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“... se la partecipazione al Consiglio giudiziario dell’avv. ..., nominata Assessore del Comune di ..., sia compatibile con tale carica di carattere amministrativo e di indicazione politica”.

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Esame delle ricadute sul ruolo di componente del Consiglio giudiziario a seguito della nomina ad Assessore per il turismo, sport e tempo libero del Comune capoluogo del distretto.

(Risposta a quesito del 22 marzo 2017)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 22 marzo 2017, ha adottato la seguente delibera:

“Con nota del 12 luglio 2016, il Consiglio giudiziario presso la Corte di appello di …, ha formulato il seguente quesito:

“... se la partecipazione al Consiglio giudiziario dell’avv. ..., nominata Assessore del Comune di ..., sia compatibile con tale carica di carattere amministrativo e di indicazione politica”.

Nella medesima seduta il Consigliere ... rappresentava, altresì, di aver sentito l’Ufficio del Comune di ... competente per le incompatibilità, che si è espresso per l’insussitenza di incompatibilità della carica di assessore sia con la professione forense sia con il ruolo di componente del Consiglio giudiziario.

Va innanzitutto precisato come con delibera del 24 febbraio 2017 il Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato come, a prescindere dai casi di incompatibilità tassativamente previsti dalla legge, sussistono evidenti ragioni di inopportunità nel contemporaneo espletamento dei due incarichi. In conseguenza di tale delibera l'avv. ... si è dimessa dall'incarico di membro del Consiglio giudiziario.

In ogni caso le dimissioni dell'avv. ... non escludono la rilevanza del quesito posto dal Consiglio giudiziario, che pone una questione di carattere generale.

La Settima Commissione, in fase istruttoria, ha acquisito un parere dell’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio.

Come sottolineato nel richiamato parere, profonde sono state le modifiche introdotte dal D.Lgs. n.

25/2006, attuativo della delega dettata dall’art. 1, 1° comma, lett. c), della L. n. 150/2005, che ha novellato la disciplina della composizione, delle competenze e della durata in carica del Consigli giudiziari e ha istituito, inoltre, il Consiglio direttivo della Corte di cassazione.

Scaturiscono dalla riforma operata dal D.Lgs. 25/2006 Consigli giudiziari:

A) composti anche da appartenenti a categorie diverse dalla magistratura, quali l’accademia e l’avvocatura;

B) aventi la natura di collegi imperfetti, atteso che è previsto ex lege (artt. 8 e 9 bis D.Lgs. cit.) un quorum strutturale per la regolarità delle sedute e le delibere risultano valide solo se adottate a maggioranza dei presenti;

C) dotati di una peculiare articolazione – la Sezione per i Giudici di Pace – con competenza esclusiva in tale settore.

Appare evidente quindi che, sul piano funzionale, i Consigli giudiziari riformati sono in grado di fornire al Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito della perseguita compartecipazione nell’esercizio dell’amministrazione della giurisdizione, un contributo di conoscenza sempre più analitico e conferente rispetto alle diverse realtà giudiziarie locali.

Nella nuova disciplina dei Consigli giudiziari, introdotta dal citato D.Lgs. n. 25/2006, non è rinvenibile una specifica regolamentazione del tema delle incompatibilità dei componenti, siano essi di provenienza togata o laica.

L’inesistenza in subiecta materia di una specifica normativa di rango primario è compensata, ma solo per i soli componenti elettivi provenienti dall’Ordine giudiziario, dalla previsione di talune incompatibilità a livello di normativa consiliare.

In particolare, l'art. 227 della Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2017/2029 (Circolare P. n. 1318 del 26 gennaio 2017 – Delibera del 25 gennaio 2017 e succ. mod.) prevede espressamente che “l’incarico di componente del Consiglio giudiziario o del Consiglio direttivo della Corte di cassazione è incompatibile con quello di referente informatico, di referente per la formazione, di componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura e di componente della struttura tecnica per l'organizzazione”.

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È di tutta evidenza che la collocazione della norma nella Circolare sulla formazione delle tabelle organizzative implica la sua riferibilità ai soli componenti elettivi provenienti dall’Ordine giudiziario.

Per i componenti cd. “laici” e, in special modo, per quelli provenienti dall’avvocatura, in assenza di disposizioni sul tema di rango primario e secondario, viene in rilievo il dettato delle circolari del Consiglio nazionale forense n. 11-C-2008 del 17 marzo 2008 e n. 11-C-2012 del 26 marzo 2012, che, in occasione dei periodici rinnovi dei Consigli giudiziari, hanno affrontano il tema di cui trattasi, l’una limitandosi genericamente a invitare i Consigli dell’Ordine distrettuali e circondariali a verificare, nell’attività di selezione dei candidati alla designazione, “... l’insussistenza di situazioni di incompatibilità” e l’altra individuando due cause specifiche d’incompatibilità per i candidati che “... siano anche componenti dei Consigli dell’Ordine o che… rivestano cariche all’interno dello stesso…”. Si tratta di disposizioni – la cui valenza è quella di mere moral suasion, indirizzate alle articolazioni territoriali del Consiglio nazionale forense e attinenti oltretutto alla fase dell’indicazione, da parte delle stesse, dei candidati alla designazione – che se non introducono incompatibilità di sorta per i componenti laici dei Consigli giudiziari di provenienza forense concretamente designati, evidenziano pur tuttavia la sussistenza di profili problematici sotto il profilo dell'opportunità nel caso di cumulo di incarichi.

In ragione dell’insussistenza di una normativa che preveda specifiche cause d’incompatibilità per i componenti laici dei Consigli giudiziari di provenienza forense, dovrebbe logicamente concludersi per la perdurante compatibilità con la funzione di componente non togato dell’Organo distrettuale di autogoverno dell’avvocato medio tempore nominato Assessore presso il comune di …. Questo anche considerando che le norme in tema d’incompatibilità, in quanto limitative del diritto dei singoli di accedere a cariche rappresentative (siano esse di scaturigine elettiva o cooptativa), si sottraggono a interpretazioni estensive o, addirittura, analogiche, essendosi più volte sostenuto in giurisprudenza, con argomentazioni attinenti, nello specifico, alle cause d’ineleggibilità, ma evidentemente spendibili anche con riguardo alla correlata materia delle cause d’incompatibilità, che le stesse incidono sui diritti politici fondamentali del cittadino e debbono essere pertanto di stretta interpretazione per risultare conformi al disposto dell’art. 51 Cost. (in tal senso, ex multis, Corte Cost. sent. n. 306 dell’1 luglio 2003, Cass. Civ., Sez. I^, sent. n. 1073 del 25 gennaio 2001, nonchè Cons. Stato, Sez. I^, sent. n. 309 dell’1 aprile 2000).

Va tuttavia osservato come in via generale, la disciplina delle incompatibilità è finalizzata a impedire che l’eletto e/o il designato possa trovarsi in una situazione confliggente con l’organo di cui è membro, perché portatore di interessi che contrastano con quelli della pubblica amministrazione nel cui interesse espleta il mandato.

L’istituto dell’incompatibilità è volto infatti a garantire la tutela dei fondamentali valori dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione consacrati all’art. 97 Cost.

Deve poi essere sottolineato il ruolo essenziale che i Consigli giudiziari, organi di natura collegiale rappresentativi delle diverse realtà territoriali, rivestono nell’ambito dell’autogoverno. E’ pur vero che risultano titolari di competenze di natura eminentemente consultiva nell’ambito delle diverse tipologie di procedimenti riguardanti i magistrati, essendo riservata al Consiglio superiore della magistratura, in ossequio alle attribuzioni che la Costituzione assegna allo stesso, l’esclusiva titolarità della potestà decisoria. Pur tuttavia non si può non evidenziare il contributo essenziale dato dall’organo consultivo quale organo di prossimità e quindi direttamente a conoscenza della realtà territoriale del distretto, conoscenza che viene veicolata al Consiglio affinchè possa adottare una decisione compiutamente informata.

E’ pur vero che per la componente laica dei Consigli giudiziari, è normativamente prevista una competenza ristretta, disponendo l’art. 16 del D.Lgs. n. 25/2006, con precipuo riguardo alla composizione degli Organi distrettuali di autogoverno in relazione alle diverse competenze, che “I componenti designati dal consiglio regionale ed i componenti avvocati e professori universitari partecipano esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, 1 comma, lett. a), d) ed e). In particolare, le competenze consultive dei

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Consigli giudiziari in composizione allargata afferiscono all’organizzazione giudiziaria, non sconfinano in valutazioni involgenti l’operato professionale dei singoli magistrati del distretto.

Tuttavia anche con riferimento all’organizzazione giudiziaria, in quanto direttamente incidente sulle garanzie del giudice naturale e sull’efficienza del sistema giustizia, pare necessario preservare l’immagine di assoluta imparzialità. Invero, vengono in rilievo competenze delicate, anche solo a ricordare la funzione di vigilanza, nonché in via generale le decisioni assunte sulle tabelle degli uffici giudicanti, sulle tabelle infradistrettuali, sui criteri per l’assegnazione degli affari e per la sostituzione dei giudici impediti, decisioni direttamente dunque incidenti sull’esercizio delle funzione giurisdizionale.

Tali rilievi portano a ritenere altamente inopportuno che l’Assessore del Comune capoluogo del distretto sia anche membro del Consiglio giudiziario chiamato a pronunciarsi sull’assetto organizzativo del distretto stesso, potendo sostanziarsi situazioni configgenti e in ogni caso minando alla necessaria terzietà dell’organo locale di autogoverno. Né può bastare il richiamo al carattere interlocutorio delle deliberazioni assunte in sede locale a mitigarne gli effetti. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, nell’esame delle pratiche aventi ad oggetto le tabelle e le modifiche tabellari, all’incidenza del parere unanime o meno, positivo o contrario sulle stesse.

D'altronde in tal senso, proprio a sottolineare l'evidente inopportunità del cumulo dei due incarichi, è intervenuto il Consiglio nazionale forense.

Conclusivamente, il Consiglio

delibera di rispondere al quesito posto nei seguenti termini:

allo stato della legislazione vigente non sussiste alcuna causa di incompatibilità tra l’esercizio delle funzioni di assessore del Comune e quelle di componente del Consiglio giudiziario, dovendo tuttavia ritenersi tale cumulo di incarichi altamente inopportuno.”

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