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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.10 (1883) n.488, 9 settembre

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T IM A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FIN A N ZA, COMMERCIO, BANCHI, F E R R O V I E , I N T E R E S S I P R I V A T I

Anno X - Voi. XIV

Domenica 9 Settembre 1883

N. 488

IL RIORDINAMENTO DELLE BANCHE DI EMISSIONE .

Come è noto, il 31 dicembre prossimo scade il termine durante il quale è concesso, alle Banche di emissione già costituenti il Consorzio, il corso legale dei loro biglietti nelle provincie dove hanno sedi o rappresentanze. Il Ministero quindi dovrà presentare al Parlamento un progetto di legge per la pro­ roga di questo privilegio accordato alle Banche stesse; oppure, ove non volesse accordare più a lungo l’esercizio di tale privilegio, dovrà lasciarlo cadere. Ma siccome in tal caso non sarebbe presumibile che le Camere lasciassero passare sotto silenzio un si­ mile mutamento nel nostro regime monetario, il Mi­ nistero dovrebbe senza dubbio giustificare la misura presa, di fronte alle interpellanze che gli verrebbero mosse.

D’altra parte in varie circostanze le Camere hanno manifestato di non essere soddisfatte dell’attuale si­ tuazione fatta ai nostri Istituti di emissione e dei rapporti che corrono tra loro ; ed il Ministero molte volte ha promesso che avrebbe presentato un pro­ getto di legge per modificare il nostro regime ban­ cario; ed infatti tra le riforme che il Parlamento sarà chiamato a discutere in un tempo non lontano si annovera anche il riordinamento delle Banche di emissione.

Finalmente dopo il 12 aprile, cioè dopo che si è cominciata l’operazione di abolizione del corso for­ zato si fecero sentire, con importanza sempre cre­ scente, alcuni gravi imbarazzi nella circolazione mo­ netaria, imbarazzi che abbiamo cercato di studiare ed analizzare in alcuni articoli t) e che derivano quasi esclusivamente dal fatto che, in alcune regioni, il biglietto che ha corso legale ed insieme il mag­ gior corso di fatto, non ha poi corso legale in altre regioni ; d’ onde nasce la difficoltà dei pagamenti tra paese e paese entro i confini dello Stato. E cer­ cammo di dimostrare come questa situazione, oltre­ ché recare dell’ impaccio molto sensibile allo svol­ gimento degli affari commerciali, importasse anche una lesione ai diritti costituzionali dei cittadini, giac­ ché obbliga alcune regioni a sopportare degli oneri maggiori di altre regioni.

Ecco adunque’ che il Ministero ha dinanzi a se, rispetto al riordinamento delle Banche, un triplice compito :

1° stabilire sul corso legale;

!) Vedi ne\VEconomista i numeri 477, 482 e 483 gli articoli « L a circolazione monetaria ».

2 ° ordinare i rapporti tra le Banche di emis­ sione ;

3° togliere gli imbarazzi della attuale circola­ zione monetaria.

Potremmo accennare ad un quarto compito, quello di raggiungere nel modo migliore la completa abo­ lizione del corso forzato, ma ormai ci pare che que­ sto ultimo scopo abbia un carattere mediato o g e ­ nerale, come quello di favorire lo sviluppo dell’ in­ dustria e dei commerci, quello di facilitare i nostri scambi internazionali ecc. ecc.

Rimanendo adunque nel limite dei tre compiti sopra enunciati, conviene osservare innanzi tutto come essi sieno tra loro strettamente legati ip modo che il cercarne separatamente la soluzione sia cosa o difficile, od almeno non conforme alla sana logica. Infatti subito che lo Staio intervenga a regolare la circolazione monetaria di un paese, ed a determi­ nare le forme ed il modo della emissione dei biglietti a vista (ed abbiamo largamente in molte occasioni esposto per quali motivi crediamo che la assoluta libertà in tale materia non sarebbe per ora appli­ cabile in Italia — tanto è vero che non siamo dot­ trinari) — la azione dello Stato sulle Banche si basa tutta sul do ut des. — Concede qualche cosa di speciale e privilegiato alle Banche, perchè queste gli facciano qualche servizio, o perchè, favorendo la sua politica finanziaria o parlamentare, vivano tra loro in sufficiente armonia; costringe qualche Banca a concedere alle altre, in compenso di altri vantaggi che o dallo Stato, o dalle altre Banche, la prima riceve.

Ora il corso legale è una concessione vantaggiosa indubbiamente per le Banche, ed è mediante tale privilegio che il Governo può poi stabilire le con­ dizioni di reciprocanza, sia per regolare i rapporti tra le Banche stesse, sia per togliere gli imbarazzi della circolazione monetaria. Separare quindi le tre quistioni è cosa, a nostro credere, impossibile; che se anche il Parlamento non volesse intraprendere la discussione del problema di riordinamento delle Banche, pressato dalla scadenza del 31 decembre, il Ministro delle Finanze sentirà però la necessità al­ meno di presentare contemporaneamente anche il progetto che riflette gli altri due punti; e ci consta anzi che I’ on. Magliani sta appunto redigendo un solo progetto di legge che comprende tanto i prov­ vedimenti per il corso legale, quanto quelli per il riordinamento delle Banche.

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L ’ E C O N O M I S T A

9 settembre 1883

LA C0STITDZ10NE DELLA CORTE DEI CONTI

La polemica sorta ira alcuni giornali intorno alla funzione della Corta dei Conti, questione di cui ab­ biamo tenuto parola nell’ultimo numero dell’E con o­ m ista, ha mutato carattere e si è in qualche parte rivolta ad esaminare piuttosto la costituzione di que­ sta alta magistratura. E non mancarono coloro che da un lato sostennero la necessità di rendere più indipendente nel suo ufficio la Corte, mentre altri difesero l’attuale suo ordinamento.

La tesi è della massima importanza e noi vor remmo che ne fosse ampiamente discusso per pre­ parare la pubblica opinione e far in modo che se mai le Camere dovessero intraprendere una riforma in cosiffatto argomento, sapessero già quali sono i sentimenti del paese. — Badiamo però subito di non fraintendere le cose e di credere e lasciar credere che la questione sia molto semplice, tale anzi che basti citare 0 la legge francese su cui è compilata la nostra o quella molto liberale vigente nel Belgio. L ’ argomento è molto più complesso che non sembri e che non lascino anche credere gli articoli recenti dei giornali che abbiamo letto, infatti, dicono gli uni : la Corto dei Conti esercita a norma del potere un sindacato legislativo sugli atti del potere esecutivo, ò quindi assurdo che il potere esecutivo abbia esso la nomina dei membri di essa Corte, poiché è as­ surdo che il Governo nomini da sé chi deve sin­ dacarlo. Dicono gli altri : è vero che i membri della Corte dei conti sono per legge nominati dal potere esecutivo, ma ove si tenga conto dell’aIternarsi dei partiti nella amministrazione della pubblica cosa, e della disposizione della legge che i presidenti ed i consiglieri della Corte non possono essere revocati, nè collocati d’ufficio in riposo, nè allontanati in qual­ siasi altro modo, se non per decreto reale col pa­ rere conferma di una Commissione composta dei pre­ sidenti e vice-presidenti del Senato e della Camera dei deputati (articolo 4 della legge l i agosto 1862) — risulta che è sufficientemente garantita la indipen­ denza di questa magistratura.

Ora ci sia permesso osservare che, a nostro modo di vedere, non è completo il ragionamento nè degli uni, nè degli altri, poiché vi è una questione che deve essere precedentemente risolta.

-La Corte dei Conti esercita un doppio ufficio di sindacato. Da una parte in nome del potere esecu tivo sorveglia anche che le imposte sieno riscosse nel modo e nei limiti dalle leggi e dal bilancio in­ dicati, e che le spese pure sieno erogate per quei titoli ed entro quei termini che il bilancio prescrive; — dall’altra a nome del potere esecutivo sorveglia a che il denaro riscosso per mezzo delle imposte sia versato tutto-ed a suo tempo nelle casse dello Stato, e a che le cauzioni da prestarsi dai contabili del pubblico denaro siano conformi alla legge, esamina la gestione degli stessi contabili, e dà un giudizio di revisione sui loro conti.

Ecco adunque che la Corte esercita ad un tempo un ufficio di sindacato per conto del potere legisla­ tivo, ed un altro ufficio pure di sindacato per conto del potere esecutivo. Ne deriva dia se può discu­ tersi giustamente della convenienza di sottrarre la nomina dei membri della Corte al potere esecutivo,

in quanto essa Corte è istituita a sindacare l’ope­ rato del potere sfesso, sarebbe d’altra parte assurdo ammettere che il potere legislativo nominasse poi esso una magistratura destinala a sindacare l'operato degli agenti governativi per conto ed a profitto del potere esecutivo.

Prima adunque di domandare un organamento della Corte dei Conti pari a quello del Belgio, dove la Camera dei deputati nomina per sei anni i fun­ zionari di quella magistratura, e prima di riformare l’attuale costituzione della Corte dei Conti in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Germania, converrei) bero premettere la domanda di separare i due uf­ fici esercitati dalla Corte, quello in nome del potere legislativo e quello in nome del potere esecutivo, ed allora troveremmo dogico che il Parlamento nomi­ nasse i funzionari di una delle Corte ed il Governo quelii dell’altra. Sebbene non ci dissimuliamo che anche in questo modo in un paese che, come il no­ stro, non ha tradizioni in fatto di partiti politici che agiscono nell’o : bita della costituzione, si incorrerebbe il pericolo di vedere questa magistratura, il cui pre­ stigio e la cui autorità deve nascere da una posi­ zione che la metta e la mantenga al disopra delle questioni politiche, esposta alle vicissitudiui delle lotte parlamentari. La Commissione del bilancio ad esempio nella nostra Camera dei deputati ha, ap­ punto per essere necessariamente una emanazione diretta del suffragio dei partiti, peccato o di trascu ranza o di eccessiva intrometteuza nell’esercizio delle sue funzioni.

Ad ogni modo queste brevi considerazioni hanno il solo scopo di mostrare tutte le difficoltà che pre­ senta la questione, sulla quale vorremmo che la attenzione pubblica fosse ostinatamente richiamata. Non è forse il caso in Italia, almeno per ora, di discutere a fondo una riforma dell’ordinamento dei poteri dello Stato, poiché altri e gravissimi problemi di ordine diverso stanno dinanzi alla rappresentanza nazionale e ne dimandano imperiosamente tutta la attività. Ma non saremmo alieni da una riforma par­ ziale della Corte dei Conti nel senso ad esempio di vedere applicato l’articolo 4 che riportammo più sopra, non solo all’allontanamento ma anche alla no­ mina dei funzionari della Corte, come proponeva un’eminente autorità in diritto amministrativo.

Associata nella Corte dei Conti una funzione de­ rivante dal potere legislativo ed una derivante dal potere esecutivo, è assurdo affidare ad uro solo od all’ altro la nomina di quei magistrati, ma è più lo­ gico che ambedue vi concorrano. L’art.

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provve- derebbe appunto a questa associazione.

L E

TRAMVIE

E L E PROVINCIE

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Non occorre dire die in questo straordinario m o ­ vimento delle rappresentanze comunali e provinciali troviamo argomento di vivissimo encomio, inquanto- ciiè è prova dell’ interesse col quale vengono discussi e trattali gli affari commerciali ed industriali. E pen­ siamo anche che nel mentre i comuni e le provincie impiegano i loro mezzi finanziari in queste costru­ zioni di tramvie, indiscutibilmente utili, saranno per necessità distratti dal profondere i loro denari in opere di minor pubblico vantaggio, come allarga­ menti di vie e di piazze ed erezione di monumenti, alle quali opere sembrava fin qui che quasi esclu­ sivamente volessero consacrare una parte non indif­ ferente de!le entrate locali.

Non devesi infatti dimenticare che l’ Italia, quando voglia acquistarsi nel mondo economico un posto meno lontano da quello che occupano le altro na­ zioni, deve cercare di mettersi al loro livello nei mezzi di eui queste dispongono. E noi abbiamo scarse le linee ferroviarie, deficenti le linee di tram vie, più scarse ancora, in alcune provincie specialmente, le strade ordinarie. Ora se l’attenzione dello ammini­ strazioni locali viene, o per bene inteso senso di economia pubblica, o per ¡spirito di emulazione, od anche per solo sentimento di imitazione, rivolta con ardore a moltiplicare i mezzi di comunicazione tra luogo e luogo, non vi è in ciò che motivo di ap­ plauso, e dobbiamo far voti perchè questa tendenza sia mantenuta viva ed anzi accarezzata, perchè trovi sempre maggior sviluppo.

Se non che, anche questa, come tutte le altre ma­ nifestazioni della vita pubblica, le quali vertono sopra interessi più o meno generali, non può, a nostro ere dere, prendere un movimento veramente utile se non sia guidata da certe norme, tenuta entro certi limiti, coordinata a certi criteri. E ci pare che, in via generale, le provincie ed i comuni sino ad ora, in questo argomento, non abbiano gran fatto tenuto conto nè delle norme, nè dei limiti, nè dei criteri che dovrebbero presiedere alla costruzione delle li­ nee di tram vie.

In qualche luogo infatti viene fissato un principio e dietro quello vengono progettate e costruite le li­ nee ; in aitro luogo, talvolta non molto lontano, viene stabilito un principio diverso, od anche opposto; qui prevale un criterio, là un altro ; nel complesso ri­ sulta necessariamente la mancanza di un concetto generale ed in certo modo uniforme, che guidi c o ­ loro, i quali sono chiamati a deliberare in proposito. Non abbiamo certo in animo qui di scrivere un trattato sulle tram vie, ma ci sarà permesso come di cosa che ormai tanto interessa la pubblica economia, di esporre alcuni concetti di cui vorremmo fosse te­ nuto conto.

Prima di tutto pare a noi che una linea di tram vie,

destinata a mettere in comunicazione tra loro i centri minori di una o più provincie, dovrebbe essere il risultato di uno studio generale, fatto preventivamente sopra i bisogni che nel complesso può sentire, in fatto di trainvie, tutto un territorio di più provincie che abbiano interessi comuni. Trascurando questo studio preventivo e generale può avvenire (e pur troppo alcuni fatti dimostrano già che la cosa av­ viene) che si costruisca una linea, che, di per sè sola, è utile, ma che diventa inutile, o molto meno utile, quando si abbandoni il ristretto punto di vista dal quale si è concepita e si allarghino le vedute e gli scopi. Allora si trova che sarebbe stato meglio far

in un modo piuttosto che nell’altro; intervengono i pentimenti; e siccome la natura umana, da una parte è schiva di confessare l’errore commesso, e d’ altra p irte ripugna agli amministratori di far comprendere agli amministrati che i loro denari furono male" o meno bene spesi, accade che ci si incaponisca nel­ l’errore invece di emendarlo, e non si voglia c o ­ struire una utilissima linea per il solo fatto che equivarrebbe confessare di aver avuto torto nel co­ struirne un’altra meno utile.

Dal che deriva inoltre — ed è cosa da notarsi molto — che la rete complessiva od estesa o coor­ dinata ad un concetto vasto, diviene alcune volte di impossibile costruzione, ed una regione od un territorio, anziché risultare fornito di una rete di

tram vie, tracciata secondo un razionale aspetto, sia invece un complesso di tronchi, disordinati, incom­ pleti, e quindi costosissimi nell’ esercizio, mentre riusciranno anche meno produttivi e meno utili alle località che dovrebbero servire. Tanto più che le

tram vie, per quanto abbiano uno scopo affatto di­ verso da quello delle linee ferroviarie, non sono e non possono essere, nella maggior parte dei casi, da queste indipendenti. Ma anzi dovrebbero tendere allo scopo di collegare tutti i centri minori colle linee ferroviarie e quasi riuscire i raccoglitori delle ma­ terie di traffico (merci e viaggiatori) destinate alle ferrovie.

Primo punto adunque, che dovrebbe presiedere all’ impianto delle reti di tram vie in un territorio, è quello di studiare il territorio stesso per ricavare una rete di tram vie che sia in rapporto col 'e strade ordinarie esistenti e colle linee ferroviarie che at­ traversano il paese, così che lo scambio dei prodotti ed il movimento delle persone raggiunga il m as­ simo sviluppo.

Ecco perchè, a nostro modo di vedere, hanno errato ed errano quelle provincie e quei consorzi, i quali confondono lo scopo delle ferrovie con quello delle tram vie, e vogliono che le tram vie sieno so­ lamente strade ferrate minori. No; le ferrovie hanno lo scopo di congiungere, coll’ impiego del minor tempo possibile, i grandi centri; perciò hanno biso­ gno di grande velocità, e di linee rette. Le tram vie

invece hanno per ¡scopo primo quello di andar rac­ cogliendo nel m aggior num ero p ossib ile d i pu n ti,

persone e cose, e trasportarle là dove incontreranno la strada forrata. Nè il risparmio del tempo, in modo assoluto, nè la linea retta, sono adunque i criteri principali da cui deve essere veduta la funzione della tram vie. Percorrere in tutti i sensi una vasta zona e servire al maggior numero di persone, ecco lo scopo primo. Perciò alla tram via la linea curva ed anche la rientrante, i zig-zag, le frequenti fer­ mate ecc. sono inevitabili; ne sono anzi il primo requisito. È solamente per questa qualità, tutta speciale a tal mezzo di locomozione, che si pos­ sono intendere i grandi servigi che rendono le

tram vie parallele alle ferrovie; queste non servono che i grandi centri, e corrono diritte; quelle minuzio­ samente raccolgono uomini e prodotti, trascurati dalle ferrovie perchè di piccola entità, e, fattane una grossa provvigione, li scaricano nel grande centro, dove la ferrovia trova prezzo dell'opera fermarsi.

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nè provato die le strade provinciali abbiano fin dalla loro origine avuto il tracciato migliore; in secondo luogo moltissime strade provinciali che percorrevano una linea razionale trenta o cinquanta anni fa, oggi trovano un territorio trasformato, che ha quindi al­ tri bisogni ed altri interessi; finalmente le strade provinciali migliori hanno lo scopo — lo dice la legge — di unire i capoluoghi di provincia per la via più breve; ora quasi tutti i capoluoghi di pro­ vincia sono uniti per mezzo di ferrovie o — se non lo sono — è a credersi che lo saranno in un volger di tempo non lontano. La tram via, in massima come dicemmo, non ha questo scopo, ma quello di servire i minori centri. Quindi, quando un concetto dovesse prevalere, sarebbero le strade comunali quelle sulle quali di regola la tram via dovrebbe correre. Quanto facile sarebbe infatti dimostrare, con una carta alla mano, come in moltissimi casi la tram v ia tornerebbe piu utile non correndo sulla strada provinciale !

Da questi brevi e sommari cenni emerge adunque prima di tutto la necessità che le amministrazioni locali interessate si formino un esatto criterio dello scopo delle tra m v ie; secondo che alla deliberazione delle singole linee premettano degli studi generali sui criteri utili ad un estesa rete interprovinciale o regionale, o, insomma, di un determinato territorio.

Ma vi sono altri punti di minore entità, sebbene degni di studio, che conviene tenere a mente su tale argomento, e di questi ci occuperemo prossima­ mente.

UNA SCUOLA LIBERA

Noi non apparteniamo a quella schiera di pubbli­ cisti secondo noi troppo assoluti, i quali in Qtto d’istruzione pretenderebbero che il Governo si limi­ tasse a fare la parte di spettatore. E tanto meno sa­ premmo accostarci a questa opinione nelle condizioni presenti del nostro paese.

Siamo però del pari recisamente avversi all’opi- nione opposta di coloro, i quali sentenziano il Go­ verno essere solo competente ad impartire il pane dell’ intelletto, senza riflettere che ogni monopolio impedisce l’ espandersi di molte forze vive, e che anco l’ insegnamento, tolta la concorrenza, intristisce. Onde vi è sempre motivo di rallegrarsi quando ac­ canto alle Scuole pubbliche fioriscono quelle private, come nella superiore istruzione giova imitare, per quanto è possibile, i liberi andamenti delle Univer­ sità germaniche.

Dobbiamo egualmente essere contenti allorché una istituzione privata viene a colmare una lacuna che lo Stato non poteva o non voleva riempire. Di­ ciamo espressamente non poteva o non voleva, poiché non v’è da dissimularsi che lo Stato, per la sua stessa indole, incontra talora delle difficoltà, che non si parano dinanzi ai privati.

È assai tempo che in Francia come in Italia si provava il bisogno di una Scuola che mirasse prin­ cipalmente ad addestrare i giovani alla vita pub­ blica. Là come qui non mancarono i tentativi per parte del Governo, ma non riescirono perchè, se così è lecito esprimersi, si prese per base la facoltà giuridica universitaria, che ha uno scopo essenzial­

mente diverso, come quello che mira a fare dei le­ gali, dei magistrati o al più, in certi casi, dei pro­ fessori. Tutto quello che si potè fare si fu di intro­ durre nelle facoltà giuridiche alcuni insegnamenti di scienze sociali e politiche, e fu gran benefizio perchè venivano a dare un complemento indispen­ sabile alla coltura del giureconsulto. Ma ciò non po­ teva evidentemente bastare a creare un Istituto che potesse preparare i giovani alla vita pubblica. A questo fine occorreva un organismo speciale, un corso di studi di quelle scienze ben coordinato, nel quale la coltura giuridica non fosse esclusa, ma ser­ visse di complemento.

Si potrebbe senza dubbio ammettere che tale Isti­ tuto lo creasse lo Stato, che ha le risorse di un bi­ lancio indefinito, ma giova riflettere che esso po­ trebbe ingenerare più facilmente il sospetto che l’ in­ segnamento venisse dato con scopi di partito, sebbene, per amore del vero, almeno in Italia, l’insegnamento superiore goda della maggior libertà.

A ogni modo il fatto è questo, che l’ iniziativa privata ha supplito in Francia colla creazione della Scuola di Scienze Politiche di Parigi, in Italia con quella della Scuola di Scienze Sociali di Firenze. Noi abbiamo seguito con desiderio il sorgere e lo svilupparsi di questa istituzione, che ha già dato ot­ timi frutti. Alcuni dei suoi allievi percorrono già con onore la carriera diplomatica; altri si sono fatti apprezzare in altri uffici importanti.

Essa conta ora nove anni di vita e ci si presenta ormai con un ordinamento completo di studi. Ba­ sta enumerare i suoi insegnamenti per convincersi di ciò — Filosofia del Diritto — Istituzioni di Di­ ritto Romano Comparato — Economia politica — Scienza delle Finanze — Statistica e Demografia — Diritto Costituzionale e Storia delle Costituzioni — Diritto Internazionale privato — Storia del Medio Evo e Moderna — Codice e Procedura Civile — Diritto Commerciale — Diritto Penale — Scienza dell’ Amministrazione e Diritto Amministrativo — Contabilità.

Quanto ai nomi dei professori, tutti sono noti e alcuni illustri nel mondo scientifico, e non è senza compiacenza che ricordiamo che finora professò diritto pubblico nella Scuola di cui parliamo l’ono­ revole Cenala, attualmente ministro dei Lavori pub­ blici.

Il Governo italiano si è mostrato giustamente be­ nevolo verso questa istituzione poiché ne ha ammessi i discepoli ai concorsi per la carriera diplomatica e presso il Ministro degli esteri, e con decreto del 1-4 Maggio 1 8 8 2 ha equiparato il diploma della Scuola alla laurea in giurisprudenza come titolo nei concorsi per le carriere superiori presso il Ministero delITnterno e le Prefetture. Quando prendesse una simile deliberazione riguardo alla carriera consolare, e non sappiamo perchè non dovrebbe essere così, non gli si potrebbe chiedere altro.

Quanto alla Società di Educazione liberale che ha fondata la Scuola, essa ha fatto quanto era in poter suo per assicurarne le sorti, e una rara e liberale larghezza ha in ciò dimostrato il suo Presidente, on. Marchese Alfieri di Sostegno.

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che per censo o per nome saranno probabilmente chiamati a coprire pubblici e importanti uffici, ab­ biano una solida coltura nelle discipline sociali. Nè tale coltura si acquista se non si studia per tempo, e le menti non si avvezzano di buon’ora a studiare e a riflettere sui più gravi problemi economici e sociali.

IL N U M ER O D E L L E C A M E R E Di COMMERCIO

Fino da quando si parlò di riforma della legge organica 6 luglio 1 8 6 2 , che regola le Camere di Commercio del Regno, sorse una prima questione: se cioè fosse opportuno di diminuirne il numero, pa­ rendo ad alcuno che 7 3 Camere di Commercio fos­ sero troppe a paragone della popolazione e dell’en­ tità del commercio italiano.

In altra occasione abbiamo espressa la nostra opi­ nione su questo argomento ed abbiamo cercato di dimostrare, quanto più chiaramente ci fu possibile, che una riduzione nel numero delle Camere si presen­ tava altrettanto difficile quanto la loro totale soppres­ sione, e che mancava ogni base logica per determi­ nare quali Camere si dovessero e potessero senza danno sopprimere e quali mantenere. Le nostre Ca­ mere sorte, quasi si direbbe, nella massima parte per generazione spontanea , hanno presumibilmente ufficio là appunto dove erasi creduto che gli inte­ ressi del commercio e delle industrie dovessero trovare l’appoggio di una rappresentanza collettiva. E ci pare appunto che il miglior criterio da man­ tenersi , anche in questo caso , sia quello della libertà. Perchè costringere le provincie di Siena e Grosseto ad avere duo Camere se la economia di quel territorio ha colla esperienza dimostrato che una sola Camera è sufficiente? perchè togliere, ad esempio a Savona, la sua rappresentanza commer­ ciale diretta, se i bisogni di quel circondario hanno fatto nascere un’apposita Camera, della quale sono incontrastati i buoni uffici resi a vantaggio del com­ mercio e delle industrie?

D’altronde non si domanda da mille voci un cam­ biamento della nostra divisione amministrativa per provincie, in quanto è da tutti riconosciuto che, in molti luoghi, non risponde alle esigenze topografiche, geografiche, economiche e politiche? Ora vi è una sola cagione per obbligare anche le Camere ad in­ dossare questa veste mal tagliata e che un momento o l’ altro riconosciamo di dover riformare?

Ed è forse più accettabile la proposta di stabilire una Camera per ogni regione, quando da tutte le parti si lamentano i danni dell’ accentramento ? — Quando ancora pur troppo non sono spente le tra­ dizioni regionali, ostacoli ad una perfetta fusione di tutto il popolo italiano? — quando in alcune regioni l’antico capoluogo ha perduto ogni dominio morale sulle altre provincie, e quindi bisognerebbe tentare di risuscitarlo, o, peggio ancora , crearne un altro artificiale ?

E leggendo molte delle relazioni che le Camere di Commercio del Regno hanno fatto pervenire al Mi­ nistero di Agricoltura Industria e Commercio sulla riforma della legge succitata, — ci compiacemmo di vedere che queste idee sono condivise gene­ ralmente e viene suggerito, quasi da tutte le

Ca-mere, di nulla mutare a questo proposito , e lasciar che le rappresentanze commerciali sorgano e riman­ gano là, dove gli interessati sentono il bisogno di avere un voto collettivo impersonale che tuteli Je loro legittime aspirazioni e sia il centro, dal quale emanino le manifestazioni della vita economica dei singoli territori.

Importantissima fra tutte le altre ci parve una considerazione che su questo argomento svolse la Camera di Pavia. È noto che coloro i quali doman­ dano la soppressione di alcune Camere di Commercio, giustificano la loro proposta allegando che alcune di queste rappresentanze mancherebbero di ogni ragione di essere, sia per la poca entità economica del terri­ torio che forma la loro giurisdizione, sia per la scarsa parte che le rappresentanze stesse prendono al mo­ vimento generale dei commerci e delle industrie della nazione. — In altri termini si d ice: soppri­ miamo le Camere minori.

Ora la Camera di Pavia molto saggiamente os­ serva : che il conservare di preferenza le Camere nelle sole provincie ove il commercio e le industrie hanno più vita ed importanza, ed abolirle negli at­ tuali distretti dove il commercio è meno sviluppato ed attivo, sarebbe andare a ritroso delle ragioni che ispirarono la legge belga (la qual legge viene ap­ punto invocata come esempio imitabile dagli avver­ sari delle Camere di Commercio) la quale riteneva finito il compi o ufficiale delle Camere, là dove il commercio aveva trovato nella sua spontanea ed adulta vitalità maggiori e più liberi impulsi. Sarebbe dunque nei maggiori nostri centri commerciali ed in­ dustriali, i quali possono assomigliarsi ai distretti nel Belgio, che l’opera delle Camere sarebbe meno ri­ chiesta ; restando invece indispensabile in quelle pro­ vincie dove I’ industria ed il commercio ne hanno bisogno perchè serva di mente, di consiglio, di aiuto.

E in verità questa osservazione ci pare cosi giusta da non ammettere replica di sorta.

D’altronde giova tener conto di un altro fatto, ed è che se tutti riconosciamo essere la legge attuale regolante le Camere italiane disadatta ai tempi, non è logico nè giusto giudicare della importanza e della efficacia delle Camere quando ancora questa legge è imperante, quando cioè 1’, attività di quelle rap­ presentanze, che non risiedono in grandi centri in­ dustriali e commerciali può esser paralizzata dal cattivo organismo della legge.

E in altro ordine di idee, la Camera di Sondrio residente a Chiavenna, osserva acutamente: Che dire di coloro i quali deducono la importanza di una Camera dalle entità delle cifre del suo bilancio ? Una Camera infatti può con ogni cura cercare la massima economia nella sua amministrazione ed in pari tempo consacrare la massima attività nel m i ­ glior disbrigo degli affari che le spettano.

E facciamo nostre, per concludere, le seguenti con­ siderazioni della Camera di Reggio Calabria : che nessuna riduzione debba farsi per bisogno, e nessuna se ne possa fare con vantaggio: ma che, in vista della crescente importanza del traffico e degli spo­ stamenti di centri commerciali, possibili per le cre­ scenti o mutate vie di comunicazione, la legge or­ ganica possa prestabilire i dati per la creazione di nuove rappresentanze, qualora il ceto commerciale, il Governo o i Consigli Amministrativi locali ne ma­ nifestassero il bisogno e l’intenzione.

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UNA PICCOLA RIFORMA NEL SERVIZIO FERROVIARIO

Nessuno metterà in dubbio che il servizio delle ferrovie in Italia lasci molto a desiderare sotto molti rapporti. Basta viaggiare alcun poco all’ estero per persuadersi di quante utili riforme sarebbe suscetti­ bile questo pubblico servizio nel nostro piese. Se non che siamo i primi a convenire che molte inno­ vazioni sarebbero ora difficili ad attuarsi, per una serie di cause, alcune reali, altre, crediamo, solo ap­ parenti, di cui qui non vogliamo discorrere

Se però, come abbiamo fiducia, potrà finalmente ri­ solversi l’esercizio delle ferrovie secondo i nostri de­ sideri, cioè affidandolo alla privata industria, crediamo che molte riforme, le quali oggi inutilmente si chie­ derebbero alla pigrizia ed alla negligenza dei fun­ zionari del Governo, si potranno con minor difficoltà ottenere dalle private amministrazioni, che trove­ ranno senza dubbio il loro interesse nell’attuarle.

Oggi accenniamo ad un inconveniente che si ve­ rifica, il quale non è, se vuoisi, di grande entità, ma che, quando venisse tolto, sarebbe di grandissimo c o ­ modo ai viaggiatori. Nelle stazioni Ferroviarie italiane la vendita dei biglietti non viene fatta che qualche quarto d’ora prima della partenza del treno; il che obbliga la persona che vuol viaggiare a recarsi alla stazione qualche tempo prima della partenza del treno, ad affidare il bagaglio al primo facchino che incontra, abbandonare la famiglia o gli amici, per appoggiarsi agli incomodi sportelli ed attendere il turno onde acquistare il biglietto.

Tutti questi incomodi sono necessari? sono inevi­ tabili ? — Non lo crediamo.

Certo che noi non domanderemo una riforma r a ­ dicale , e non speriamo di ottenere che le ferrovie vendano dei biglietti-chilometri, possedendo i quali il viaggiatore possa recarsi in qualunque stazione distante tanti chilometri quanti sono rappresentati dal biglietto, senza riguardo se il viaggio sia stato con­ tinuo od interrotto; ma ci pare che potrebbe, senza difficoltà, esser portata una minore, sebbene altrettanto vantaggiosa modificazione.

Prima di tutto bisognerebbe togliere l’assurdo si stema che il viaggiatore, quando abbia comperato un biglietto da una stazione ad un altra, non possa fare il suo viaggio se non che con quel treno che è indicalo dal biglietto. Infatti quando un individuo abbia pa­ gato 4 0 lire ad esempio per farsi portare da Firenze a Roma, perchè non gli si permetterà di andare col treno della sera anziché col treno del mattino, se una sopravvenienza qualsiasi gli abbia impedito di fare il suo viaggio il mattino? o perchè lo si obbligherà ad una serie di noiose formalità per avere — e non sempre può averlo — l’abbuono del biglietto ?

Raggiunto questo primo intento, vorremmo che gli sportelli di vendita dei biglietti fossero sempre aperti, ed in qualunque momento i viaggiatori po­ tessero recarsi ad acquistare il biglietto per poi intra­ prendere il loro viaggio. In tal modo si eviterebbe l’af­ follarsi della gente davanti gli sportelli, si toglierebbe al viaggiatore l’incoinodo di pigiarsi tra questa folla, ed anche lo stesso servizio di vendita potrebbe esser fatto con meno furia e quindi con meno pericolo di equivoci e di questioni tra il pubblico e gli im­ piegati.

Il viaggiatore, che passa davanti la stazione o da­

vanti 1’ agenzia ferroviaria, dovrebbe aver facoltà di comperare il biglietto che gli servirà a trasportarlo nel luogo voluto domani, posdomani od un altro giorno. Al momento della partenza sarebbe più li­ bero , potrebbe anche recarsi meno sollecitamente alla stazione, e quindi consacrarsi più tranquilla­ mente alle cure che sono richieste dui suoi compa­ gni di viaggio o delle cose sue.

Lo ripetiamo si tratta di una piccola riforma, ma .siamo persuasi che sarebbe accolta con molto plauso dai viaggiatoli, nè sapremmo vedere quali difficoltà si oppongano ad attuarla.

I FEN O M EN I ECONOMICI (1)

Continuiamo, come abbiamo promesso a discorrere sul libro del prof. Ferri « Socialismo e criminalità ». Un punto, ohe noi stimiamo essenziale, vi è trattato abbastanza ampiamente dall’Autore, laddove lamenta che gli scienziati tengano troppo conto, nello studio dei fenomeni sociali, del loro aspetto economico tra­ scurando gii altri aspetti, e dice: « debbo ricono­ scere che i sociologi criminalisti hanno applicato il

ne sutor, dimenticato invece qualche volta dagli eco­ nomisti, perchè dominati dall’ idea, in grati parte giusta, ma non assoluta della universalità e p r e m i­ nenza dei fenom eni econom ici su tutte le altre ma­ nifestazioni dell’attività umana; » e cita qui l’Autore un nostro scritto pubblicato nell’ultimo fascicolo 1882 della R iv ista d i F ilosofia scientifica (pag. 5 4 ] . E più innanzi, trattando espressamente I’ argomento, il prof. Ferri, valendosi delle parole del Loria, nota come il Marx abbia per la prima volta esposta l’ ardita dottrina che tutte le manifestazioni dell’attività umana, sia nell’ordine giuridico che nell’ordine religioso, filo­ sofico, artistico, criminoso eoe., siano esclusivamente determinate dai rapporti economici, e che quindi la evoluzione sociale non sia che il prodotto della evo­ luzione economica. E I’ Autore riconosce che i fe­ nomeni economici hanno una grande, immensa azione sopra tutti i fenomeni sociali, ma crede che dall’am- metter questo al dire che tutte le altre manifesta­ zioni siano esclusivamente determinate dai rapporti economici, interceda ancora non poca distanza. E , studiando la genesi psicologica di queste idee, erede di accorgersi ohe essa proviene da quella facile preoc­ cupazione, per cui ogni studioso finisce per non v e ­ dere che il lato da lui studiato nel fenomeno s o ­ ciale e per ritenerlo il più importante, e non solo il più importante, ma, perchè messi sul piano incli­ nato si arriva fino in fondo, anche l'unico veramente vivo ed operante in tutto il vertiginoso complesso degli altri fatti umani.

Rimandiamo il lettore a tutto il capitolo IV del libro del prof. Ferri per leggere gli argomenti cbe egli oppone a questa tendenza dei socialisti e di molti economisti di non vedere che il lato economico di un fenomeno sociale.

A noi, cbe qui siamo quasi direttamente chiamali in causa, piace intraprendere la difesa, non già del principio cbe venne esposto dal Marx, sostenuto dal

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Laveieye ed in genere implicitamente accettato dai socialisti, ina unicamente di quel principio che abbia­ mo tentato di esporre noi nella citata R ivista di filo ­ sofia scientìfica, principio che il prof. Ferri ci ha fatto il torto ni confondere con quello da molto tempo discusso dal socialismo.

Carlo Marx, Laveieye ed i socialisti in genere, sostengono che ogni fenomeno sociale è, in ultima analisi, economico, perchè a loro piace poi dedurre, che se si potrà modificare la condizione economica della società, si avranno modificate anche tutte le altre manifestazioni sociali, sebbene di ordine diverso. E siccome essi, credono, erroneamente, che i fenomeni economici non sieno retti da leggi n atu ru li ma pos­ sano essere completamente regolati dalla libera vo­ lontà um ana per mezzo dei codici e delle leggi in genere, così, ammettendo il principio anzidetto, si pro­ curano il vantaggio di concludere: se la felicità umana in ogni ordine di fenomeni dipende dalia condizione economica dei suoi membri, se questa dipende dalle leggi sociali, sta dunque in mano della società il raggiungere tale aspirazione ; non essendo vero, soggiungono, che la società umana sia legata alle leggi naturali, che stringono e limitano la vita animale, poiché l’ intelligenza umana vince e doma la natura, il che non è agli animali concesso.

Legga il prof. Ferri l’articolo che il Laveieye ha scritto sull’argomento nel fascicolo di aprile del J o u r ­ n al des E conom istes ; mediti gli scritti,ad esempio del Loria, e vedrà cbe-la scuola dei socialisti della catted ra

non è niente affatto « una scuola realista o storica o positiva dell’economia politica », come egli, il Ferri, la chiamava in un suo scritto *)■ e in un suo di­ scorso pronunciato a Mantova, ma sibbone una scuola tutta metafisica, che mette pone principio, non essere l’ uomo soggetto alle leggi cosmiche; che si basa necessariamente sulla esistenza di un assoluto libero arbitrio; e che infine venne confusa colla scuola positiva, perchè ha assunto il pomposo nome di scuola storica. Mentre pur troppo è noto che la sto­ ria economica dei popoli non esiste ancora, e la storia, che' viene adoperata dai socialisti della cat­ tedra in appoggio delle loro dottrine, è quella vecchia storia che la scuola storica positiva ha ripudiato ed ha detto doversi rifare. Per non portare altri esempi citiamo due lavori di giovani seguaci della scuola dei socialisti della cattedra, il Loria nella sua pre lezione L a legge d i p op ola zion e ed il sistem a sociale,

ed il Tomolo : D ei rem oti fa tto r i della potenza eco­ nom ica d i F iren ze nel M ed io-E v o, é domandiamo se quella sia storia economica nel senso positivo degli studi! Purtroppo, ed ebbimo limite occasioni di affer­ marlo, la metafisica si è rifugiata nella economia politica ed ha trovato, nei socialisti più o meno della cattedra, degli strenui difensori, del che crediamo siasi convinto anche il prof. Ferri, quando fu costretto di seminare di punti interrogativi un brano citato del Loria e di opporvi quella vigorosa serie di con­ futazioni.

Ma, per ritornare all’argomento, che qui vogliamo brevemente discutere, faremo notare al prof. Ferri come il principio da noi difeso della universalità e preminenza dei fenomeni economici fosse diverso as­ sai da quello che forma il punto di partenza del socialismo.

Prima di tutto noi abbiamo creduto necessario di

') R ivista d i filosofia scientifica, Anno II, N. 3.

dare alla parola, fenomeno economico, un significalo molto più ampio dì quello che in generale gli sia accordato ; e siccome non accediamo la dottrina che ricchezza economica sia solamente il bene.materiale — sia perchè non conosciamo beni immateriali, sia perchè troviamo gli stessi caratteri dei materiali anche- nei beni intellettuali, che sono chiamati da alcuni appunto immateriali — così abbiamo dato alla economia politica una estensione maggiore, quale, è nostra convinzione, le è dovuta. Di più, non abbiamo già negata la esistenza di fenomeni che non sieno economici, ma abbiamo sostenuto che i fenomeni non economici, per quanto nel progresso sociale si sieno differenziati, così da costituire o r ­ dini a sè, come i fatti giuridici, i. fatti religiosi, i fatti morali, non possono però essi procedere sle­ gati dai fenomeni economici, anzi debbono con questi armonicamente muoversi. Soggiungemmo di più che la evoluzione dei fatti giuridici, religiosi, morali, è tanto più pronta, tanto più facile quanto più direttamente essi si riferiscono ai fatti economici, appunto perchè questi mal soffrono indugio e len­ tezza a muoversi secondo le condizioni sociali, men­ tre gli altri ordini di fatti non avrebbero obbietto se vivessero indipendenti dagli economici.

E ci permetta il prof. Ferri di osservargli che nel mentre egli ha giudicato esagerato il nostro concetto, ha poi combattuto soltanto quello, ben diverso, so- s'enuto dai socialisti.

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L’ E C O N O M I S T A

9 settembre 1883

E termineremo, giaechè in un prossimo articolo ci riserviamo di discutere più lungamente le conclu­ sioni dell' Autore, con queste parole, le quali pre­ ghiamo l’egregio professore a non prendere in mala parte. Egli si è formato della economia politica e dello stato attuale di questa scienza un’ idea non esatta : e se è meraviglioso che, malgrado ciò, il suo potente ingegno ed il suo fine criterio lo salvino dal cadere in gravi errori di apprezzamento, è però neces­ saria che egli si ritempri, per questo argomento, a fonti più pure.

Prof. A. J. D

e

J

ohannis

.

Le nostre relazioni com m erciali colla Svizzera

Il commercio dell’Italia colla Svizzera ha da lungo tempo preso uno sviluppo considerevole; negli ul­ timi tre anni gli scambi ascesero a una media di 1 4 5 milioni di cui un quarto rappresenta l’ impor­ tazione dalla Svizzera in Italia, e i tre quarti della stessa cifra rappresentano l’esportazioni italiane; pur non ostante le relazioni di questo commercio, non sono, neppure nel momento che scriviamo, regolate da alcun trattato, e si applica intanto il trattamento reciproco della nazione la più favorita.

Il 2 2 marzo scorso fu firmato tra l’Italia e la Svizzera un trattato di Commercio ma presentato al Parlamento per ottenerne la convalidazione, la camera dei deputati ne protrasse a tempo indefinito l'esecuzione, con un ordine de! giorno che consta di quattro alinea che andiamo ad esaminare breve­ mente. La prima condizione che pone la Camera dei deputati allo scambio delle ratifiche è quella che sia lasciata libera la voce p a r t i d 'arm i dal trattato vin­ colata.

In altri termini le armi smontate o le parti di esse che prima pagavano L. 2 0 0 al quintale se erano parti di fucile, e L. 7 0 0 se parti di pistole, e re- volwers, furono ribassate ai dazi dei lavori del re- speltivo metallo; e siccome i lavori greggi in ferro pagano solo L . 5 al quintale e quelli in acciaio L . 2 5 si comprende facilmente quale concorrenza faranno le armi estere a quelle italiane, quando si po­ tranno introdurre tra noi con dritti così ribassati. La Camera di commercio di Brescia se ne impensierì, e pensò subito a raccomandare al Parlamento di tute­ lare maggiormente una industria che è la principale forse fra quelle della sua provincia e che a più d’ un conto, inclusovi quello della difesa dello Stato, che è interesse più politico che economico, merita di esser conservata, anche a costo di un poca di p ro ­ tezione, afferma la Camera stessa, piuttosto che ab­ bandonata così, ciò che potrebbe avere per conse­ guenza la sua perdita totale.

D’altra parte non si sa perchè la Svizzera tenga tanto al vincolo di questa voce, mentre possiede una sola fabbrica d’armi privata, che abbia una certa im­ portanza, e mentre la statistica commericale del 1 8 8 2 non registra alcun invio dalla Svizzera all’Italia, di parti di pistole, e solo 2 quintali di parti di fucile. Molto meno si comprende come il governo ita­ liano abbia usato alla Svizzera una compiacenza che negò ostinatamente al Belgio, sol pochi mesi innanzi, e che verrebbe così ad accordagli per la clausola

della nazione più favorita, senza che questa con ces- sione, che gli avrebbe potuto fruttare un interessante reciprocanza, gli dia ora vantaggio alcuno.

Il secondo alinea dell’ordine del giorno succitato invita il governo a trattare colla Svizzera una con­ venzione relativa al godimento dei diritti civili e alle immunità da concedersi in ciascuno dei due Stati ai cittadini dell’altro.

La ragione di questa raccomandazione consiste in ciò, secondo quanto dice I’ onorevole relatore della commissione incaricata dell’esame di questo trattato: che mentre molti cittadini svizzeri stabiliti in Italia vi godono tutti i diritti e le immunità d’uso per gli stranieri e pei cittadini, non accade lo stesso agli italiani stabiliti in Svizzera; se la Camera coll’ accet tare questa parte dell’ ordine del giorno intese fare un dissimulato rimprovero alla poca energia gene­ ralmente spiegata dai ministri degli affari esteri e dai rappresentanti italiani all’ estero nella pro­ tezione dei loro connazionali, essa ha adottato un cattivo sistema; avrebbe forse fatto meglio a riunire molti fatti, e fare di questa mancanza di protezione obietto di una interpellanza speciale, dando così una' forza maggiore ai suoi rimproveri ; la constatazione della debolezza dei nostri ministri e rappresentanti, in cosa di tanto momento, fatta così in via subor­ dinata, non ci pare dignitosa; se i nostri rapporti colla Svizzera in mancanza di un trattato sono re­ golati colle norme della nazione più favorita, toc­ cava ai nostri ministri plenipotenziari, di studiare i trattati conclusi tra la Svizzera e le altre potenze, onde rilevare quali sono i diritti che ai citttadini di esse competono e pretendere ugual trattamento pei nostri connazionali ; non è dunque alla Svizzera che va diretto il rimprovero della disconoscenza dei nostri diritti, ma a chi per debolezza di carattere, o per disattenzione, ha potuto permettere una diffe­ renza qualunque di trattamento a danno dei citta­ dini italiani confidati alla loro tutela.

Il terzo alinea dell’ordine del giorno in esame con­ tiene una raccomandazione di organizzare una effi­ cace repressione del contrabbando. E cosa notissima, quanto questa piaga delle dogane, abbia preso con­ sistenza sulla frontiera svizzera, specialmente in al­ cuni punti del cantón Ticino, ove la frontiera è quasi aperta. Non è, si può dire, più una cosa clandestina ma un traffico completamente organizzato, e vi sono case di commercio che emanano perfino circolari a stampa colle tariffe pei trasporti offra confine, in frode ai.diritti doganali italiani. La cosa non può dunque dal nostro governo esser più offre tollerata, e mal se ne scusa la Svizzera, allegando il difetto di guardie doganali. E necessario dunque che una repressione energica sia al più presto possibile or­ ganizzata, e che la sorveglianza non sia soltanto eser­ citata sulla linea di frontiera, ma si estenda fino al luogo di partenza delle merci, che con tanta impu­ denza i venditori rivelano di voler introdurre in Italia in contrabbando. L ’ istituziouc delle dogane interna­ zionali di Chiasso e Luino, se dà indizio di un prin­ cipio di buona volontà dal lato della Svizzera, rimar­ rebbe una misura sterile se non si completasse con un beninteso sistema di sorveglianza, e questo non può che esser conseguenza di una convenzione spe­ ciale, che il Parlamento italiano desidera conclusa e ratificata anche prima del trattato di commercio.

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quella che è contenuta nell’ultimo alinea dell’ordine del giorno approvato dalla camera dei deputati, anzi può dirsi, che mancando anche le altre obiezioni al­ l’approvazione di queslo trattato questa sola avrebbe potuto di se sola ritardarla, e se riuscisse inascol­ tata, dirimerla affatto.

Essa è così formulata : La Camera invita il go­ verno del Re a concertare col governo Federale una comune azione presso la Società ferroviaria del Got- terdo, perchè sieno mitigate le condizioni dei tra­ sporti su quella linea, in senso più favorevole agli interessi italiani. A rendere all’ Italia i vantaggi che essa avea sperato col profondere, con forse troppo grande generosità, i suoi milioni in una delle più grandi imprese dei tempi moderni, occorrerebbe o che la ’Società ferroviaria, animata da più larghe vedute, diminuisse le tari Ile per modo da rendere impossibile la concorrenza delle altre ferrovie tran­ salpine, o dei più lunghi percorsi attraverso esteri paesi, o quanto meno che il Consiglio Federale Sviz- sopprimesse, e in caso d’ impossibilità assoluta, ri­ ducesse, la soprattassa che grava i trasporti. Il go­ verno Svizzero s’impegna a raccomandare al Consiglio Federale questa misura tanto provvida, e anche tanto consentanea agli interessi generali, ma l’ Italia che in questo affare non è più alle sue prime delusioni, vuol, prima di ratificare un trattato di lunga durata, il che impedirebbe affatto ogni rappresaglia, vedere il resultato di questa raccomandazione che il governo farà al Consiglio Federale.

Ci auguriamo che questi quattro punti discussi dal Parlamento italiano, si possano presto definire, e le nostre relazioni commerciali colla Svizzera, pos­ sano inaugurarsi su una base di véra e propria re - ciprocanza, tanto necessaria a che i patti sieno durevoli, e indispensabile assolutamente fra nazioni limitrofe che una rispettabile mole di affari commerciali, deve unire con vincolo leale e per ambedue dignitoso.

IL CR EDITO FONDIARIO

d e l B a n c o d i

S .

S p i r i t o i n R o m a

Fino da quando cominciò a funzionare in Parigi il C redit F o n d e r si fecero pratiche ;n Roma da parte di capitalisti francesi o italiani per fondare una simile istituzione nello Stato Romano, ma queste pra­ tiche abortirono e così il credito fondiario, posterior­ mente istituito, venne foggiato sul sistema germanico anziché sul francese, il quale non si addice all’ in­ dole di un ente, che avendo la sua Cagione di es­ sere unicamente nel capitale immobiliare, non può svolgersi che coll’ipoteca effettivamente iscritta prima dell’emissione. E a questo principio si informa ap punto la legge italiana del l i giugno 1 8 6 6 con la quale si organizzò il credito fondiario in varie pro­ v in ce del Regno autorizzando con speciali decreti alcuni istituti di credito a esercitarlo, e fra questi decreti si trova quello del 2 4 luglio 1 8 7 3 , in forza del quale il fianco di S. Spirito di Roma venne au ­ torizzato ad operare come credito fondiario per la città e provincia di Roma.

Per la legge del 1 8 6 6 ciascun istituto autorizzato doveva organizzare un Ente separato per la funzione

dal Credito fondiario, e accettare l’ onere dell’asse­ gnazione di un fondo di dotazione che per il Banco di S. Spirito veune stabilito nella somma di un mi­ lione e mezzo di lire.

Esaurite tutte le formalità richieste dalla legge del 14 giugno 1 8 6 6 e dal successivo regolamento ministeriale, il Banco di S. Spirito cominciò a fun­ zionare comeCredito fondiario lino dall’aprile del 1 8 74. Prima però di render conto delle sue operazioni cre­ diamo utile il dare qualche ragguaglio sul modo con cui il Consiglio di direzione procede all’accettazione e al rigetto della domanda di mutuo.

Il Consiglio di direzione si riunisce una volta la settimana, esamina le domande, e per quelle che prende in considerazione, nell’ albo da esso compi­ lato sceglie i periti, che debbono accertare il valore dei fondi da ipotecarsi, e i consulenti legali che deb­ bono esaminare i titoli di provenienza e le ragioni ipotecarie. Fatte le perizie e le consultazioni legali, l’affare torna al Consiglio con una relazione di uno dei consiglieri che riferisce su tutto 1’ affare, e con voto motivato propone di dare o di negare facoltà alla direzione di stipulare il contratto provvisorio, o, come chiamasi, condizionato. Il mutuo non può con­ cludersi mai per somma maggiore alla metà deU’iib- porto della perizia, e talvolta, come per i fondi u r­ bani in provincia, o sono questi esclusi dalla garanzia se posti in luogo di poca commerciabilità , o si dà il terzo soltanto del valore accertato. Per i fondi ru ­ stici, escluse assolutamente le colonie anche perpetue, si accorda il terzo per quelli che sono ricoperti di soprassuolo vignato, e la metà per i prati, terreni lavorativi, oliveti e macchie. Quanto ai fondi eufi- teulici si accettano in garanzia, però a patto sostan­ ziale che si affranchi il canone, e si comprenda ef­ ficacemente il diretto dominio nella garanzia stessa. Col contratto condizionato s’ iscrive la ipoteca a favore del Credito fondiario; e quando resulti che questo sia primo e senza concorrenti, o possa dive­ nire tale con depositi vincolali a farsi nelle stipu­ lazioni dei contratti definitivi, si riferisce per la terza volta al Consiglio di direzione dal consigliere rela­ tore, e se viene la deliberazione favorevole, è ac­ cordata facoltà alla direzione di stipulare il contratto definitivo. Allora soltanto si emette un proporzionato numero di cartelle, le quali vengono consegnate al mutuatario. Non è inutile lamentare tutta questa serie di formalità domandate dalla legge. Si prestano centomila lire sulla semplice firma in una cambiale; e si esige quella innumerevole serie di pedanti norme per prestare un quarto del a somma colla garanzia di un fondo che vale il triplo !

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