L'ECONOMISTA
G A Z Z E T T A SETTIMANALE
DEI BANCHIERI, DELLE STRADE FERRATE, DEL COMMERCIO, E DEGLI INTERESSI PRIVATI
A B B O N A M E N T I Un anno L. 35 — Sei mesi 2 0 Tre mesi Un numero 1 Un numoro arretrato 2 —
Gli a b b o n a m e n t i d a t a n o dal I» e dal 15 d'ogni m e s e
GLI ABBONAMENTI E LE INSERZIONI
si ricevonoR O M A FIRENZE
S. Maria in Via, 51 Via del Castellacelo, 6
DAL BANCO D'ANNUNZI COMMISSIONI E RAPPRESENTANZE
I N S E R Z I O N I Avviso per linea.
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L. 1 — ... 100 — ... 60 —
In un bollettino bibliografico si annunzieranno tutti quei libri di cui sarà spedita una copia alla Direzione.
Anno I - Voi. II
Giovedì 17 dicembre 1874
N. 88
SOMMARIO
P a r t e e c o n o m i c a : Dell'importa sui redditi di ricchezza mobile in Italia — Il nuovo Codice d i Commercio — Le Entrate e le Speso dal 1861 al 1875 — Prolusione al corso di Economia Politica, del professor Pinna Ferri — l e Relazioni dei Giurati italiani sulla Esposizione universale di Vienna dei 1873 — La recento opera del senatore Lampertico. P a r t e finanziaria e c o m m e r c i a l e : Rivista finanziaria g e
-nerale — Notizie commerciali — Atti ufficiali — Bollettino bibliografico — Listini dello borse.
G a z z e t t a degli i n t e r e s s i p r i v a t i — E s t r a z i o n i P r o d o t t i s e t t i m a n a l i d e l l e S t r a d e f e r r a t e .
- S i t u a z i o n i delle B a n c h e —
P A R T E ECONOMICA
Della Imposta sui redditi di Ricchezza mobile in Italia
(continuazione e fine, vedi n. 31)Ma gli inconvenienti che dall'attuale impianto di
questa imposta risentono individualmente i singoli
con-tribuenti non sono i soli che abbiamo a lamentare,
poiché a cotesti occorre aggiungere quelli che
attac-cano l'armonia economica della Società ed il
progre-dimento delle industrie più importanti.
Così, ad esempio, la tassazione diretta degli
inte-ressi dei capitali ipotecari, divenuta un onere
piutto-sto reale che personale, non solo ha spostato il carico
dell'imposta, come di sopra abbiamo dimostrato, ma
ha reso sempre più difficili le operazioni di credito
fondiario come quelle che essendo sottoposte alle
pub-bliche formalità del registro e dell'ipoteca non hanno
speranza di sfuggire agli agenti tassatori. Difatti
l'ali-quota del 13 20 per cento, da cui sono colpiti cotesti
interessi, aumenta quasi di un ottavo il frutto del
capitale, e cotesto aggravio unito agli altri delle tasse
di bollo e di registro impedisce vie più lo sviluppo
del credito fondiario con gravissimo danno della
indu-stria agricola, la quale abbisogna di operazioni di
cre-dito a lunghe scadenze e non può adattarsi alle
esi-genze del credito cambiario. D'altra parte i capitali
non potendo più con facilità rivolgersi alla possidenza
territoriale, vera e sicura base del credito, si trovano
naturalmente allettati ed impegnati in arrischiate e
false speculazioni le quali spesso producono profonde
per-turbazioni nell'ordine economico della Società. A
com-provare quanto i capitali siensi ritirati dalle operazioni
ipotecarie dall'epoca dell'attuazione di questa imposta
in Italia, stanno i documenti governativi e
parlamen-tari dai quali rilevasi come i redditi annui dei mutui
con ipoteca da 450 milioni circa, come si calcolavano
nel 1864, fossero ridotti a 280 milioni nel 1867, a 262
nel 1868, ed a soli 198 nel 1870. E sommamente
improvvida può così chiamarsi quella disposizione
con-fermata recentemente dalla legge 14 giugno 1874,
la quale vuole inesorabilmente tassati anche i
micro-scopici interessi dei piccoli capitali depositati
dall'ope-raio nelle Casse di risparmio. Sarebbe qui troppo lungo
il ripetere tutti gli argomenti che possono accamparsi
contro cotesta misura la quale ha negato ogni favore
a quei piccoli depositi che ci rappresentano al più alto
grado lo stato della moralità delle classi operaie, e
che tanto interesserebbe favorire e sollecitare ad ogni
modo. In occasione della discussione della legge ora
citata l'onorevole Codronchi con bellissime ragioni
chiedeva che si esentassero dall'imposta i libretti delle
Casse di risparmio inferiori alle 500 lire; ma la
stra-potente ragione delle necessità dell'Erario prevalse, e
la frase dell'onorevole Mantellini, relatore di cotesta
legge, che laddove si tassa il pane deve tassarsi anche
il risparmio
ebbe fortuna, e fece rigettare la
giudi-ziosa proposta.
con-L' E C O N O M I S T A 17 dicembre 1874
tribuenti denunzianti quanto le stesse Commissioni le
quali, accertando il reddito, riflettono alla tassa che
ne deriva al contribuente e ne rimangono spaventate.
Eppure se gli inconvenienti ed i danni da noi
ac-cennati trovassero il loro contrapposto in nn
inconte-stabile vantaggio dell'erario dello Stato, se coteste
in-novazioni alla legge fondamentale del 1864, benché
gravose ai contribuenti, avessero tutte contribuito al
sollievo delle pubbliche finanze sarebbe forse opera
antipatriottica il farne troppi lamenti; ma noi
cre-diamo che molte di codeste innovazioni sieno state
piuttosto dannose che vantaggiose alla finanza
era-riale. Per quanto possa dirsi che le industrie sono
poco sviluppate fra noi, per quanto possano credersi
basse le mercedi e gli stipendi dei professionisti,
pure è innegabile che se tutti i redditi fossero
sog-getti ad imposta come vorrebbe la giustizia, l'enorme
aliquota del 13, 20 per cento, dovrebbe contribuire a
dar tali resultati da soddisfare ampiamente ai più
esagerati bisogni dello Stato. Ma pure così non è; e
nonostante lo più severe ed odiose misure applicate
per sforzare i redditi a manifestarsi, lo Stato non ha
raggiunto il suo scopo, e vediamo che la massa di
co-testi redditi imponibili invece di aumentare ha
dimi-nuito sensibilmente dal 1864 ad oggi. Anche a questo
proposito i documenti governativi sono pronti a darci
ragione. Nel primo accertamento si ebbero nel Regno
956 milioni di redditi imponibili, senza contare le
pro-vinole venete e romane non ancora ricevute nel
Consor-zio italiano. Si noti che in cotesto accertamento non
potevano figurare i redditi provenienti da titoli al
por-tatore sia del Debito pubblico sia di Società anonime
giacché non è presumibile che cotesti redditi dei quali
era impossibile la constatazione a carico del cittadino
dichiarante potessero figurare nelle schede di
dichia-razione. Ora, dopoché le leggi del 1866 e del 1868,
ebbero sottoposti a tassa, sia per ritenuta che per
ri-valsa, cotesti redditi, era sperabile che la massa
im-ponibile dovesse aumentarsi vistosamente; ma pure
così non fu, tantoché nel 1870, riunite già le
Provin-cie venete al regno italico, si trovò che cotesta massa
non sorpassava i 1000 milioni. Ed oggi, nel 1874,
dopo l'aggregazione delle provinole romane,
nonostan-techè le disposizioni della legge del 1870, abbiano
sottoposti a tassa molti redditi che prima andavano
esenti, nonostante l'aumento dei titoli del Debito
pub-blico, la massa imponibile dei redditi di
riccbezza'mo-bile non varca i 1200 milioni di lire, cosicché è facile
persuadersi una volta come la materia imponibile
sfugga dalle mani degli agenti tassatovi benché siasi
escogitato ogni più ardito modo per scoprirla e
tas-sarla.
Che se si vuole rintracciare la causa da cui
de-riva cotesta diminuzione di redditi, la quale invalida
10 scopo dell'esagerato aumento dall'aliquota, è facile
11 riconoscerla nello stesso attuale meccanismo di
que-sto tributo, ed a nostro credere codesta causa si
rias-| suine nei seguenti motivi: 1° Nella stessa
esagera-| zione del tasso di questa imposta di ricchezza mobile
il quale in primo luogo ha fatto effettivamente
dimi-j nuire i redditi provenienti da capitali ipotecari o
chirografari soggetti a registrazione, ed in secondo
luogo ha consigliato l'occultazione dei redditi
profes-sionali ed industriali alla generalità dei contribuenti
assai più spaventati dalla gravezza dell'imposta pronta
e sicura che dalla minaccia di un'ammenda incerta
e lontana. 2° Nella sostituzione del sistema di quotila
a quello del contingente con la qual misura unita
al-l'altra dell'abolizione delle sovrimposte comunali, si
sono disinteressati affatto gli elementi locali nella
ri-gorosa ricerca della verità, e si è impedito quel
con-trollo pubblico che era possibile quando l'imposta
re-partivasi per contingenti comunali o consorziali. Lo
interessare ciascun contribuente alla veridicità delle
portate degli altri contribuenti del Comune onde
evi-tare a sé stesso un maggior aggravio, era per certo
il provvedimento più idoneo ad ottenere la
manifesta-zione più completa dei redditi tassabili. 3° Dalla
im-possibilità di graduare l'imposta sui redditi professionali
e industriali, derivante dalle disposizioni della legge
del 1866 e dalle successive, le quali disposizioni hanno
voluto che quando si eccede il reddito minimo anche
di una sola lira, debba colpirsi di tassa non già la
somma eccedente ma l'intiero ammontare del reddito.
Di coteste disposizioni la conseguenza naturale è stata
questa, che tutti gli artigiani, bottegai, professionisti
i quali effettivamente godrebbero di un reddito di 800,
900 o 1000 lire, si sforzano di dimostrare che i loro
introiti netti sono inferiori al limite fatale, e le
com-missioni locali di accertamento, sulla considerazione
che codesti cittadini potrebbero sottostare ad un
ag-gravio di 10 o 20 lire, ma che una tassa annua di 40
lire sarebbe per loro insopportabile, si lasciano andare
a tassare il reddito in cifra non imponibile e così tutti
cotesti redditi sfuggono alla tassa. Sta bene che lo
spirito delle leggi e dei regolamenti non permetterebbe
che la considerazione dell'imposta dovesse mai far velo
agli occhi dei commissari incaricati unicamente
del-l'accertamento dei redditi, ma cotesto è moralmente
impossibile di ottenerlo, e le commissioni composte di
concittadini dei reclamanti, sapendo che il Comune è
disinteressato nell'imposta di cui si tratta, e riflettendo
che in conclusione l'esonero di un cittadino dalla tassa,
stante il sistema della quotità, non fa poi carico a
nes-suno in particolare, pospongono naturalmente e senza
cattiva volontà l'interesse dello Stato a quello del
con-tribuente che riconoscono impotente a sostenere il
ca-rico di un'imposta che fosse in rigorosa proporzione
de'suoi redditi.
L' E C O N O M I S T A 899
soddisfa neppure come dovrebbe alle esigenze
del-l' erario perchè sfugge alla. tassa una massa enorme
di redditi che pur dovrebbero contribuire ai bisogni
dello Stato. Sotto ogni aspetto è adunque
desidera-bile una riforma radicale del nostro sistema
tributa-rio non fondiatributa-rio, e le nostre speranze sono
natural-mente rivolte verso quella Commissione governativa
nominata col R. decreto del 6 maggio 1872, dalla
quale, composta com'è di tanti egregi e chiari
finan-zieri, è lecito attendersi qualche cosa di più delle
sòlite leggiere modificazioni che inaspriscono la piaga
senza guarirla.
A noi non spetta suggerire riforme e rimedi ai
mali che si lamentano nell'assetto di questa imposta,
e paghi di aver dimostrato cotesti inconvenienti
at-tendiamo con viva premura l'annunziata riforma. Pur
ci sia lecito di esprimere una nostra opinione qual'è,
che un rimedio radicale a cotesti danni non può
tro-varsi che in un ben ordinato ed ardito sistema di
decentramento per cui gli elementi locali venissero
cointeressati al buon assetto del tributo non
fondia-rio ed all'equa repartizione dei pubblici carichi.
Fin-ché il Governo trascurando di servirsi di cotesti
ele-menti vorrà dirigere con le sue proprie mani qualunque
più piccolo movimento di questa complicata macchina
tributaria, finché vorrà in tutto e per tutto servirsi
di agenti propri ignari il più delle volte delle
con-dizioni dei luoghi nei quali debbono spiegare la loro
attività, è vano lo sperare seri miglioramenti su
que-sta materia. Pare a noi che non sia della natura del
Governo centrale il minuto reparto delle imposte
di-rette fra i singoli contribuenti ; compito vero del
Governo ci pare la repartizione equa e ponderata del
contingente nazionale fra i vari Comuni del Regno,
affidando poi alle rappresentanze locali la repartizione
e la esazione di cotesto contingente comunale ne'modi
e con quei criterii che si credessero più adatti.
E così vorremmo che fosse! Ma all'attuazione di
cotesti nostri desiderii si oppone oggi la natura delle
idee che prevalgono nelle alte sfere governative e
finanziarie, e che si riassumono in una spiegata
dif-fidenza dello Stato verso le amministrazioni locali,
ed iu uno spirito vivissimo di accentramento negato a
parole, ma attuato ad ogni menoma circostanza.
IL NUOVO CODICE DI COMMERCIO
Si presenta in discussione al Senato il nuovo Codice
di commercio, e fra le riforme progettate le più
im-portanti riguardano le società ed il fallimento. Quindi
è opportuno studiare quali sarebbero le migliorie da
introdursi al riguardo nella legislazione.
Da qualche anno in Italia, come all' estero, furono
assai numerosi i fallimenti.
So per alcuni fu causa la crisi finanziaria che
tra-vaglia l'Europa, ed in special modo il nostro paese, se
molti fallimenti furono la dolorosa conseguenza di
ca-taclismi bancarii avvenuti testé in America, a Parigi,
a Vienna, nel Belgio, per molti anche, la vera causa
fu la sconsigliata frenesia dei rapidi guadagni, il giuoco
di borsa, le dolose speculazioni. La voce pubblica dice
a ragione, che il fallire è diventato una speculazione,
un mezzo per arricchire. È una piaga vergognosa, che
si allarga e che bisogna sanare, per l'interesse
del-l' onesto commercio, per decoro del nome italiano. E
vero, oggidì si specula sul fallimento.
Il commerciante tenta il grosso e rapido guadagno,
s'imbarca in speculazioni oltre i suoi mezzi, per aver
capitali che gli mancano ricorre al credito, non nella
prudente misura della sua solvibilità, né assicurato
alla certezza di far fronte ai suoi impegni, ma col
co-modo mezzo delle tratte di favore. Due commercianti
si accordano, e tirano l'uno sull'altro: le loro tratte
sono scontate da altri commercianti di buona fede o
dalle banche. A scadenza non si pagano, ma si
estin-guono con altre tratte, e queste con altre, e così si
continua il giuoco, sino a che V onesto commerciante
ha realizzato i suoi guadagni, o fu perdente nelle sue
sconsigliate speculazioni: allora si stringe il sacco, si
dà il bilancio, e l'enorme passivo accumulato viene a
galla. Si incolpa la sorte del disastro, e si pongono i
creditori nel bivio, o di perdere quasi tutto il loro
cre-dito, o di accettare un concordato, in cui si offre il
cinque o il dieci per cento. I creditori accettano per
forza, si paga loro, quando si paga, il dividendo, e tre
mesi dopo l'onesto concordatario riabilitato, riapre
fon-daco, più ricco, più intraprendente di prima.
Qualche volta il commerciante fugge lasciando
die-tro a sé i debiti, e portando seco la cassa.
Questi sconci succedono perchè la legge che regola
i fallimenti non è abbastanza severa, non tutela
abba-stanza i diritti dei creditori.
La legge attuale (art. 544, Codice commerciale)
sta-bilisce che il fallito entro tre giorni dalla cessazione
dei pagamenti, deve farne la dichiarazione nella
Can-celleria del Tribunale, ed all'art. 546 stabilisce che il
fallimento è dichiarato con sentenza del Tribunale.
Dunque finché il Tribunale non ha pronunciato la sua
sentenza, non vi ha fallimento, e non può ancora dirsi
fallito colui che-ha cessato di fare i suoi pagamenti.
Improprietà di parole usate dall'art. 544 che ha molta
importanza.
L' E C O N O M I S T A 17 dicembre 1874
cose, giacché non deve supporsi che nessuno voglia
di-chiararsi fallito, potendo pagare, quando siano gravi
e serie le conseguenze del fallimento.
Vorremmo dunque, che quando il commerciante
de-posita il bilancio e si dichiara fallito, il presidente del
Tribunale ordinasse, immediatamente, che sia iniziata
la procedura del fallimento, giusta quanto diremo in
appresso, senza uopo di sentenza che lo dichiari.
Quando invece sono creditori del commerciante che
ne chiedono la dichiarazione di fallimento, siccome
può succedere, che questo non possa legalmente
pro-nunziarsi, è necessario che l'autorità giudiziaria
giu-dichi tra i creditori, ed il presunto fallito. E qui vi
ha nella legge una anomalia a danno del preteso
fal-lito. 11 Tribunale pronuncia senza sentire il fallito
(presunto) sulla semplice accusa dei suoi creditori,
senza udire la difesa di lui. Vero è che egli può fare
opposizione, ma, se egli è assente, se lascia trascorrere
il breve termine legale, egli è perduto
irremissibil-mente. Eppure è così vago il criterio su cui la legge
fonda lo stato di fallimento. È in stato di fallimento
il commerciante che cessa di fare i suoi pagamenti
(ar-ticolo 543).
Basta il protesto d'una cambiale? spesso avviene
che un commerciante sia momentaneamente
inabili-litato a pagarla, o vi si rifiuti per giusto motivo, e
la malizia d'un creditore può giovarsene per farlo
fal-lire, per rovinarlo.
La giurisprudenza ha già compreso il difetto della
legge ed interpretò l'art. 543 nel senso che il
pro-testo d'una cambiale non costituisca da solo la
cessa-zione dei pagamenti. Ma intanto quanti fallimenti si
dichiarano sulla sola presentazione d'una cambiale
pro-testata ?
E si sa che, quel commerciante, che con un po'di
tolleranza per parte dei suoi creditori, potrebbe
su-perare una crisi momentanea, e rimettersi, a
vantag-gio degli stessi creditori, preso nell'ingranagvantag-gio del
fallimento, è perduto, se onesto, e perduti, per lo più,
sono gli averi dei suoi creditori.
Dunque noi vorremmo che non possa pronunciarsi
fallimento sull' istanza dei creditori, se non sentito il
presunto fallito o legalmente citato.
Ad assicurare però l'interesse dei creditori da ogni
evento di sottrazione o fuga per parte del preteso
fal-lito, il presidente del Tribunale, a semplice
presenta-zione d'un ricorso di creditori per la dichiarapresenta-zione di
fallimento, dovrebbe immediatamente ordinare il
se-questro di tutto il fondo commerciale di quello, e dei
suoi libri, e ordinare citazione a brevissimo termine del
commerciante sospetto, per decidere in Camera di
Con-siglio se debba o no accogliersi l'istanza pel fallimento.
La legge obbliga il presunto fallito a presentare il
bilancio, e non lo obbliga in pari tempo, a
deposi-sitare i suoi libri, che pure sono l'unico mezzo per
controllare il bilancio, per formare l'attivo e passivo
per riconoscere se vi fu frode, dolo, o disgrazia.
E si lascia che il fallito abbia campo di far
scom-parire i suoi libri, o di correggerli, manipolarli, come
meglio gli conviene, e se egli trafugò i libri, che
potevano accusarlo, se non ne tenne mai alcuno in
spregio del prescritto della legge, gli si lascia il tempo
di evadersi, od anche di tentare un concordato, prima
che l'autorità giudiziaria abbia riconosciuto se il
fallimento non è per caso bancarotta.
Noi vorremmo che il commerciante che si dichiara
da sé fallito, dovesse col bilancio depositare subito i
libri che la legge gì'impone di tenere: se non lo fa,
se non tenne libri, o se li tenne irregolarmente, la
presunzione di dolo, di frode contro di lui è
gravis-sima, e dovrebbe autorizzare l'immediato arresto del
fallito.
Nel caso di istanza dei creditori, il sequestro
im-mediato dei libri e titoli, gioverebbe allo scopo di
impedire sottrazioni od alterazioni di quelle carte,
che sole possano portare la luce sullo stato del
fal-limento: anche qui, in caso di mancanza, o di
irre-golare tenuta dei libri, arresto immediato. Questa
misura energica, obbligherebbe i commercianti a
te-nere in piena regola i loro libri, cosa che oggidì ben
pochi fanno, con danno proprio, e più del pubblico.
Dichiarato il fallimento sull'istanza dei creditori,
o accolta l'istanza dello stesso fallito, è necessaria
la massima sollecitudine, sia per impedire che il
fal-lito sottragga l'attivo del fallimento, o scompigli il
passivo, sia per impedire che abbia un'interruzione
il commercio del fallito, o si deteriorino le merci del
suo negozio, sia per risparmio di spese.
Le formalità che la legge attuale impone, fanno
sprecar troppo tempo e troppo danaro. Dapprima
sen-tenza che pronuncia il fallimento, e nomina i sindaci
provvisori, apposizione dei sigilli sul negozio del
fal-lito, convocazione dei creditori per la nomina dei
sin-daci definitivi: intanto trascorrono 15 o 20 giorni
sentenza che nomina i sindaci definitivi, verifica dei
crediti, e trascorrono mesi. Intanto il commercio del
fallito è interrotto, arenato, le pigioni, le spese
privi-legiate crescono ogni giorno, il fallito e la sua
fami-glia sono a carico della massa, le spese giudiciali
aumentano rapidamente. La legge vuole, che siano i
creditori stessi, che amministrino il patrimonio del
fallito, coll'opera d'uno o più di essi, nominati sindaci,
sotto la sorveglianza d'un giudice delegato. Ottima
idea, che alla pratica, perde il suo effetto. Quasi
sempre i sindaci sono i creditori maggiori, e
l'adu-nanza di questi per lo più se li lascia imporre. In
quasi tutte le curie vi sono avvocati e procuratori,
che hanno il monopolio dei fallimenti.
L' E C O N O M I S T A 901
dieci chi fa tutto è illegale, e non il sindaco
commer-ciante. Spesso avviene, che questi legulei diano la
caccia ai fallimenti, li procurino, li preparino, onde
avere una copiosa fonte di guadagno. Avuta in mano
la procedura del fallimento, con cavilli legali, con
artifizi, moltiplicano le liti, gl'incombenti,
nell'inte-resse, ben inteso, della massa dei creditori, i quali,
in fin del salmo, trovano, che buona parte dell'attivo
fu assorbito dalle spese giudiciali. Qualche volta l'abuso
è più grave: il consulente del sindaco si accorda col
rappresentante del fallito, e fra essi si manipola un
buon dividendo pel creditore sindaco, ed un
conve-niente concordato pel fallito; è così facile cosa far
comparire agli occhi degli altri creditori, che non
hanno mezzo alcuno di sorveglianza, un enorme
pas-sivo ed un tenue attivo, ingannando così la buona
fede del giudice delegato, il quale non può far altro
che sorvegliare.
Questo sistema, fonte di molti abusi, è troppo
di-fettoso.
Noi vorremmo che, appena pronunciato il
falli-mento, non si nominassero sindaci provvisori, ma che
il giudice delegato provvedesse esso alle prime ed
ur-genti disposizioni, nell'interesse della massa, come
ap-posizione dei sigilli, inventario, convocazione dei
cre-ditori, gestione provvisoria del commercio del fallito,
coll'opera di un economo nominando, formazione del
bilancio, verifica dei libri e delle carte del fallito,
coll'opera d'un liquidatore: che l'adunanza dei
credi-tori nominasse uno o due sindaci per rappresentarli
in giudicio, e scegliesse anch'essa nel ceto legale il
procuratore od avvocato, che deve rappresentare il
sindaco, e coadiuvarlo nell'amministrazione del
falli-mento e nelle questioni di diritto.
Vorremmo che la legge dichiarasse esplicitamente
responsabile il sindaco del suo operato, per ogni colpa
e grave imprudenza, mentre oggidì tale
responsabi-lità non è che di nome, e molto elastica.
Il sindaco ha in mano l'attivo del fallimento, ma
mentre la legge è molto mite, quanto alla
responsa-bilità di lui, d'altra parte lo incaglia nella sua
ge-stione, imponendogli troppe formalità. La gestione d'un
commercio vuol essere semplice, spedita, libera: oggi
può nascere un'occasione favorevole, che, non afferrata
tosto, svanisce.
Il sindaco non può estrarre dai sigilli le cose
sog-gette a deterioramento, e quelle che servono al
com-mercio del fallito, nè venderle, nè ritirare i libri di
commercio, o gli effetti di portafoglio a breve
sca-denza, nè rimovere i sigilli e fare l'inventario, nè
ri-scuotere i crediti, nè transigere, senza autorizzazione
del giudice delegato; ad ogni atto che voglia
com-piere, occorre un decreto speciale, quindi spreco di
tempo e di danaro.
Dal momento che il sindaco ha la fiducia della
massa dei creditori, gli si deve lasciare libertà d'azione,
libertà di fare ciò che crede utile nell'interesse della
massa ; il giudice delegato potrà e dovrà sorvegliare
la gestione del sindaco, ma senza formalità, apponendo
solo il suo consenso o dissenso alla richiesta scritta,
che, per ogni atto necessario, gli faccia il sindaco ;
nel caso di contrasto fra sindaco e giudice, decida il
tribunale in camera di consiglio con semplice
or-dinanza.
Ma per tutelare anche l'interesse del fallito,
vor-remmo che questi, dovesse sempre nominarsi un
rap-presentante, o gli venisse deputato d'ufficio dal
tri-bunale, onde possa sorvegliare la gestione del sindaco,
senz' altro diritto che di reclamare contro gli atti di
questi, al giudice delegato, il quale, decida senz'altro,
in caso di conflitto, salvo appello al tribunale in
ca-mera di consiglio.
Il fatto più importante del fallimento è la verifica
dei crediti.
Questa si fa dai sindaci, in presenza del giudice
•delegato, mediante iscrizione in un verbale redatto
dal cancelliere. Consumo enorme di carta bollata !
Se-gnaliamo un inconveniente: la legge vuole che i creditori
ed il fallito possano contraddire alle verifiche fatte o
da farsi. Ma come può farsi ciò, se la legge non ne
dà il mezzo, se i titoli dei creditori, per lo più, non
si presentano che il giorno dell'adunanza, e non sono
veduti che dai sindaci? A nostro avviso dovrebbe
sta-bilirsi che nessun creditore possa essere ammesso al
passivo, se non ha preventivamente depositato alla
can-celleria del tribunale i suoi titpli e la sua domanda,
onde tutti gl'interessati possano prenderne visione,
come si usa nei giudizi di graduazione. Vorremmo che
per economia, i verbali di verifica dei crediti, fossero
redatti su carta bollata di poco costo, e così
portas-sero non solo la cifra del credito, ma la descrizione
del titolo, e nel caso di fatture, queste facessero parte
e fossero unite alla domanda e ritirate con questa dal
cancelliere.
La legge (art. 607) impone ai creditori verificati,
di giurare la realtà del loro credito. Inutile
forma-lità, quasi mai attuata; inutile, perchè, dal momento
in cui il credito è ammesso, il creditore ha la prova
della realtà di esso, e non dov'essere obbligato a
con-fermarlo con una solennità, che oggidì, a molti
ripu-gna, e che, per i disonesti, è vana ed effimera.
A che giova il giuramento, se anche i creditori,
che non hanno giurato, hanno diritto ad essere
pa-gati nella misura del concordato, e ad ottenere la
loro quota nel riparto dell'attivo del fallimento?
im-portanza, per chi sa come si fanno i concordati, per
chi sa come una maggioranza artificiale, e
artificio-samente procurata, imponga spesso la sua volontà alla
minoranza. Ed in questa materia, la legge, a nostro
avviso, ha gravi difetti, i quali sono tutti a danno dei
creditori, e favoriscono il fallito di malafede. Il
con-cordato è diventato il salvacondotto di troppe
ciur-merie, perchè non sia in esso qualcosa di anormale
che deve cessare. In un prossimo numero lo
esami-neremo minutamente.
Le Entrate e le Spese dal 1861 al 1815
Nella relazione presentata alla Camera dei De-putati nella tornata del 7 dicembre 1874 dall'ono-revole Mantellini, relatore della sotto commissione del bilancio sullo stato di prima previsione dell'en-trata per l'anno 1875, si trovano allegati due
pro-spetti che meritano di essere esaminati. t
Il primo prospetto rappresenta gl'introiti durante l'esercizio dei bilanci dello Stato dal 1861 al 1875, ed il secondo i pagamenti del periodo stesso. Già l'onorevole Morpurgo nel suo accurato studio sulle finanze italiane inserito nella seconda edizione del-l'Italia Economica nel 1873 aveva pubblicato un prospetto complessivo delle entrate e delle spese dal 1862 al 1873, e le cifre ivi indicate per quegli anni trovano un riscontro quasi identico in quelle degli allegati suddetti, i quali oltre a contenere le notizie relative al 1861 ci presentano pure le en-trate e le spese, in parte accertate e in parte pre-sunte, per gli anni 1874 e 1875.
Le tabelle poste a corredo della relazione Man-tellini hanno quindi anche il merito di abbracciare un periodo di 15 anni, che ha principio con la c o -stituzione del nuovo regno d'Italia, e riescono perciò preziose, come osserva l'onorevole relatore, per la cognizione della nostra finanza pubblica, in quanto bastano a dissipare molte illusioni, come anche non pochi sconforti.
Ecco le cifre che riassumono in milioni di lire gli introiti e i pagamenti tanto ordinari che straor-dinari durante gli anni 1861-1875.
Anni
1861
Entrate
(milioni d,i lire)
955,5 Spese [milioni di lire) 812,3 1862 572,2 926,3 1863 1,030,6 899,3 1864 1,024,1 1,034, 7 1865 1,244,0 1,069, 3 1866 1,183,8 1,242,6 1867 923,1 1,139,7 1868 1,100,6 1,192, 6 1869 1,141,2 1,151,5 1870 879,5 1,021,9 1871 1,193,5 1,277,7 1872 2,086,5 1,366, 9 1873 1,340, 7 1,384,6 1874 1,364,1 1,540, 8 1875 1,267,3 1,321,4 Potale . 17,306,7 17,381,6
Da queste cifre risulta che l'entrate complessive, cioè ordinarie e straordinarie, erano nel 1861 di 955 milioni di lire, mentre pel 1875 si presagiscono in 1267 milioni. All'inverso, da una spesa di 812 mi-lioni del 1861 siamo a 1,321 mimi-lioni nel 1875.
Prima però di fare alcuna considerazione sopra questi risultati generali, crediamo opportuno di se-parare la parte ordinaria da quella straordinaria tanto delle entrate, come delle spese. Ecco pertanto le cifre dell'entrate risultanti dagli introiti ordi-nari e straordiordi-nari durante l'esercizio dei bilanci dal 1861 al 1875.
Entrate
ANNI ORDINARIE STRAORDINARIE TOTALE (milioni di lire) 1861 458,3 497,2 955,5 1862 471,2 101,0 572, 2 1863 511,8 518,8 1,030,6 1864 565,3 458,8 1,024,1 1865 637,2 606,8 1,244, 0 1866 608,8 575, 0 1,183,8 1867 784,3 138,8 923,1 1868 726,5 374,1 1,100,6 1869 882, 1 259,1 1,141,2 1870 801,3 78,2 879,5 1871 1,016,0 177,5 1,193, 5 1872 1,158,3 928,2 2,086, 5 1873 1,180, 6 160,1 1,340,7 1874 1,186,4 177,7 1,364, 1 1875 1,191,7 75,6 1,267, 3 Totale 12,1798 5,126, 9 17,306, 7
Le spese ordinarie e straordinarie risultanti dai agamenti presentano invece, pel periodo suddetto,
seguenti cifre :
Spese
rap-L' E C O N O M I S T A presentano gli aiuti eccezionali e più costosi onde
le finanze dello Stato hanno dovuto giovarsi per sodisfare ai propri bisogni. Infatti l'entrate straor-dinarie che nel 1861 ascesero a 497 milioni di lire, superando così quelle ordinarie, aumentarono fino al 1866, e negli anni successivi andarono gradata-mente diminuendo da essere previste soltanto in 75 milioni pel 1875. E perciò che riguarda la cifra di 928 milioni, indicati per l'entrate straordinarie del 1872, èvda osservarsi che in essa sono compresi
790 milioni di lire del mutuo della Banca Nazio-nale pel corso forzoso.
Le spese ordinarie andarono esse pure aumentando; da 605 milioni di lire nel 1861 sono previste in 1,224 milioni pel 1875. All'incontro le spese straordinarie, che ammontarono a 207 milioni nel 1861 e che rag-I giunsero i 450 milioni nel 1866, a causa della guerra
con l'Austria, sono previste soltanto in 96 milioni pel 1875.
Merita poi di essere osservato che dal 1861 al 1875 l'entrate ordinarie presentano un aumento di 733 milioni di lire, mentre le spese, parimenti or-dinarie, danno nel periodo stesso un aumento di 619 milioni.
I prospetti annessi alla relazione dell'onor. Man-tellini presentano altri dati meritevoli di conside-razione e di studi particolari; ma per oggi ci limi-teremo a far rilevare che da essi resulta altresì che le spese intangibili del 1861 si muovono con 200 milioni per giungere a quasi 726 nel 1875; che le spese dell'amministrazione civile da 236 milioni del 1861 non salgano che a 343 nel 1875, mentre le mi-litari da 275 nel 1861 scendono a 222 milioni nel 1875.
PROLUSIONE AL CORSO DI ECONOMIA POLITICA
LETTA NELLA R. UNIVERSITÀ DI SASSARII teoromi die guidano alla riixher.ua, 1011 le etesee strade che guidano alla libertà
(PKCCHIO, Storili dell1 Ecoìiomia Politica in Italia)
Questa sentenza, giusto concetto di mente italiana educata alla vita economica in Inghilterra, mi sembra opportunissimo ricordare a giovani italiani studiosi della pubblica economia, ora che negli studii economici mo-stra volersi allargare in Italia la svogliatezza di li-bertà, cosa che avviene a moltissimi uomini in tutto quanto li abbia per qualche tempo saziati. Non capirà forse nell'angusta mente d'una povera mediocrità il gran concetto, ma non so trovare altra ragione non vituperevole che spinga segnalati cultori della pub-blica economia a voler ridestare vecchie guerre alla libertà, se non per sbandirla almeno per circoscriverla, magnificando l'autorità di coloro i quali, a progredir in altre, rimasero dietro in questa via. La vera libertà non ha eccessi, come non ne può avere la verità, e poiché una parte di voi, carissimi giovani, mi ha già veduto combattere sotto questa bandiera e gli altri mi vedranno, per ciò mi è gran bisogno destinar le prime parole di questo Corso a respingere ogni equi-voco che mantener si voglia nel nome della libertà, mirando in segreto a conculcarla.
Non è facile, so bene, nemmeno svelare l'opera d'in-gegni peregrini e dottissimi maestri che in oggi si sono dati a coltivare una pianta esotica di pseudolibertà; tuttavia l'abitudine d'attenermi ai fatti naturali, sebben con metodo che non si appella storico, mi suggerisce di porgere i miei pochi colpi alla radice, certo che sarà mia debolezza se la nociva pianta non cadrà.
Se io riuscirò a dimostrare l'autorevole sentenza del Pecchie, e più chiaramente se farò evidente che la scienza dell'economia pubblica non può restringere la libertà naturale senza distruggere sé stessa, voi por-terete fuori di qui la convinzione ferma ed invincibile
che l'economista non trova eccessi nella libertà, se non qnnndo cessa la libertà stessa nell'illegittimità del-l'arbitrio: e perciò nessun potere umano le sta sopra né le giova, tranne a rimuovere gli ostacoli ohe l'ar-bitrio illegittimo ponga al di lei sviluppo.
Molti di voi lo sanno, e lo dico avanti tutto ai nuovi alunni, che in economia non vi ha punto d'artifìziale, di fittizio, di oltre naturale; l'uomo e la natura mate-riale nella vera loro essenza e non altro. Ha sbagliato ogni filosofo clie abbia voluto creare nelle sue inda-gini stati chimerici o comunque nuovi ; la verità è nel fatto, o nell'affermazione del fatto, o nella deduzione della ragion del fatto, non in altro: sempre in quello che è nell'ordine della creazione. L'economista sarebbe più cieco d'ogni altro quando violentasse ed alterasse una anche minima parte di quell'ordine, sul quale non possono non cadere ed armonicamente collegarsi tutte le discipline scientifiche. A men d'essere tra quei miopi, i quali non sanno vedere nell'economia una scienza, supponendola un ramo della politica collo scopo di riunire la ricchezza a vantaggio d'uno stato: se non ragioniamo di loro, gli è certo che l'economista, come ogni altro scienziato, trova l'oggetto dei suoi veri nell'ordine dei fenomeni naturali, separandosi poscia da ogni altro ciclo scientifico pel diverso rispetto sotto cui li verifica, il rispetto dell' economicità, vale a dire della relazione che lega l'uomo intelligenza e volontà alla natura esterna, in quanto quello agisce libera-mente su questa a soddisfazione dei bisogni umani; chiarissima ragione perchè l'economia, legge di famiglia o meglio dell'uomo che produce e quasi crea non sia nazionale d'alcun popolo nò d'alcuno stato, sebbene di tutta la famiglia umana, con esclusione d'artifizi locali ancorché atti ad accumular ricchezze spostandole.
La spontaneità introdotta come elemento essenziale nel concetto di economicità può a moltissimi sembrare, cosa strana, però non mi si potrà ricusare come primo momento caratteristico del rapporto che il principio intelligente e valente ha colla materia, senza del quale nulla vi sarebbe di umano e nulla conseguentemente di economico, non potendo giustamente dirsi legge economica la legge del minimo mezzo, se non in quanto vi si conforma scientemente l'uomo nello stesso modo che si conforma alle altre forze della natura dirigen-dole, non alterandole.
eoa-904 17 dicembre 1874 zione, e nell'ordine del perfezionamento degli esseri
è atto morale, incapace di coazione, così nell'ordine della miglior soddisfazione dei bisogni umani è atto economico, parimenti incapace di coazione; vuole dire, che ogni fenomeno naturale vien dall'uomo convertito in fenomeno economico quando egli liberamente vi si rivolge per farlo servire alla soddisfazione dei suoi bisogni. Da ciò una prima conseguenza, conforme alla sentenza del Pecchio, che l'essenza dell'economia è nella libertà istessa, e non sono compatibili colla scienza economica quelle scuole che vogliono nell'economia come nel diritto sostituire l'incerto criterio storico al-l'invariabile ed incoercibile forza della libertà, per mezzo della quale si esplica la personalità umana.
Emanano da questa prima conseguenza altre più chiare ad illustrazione del nostro assunto, se ci addentriamo tantino nelle prime indagini e fondamentali assiomi della scienza, a molti di voi già noti, ed anche pei nuovi alunni facilmente comprensibile, l'enunciazione.
L'economia non sarebbe scienza perfetta e positiva se non consistesse in un ordine di verità dipendenti da una suprema verità evidente come fatto di natura.
Lungi dal credere che l'uomo crei, non essendo il trarre dal nulla un concetto razionale, porremo l'evi-denza del fatto splendente di continuo agli occhi nostri, la necessità che l'uomo tragga dalla natura tutto quanto abbisogna alla sua conservazione ed al suo sviluppo. Nell'indispensabilità d'un mezzo qualunque sceglierà evidentemente il più semplice, quello che non lo di-sturba, che meno fastidisce la sua esistenza ; contradice il supporre adattabile un mezzo che ne peggiori lo stato, arrecando maggior dolore di quello che già soffre o che sia per succedere. Ciò conferma che anche l'uomo attua la legge del minimo mezzo, ma innalzata per tra-passare dall'ordine fisico all'economico, alla dignità di forza direttiva d'un essere intelligente e libero, che ne sia il soggetto, vai quanto dire convertita in regola di scelta fra due dolori mezzo necessario a due beni gli uni e gli altri sentiti, concepiti anche dall' intelligenza ; in legge di libertà insomma, la quale, come modo ne-cessario d'esplicazione alla personalità, si palesa es-senzialmente individuale, senza limiti assegnabili al pa-rallelismo delle singole libertà fuori gli o r a c o l i ; onde, tal quale si genera da essa la verità prima il princi-pio supremo della scienza economica così formulato: — L'uomo agisce sempre quando il dolore del suo sforzo sia minore del dolore del bisogno.— Agisce, ben s'in-tende, in conformità alla sua natura, per cui questa stessa legge, non limitabile da alcun potere umano en tro l'armonico sviluppo delle individualità, imprime l'alto suo carattere, provoca essa stessa e regola con-tinuamente il lavoro umano, per poi tradursi in criterio dei valori nel merito e nel cambio delle utilità rese effettive.
Tutto questo della libertà allo stato di facoltà del-l'uomo, fatto anche questo, però fatto di natura, fon-damento perciò indiscutibile ai teoremi della scienza economica che guida alla ricchezza, e non tanto affine al diritto quanto alla moralità, colla quale fu difatti per poco accorgimento confusa. Ma nel mondo econo-mico spicca qualche cosa di separato, almeno apparen-temente, da questa facoltà che si ha il vezzo di dir I
sempre morale: e questa cosa sono le libertà econo-miche, le quali costituiscono un' entità distinta ideal-mente, che poi si concretizza, quasi fosse la personifi-cazione di ciò che si può fare nel campo economico ad esplicazione di quella naturale facoltà, indi si riparte in diversi gruppi d'operazione.
Nel rigore del processo scientifico è chiaro che il sistema delle verità insieme collegate, costituenti l'or-dine economico, esclude il dubbio e la contingenza. Solamente ciò che è, vale a dire ciò che sta in natura, si presenta alla ragione umana col potere d' acquie-tarla e, se nulla è, la verità non esiste, se tutto può divenire, ogni osservazione è vana, ogni legge impos-sibile, ogni criterio del passato perfettamente nullo.
Per contro nel processo con cui si svolgono le li-bertà economiche entra la contingenza degli ostacoli a traverso ai quali 1' uomo agisce, visibili nelle storie perchè sempre vecchi, non determinabili preventiva-mente perchè sempre nuovi in ogni produzione, al che corrisponde per avventura la continuità d'un'azione ri-motrice dei medesimi, la quale s'incammina col cri-terio del passato nelle emergenze presenti, come può l'azione d'un potere costituito dagli uomini; azione b e -nefica che l'economista vede necessariamente esistente, ma, a determinare quali caratteri scientifici la distin-guono viene il sussidio d'un'altra scienza. Appartiene questo, se ben si guarda, non all'economia, che appunto per la prevalenza di questa parte inesattamente aggiun-tagli fu detta economia politica, sibbene alla scienza della politica propriamente detta, che rispetto all' eco-nomia sarebbe politica economica, come sarebbe, senza punto mutar natura, politica giuridica rispetto al di-ritto, morale e religiosa rispetto alla moralità ed alla religione.
Due specie di fatti quindi sono a distinguersi dal-l'economista come da tutti gli altri scienziati. I fatti della natura pei quali si adempie alle imperturbabili leggi naturali ed i fatti storici consistenti negli avve-nimenti che accompagnano nel tempo e nello spazio quell'adempimento.
emer-L' E C O N O M I S T A 905 gono da un naturai modo di essere, dall'eventuale
rap-porto tra 1' io e le esistenze circostanti ; onde denno errare quelle scuole intente a sostituire regole d'uomini, criterii di storiche induzioni alla legge assoluta di li-bertà, la quale nel variar d'ogni stato di cose e d'ogni relazione guida da sola le azioni umane, e conseguen-temente genera-il movimento economico a traverso gli ostacoli naturali e sociali.
A veder meglio ancora fermiamoci in ultimo sugli essenziali teoremi del lavoro — del valore — del cam-bio, fondamento a tutti gli altri sulla formazione e svi-luppo delle ricchezze, a cui corrispondono le due prin-cipali libertà economiche, lavoro libero e libero scam-bio. li riconoscimento nel modo sovradetto dei fatti della natura pone allo stato d'acquiescenza dell'intel-letto, al grado di evidenza, questa che io vi espongo unica indole del lavoro, « movimento degli organi umani concepito dall' intelligenza e deliberato dalla volontà come mezzo minimo di sofferenza necessario a far ces-sare un altro dolore, bisogno inerente alla natura del-l' agente stesso. »
Fuori di questi termini, lo abbiamo accennato, l'uomo non eserciterà il suo movimento, ed ove fosse corpo-rale soltanto o forzato non sarebbe più movimento del-l'uomo, sibbene d'una macchina, come può dirsi quello degli schiavi, dei mentecatti, quasi sempre quello dei condannati ed anche quello, parmi, dei fanciulli, og-getto d'infame abuso: lavori che l'economia, non ca-lunniata, ricusa, lasciando come campo altrui il repri-mere l'immoralità ed il reato.
Per questo è a ritenersi verità della scienza econo-mica che il lavoro, senza del quale l'uomo non può conservarsi e tanto meno svilupparsi, non possa essere altrimenti che una naturale esplicazione della libertà umana nel ricercare la soddisfazione dei bisogni del-l' uomo : esplicazione la quale non può menarsi nò cir-coscriversi senza deformarla, senza perturbare in con-seguenza l'ordine della creazione. Ogni norma, ogni criterio si riduce alla determinazione della libertà in-dividuale, ed ecco quello che conduce 1' uomo a pro-durre, a far la ricchezza, altrimenti malissimo, pochis-simo, o nulla farebbe.
Il corso poi degli avvenimenti, che nel tempo e nello spazio accompagnano questa esplicazione, la pongono, nel concreto, in quella forma che è consentanea alle condizioni speciali di quel momento attuativo, ed ecco appunto la indole delle libertà economiche; questo, non altro, è il lavoro libero il quale, ciò posto, ben altro che una ereazione dell'idealismo dimentico dei fatti è una realtà nascente dai naturali rapporti, assurda conse-guentemente volerla opera d'un criterio da imporsi alla libertà individuale, basandolo sulle storiche induzioni. Non è diversamente del valore e del cambio. Rispetto al primo il riconoscimento dei fatti di natura rivela che 1' uomo stima le cose a causa dell' utilità che presen-tano e dello sforzo col quale la si pone effettivamente in stato di soddisfare i bisogni, e solamente allora l'uomo è spinto irresistibilmente al lavoro, quando il dolore del suo movimento sia minore di quello che gli infligge la mancanza dell'oggetto utile; quindi sta anche in natura che vale la pena del lavoro quella utilità che può estinguere una pena maggiore (maggior sofferenza)
che prema l'uomo, il bisogno. Ora, le verità della scienza economica si fondano su tai fatti ad affermare che la libertà individuale si svolge determinandosi al lavoro dietro il giudizio dell'intelligenza, che riconosce la mi-noranza del dolore lavoro sul dolore bisogno, ed il va-lore delle cose è costituito da quella stessa legge della libertà individuale per cui l'uomo elegge la minor sof-ferenza del travaglio che gli vale la pena d'affrontare dinnanzi all'altra maggiore del bisogno altrimenti non schivabile.
E rispetto al secondo, lo stesso riconoscimento dei fatti stanti in natura rivela che l'uomo ha un mezzo di rendere minore la sofferenza del travaglio, esercitan-dosi in quella specie più conforme alla sua attitudine, mercè allo scambio da farsi con altri uomini dell'utile reso effettivo col proprio abituale travaglio in modo da ottenerne tali altre utilità abbisognevoli, per tante parti che dà dell'utilità resa effettiva dal suo lavoro, col quale non potrebbe egli stesso quelle ottenere. Ora le verità corrispondenti nel sistema scientifico a questi fatti sono che la stessa legge di libertà individuale, la quale determina al lavoro di cui è meritevole (vai la pena) una data utilità, essa sola determina allo scambio immancabilmente sempre quando ne resti diminuito quello sforzo dall'abituale travaglio altrui e si riduca alla minor sofferenza, che valga la pena di soffrire in confronto ad altra maggiore, altrimenti non schivabile. Insomma, valore e cambio nel sistema delle verità eco-nomiche non sono essenzialmente che una traduzione in forma applicativa della legge di libertà ridetta.
Il corso d'altronde degli avvenimenti che nel tempo e nello spazio accompagnano siffatte applicazioni, dà luogo alle innumerevoli contingenze nelle quali ponno versare i valori e gli scambi, senza che ne sorga re-gola alcuna nè contraddittoria nè diversa, neppure quella poco rigorosa del lasciar fare e lasciar passare se non si riduce a concetto pratico di libertà dell'individuo in società, ed a parte ogni caso di violenza, ne nasce la libertà economica del libero scambio.
d'in-17 dicembre 1874 teressi per emanare un responso che muterà forse quella
produzione in consumazione improduttiva: niente più di ciò si chiede all'autorità chiedendo il lavoro per gli operai che non ne abbiano, e si osa oggi additare queste posto al potere dello stato.
Il posto che il potere sociale può occupare vera-mente ed esclusivavera-mente nel campo economico, è quello d'un cooperatore nella produzione, non di uno che possa ingerirvisi in tutto. Senza confondersi la cooperazione del potere sociale colla essenziale sua missione di ri-muovere gli ostacoli, è chiara in ogni produzione l'azione continua d'un capitale dello stato conferito dai citta-dini principalmente, pel mantenimento della sicurezza nella produzione, e al di fuori e per ogni altra simile cooperazione o motivo della quale proporzionatamente partecipa nel riparto delle ricchezze prodotte entro lo stato. In. questa delimitazione non mi sembra d'aver reso da meno l'alta missione dal potere sociale.
Inviolabile pertanto sia all'economista la bandiera della libertà idealizzata dal Peccliio che a tutta ragione scriveva: « I teoremi che guidano alla ricchezza sono le stesse strade che guidano alla libertà. » E terza con-seguenza, resa evidente col mio ragionamento, sia quella di doversi combattere unanimamente quelle false scuole, le quali formandosi a lor modo una libertà individuale capace di sviluppo diverso da quello della legge natu-rale da noi avanti riconosciuta, la fanno ancella d'una autorità che si personifica da taluni, per un verso, in una uguaglianza estranaturale, incompatibile coll'ordine e col potere sociale; e da taluni altri, per altro verso, in un alto indirizzo esercitato dallo stesso potere pel quale anche la legge di libertà naturale sia guidata da esso secondo il criterio delle storiche induzioni.
Sono questi i due estremi che reagiscono al presente nelle basi moderne dello costituzioni degli stati, e sono passati, io credo, al campo economico non per altro se non per confusione che fanno le due scuole estreme della politica con una parte dell'economia pubblica, mossi eziandio molti dalla debolezza umana d' ambire al merito di spingere oltre la scienza, cosa in economia poco facile, ma certo non impossibile, stando anche nella progredita scuola di libertà, ohe, ad onta dell'illi-mitazione del progresso umano, si è giudicata esaurita. Esaurita senza consentirle l'estensione pacificamente ri-conosciuta come quando si fa ricorso all'istruzione ob-bligatoria, senza tentar mai la prova dell'insegnamento libero ben compreso e tenuto in onoranza.
Se vero è quanto vi ho detto, miei signori, prima di terminare, non per altro che pel facile passaggio, sia lecito anche a me di varcare i limiti dell'economia pubblica ed entrare nella politica.
Guardando in alto, dove la ragion di stato turba la calma scientifica per dominio di correnti straniere mi sento sinceramente, da forte bisogno d'onesto uomo e di buon patriotta, caratteri facilmente acquisibili da chiunque, non malvagio, studi l'economia pubblica, tratto a scongiurare gl'italiani a fine di non ricercare nella tutela sociale la prosperità nostra, perchè di tutela si
è mai sempre gravato il Genio Italiano. % Se abbiamo al presente da imitare le cause di
pro-sperità d'Inghilterra e di Germania, cerchiamo l'ele-mento che ne ha sempre mancalo. Si promova
l'indi-vidualismo naturale alla Germania, non la tutela del suo governo, che se serve forse colà a temperare, spinge anche ad opprimere perfino in religione. Si segua la stabilità e l'arditezza inglese non l'egoismo politico, le necessità di governo per temporaneo rimedio ad antiche malattie economiche.
Rimanga meglio il potere Sociale in Italia col c a -rattere italiano tanto felicemente iniziato dalla più schieri a personificazione del suo genio, il regno della libertà mantenuta dal Re galantuomo Vittorio Emanuele II.
Sassari 18 novembre 1874.
G. PINNAFERRX, prof, straordinario.
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LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI
sulla Esposizione universale di Vienna del 1873L ' I N D U S T R I A M I N E R A R I A I N I T A L I A f1)
Combustìbili fossili — Zolfo — Saline — Ac.ido borico — Prodotti chimici — Gas luce — Alarmi ec.
In Italia il terreno carbonifero è poco esteso. Le Alpi Graje contengono nondimeno nel versante italiano alcuni stati di antracite, che i geologi moderni vogliono di epoca carbonifera, e vi è anche uno strato che ritiensi di litantrace a Cludinico nell'estremo confine del regno, verso la Carinzia. Vi sono altre regioni in Italia ap-partenenti alla formazione carbonifera, ma prive affatto di litantrace o con poco di siffatto combustibile e di qua-lità scadente Quindi dobbiamo importarne per provve-dere ai bisogni delle nostre industrie manufattrici. La importazione di litantrace è andata crescendo collo svi-luppo di queste e nel 1872 salì a 1,037,409 tonnellate, pel valore di L 51,870,450, di cui siamo tributarli in gran parte all' Inghilterra.
Abbiamo giaciture di lignite, la cui coltivazione va progredendo, quantunque lentamente, subordinata come è alla necessità del consumo in località vicine. L ' i m -piego delle forze idrauliche facile per la configurazione della penisola fa sì che le nostre industrie richiedano minor combustibile.
Le antraciti si coltivano nella valle di Aosta. L'an-tracite della Thuile è eguale a quella che escavasi in Savoia; contiene generalmente da 21 a 23 per cento di ceneri. L'uso è limitato al riscaldamento domestico e alla cottura della calce. L'escavazione annua salì nel 1872 a 2000 tonnellate pel valore di L. 20,000 proce-denti dalle tre sole miniere finora esercitate.
Quando sarà esercitata la ferrovia della Pontebba si potrà dar vita alla miniera di litantrace situata a 70 chilometri da Udine lungo la strada che unisce Rigo-lato con Tolmezzo e che promette un esteso svolgimento. Nel Trentino in prossimità di Mori esiste uno strato di carbone interposto fra banchi calcari, che i geologi ascrivono al Giurese, ma il combustibile giace quasi orizzontale fra rocce compatte, per cui fallirono econo-micamente i tentativi fatti per trarne partito.
Molto più importanti sono le giaciture di combusti-bili fossili dell'epoca terziaria.
I più importanti fra i giacimenti di lignite dall'aspetto piceo, i quali sono rinchiusi nell'eocene e nel miocene
L' E C O N O M I S T A 907 si trovano in Toscana. La lignite picea di Monte Massi
e Tatti lia la proprietà di bruciare senza crepitazione e non è friabile, qualità che la rendono assai pregevole. Equivale in potenza calorifera ai 3i4 del miglior litan-trace. La produzione è stata nel 1872 di 12,135 ton-nellate per un valore di L. 131,691. Sembra di gran momento per l'avvenire dell' industria Toscana. La mi-niera di Monte Rufoli a Podernuovo nel comune di Po-marance dà una lignite con un potere calorifico di 4,532 calorie, sicché il suo valore sarebbe di 0.58 ri-spetto ad 1 litantrace di buona qualità. Vi sono le mi-niere di Monte Bamboli, che non han dato alcun tor-naconto, quelle di Sarzanello e Caniparola, per cui la produzione fu nel 1872 di tonnellate 6,734 pel valore di L. 74,200 — quelle di lignite picea presso Siena, fra le quali la miniera di Monte Murlo che nel 1873 dette tonnellate 16,904 pel valore di L. 261,008 — quella di Fontanamare nel bacino lignitifero di Gonnesa in Sar-degna, la cui escavazione nel 1872 fu di 2,200 tonnel-late pel valore di L. 36,800 — la miniera importante di Cadibona, la cui escavazione nel 1872 dette tonn. 5,700 pel valore di L. 75,000 — quelle di Nuceto e Bagnasco, di Pulì e Valdagno, le quali ultime nel 1872 dettero circa tonnellate 15,000 di lignite e 3,500 di scisto bituminoso — alcune giaciture infine, finora poco promettenti.
L'Italia possiede numerosi e potenti strati di legno fossile di formazione lacustre. Il sedimento di legno fos-sile più copioso è posto nella parte superiore del Valdarno fra le due catene del Chianti e del Casentino. Lo strato di lignite a Castelnuovo di Massa ha 12 metri di po-tenza, e l'estensione sembra molto ragguardevole, mentre l'eseavazione può fornire 100 mila tonn. all'ettaro. L'esca-vazione della lignite di Castelnuovo salì nel 1872 a 10 mila tonn.; quella del 1873 raggiunse 30 mila tonnel-late pel valore di L. 311,600. La produzione comples-siva delle miniere di Val Gandino è di tonn. 16,000 pel valore di L. 160,000 — sonovi pure altre giaciture.
La coltivazione dei bacini torbosi dell'Alta Italia è collegata coll'esistenza delle industrie vetraria e ceramica, le quali non potrebbero senza la risorsa di questo com-bustibile a basso prezzo lottare colla concorrenza estera. La torba alimenta pure le filande ed i torcitoi della seta in Lombardia, e serve eziandio nei maggiori stabilimenti siderurgici di Lovere, Dongo e San Martino d'Aosta alla lavorazione del ferro. I principali bacini torbiferi sono quelli di Iseo, Bosisio, Colico, Angera, Dentale, Arona, Varese, Castelletto Vaprio, Veneto, Canavese, Bassa valle d'Aosta, Avigliana, Abruzzo, Altipliani alpini. Questi danno la torba più pura. La produzione complessiva in Italia è stata pel 1872 di circa tonn. 90,000 pel valore di L. 1,500,GOO.
Il versante degli Appennini che piega verso la valle del Po, dalla Staffora al Beno, presenta una striscia di terreno impregnato di petrolio, il quale ora si manifesta allo stato liquido nelle marne e nelle arenarie del mio-cene superiore e del pliomio-cene inferiore, ora emana allo stato gassoso e si spande nell'atmosfera. Nella valle del Pescara poi riscontransi altri terreni bituminosi, in cui havvi maggior copia di petroli densi e di asfalti, ma la qualità dei primi è molto inferiore a quella dei petroli dell'Emilia. Nel circondario di Gaeta si scorge il prolun-gamento dei terreni bituminosi della valle del Pescara.
Le località dove si ricava il petrolio sono Bivanazzano (Voghera), Neviano de' Bossi, Val di Taro, Miano (pro-vincia di Parma), Val di Eiglio (Piacenza), Montegibbio, Tocco di Oasauria (Abruzzo Ultra 2), Lettomanopello, San Giovanni Incarico. Nei comuni di Colle San Magno, Bocca d'Arce e Roceasecca esistono calcari bituminosi, propri all'estrazione dell'asfalto, ma le escavazioni non si sono fatte per ora molto estesamente. L' escavazione dell'asfalto ha importanza nei monti di Prosinone. In to-tale il combustibile fossile nel 1872 dette tonn. 193,730 pel valore di L. 3,252,658. Sono impiegati in queste mi-niere 4,743 operai.
La produzione dello zolfo nel 1872 fu di circa ton-nellate 221,000 del valore di L. 26,120,000. Il valore di tale produzione supera di gran lunga quello delle altre sostanze minerali, ed il quantitativo in tonnellate è solo inferiore a quello del sai marino. La produzione è ripar-tita in tre regioni, Romagna, Napoletano (Avellino) e Sicilia. La produzione della Romagna raggiunge solo la decima parte di quella della Sicilia, e quella del Napo-letano la quarantesima parte.
Le miniere più importanti della Romagna sono quelle di Perticara, Marazzana, San Lorenzo in Zolfinelli nel-l'Urbinate e le Boratelle, Formignano e Piajo nel Cese-llate. L'estrazione vien fatta ordinariamente con macchine a vapore. Da alcuni anni si coltiva un gruppo di mi-niere sulfuree nella provincia di Avellino. Una parte del minerale si smercia senza alcuna preparazione e serve alla solfatura delle viti. Altre miniere esistono in To-scana e nella provincia di Roma. La regione classica degli zolfi però è la Sicilia, dove la formazione sulfurea presenta una zona della lunghezza di 160 a 170 chilo-metri per una larghezza massima di 90 chilochilo-metri circa. Le solfare sono in genere coltivate in modo assai disor-dinato. In alcune fra le più importanti si sono intro-dotte le macchine a vapore per l'estrazione del minerale e per l'eduzione delle acque. I progressi si devono in parte alla scuola dei capi-minatori di Caltanissetta. L'esportazione per l'estero nel 1872 crebbe di tonnel-late 18,428. La principale esportazione ha luogo per l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Nord-Americani, l'Au-stria e lo Zollverein. Secondo l'ingegner Parodi pare che si possa ammettere ohe la Sicilia possegga ancora nel sottosuolo 200 milioni di quintali di zolfo che alla stre-gua della produzione attuale assicurerebbero alle solfare di quell'isola una durata di 70 ad 80 anni.
La sostanza minerale che viene prodotta in maggior copia presso di noi e di cui si fa commercio di esportazione con pressoché tutti i paesi d'Europa non che coli'America colle Indie, è il sale comune. L'Italia abbonda in questo genere di prima necessità che viene prodotto e dalle saline marittime di Cagliari, Trapani, Barletta, Comacckio, Por-toferraio, Corneto ed Ostia, e dalle sorgenti saline di
Volterra e di Salsomaggiore e dalle miniere di salgemma della Calabria e della Sicilia.
Delle saline marittime la più importante è quella di Cagliari in Sardegna, di proprietà demaniale. Vengono poi quelle di Taranto in numero di 31, di Marsala in numero di 5 e di Buvano nel Veneto. L'estrazione del sale si fa coi noti antichissimi mezzi di graduazione.
L' E C O N O M I S T A 17 dicembre 1874 Volterra anch'essa di proprietà dello Stato, ma affittata
ad una Società. I sette pozzi della prima somministrano giornalmente 300 ettolitri a 13' di salsedine, i sei della seconda possono somministrarne 3000 ettolitri al giorno. Tra le salino di salgemma sono esercitate soltanto quella di Lungro in Calabria Citeriore, quelle di Catto-lica, Cianciana e Recalmuto in provincia di Girgenti e quelle di Nicosia e Leonforte in provincia di Catania non che altre in provincia di Caltanissetta.
Il terreno salifero della Sicilia esteso quasi quanto il terreno zolfifero appartiene al miocene inferiore e con-tiene ricchissimi depositi di salgemma generalmente ab-bastanza puro e direttamente commerciabile. Col miglio-ramento delle vie di comunicazione e specialmente dopo l'apertura del Canale di Suez il salgemma potrebbe di-ventare un genere di grande esportazione specialmente per le Indie dove è preferito al sale estratto dalle acque del mare, quando si potesse fornire a un prezzo infe-riore a L. 18 la tonnellata. Ora la produzione annua è limitata a circa tonnellate 2000 pel consumo interno.
Le saline marittime di Sicilia producono annualmente circa 70,000 tonnellate di sale, che è quasi per intero esportato. Alcuni carichi si mandarono anche nell'India. Il costo in media è di L. 1 70 la tonnellata, col dazio e trasporto a bordo L. 3 90. Il prezzo di vendita si mantiene pressoché costante a L. 6 50, donde un bene-ficio per tonnellata di L. 2 60.
Nel 1872 la produzione totale fu di tonn. 241,744, del valore di lire 3,863,113. Di queste, tonn. 225,056 pel valore di lire 3,553,205, spettano alle saline marittime, 7988 tonnellate pel valore di lire 35,408 al salgemma, tonnellate 8700 pel valore di lire 274,500 alle sorgenti. Gli operai impiegati nelle saline marittime sono 3586; gli altri complessivamente 239.
Produzione specialissima all'Italia è quella dell'acido borico proveniente da emanazioni vaporose della ma-remma toscana e di cui si fa esportazione specialmente in Inghilterra, dove viene trasformato in borace che si usa in ceramica, nelle fabbriche di cristalli e nella tin-toria. In provincia di Pisa e nei comuni di Pomarance e Castelnnovo, a Massa Marittima e a Montieri in pro-vincia di Grosseto, s'incontrano otto centri principali di queste emanazioni, dette soffioni, e costituite da vapore acquoso, acido carbonico, idrogeno solforato, acido borico ed acido silicico a temperatura sempre alta, raggiun-gendo talora i 100° Réaumur. Le fabbriche d' acido bo-rico sono dieci. Tale industria fu impiantata nel 1828 dal conte Larderei al Monte Cerboli e si esercita nei paesi di Larderello, Castelnuovo di Val di Cecina, Ser-razzano, Lustignano, Lago, Monte Rotondo, Sasso e Tra-vale. Occupa circa 270 operai, e tutto il prodotto si esporta in Inghilterra. Nel 1872 la produzione fu di tonnellate 2750 pel valore di lire 4,124,550.
L'allume è fabbricato a Montioni in Toscana, alla Tolfa presso Civitavecchia e a Pozzuoli presso Napoli. In complesso la produzione diminuì dacché altri agenti chimici sostituirono in parte l'allume nella tintura. Gli altri prodotti chimici di origine minerale che si produ-cono in Italia non sono di gran momento e consistono in acido solforico, nitrico, cloridrico, in scarse quantità di sode solfate e carbonate ecc. In complesso circa 12,000 tonnellate pel valore di 5 milioni di lire.
La polvere pirica che occorre all' Italia per gli usi della guerra, della caccia e delle mine può valutarsi a circa 2000 tonnellate. Ai bisogni di guerra sopperisce il Governo coi polverifici di Possano e di Scafati. Al resto i privati polverifici. Vi sono anche due recenti fabbriche di dinamite, 1' una a Cesano-Maderno presso Seregno di Lombardia, capace di produrre 1000 chilo-grammi al giorno, l'altra presso Torino.
Il gas che serve all' illuminazione si fabbrica in una ottantina di officine sparse nelle principali città della penisola. La produzione nel 1872 può valutarsi a 72 milioni di metri cubi col consumo di 268,000 tonnellate di litantrace estero.
Importantissima fra le produzioni minerarie d'Italia è quella delle cave delle Alpi Apuane, cioè delle valli di Carrara, Massa e Seravezza, che oltre al fornire tutta Italia di marmi di ornamento e statuario, ne provvedono le principali piazze del mondo.
I marmi si dividono in bianchi, bardigli, mischi e brecce.
Le cave in attività sono quasi 600 di cui 425 nel carrarese (15 sono di statuario), 70 nel massese, 90 a 100 nella Versilia.
Le segherie sono 100, i telai 487, i frulloni 62. La produzione totale dei tre centri nel 1872 ammontò a circa 143,000 tonnellate pel valore di circa 13 milioni di lire.
Altre locali! à danno marmi stimati, come nella pro-vincia di Siena il broccatello e il così detto giallo di Siena. La produzione annua è di 100 tonnellate per ciascuna qualità.
Marmi notevoli e speciali danno i monti pisani presso San Giuliano, la provincia di Lucca. Gli alabastri ab-bondano nelle provineie di Siena, Pisa e Volterra. Nel 1871 1* esportazione da Livorno degli alabastri greggi salì a quintali 7376, e quella dei lavorati a un valore di lire 584,010.
Abbondano in Toscana anche le cosiddette pietre dure, impiegate principalmente nella manifattura dei mosaici. I marmi abbondano in Piemonte specialmente nella pro-vincia di Cuneo. Vi sono marmi da decorazione e da ornamento in Sardegna. Anche in Lombardia vi sono marmi ed alabastri. Quanto alle provineie venete la più ricca in marmi è quella di Verona. Nelle provineie di Parma e Piacenza vi sono cave di marmo di belle e varie specie. Nel bolognese più che i marmi dominano, benché non utilizzate, le rocce di carattere serpentinoso. I marmi e le altre specie di ornamento sono in discreta abbondanza nelle Marche, nelle Romagne e nell'Umbria. Le provineie napoletane e la Sicilia offrono pure una gran ricchezza di marmi.
Cave di pietre da costruzione importanti esistono in Piemonte, in Valtellina, in Sardegna, in Lombardia, nella provincia di Vicenza, in Toscana, nel Romano.
Si notano la grafite e il talco in Piemonte, l'amianto in Valtellina, lejcoti nei monti lombardi compresi fra la valle Brembana e il lago d'Iseo.
Le pietre da molino vengono escavate specialmente in Lombardia. Nel 1873 se ne esportarono per L. 24,930. Nel biennio 72-73 l'importazione è stata decupla del-l'esportazione.