio . . . . » Agosto . . . . » Settembre . . . » O t t o b r e . . . . » Totale dei primi 10