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184 SECONDA PARTE RICOSTRUZIONI BIOGRAFICHE ATTRAVERSO LE FONTI ORALI

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SECONDA PARTE

RICOSTRUZIONI BIOGRAFICHE

ATTRAVERSO LE FONTI ORALI

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Capitolo 1

Ivo Agostini, figurinaio per scelta professionale

1.1 Gli anni da agricoltore a Coreglia e la partenza per il Brasile

Ivo Vittorio Agostini nacque a Coreglia il 4 giugno del 1919 da una famiglia di figurinai che praticava questo mestiere da alcune generazioni, emigrando nelle principali città dell’Europa Occidentale per lavorare nel commercio ambulante come venditori della produzione realizzata nel luogo di origine. Fu questa l’occupazione della maggioranza degli artigiani del gesso espatriati almeno fino al tramontare del XIX secolo. Grazie alla propria professione il padre Pietro e il nonno Francesco avevano avuto la possibilità di sostenere le loro famiglie anche nei periodi di crisi della povera economia rurale della montagna lucchese, riuscendo con il passare degli anni a raccogliere un capitale considerevole che, come era consuetudine presso la popolazione delle aree montuose alpine e appenniniche, avevano investito in terreni agricoli.

Ancora giovanissimo Ivo si dedicava alla coltivazione delle terre che il padre lasciava amministrare alla consorte, perché troppo occupato nelle campagne all’estero per gestire le sue proprietà.452

Erano i primi anni trenta quando Pietro Agostini decise di imbarcarsi per il Brasile, dove i viaggi finalizzati alla vendita delle statuine dovevano prolungarsi almeno per alcuni mesi, considerando che servivano circa trenta giorni solo per raggiungere il Sud America. L’emigrante prese la difficile decisione tenendo presente le occasioni che la crescita economica oltreoceano stava offrendo (il periodo florido del Brasile era iniziato nella seconda metà dell’Ottocento e, a fine secolo con la crisi in Argentina, nell’immaginario degli italiani in cerca di affermazione professionale questo Paese era sinonimo di America).453 Ma oltre al desiderio di migliorare la sua condizione finanziaria, il figurinaio era animato

452 Parte delle informazioni per la stesura del primo paragrafo sono state prese dall’intervista che Ivo Agostini ha

rilasciato a Coreglia il 22 novembre del 2010.

453 A inizio Novecento il Brasile, anche se continuava a richiamare grande interesse, non era più la meta

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dal sogno di una vita libera, che lo spingeva a provare insofferenza verso i limiti imposti dalla società rurale lucchese.

In un primo momento Agostini si adattò a lavorare come dipendente nella ditta Bernardini,454 poi gli esiti positivi che la lavorazione del gesso stava conseguendo in Brasile lo spinsero ad andare oltre il ruolo di semplice artigiano, aprendo un laboratorio per la produzione delle statuine a cui dette il nome di “Ceramicas Agostini”, che gli diede l’opportunità di diventare un imprenditore nel suo settore. Il desiderio di potenziare la propria attività era talmente grande, da portare con sé a Rio de Janeiro il primogenito Giuseppe Agricolo455 di soli diciassette anni, con il palese obiettivo di insegnare al figlio il mestiere di famiglia di modo che, una volta apprese le abilità del figurinaio, potesse rappresentare un valido sostegno per la gestione della nuova azienda.

Pietro non aveva ancora preso in considerazione la possibilità di organizzare l’emigrazione del figlio minore, che, impegnato nel lavoro agricolo nel luogo di origine, non aveva mai partecipato alle sue precedenti campagne all’estero. Con il secondo conflitto mondiale, mentre il capofamiglia e il primogenito continuavano a lavorare in Brasile, Ivo fu arruolato nell’esercito e inviato a combattere prima sul fronte francese e poi in Albania, per infine essere destinato al reparto logistico di Gallipoli e scelto per il fronte greco, ma non compì mai quest’ultimo trasferimento a causa dello sbarco degli alleati.

La guerra portò la crisi nell’economia rurale delle montagne della Media Valle e anche le famiglie come gli Agostini, che erano riuscite nel ventennio precedente ad accrescere il proprio tenore di vita, dovettero affrontare nuove privazioni e continuare a considerare l’emigrazione come l’unica opportunità per migliorare la loro condizione. Fu nei mesi che seguirono la fine del conflitto che Ivo iniziò a prendere in esame la possibilità di lasciare il proprio mestiere

Gli italiani al Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America, 1492-1942, cit., in particolare p. 259.

454 In un’immagine dell’archivio della famiglia Agostini datata fine anni venti Pietro, ancora dipendente della

ditta Bernardini di Rio de Janeiro, compare con i colleghi all’ingresso del laboratorio: in basso è posizionato un gruppo di una ventina di statue della Santa Vergine alte circa trenta centimetri.

455 Nato nel 1917, Giuseppe Agricolo aveva due sorelle di maggiore età, Eda Assunta primogenita e Assunta

Maria, mentre dopo di lui erano nati Ivo nel 1919 e Luisa nel 1927. Quest’ultima, dopo la partenza del padre nel 1933 per il Brasile, lo rivide solo al suo ritorno nel 1949.

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(benché si offrissero alcune occasioni di impiego agli agricoltori più volenterosi) e partire per Rio de Janeiro per inserirsi nell’azienda del padre, ritenendo motivo di orgoglio dedicarsi alla professione che i componenti della sua famiglia svolgevano ormai da lungo tempo.456 Una decisone del resto fortemente sollecitata dallo stesso Pietro, che aveva il desiderio di rimpatriare in modo definitivo per farsi sostituire dal secondogenito, ma resa difficile dal particolare rapporto che univa quest’ultimo alla madre, la quale riversava in lui importanti aspettative per compensare la costante mancanza del consorte.457

Dopo un’attenta riflessione Ivo decise di abbandonare il luogo di origine; aveva sentito parlare spesso del lavoro di figurinaio dal padre, ma non sapeva nemmeno immaginarsi quali sarebbero stati i ritmi di vita e le mansioni a cui sarebbe stato sottoposto giunto in Brasile, dove arrivò il 10 dicembre 1946.458 Pietro lo accolse con entusiasmo, felice che l’arte del gesso avesse occupato tutti i componenti di sesso maschile della sua famiglia, ma volle che il figlio apprendesse il mestiere partendo dai ruoli più umili, convinto che solo in seguito a un lungo apprendistato fosse possibile diventare un esperto artigiano. Ivo fu inizialmente destinato alla vendita nelle piazze principali dove avevano luogo i mercati cittadini, mentre in laboratorio veniva impiegato per la gettatura del gesso e, solo in un secondo momento, passò alla rifinitura delle statuine, lavoro indispensabile per prepararle alla colorazione. Oltre a vendere con la bancarella, il garzone veniva mandato a recapitare le ordinazioni presso i negozi di arte sacra, che rappresentavano la clientela prevalente della “Ceramicas Agostini” per il commercio al minuto insieme ai conventi e alle chiese.

Pietro, infatti, fin dalle passate campagne commerciali in Europa si era conformato per i personaggi da inserire nel suo catalogo alle tendenze della

456 Nell’archivio della famiglia Agostini sono conservate alcune immagini della seconda metà degli anni

quaranta che mostrano il buon tenore di vita in Brasile di Pietro; quest’ultimo le aveva inviate a Ivo per convincerlo a partire. In una fonte del 1947 Giuseppe Agricolo siede sul parafango di un’auto lussuosa, mentre in una fotografia del 1946 si fa ritrarre con il padre in abiti eleganti.

349Il particolare rapporto di Ivo con la madre è stato descritto dal discendente Italo Agostini (primogenito del

figurinaio) nell’intervista del 29 novembre 2010 rilasciata a Coreglia.

458 La data di arrivo di Ivo Agostini compare sulla carta di identità che l’emigrante richiese molti anni dopo il suo

espatrio, nel 1972, poche settimane prima di tornare in modo definitivo a Coreglia; il documento è custodito nell’archivio familiare.

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produzione in gesso dei migranti lucchesi, incentrata sul tema religioso cattolico, a cui solo raramente venivano aggiunte statuine di animali.459 Scarsamente curato era anche il soggetto storico, in passato molto presente.460 Con il trascorrere degli anni e conoscendo in modo sempre più approfondito la cultura della popolazione brasiliana, però, i figurinai ampliarono il loro repertorio iniziando a realizzare personaggi appartenenti alle religioni orientali professate dalle minoranze in Sud America, tra cui il buddismo e lo scintoismo.

Ivo imparò a gettare fin dai primi giorni di lavoro in laboratorio, raggiungendo una certa abilità nella colatura del gesso in alcune settimane; era già un risultato significativo, poiché la gettatura461 costituisce l’operazione fondamentale nel processo di modellazione della statuina. La realizzazione della stampa, benché sia più complessa, appartiene alla fase iniziale e viene effettuata soltanto se si manifesta la richiesta di un nuovo soggetto, in caso contrario risulta molto più conveniente lavorare con le stampe già utilizzate in precedenza. Il procedimento adottato dalla ditta Agostini era quello impiegato nella tradizione artigianale della figurina: si ricopre il modello fatto da uno scultore con della creta fresca e con gesso liquido da cui, una volta asciutto, si ricava la sciarpa, due blocchetti che uniti riportano il negativo della forma del soggetto scelto nell’apertura dove è stato collocato. Il modello viene poi rimesso nella stessa posizione, ma ripulito dalla creta fresca, di modo che rimanga un’intercapedine tra la statuina e la sciarpa in cui si cola il materiale per la stampa, che poi viene solidificato.462 In quegli anni i figurinai emigrati in Brasile realizzavano la stampa in caucciù vulcanizzato463, procedimento chimico che erano in grado di eseguire con risultati più che accettabili nei loro laboratori.

459 Le informazioni sull’attività commerciale della “Ceramicas Agostini” sono state fornite da Italo Agostini, che

durante la già citata intervista del 29 novembre 2010 rilasciata a Coreglia ha integrato la narrazione del padre, raccontando anche parte dei fatti che vengono ricostruiti nel secondo paragrafo.

460 Presso l’archivio della famiglia Agostini si trova un’immagine di Ivo nel giardino dell’azienda con alcuni

pezzi di medie dimensioni, alti all’incirca cinquanta centimetri; tra questi, oltre alle figure religiose di santi, compaiono alcuni cavalli.

461 Per gettatura si intende l’inserimento del gesso liquido nella stampa.

462 La memoria delle tecniche di lavorazione del gesso viene conservata dai figurinai che si occupano del

laboratorio situato nel “Museo della figurina di gesso e dell’emigrazione” di Coreglia.

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Le ultime fasi sono l’asciugatura, per la quale sono indispensabili alcuni giorni (ma se si ha premura di evadere un’ordinazione si possono ridurre i tempi mettendo le statuine in un locale riscaldato), a cui seguono la ripulitura dalle sbavature lasciate dalla stampa e la colorazione a pennello o con l’aerografo, possibile solo dopo che la statuina è stata immersa in una particolare soluzione. Quest’ultima si ricava sciogliendo nell’alcool una radice vegetale che lo rende impermeabile; il liquido, una volta che ha intriso il materiale, ha la capacità di far aderire con facilità qualsiasi tipo di tinta.

Oltre a Ivo, al padre e al fratello, nell’azienda lavoravano circa venti operai di origine brasiliana di ambo i sessi:464 gli uomini si occupavano delle mansioni più faticose, come la gettatura o la gestione del magazzino, mentre le dipendenti erano adibite alla colorazione a mano delle statuine, per la quale è necessaria molta precisione e un particolare gusto estetico.

Alcuni mesi dopo l’arrivo di Ivo, Pietro decise di rimpatriare; il nuovo dipendente aveva acquisito le conoscenze indispensabili per il lavoro di figurinaio ed era ormai pronto ad assumere la gestione del laboratorio insieme al fratello, per concedere al padre di trascorrere la terza età nel luogo di origine. Ma partire non era semplice: i dipendenti, organizzati in modo che la costante presenza di Pietro risultava indispensabile, dovevano imparare a lavorare facendo affidamento soltanto sui suoi figli, titolari insieme ai due fratelli brasiliani Francisco e Luigi Pinheiro, che, oltre a mettere a disposizione la sede del laboratorio in cambio di una percentuale degli utili, partecipavano in modo costante alla produzione e alla commercializzazione delle statuine. Prima che l’esperto artigiano riuscisse a sistemare i suoi affari nel laboratorio brasiliano trascorse un altro anno; solo nel 1948 Agostini ebbe la possibilità di tornare nel

resistenza meccanica. Consiste in un trattamento a caldo con zolfo, di modo che il materiale acquisti le caratteristiche dello stato elastico (definizione presa da Le parole della scienza: dizionario di chimica, Milano, Editrice Rizzoli, 1988).

464 Nell’archivio della famiglia Agostini sono presenti alcune fonti in cui compaiono i dipendenti brasiliani di

Pietro. In un ritratto della fine degli anni quaranta Ivo è accanto a un giovane operaio e in due immagini antecedenti all’arrivo dell’emigrante una decina di dipendenti del laboratorio posano insieme a Giuseppe Agricolo e alla sua fidanzata Carminha (Maria do Carmo).

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luogo di origine per non emigrare mai più, vivendo il resto dei suoi giorni di rendita e facendo scrivere sulla carta di identità “di professione benestante”.465 Gli abitanti più anziani di Coreglia lo ricordano ancora come un uomo estremamente orgoglioso, che amava raccontare i difficili anni di lavoro all’estero finendo sempre con una lode per il Cruzeiro, la moneta brasiliana che alla metà del Novecento aveva un valore sul mercato internazionale ampiamente superiore al dollaro. Pietro Agostini morì il 19 gennaio del 1968, ormai vedovo e residente presso l’abitazione della figlia Luisa.466

1.2 L’azienda Agostini nel periodo successivo alla partenza di Pietro

Con il rimpatrio di Pietro la “Ceramicas Agostini” continuò la sua attività sotto la direzione di Giuseppe Agricolo e di Ivo. Quest’ultimo aveva ormai raggiunto l’età del matrimonio ed era sentimentalmente legato a Elda Pellegrini, una ragazza ancora residente a Coreglia alla fine degli anni quaranta, disposta per amore a trasferirsi a Rio de Janeiro. Ma far arrivare in Brasile la futura consorte non era affatto semplice, perché solo se una donna era sposata poteva avere un valido motivo per ricevere il permesso di espatrio e ricongiungersi al marito all’estero. A causa di questo limite burocratico Pietro al suo ritorno fu costretto a far sposare per procura Elda con il figlio Ivo, permettendo alla ragazza di arrivare a Rio de Janeiro tra il 1948 e il 1949.467

Elda non aveva mai frequentato un laboratorio del gesso e ne rimase estranea per molti anni, fino al momento in cui l’enorme carico di lavoro la costrinse ad affiancarsi al marito nella conduzione dell’azienda.

I coniugi Agostini avevano scarsi rapporti con la popolazione sudamericana; nel quartiere di Bonsucesso, dove vivevano, frequentavano in prevalenza

465 Una delle ultime immagini di Pietro in Brasile conservate nell’archivio della famiglia Agostini è datata 1947

e lo ritrae con Ivo, Giuseppe Agricolo e la compagna del primogenito Carminha. Pietro è posizionato al centro del ritratto, seduto nel ruolo di capofamiglia, mentre i figli e la giovane brasiliana posano in piedi alle sue spalle.

466 Una descrizione del carattere, per certi aspetti autoritario, di Pietro Agostini è stata fatta dalla figlia Luisa

durante l’intervista eseguita a Coreglia il 20 dicembre 2010.

467 La consuetudine del matrimonio per procura era piuttosto diffusa tra i migranti italiani e viene citata anche in

una nota canzone di Pierangelo Bertoli, Rosso colore, in Il centro del fiume, CGD, 1977, storia di un operaio di fabbrica emigrato che scrive a un amico, raccontando le proteste contro i padroni fallite a causa della corruzione dei sindacalisti e le difficoltà della disoccupazione, in seguito a cui ha dovuto lasciare il suo Paese.

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famiglie italiane, benché facessero la spesa o comprassero qualsiasi altro genere di utilizzo quotidiano in alcuni negozi gestiti da brasiliani o da stranieri di varie nazionalità. In futuro, durante la loro seconda emigrazione, Ivo ed Elda preferirono anche per i figli un’educazione improntata sulla cultura del luogo di origine e, di conseguenza, la prima lingua che i bambini impararono a parlare fu l’italiano, non andarono all’asilo e negli anni delle scuole dell’obbligo erano sollecitati dai genitori, ma non costretti, a preferire le amicizie con i connazionali.468 I due emigranti ebbero sempre notevoli difficoltà nell’accettare la mentalità dei brasiliani, non solo in merito alle scelte in ambito lavorativo, ma anche per come appariva ai loro occhi il modo di vivere degli autoctoni.

La mancata integrazione culturale si manifestava nel rapporto tra Elda e la consorte di Giuseppe Agricolo di origine brasiliana: Carminha (Maria do Carmo), nata alla fine degli anni venti, con cui il figlio maggiore di Pietro Agostini si era sposato già da alcuni anni quando la cognata giunse a Rio de Janeiro. Il fratello di Ivo, essendo giunto all’estero prima di lui e ancora in giovanissima età, era riuscito a conformarsi ai caratteri culturali della società che lo ospitava, finendo per preferire rispetto a un’italiana una moglie autoctona. Di Carminha Elda non sopportava il voler sfoggiare a ogni costo un discreto tenore di vita, ma ancora più difficile da accettare era la leggerezza con cui ai suoi occhi la cognata, come in generale tutti i brasiliani, affrontavano le difficoltà, senza organizzarsi per poter fronteggiare le necessità del domani.469

Quando nell’ottobre del 1950 nacque il primogenito Italo, il padre rivendicò nella direzione dell’azienda un ruolo di maggiore responsabilità, avvertendo il bisogno di costruire un futuro a livello economico e sociale più stabile per sé e per la sua famiglia. La nuova condizione, insieme alle difficoltà relazionali tra Elda e la comunità di Rio de Janeiro, rese ancora più sofferta la convivenza tra i

468 Italo Agostini ha raccontato di aver vissuto in modo sereno l’infanzia e l’adolescenza, specialmente nel

rapporto con i coetanei autoctoni, perché, malgrado i limiti imposti dall’educazione dei genitori, i due fratelli riuscivano a mantenere una certa libertà di comportamento.

469 Le impressioni di Elda sulla cultura brasiliana sono state raccontate da Ivo Agostini nella già citata intervista

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soci, anche perché Ivo riteneva difficile operare all’interno di un gruppo in cui dovevano collimare le differenti mentalità di quattro imprenditori.

I fratelli Agostini finirono per non trovare un accordo su un progetto di revisione del catalogo dell’azienda, su cui Giuseppe Agricolo aveva insistito molto, ritenendo indispensabile iniziare a produrre statuine di personaggi appartenenti alla tradizione storica e al folklore brasiliani, come il “Sasi Perere”, un vecchio schiavo saggio nato dalla fantasia di un giornalista di colore, che insegnava a leggere ai giovani negri nel Brasile della metà del Novecento.470 Legato alla tradizione cattolica, Ivo non poteva accettare un avvicinamento alla cultura del luogo di arrivo, così nel 1954 decise di far ritorno a Coreglia malgrado fosse pienamente cosciente che in patria le possibilità economiche per proseguire la professione di figurinaio erano estremamente limitate. A spingere i due coniugi a rimpatriare concorse anche un episodio spiacevole accaduto al piccolo Italo, vittima di un’infezione al cuoio capelluto dovuta al contatto con un gatto, malattia che aggravò lo stato di depressione della madre.471

Ivo decise di lasciare la “Ceramicas Agostini” proprio nel momento in cui stava conquistando uno spazio sempre più consistente nel mercato della figurina a Rio de Janeiro. L’ampio giro commerciale in cui si era inserita l’azienda era dimostrato dalla presenza di oltre trenta dipendenti (era difficile trovare nel settore un laboratorio con altrettanto personale) e dalle frequenti visite di calciatori professionisti conosciuti in tutto il mondo, tra cui Garrincha (giocatore nazionale compagno di Pelè), avvicinati dai fratelli Pinheiro che per il loro alto tenore di vita potevano avere rapporti con le classi sociali più in vista tra la popolazione della città brasiliana.472

Tra il 1954 e il 1955 Ivo Agostini lavorò a domicilio per alcuni laboratori della figurina situati nel comune di Coreglia, mettendo a disposizione l’esperienza

470 Nelle foto dell’archivio Agostini scattate prima dell’arrivo di Ivo e nelle immagini riconducibili agli anni in

cui l’emigrato lavorò a Rio de Janeiro tra le statuine non compaiono mai personaggi legati alla cultura autoctona o alle religioni professate dalle minoranze (tutt’oggi il 78% della popolazione brasiliana è di fede cattolica).

471 Nell’archivio della famiglia Agostini rimangono alcune foto di Italo bambino con i genitori a Rio de Janeiro:

in un ritratto del 1950 Ivo è dietro alla moglie che seduta tiene il neonato sulle gambe, mentre in un’immagine del 1953 il primogenito è in piedi su una sedia accanto al padre.

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maturata negli anni di vita all’estero, ma senza mai raggiungere i livelli toccati in precedenza. Nel luogo di origine ritrovò l’amico Lido Giovanetti, emigrato da scapolo a Rio de Janeiro e rimasto deluso dagli elevati ritmi di vita della megalopoli, tanto da rimpatriare dopo essere stato dipendente di alcune ditte gestite da italiani, occupazione che aveva mantenuto per poco tempo. Fu proprio lui a rivolgere ad Agostini la proposta destinata a rivoluzionare il suo futuro professionale:473 aprire una nuova azienda in Brasile. Il cugino di Lido, Giovanni Togneri, in quegli anni viveva a Recife e possedeva insieme ad Armando Larocca un laboratorio legato alla bottega “Casa Roma”474 dei fratelli Schettini, suoceri dello stesso Larocca. Quest’ultimo offriva a Ivo e a Lido la possibilità di prelevare una parte della sua quota nella società, in un momento estremamente felice per il settore della figurina, che aveva ormai guadagnato il mercato del centro-nord dell’America Latina, con buone prospettive per un’ulteriore espansione a breve tempo.

La vecchia azienda era ubicata in una via principale del centro di Recife e realizzava una produzione in gesso riservata unicamente all’attività commerciale del negozio adiacente. In tre anni di lavoro Giovannetti e Agostini, diventati con Togneri ben presto gli unici proprietari, fecero crescere a tal punto le ordinazioni da sentire la necessità di spostare la sede nella periferia della città, dove non c’erano i problemi delle aree più urbanizzate. In realtà la decisione di cambiare la collocazione del laboratorio era stata presa nei primi mesi di vita della nuova società, ma fu necessario molto tempo per scegliere il terreno adatto e per avere le autorizzazioni richieste per la costruzione dell’immobile.

Nel frattempo Togneri si era sposato con Adelina Donati da cui aveva avuto una bambina, Lido Giovanetti si era unito con la moglie Rosita Cavalcanti di origine brasiliana e anche lui aveva avuto il primo figlio e nel 1957 era nato Fernando, il secondogenito di Agostini. Le tre famiglie vivevano negli

473 Alla fine dell’intervista Ivo Agostini ha precisato che questo periodo della vita è stato tra i momenti più

difficili per le importanti decisioni che doveva prendere.

474 Durante un incontro successivo con Italo Agostini del 23 febbraio 2011 presso la sua abitazione di Coreglia

l’intervistato ha spiegato che il negozio, gestito dagli eredi dei fratelli Schettini, è tutt’oggi in attività in un’altra sede e continua a commerciare articoli religiosi, tra cui statuine in gesso.

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appartamenti sopra il negozio, ma gli Schettini furono costretti a sfrattarle a fine anni cinquanta, affrettando lo spostamento definitivo del laboratorio nella periferia di Iputinga,475 adatta da un punto di vista urbanistico alla realizzazione di nuove attività imprenditoriali.476

1.3 Il trasferimento a Recife

L’azienda di Recife non raggiunse mai in quanto a dimensioni e al numero del personale i livelli del vecchio laboratorio Agostini di Rio de Janeiro, anche se con il passaggio ai nuovi proprietari tutti i dipendenti furono disposti a trasferirsi nella periferia della città per conservare il posto di lavoro;477 addirittura alcuni operai acquistarono un’abitazione nelle vicinanze della nuova sede. Questi comportamenti dimostrano da una parte quanto i figurinai autoctoni fossero legati alla propria attività, ritenuta vantaggiosa a livello economico e professionale rispetto ai mestieri che avrebbero potuto svolgere, tra gruppi di pescatori e cucitrici a domicilio, e dall’altra come Togneri, Giovannetti e Agostini avessero tutto l’interesse a riservare un buon trattamento ai loro sottoposti, per mantenere la manodopera a cui avevano dato una buona formazione nei primi anni di lavoro a Recife.

Quando il laboratorio raggiunse la sua massima crescita erano impiegati al suo interno una ventina di operai.478 Tra i soci c’era stata una precisa suddivisione dei ruoli: Giovannetti e Togneri si occupavano delle stampe, che ancora venivano realizzate solo quando erano richiesti personaggi non presenti nel catalogo del laboratorio, mentre Agostini seguiva i dipendenti addetti alla gettatura e alla ripulitura delle statuine.

475 Iputinga non era tra le zone dove si concentrava la presenza degli emigranti toscani; in una periferia di 37.000

abitanti negli anni sessanta erano pochissimi gli italiani, a differenza di Jacutinga e di San Bernardo, località spesso citate anche nelle lettere conservate presso l’Archivio Cresci sull’emigrazione lucchese in Brasile.

476 L’edificio in cui fu ubicata la sede del nuovo laboratorio esiste ancora oggi, in Rua Antonio Carlos Ribeiro de

Andrade, al numero 39, nel sobborgo di Monsignor Fabrizio a Iputinga. La struttura appartiene ai discendenti di Giovanetti, ma è abbandonata a se stessa, e la si può individuare anche attraverso Google Earth.

477 A causa dell’improvvisa scomparsa di Ivo Agostini il 7 dicembre 2010, la seconda parte della sua vita è stata

ricostruita prevalentemente attraverso l’intervista effettuata a Coreglia il 20 dicembre 2010 al figlio Italo.

478 Italo ha specificato che già ai tempi del laboratorio di Rio de Janeiro il padre aveva sempre avuto nei

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Queste ultime fino a sessanta centimetri di altezza venivano prodotte per stoccaggio e facevano parte del lavoro quotidiano dell’azienda: i proprietari non aspettavano che fossero ordinate, perché pezzi di queste dimensioni potevano essere venduti con grande facilità, come le figurine più economiche dei personaggi del presepe che non superavano i dodici centimetri. I pezzi di dimensioni maggiori, fino anche a un metro e mezzo di altezza, venivano realizzati su ordinazione, avendo per il loro costo elevato un mercato di nicchia, anche se la ditta riceveva spesso commissioni di questo genere. Le figurine venivano fornite di occhi di vetro importati nel Sud America dalla Germania Democratica, indispensabili per rendere realistiche le opere;479 tale materiale poteva essere acquistato in Italia e poi esportato all’estero soltanto attraverso gioiellieri o banchieri, che svolgevano il ruolo di intermediari ed esigevano pagamenti in valuta pregiata, principalmente in dollari.

Il livello qualitativo della produzione era maggiore rispetto alle statuine di Rio de Janeiro, almeno per quanto riguardava i pezzi che erano stati realizzati fino a quando Ivo aveva continuato a lavorare con Giuseppe Agricolo. I migliori risultati erano dovuti all’accurata tecnica di colorazione, che a Recife veniva eseguita quasi interamente a mano, riservando l’uso dell’aerografo (strumento molto meno preciso del pennello) per la rifinitura delle ombreggiature.480

I primi anni della nuova impresa procedettero senza contrasti tra i proprietari, anche se fin dall’inizio Ivo notò che esistevano delle divergenze di opinioni nel modo di organizzare il laboratorio tra Giovannetti e Togneri. Agostini era più vicino alla mentalità imprenditoriale del primo socio, anche se riteneva estremamente dannoso per l’azienda ogni contrasto tra i due cugini e sarebbe stato disposto persino ad assumere maggiore personale per realizzare vari tipi di produzione, dando seguito alle convinzioni di ambedue, pur di mantenere un clima disteso. Nel 1960 iniziarono a manifestarsi i primi dissapori che, come era

479 Molta merce veniva importata dalla Germania Democratica, malgrado i limiti imposti dalla cortina di ferro,

grazie all’aiuto dei diplomatici italiani che viaggiavano nei Paesi europei. Da loro i gioiellieri acquistavano gli occhi di vetro, che in un secondo momento arrivavano al laboratorio di Recife tramite parenti o amici dei proprietari interessati a emigrare in Brasile.

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accaduto in precedenza a Rio de Janeiro, ebbero luogo sia in ambito professionale che nella vita privata. In merito alla gestione del laboratorio, Togneri non aveva mai dimostrato di approvare la scelta dei soci incentrata su una produzione di elevata qualità, di conseguenza propose di cambiare il metodo di colorazione, che a suo avviso doveva essere interamente realizzata con l’ausilio dell’aerografo per ridurre i costi e i tempi di lavorazione. Nella vita privata, invece, ancora una volta emergevano difficoltà di convivenza tra le mogli dei figurinai, poiché Elda e Adelina non riuscivano ad accettare le abitudini di Rosita. Come tutti i brasiliani, anche la consorte di Lido era interessata a sfoggiare possibilità economiche invidiabili senza considerare le conseguenze del suo comportamento, tenendo fede al modo di dire diffuso nella propria terra di origine per cui: “Un brasiliano che apre un’azienda il primo giorno lavora con i dipendenti, il secondo giorno si limita a dirigerli e il terzo giorno non ha più bisogno nemmeno di andare in fabbrica, perché fa lavorare solo gli operai”.481

In circa venti anni di vita a Recife la famiglia Agostini mantenne sempre l’atteggiamento riservato che già in passato aveva dimostrato nei confronti degli autoctoni per difendere le proprie abitudini culturali, che furono insegnate anche al secondogenito Fernando. Non solo Ivo, ma anche Togneri e persino Giovannetti, malgrado avesse sposato una donna brasiliana, non chiesero mai la naturalizzazione (la legge precludeva al terzo socio il diritto di avere la cittadinanza direttamente dal matrimonio), benché avessero ottime probabilità di riceverla sia per la loro attività, che procedeva in modo promettente, sia per essersi adattati alla società ospitante.482 Agostini non fu mai interessato nemmeno a partecipare alla vita politica brasiliana come candidato per

dove la consorte di Ivo si lascia fotografare con i figli accanto ad alcune statue colorate raffiguranti Cristo, Gesù Bambino e San Giuseppe, che colpiscono per la loro qualità figurativa.

481 Questo modo di dire era molto conosciuto dagli emigranti italiani in Brasile; noto persino ai loro discendenti,

ne ha notizie anche la moglie di Italo Agostini, la signora Laura Brugioni, intervistata a Coreglia insieme al marito il 20 dicembre del 2010.

482 Per un approfondimento sui tempi di naturalizzazione degli emigranti italiani in tutti i maggiori Paesi di

arrivo si rimanda a M. OLIVIERI, Italiani all’estero, fratelli d’Italia?, in L’identità italiana: emigrazione,

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l’amministrazione locale ed evitò anche qualsiasi forma di associazionismo di categoria; divenne solo socio della polizia militare in pensione, un corpo che con la dittatura si impegnava a mantenere l’ordine sociale. La decisione va addebitata all’interesse dei tre figurinai esclusivamente per il loro lavoro e, nello specifico, per il costante miglioramento del livello qualitativo della produzione attraverso la continuità professionale, unico scopo che li aveva spinti a emigrare, nella convinzione che la scelta migliore per il futuro dell’azienda era raggiungere gli strumenti indispensabili per inserirsi nel processo di crescita che stava caratterizzando il loro settore artigianale in Brasile.

Le difficoltà di collaborazione tra i tre soci spinsero nel 1959 Togneri ad abbandonare la ditta e ad aprire un laboratorio in proprio a pochi chilometri di distanza da Iputinga, dove il figurinaio iniziò a lavorare su un nuovo catalogo di statuine. Ancora una volta la possibilità di allargare la produzione ai soggetti legati alla cultura autoctona era stata il punto di massimo disaccordo, che aveva portato alla rottura definitiva. Togneri, una volta indipendente, oltre agli animali domestici si dedicò alla fabbricazione di personaggi ispirati alle religioni professate dalle minoranze in Brasile,483 realizzando pezzi colorati soltanto con l’utilizzo dell’aerografo, come aveva già pensato di fare in passato. Fu una scelta che con il tempo si rivelò infelice: infatti l’artigiano si ammalò gravemente ai reni e al fegato a causa delle esalazioni tossiche della vernice spruzzata in mancanza di aspiratori industriali. A niente servì il rimpatrio nel 1963 con la moglie Adelina per curarsi negli ospedali italiani, compiuto appena fu diagnosticata la malattia, a cui seguì il decesso del migrante nel 1967.

Uscito Togneri dalla società, la ditta rimase in mano ad Agostini e a Giovannetti, che riuscirono a stabilire un accordo almeno sul modo di amministrare il laboratorio,484 ma nel 1963 Ivo fu messo di nuovo in difficoltà

483 La prevalenza fino agli ultimi anni di lavoro in Brasile dei soggetti religiosi cattolici nel catalogo di Ivo

Agostini, almeno per quanto interessava le produzioni più alte da un punto di vista qualitativo, è dimostrata anche nelle foto dell’archivio di famiglia.

484 Nella busta di una lettera che Ivo inviò al padre ormai malato il 5 gennaio 1968 si legge nel timbro posto in

alto ditta “Giovannetti e Agostini”, rua Antonio Carlos Ribeiro de Andrade 39, travessa Sao Mateo, Recife. In quel momento il laboratorio era gestito solo da Ivo, che però utilizzava ancora le buste degli anni precedenti.

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da un fatto imprevisto: stanco della vita in Brasile, Giovannetti iniziava a manifestare il desiderio di tornare in Italia. Inizialmente compì un viaggio a Coreglia della durata di alcuni mesi insieme a uno dei suoi figli, lasciando per la prima volta, anche se per breve tempo, come unico responsabile del laboratorio di Recife Agostini. Nel 1964 fu quest’ultimo a organizzare con la famiglia il rientro nel luogo di origine, ma a differenza del collega il suo unico scopo per il momento era rivedere il paese in cui aveva trascorso la gioventù. Nel 1965 Giovannetti sollecitò la moglie a fare a sua volta un viaggio in Italia con l’altro figlio per rendersi conto fino a che punto poteva adattarsi all’ambiente della montagna toscana. Se Rosita avesse dimostrato di apprezzare i luoghi dove era nato il marito, al suo ritorno quest’ultimo sarebbe rimpatriato, ritirandosi senza alcun rimpianto dal settore della lavorazione del gesso (infatti una volta tornato a Coreglia il figurinaio si dedicò all’allevamento delle trote, cambiando completamente professione) e lasciando al socio la gestione del laboratorio.485 La consorte di Giovannetti tornò dopo tre mesi, che le furono sufficienti per decidere di trasferirsi in modo definitivo in Italia, spostamento ritardato all’ultimo momento quando Rosita rimase in stato interessante. Fu un periodo difficile per l’azienda non solo in seguito alle recenti scelte di vita che avevano preso i due proprietari, ma anche a causa dell’inondazione del 1966 (a cui fece seguito un’altra alluvione nel 1972), quando il fiume Capibaribe, straripando per le ripetute piogge, sommerse quasi totalmente la città e la periferia di Recife.486 Nella sede della ditta l’acqua raggiunse quasi un metro di altezza, rovinando gran parte della produzione e facendo alzare la percentuale di umidità dell’aria; la condizione che si era creata continuò anche nei mesi seguenti a compromettere la qualità delle statuine, poiché impediva un’asciugatura soddisfacente. Fortunatamente Agostini poteva fare affidamento su una buona

485 Nell’archivio della famiglia Agostini è custodita una foto della struttura in cui aveva sede il laboratorio datata

1963. Si nota un grande edificio collocato in un’area forestale scarsamente abitata, che si urbanizzò lentamente tra gli anni settanta e ottanta, dopo il rimpatrio di Ivo.

486 Italo Agostini ha spiegato che l’arido territorio della zona extra-urbana estesa fino a oltre duecento chilometri

da Recife è soggetto ad alluvioni, che si possono manifestare anche in seguito a pochi giorni di precipitazioni e portare conseguenze disastrose.

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organizzazione a livello artigianale e commerciale, che permise di superare questo difficile periodo senza gravi perdite finanziarie e mantenendo un buon livello qualitativo, per riportare l’anno dopo la produzione alla normalità.

1.4 La svolta definitiva verso una produzione di massa

Alla partenza del socio, che manteneva la sua percentuale di proprietà sull’immobile del laboratorio e sul terreno adiacente, seguì per Agostini un periodo di notevole responsabilità: infatti adesso non si trattava più di badare da solo all’azienda per pochi mesi, ma di diventarne l’unico responsabile.487 Nell’arco di tempo che va dal 1965 al 1972 il figurinaio fu per la prima volta libero da ogni legame societario e probabilmente proprio per questo motivo riuscì a esprimere al massimo le sue capacità.

Fu un periodo particolarmente fortunato per il mercato della figurina nel nord-est del Brasile, l’ultimo momento rigoglioso per l’emigrazione di qunord-esti artigiani di origine lucchese, dovuto al diffondersi presso le famiglie borghesi abbienti della consuetudine di comprare statuine di gesso non colorate, che venivano dipinte a mano dagli acquirenti.488 Questi ultimi volevano che i pezzi non venissero nemmeno ripuliti dalle sbavature, per occuparsi personalmente della loro rifinitura, considerando l’impegno profuso nel dare un aspetto gradevole alle grezze forme umane o animali di gesso una sorta di omaggio da offrire al destinatario del dono in segno di stima. In questo modo agli operai restava solo il compito di gettare e mettere ad asciugare le statuine, con un consistente risparmio di tempo sulla produzione. Erano preferite figurine di piccole dimensioni, sui dieci o al massimo quindici centimetri, ma alcune volte si richiedevano ordinazioni anche per pezzi di media e grande altezza.489

487 L’ultima parte della vita di Ivo Agostini è stata ricostruita tramite le interviste effettuate a Coreglia ai figli

Italo e Fernando, a Laura Brugioni (moglie di Italo) e alla sorella Luisa tra gli ultimi giorni del dicembre 2010 e il gennaio 2011.

488 Da un’intervista a Italo Agostini effettuata a Coreglia il 27 dicembre 2010. Malgrado si sia trasferito in Italia

prima che il padre cessasse la sua attività, Italo conobbe questo tipo di produzione perché fu con le prime statuine grezze che iniziò a frequentare in modo assiduo il laboratorio.

489 Italo Agostini ha spiegato come le due alluvioni del fiume Capibaribe abbiano impedito sia a lui che al padre

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Nel giro di pochi mesi la produzione della ditta crebbe vertiginosamente, facendo registrare un incremento in certi momenti anche pari al mille per cento e permettendo all’imprenditore di raggiungere un guadagno molto più elevato nel periodo compreso tra il 1965 e il 1972, rispetto a quanto aveva fatto nei dieci anni precedenti. L’aumento delle vendite era stato affiancato da una riduzione dei costi di lavorazione, che a sua volta aveva portato un abbassamento consistente del prezzo della merce.490

In quel periodo il laboratorio era costantemente occupato dai compratori impazienti di fissare le loro ordinazioni, tanto che la famiglia del proprietario non poteva più avere una vita privata, costretta a ricevere i clienti fino alle ore più tarde delle sera malgrado l’orario di apertura per il pubblico andasse dalle 7:30 alle 12:30 e dalle 13:30 alle 17:30, per un totale di nove ore al giorno. Italo e Fernando per potersi preparare adeguatamente negli anni della scuola di sera dovevano recarsi lontano dall’azienda, perché come si trovavano nei suoi pressi c’era sempre qualcosa da fare o qualche cliente insistente da ricevere.491 La domenica gli Agostini andavano lontano dalla loro abitazione per trascorre in tranquillità almeno il giorno festivo.

La partecipazione al lavoro in laboratorio dei figli e della moglie di Ivo in poco tempo divenne costante; in particolare Elda, che in precedenza, come le consorti di Togneri e Giovannetti, non si era mai occupata della produzione di statuine in gesso per volontà del marito, dalla fine degli anni sessanta iniziò ad aiutarlo nei difficili controlli della contabilità e nella gestione dei rapporti commerciali con i clienti e i rappresentanti della ditta.492

490 Luisa Agostini ha confermato nell’intervista del 18 dicembre 2010 rilasciata a Coreglia che tra la fine degli

anni sessanta e l’inizio degli anni settanta Ivo ha avuto molte più possibilità di migliorare il suo tenore di vita rispetto al periodo in cui aveva lavorato con Giovannetti e Togneri. L’intervistata tramite la sorella Eda, incaricata di ricevere le rimesse inviate dal fratello in Brasile, poteva rendersi conto della condizione finanziaria in cui si trovava l’azienda di Recife.

491 Italo Agostini ha raccontato che “Per noi ragazzi era gratificante collaborare nell’azienda di papà, perché

potevamo guadagnarci la nostra paghetta settimanale svolgendo un lavoro che conoscevamo bene e non molto faticoso. Ma dovevamo fare in modo che questo impegno ci consentisse anche di studiare.”

492 In realtà i tre figurinai avevano già da tempo abbandonato gli aspetti più estremi della cultura tradizionale del

luogo di origine, che prevedeva di rilegare la donna alla cura della famiglia; a spingerli a non impiegare le mogli nel laboratorio erano state le divergenze che si erano manifestate tra le tre donne.

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Quest’ultima si avvaleva della collaborazione di agenti di commercio inseriti nel settore librario e delle figurine, che facevano conoscere il catalogo di Agostini a Recife e in altre località situate nella zona settentrionale del Brasile fino a Belém do Para, ma evitavano di dirigersi nelle città poste a sud, come Salvador da Bahia, perché in questa area avevano esteso la loro attività i figurinai provenienti da Bagni di Lucca. L’opera dei rappresentati era limitata ai pezzi colorati,493 perché la nuova produzione grezza era venduta nel laboratorio Agostini solo per Recife e le località situate nel territorio extraurbano della città. Le nuove tendenze del mercato avevano spinto Ivo a rivedere la selezione dei soggetti del suo catalogo, estendendola oltre il tema sacro, anche se fino a quel momento aveva cercato in ogni modo di ritardare tale cambiamento. Adesso nel suo laboratorio si realizzavano personaggi legati alla cultura autoctona e alla storia dell’arte europea, come la Venere di Milo e la Venere di Botticelli,494 ma una delle statuine più richieste era la ragazza bambina (appartenente solo alla produzione grezza), riservata come dono di buon augurio per le figlie delle famiglie borghesi, quando dovevano fare il ballo delle debuttanti per ufficializzare il loro ingresso nella società degli adulti. In tale occasione ogni invitato veniva omaggiato di una statuina. Questi regali, richiesti in prevalenza dalla clientela femminile, malgrado fossero più economici delle figurine colorate, erano alla portata solo delle classi sociali più abbienti, interessate a una consuetudine apprezzata anche dalle personalità più in vista, come le mogli del sindaco, del prefetto e del comandante del terzo reggimento, che con il tempo iniziarono a servirsi esclusivamente presso la ditta Agostini.

Le difficoltà maggiori che Ivo dovette incontrare nel periodo in cui fu l’unico proprietario del laboratorio riguardarono l’aspetto fiscale, a causa delle ripetute ispezioni che spesso non venivano svolte in modo corretto. Di anno in anno i

493 Della produzione della ditta Agostini nei primi anni settanta rimangono nell’archivio di famiglia le foto di

alcuni pezzi portate da Italo a Coreglia al suo arrivo in patria, raffiguranti la Menina Moça (bambina giovane) con gli occhi di vetro importati dalla Germania Democratica, Nossa Senhora da Conceição (Madonna della concezione), Nossa Senhora da Fumaça (Madonna del fumo), Nossa Senhora Ausiliadora (Madonna ausiliatrice) e Sagrado Coração de Jesus (Sacro Cuore di Gesù), in gesso avvitato in una placca di legno.

494 Anche della Venus de Milo (Venere di Milo) resta un’immagine nell’archivio della famiglia Agostini: si tratta

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rapporti con la guardia di finanza divennero sempre più tesi e aumentava il timore che potessero ripetersi errori nel pagamento delle imposte, questo perché il ragioniere della ditta, che già in passato aveva lavorato presso Agostini e Giovannetti, era da tempo sotto il mirino delle autorità fiscali e gli imprenditori che si affidavano a lui erano di frequente controllati in modo drastico. Il figurinaio, però, non si decise mai ad allontanare il contabile: è probabile che quest’ultimo riuscisse in qualche modo a minacciarlo, come di sovente accadeva in Brasile agli artigiani italiani verso cui si nutrivano dei pregiudizi, condizione che facilitava i ragionieri brasiliani nel momento in cui volevano commettere verso di loro dei soprusi.

Le visite del fisco erano dovute anche alla recente crescita della produzione,495 di conseguenza gli ispettori, invece di limitarsi come di consueto al controllo annuale, si recava presso Agostini una volta ogni tre o quattro mesi. In alcuni casi anche nell’impresa di Ivo si faceva ricorso al lavoro in nero, ma la guardia di finanza non se ne rese mai conto, così, impossibilitata a fare delle multe, si spingeva a chiedere al gestore delle piccole tangenti per metterlo in difficoltà a ogni costo, manifestando assoluta mancanza di moralità nello svolgimento delle proprie funzioni. A causa dei pregiudizi, la possibilità che gli imprenditori stranieri fossero vittima di tali comportamenti era più alta rispetto agli autoctoni. In questo perido aumentarono anche le rimesse che il figurinaio inviava alla sorella Eda, nell’ottica di investire in beni immobili situati a Coreglia i suoi sostanziosi guadagni.496 Il denaro giungeva in Italia grazie ai funzionari del consolato italiano, essendo al tempo, come adesso, illegale per gli emigranti inviare grosse somme di moneta straniera in patria, e la necessità di coinvolgere tali personalità invece di affidarsi ai metodi più semplici e ricorrenti,497 tra cui le

495 Il rapporto tra il figurinaio imprenditore e il suo contabile non è stato approfondito a causa della scomparsa

improvvisa di Ivo Agostini.

496 Italo Agostini ha spiegato che per i progetti di investimento il comportamento del padre non differiva da

quello del nonno Francesco o di qualsiasi altro emigrante, interessato a spendere in patria in beni immobili il denaro accumulato all’estero.

497 Sulla consuetudine diffusa presso gli emigranti di inviare le rimesse nelle buste delle lettere o tramite amici

di ritorno nel luogo di origine vedere G. MASSULLO, Economica delle rimesse, in Storia dell’emigrazione

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buste delle lettere o i vaglia bancari, è una prova di fino a che punto fosse effettivamente considerevole la quantità di denaro inviata da Ivo.

Tra gli anni sessanta e settanta la moneta brasiliana aveva raggiunto l’apice di un lungo processo di inflazione iniziato a metà secolo, che costringeva gli emigranti a cambiare nel minor tempo possibile il denaro guadagnato in dollari, per non perdere sulla svalutazione del Cruzeiros.498 Il fenomeno finanziario aveva determinato una continua oscillazione nei prezzi delle figurine in gesso a causa della instabilità del costo della materia prima e del suo trasporto, così Ivo aveva una tabella in base all’altezza delle statuine che consultava personalmente a ogni operazione commerciale.499

Nel 1970 la famiglia Agostini dovette prendere l’ennesima decisione che sarebbe risultata determinante per i successivi anni di lavoro a Recife: agli inizi degli studi universitari in ingegneria, Italo chiese al padre se aveva previsto di rimanere all’estero fino a che lui non avesse terminato gli esami, ma Ivo rispose in modo negativo. Ormai provato dalla lunga carriera di figurinaio in qualità di imprenditore e stanco di vivere lontano dal luogo di origine, l’emigrante prevedeva di sfruttare la condizione favorevole che si era creata ancora per uno o due anni al massimo, dal momento che ormai la vita in Brasile gli aveva consentito la crescita professionale, e non solo economica, desiderata.

A pesare sulla sua decisione fu anche la grossa somma di denaro che era riuscito a inviare in patria; nel 1969 ormai Agostini aveva messo da parte la cifra indispensabile per acquistare una tenuta di ampie dimensioni grazie alla sorella, che aveva individuato per il fratello l’immobile adatto alla sue esigenze. Tra loro la corrispondenza avveniva in modo costante con una cadenza di una lettera al

G. GIAMPAOLI, L’emigrazione lucchese della prima metà del Novecento attraverso le lettere dell’archivio

Paolo Cresci, relatore professor Marco Della Pina, in particolare le pp. 106-128.

498 La signora Luisa Agostini, nell’intervista del 12 gennaio 2011 rilasciata a Coreglia, racconta che il fratello,

nel periodo compreso tra gli anni sessanta e i primi anni settanta, mandò rimesse sottoforma di dollari e di lire, ma mai nella moneta brasiliana che non aveva valore in Italia a causa dell’inflazione. La costante svalutazione del cruzeiro era dovuta al persistere dell’elevato debito pubblico, causato anche dalle spese militari per mantenere la stabilità sociale, che aveva portato a livello finanziario la condizione completamente opposta rispetto agli anni in cui aveva vissuto in Brasile nonno Pietro.

499 Italo Agostini ricorda che il padre esigeva di stabilire personalmente i prezzi delle statuine, per evitare che

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mese e, dal 1967, Eda segnalava al fratello tutti i poderi in vendita a Coreglia che potevano attirare il suo interesse.500

In seguito al rifiuto del padre, Italo il 12 giugno 1970 decise di trasferirsi in Italia, malgrado l’allontanamento dal Brasile rappresentasse per lo studente una difficile separazione, costretto a iniziare una vita completamente nuova a Coreglia, di cui conosceva le tradizioni solo per averle sentite raccontare dai genitori e per i pochi viaggi in Italia, sempre da lui giudicata una semplice meta turistica.501 Come gran parte degli emigranti di seconda generazione, anche se educato alle tradizioni del luogo di origine, per il primogenito di Agostini il Brasile era l’unica patria e riteneva di appartenere alla sua cultura, con cui aveva trovato una mediazione per mantenere le abitudini ereditate dai genitori.

A interrompere il nuovo ciclo di lavorazione del laboratorio legato alla statuine grezze sopraggiunse la seconda inondazione del fiume Capibaribe nel 1972,502 che ebbe sull’area extra-urbana limitrofa alla città di Recife effetti devastanti almeno quanto la precedente alluvione della fine degli anni sessanta e fu per il figurinaio l’ultima condizione estrema che era disposto ad affrontare, ormai convinto ad abbandonare il Brasile appena sistemati i suoi affari.503 Il 1972 fu l’anno del ritorno definitivo in patria di Ivo Agostini, che prima di abbandonare il laboratorio ritenne indispensabile nei mesi tra giugno e agosto504 collaborare con gli operai per costituire tra loro una cooperativa incaricata di gestire l’azienda e pagare all’ex titolare un corrispettivo annuale per la cessione del diritto di proprietà del laboratorio. Infine nominò il connazionale Erando

500 Sfortunatamente queste lettere andarono perse nella seconda alluvione del 1972, insieme ad altre fonti scritte

che avrebbero consentito di approfondire la narrazione dei discendenti.

501 Il legame di Italo con il Brasile e l’ambiente del laboratorio gestito dal padre viene dimostrato anche in alcune

foto custodite nell’archivio Agostini, scattate dallo studente universitario alla sua partenza, che lo ritraggono con i dipendenti e con gli amici di Recife.

502 Fu in seguito a questa ulteriore catastrofe che i politici locali decisero di avviare la costruzione di una serie di

dighe poste a nord rispetto al territorio colpito dall’inondazione, per impedire che durante le piogge prolungate il Capibaribe tornasse a straripare. Le informazioni sono state prese dall’intervista a Fernando Agostini, eseguita il 10 gennaio 2011 a Coreglia.

503 È quanto racconta sulla gravità della seconda alluvione Laura Brugioni nell’intervista rilasciata a Coreglia il 14

gennaio del 2011. La nuora mantenne costanti contatti epistolari con la suocera Elda dal 1970.

504 Nell’archivio della famiglia Agostini è conservata la già citata carta d’identità di Ivo con la data del 10 agosto

1972, vidimata poche settimana prima della partenza; l’emigrante decise di rinnovare il documento per tornare nei successivi cinque anni in Brasile quando voleva.

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Silvestri, uno dei pochi emigranti italiani naturalizzati, procuratore dei suoi beni immobili in Brasile, quantificabili nell’azienda, in tre lotti di terreno edificabile e nell’abitazione dove il figurinaio aveva vissuto per oltre dieci anni. Silvestri aveva la piena fiducia di Ivo perché era stato l’amministratore a cui Giovanetti aveva affidato alla partenza le sue proprietà.505

1.5 La vita in Italia dopo la permanenza in Brasile

Tornato a Coreglia l’8 settembre del 1972, Ivo Agostini a poco più di cinquant’anni era ancora troppo giovane e legato alla propria professione per concedersi la pensione, così decise di continuare a lavorare nella manifattura del gesso facendosi assumere dall’“Etruria Statue”, i cui titolari vollero avere l’emigrante tra i loro collaboratori, valorizzando non solo la sua esperienza come formatore di stampe, ma anche la competenza nel settore commerciale. Dello stesso laboratorio divenne dipendente anche Italo nel 1979 ancora studente universitario, ma l’anno successivo il figlio di Agostini decise di aprire una propria attività artigianale insieme a Edo e Nello Gonnella in cui venivano prodotte statuine in oxolite, gesso e alabastrine, che chiamò “Coregliarte”, sopravvissuta per un breve periodo in cui il giovane figurinaio proseguì l’attività del padre.506 Nella produzione di stampe, invece, Ivo collaborava con alcune altre imprese della Media Valle che, come la ditta del suo primogenito, erano in grado di lavorare vari tipi di materiali.

Intanto a Recife per alcuni anni la cooperativa degli ex dipendenti di Agostini riuscì a portare avanti il laboratorio malgrado l’assenza del vecchio titolare, ma si manifestarono sempre gravi difficoltà dovute alle diverse linee imprenditoriali dei soci, contrasti alimentati dal contabile che con la partenza di Ivo aveva

505 In una foto dell’archivio Agostini datata 1970 tra i dipendenti che si fanno ritrarre con Ivo compare Oliveiro

de Mesquita che, oltre ad aver portato avanti l’attività del laboratorio nella cooperativa fondata dal titolare, tutt’oggi è proprietario di un’azienda di figurine nell’estrema periferia di Recife. Il brasiliano, che in gioventù aveva fatto il pescatore, nel 1958 fu assunto da Agostini e Giovannetti per imparare la gettatura e, successivamente, per svolgere le altre mansioni previste nella produzione della statuina.

506 Le caratteristiche del lavoro svolto da Ivo Agostini presso l’“Etruria Statue” e le altre ditte del luogo di

origine al ritorno dal Brasile sono state descritte dalla sorella Luisa. In tale occasione sono stati fatti dei riferimenti anche all’azienda di Italo e ai contrasti tra i soci che portarono alla chiusura del laboratorio.

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assunto maggiore importanza.507 Alla fine degli anni settanta tale condizione condusse alla cessazione dell’attività, quando da un po’ di tempo sia Ivo, sia Giovannetti, come rispettivamente proprietari della ditta e dell’immobile dove questa aveva sede, non percepivano più il loro affitto.

Dieci anni dopo Ivo ricevette la pensione, ma per un lungo periodo continuò a collaborare in modo saltuario con le aziende della Media Valle: era legato a tal punto alla lavorazione del gesso, che non riuscì ad abbandonare la sua professione se non nel 1992 ormai anziano, quando tornò dopo venti anni di assenza in Brasile per un viaggio nelle città che lo avevano ospitato come emigrante. Inizialmente compì un soggiorno a Rio de Janeiro dove rivide il fratello, già riabbracciato nel 1986 in occasione di un suo breve viaggio a Coreglia reso possibile dal contributo della regione Toscana.508

Con la partenza di Ivo la “Ceramicas Agostini” era divenuta proprietà di Giuseppe Agricolo e dei fratelli Pinheiro, ma solo il figurinaio si era preso la responsabilità di continuare a gestire il laboratorio, impegno che mantenne fino ai primi anni settanta, quando con suo grande dispiacere i discendenti si dimostrarono disinteressati a portare avanti l’attività. Infatti in questo modo veniva a mancare la continuità professionale a cui il migrante aveva tenuto molto, essendo stato lui stesso orgoglioso di aver ereditato fin da giovanissimo il mestiere del padre; del resto nell’ultimo periodo della gestione del fratello di Ivo l’azienda aveva fatto registrare un ottimo fatturato, offrendo buone prospettive economiche, opportunità di cui i suoi eredi non volevano tener conto. In seguito alla loro decisione, Giuseppe Agricolo decise di retrocedere al ruolo di dipendente addetto alle stampe509, impiego che mantenne fino al 1986, l’anno in cui si mise a riposo lasciando ai Pinheiro la responsabilità di gestire la ditta. I

507 L’ultimo periodo della vita di Ivo Agostini trascorso in patria è stato ricostruito in buona parte grazie alle

informazioni fornite dalla nuora Laura Brugioni durante la già citata intervista rilasciata a Coreglia il 14 gennaio del 2011.

508 Sull’ultima visita di Ivo Agostini in Brasile, nell’archivio fotografico familiare sono conservate le immagini

che mostrano le varie tappe di questo lungo viaggio e le persone che il migrante poté riabbracciare.

509 Giuseppe Agricolo svolgeva un lavoro che prevedeva pochi impegni, poiché la richiesta di stampe nei

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discendenti di questi ultimi sono tutt’oggi i proprietari del laboratorio, in cui si prosegue un’attività ormai quasi secolare.

Giuseppe Agricolo morì in Brasile nel gennaio del 1997, ma la moglie Carminha è ancora in vita.510

Tornando al viaggio di Ivo in Brasile, dopo aver incontrato il fratello, l’anziano figurinaio volle visitare un’ultima volta Recife, dove fu felice di essere accolto da tutte le persone che avevano gravitato nel suo ambiente di lavoro e di vedere l’azienda aperta dal suo allievo Oliveiro de Mesquita quando la cooperativa operaia che gestiva il vecchio laboratorio andò in fallimento a causa dei contrasti insorti tra i soci. Poi sostò a Salvador da Bahia per rivedere i Salvetti e i Di Sano, che possedevano con la partecipazione dei figli un laboratorio di statuine fondato nei primi anni sessanta e avevano con Ivo uno stretto rapporto di amicizia, malgrado la concorrenza in ambito commerciale. Alla conclusione del suo viaggio Agostini aveva soggiornato in Brasile per tre mesi, ma dopo quest’ultima esperienza non ebbe mai più l’opportunità di tornare nella terra in cui era stato emigrante.

Ivo Agostini è morto in seguito a una lunga malattia il 7 dicembre del 2010. I suoi figli hanno deciso, come i loro cugini residenti in Brasile, di non seguire le orme del padre; Italo è impiegato al comune di Coreglia, mentre Fernando ha il diploma di perito meccanico e possiede un impianto di rifornimento carburante, dove offre anche il servizio per la riparazione delle autovetture.

Non sempre i discendenti dei figurinai emigranti, però, hanno rifiutato la professione dei genitori,511 dando seguito a quella continuità professionale che già in passato aveva consentito di tramandare il mestiere di generazione in generazione e di accrescere il livello quantitativo della produzione fino a raggiungere una dimensione industriale.

510 Italo Agostini ha mantenuto fino ad oggi rapporti costanti con la famiglia dello zio Giuseppe Agricolo, per

essere sempre al corrente delle vicende della vecchia azienda fondata da nonno Pietro.

511 Sulla continuità professionale nella professione di figurinaio vedere P. TAGLIASACCHI, Figurine e

figurinai nel XX secolo, Pisa, CLD Libri, 2002: l’opera è quasi interamente costituita dall’indice dei membri

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