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Il regime tributario delle ONLUS

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente

Il regime tributario delle ONLUS

di Antonio Quercia

Trattamento delle ONLUS in materia di imposte sui redditi

PRASSI

Studio del Consiglio Nazionale del Notariato - Commissione studi tributari del 1° ottobre 2009, n. 80 2009/T

Il regime fiscale degli enti non commerciali e delle ONLUS: questioni attuali La Commissione studi tributari del Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato uno studio sul regime fiscale degli enti non commerciali e delle ONLUS finalizzato ad elaborare un quadro complessivo sulle principali problematiche interpretative ed applicative sorte negli ultimi anni e in particolare:

• gli specifici regimi fiscali collegati alla qualifica di ente non commerciale (IRES, regime fiscale degli enti associativi, ICI);

• il regime agevolativo ONLUS (attività istituzionali, attività connesse);

• le singole agevolazioni per le ONLUS (imposte dirette, IVA, imposta di registro).

Il sistema tributario La configurazione fiscale degli enti che fanno parte del non profit non risulta unitaria, potendo invece essere apprezzata in una molteplicità di figure giuridiche, cui corrispondono differenti regimi tributari.

Il sistema tributario attribuisce rilievo, in primo luogo, all’oggetto dell’ente, ai fini della distinzione tra enti commerciali ed enti non commerciali.

I soggetti di entrambe le categorie sono assoggettati ad IRES e quindi tassati in termini ordinari relativamente ai redditi prodotti, mutando però i criteri di determinazione della base imponibile.

L’ente non commerciale, in modo quasi analogo alle persone fisiche, può produrre diverse tipologie reddituali, con applicazione delle rispettive discipline.

In questa prospettiva non rileva affatto l’assenza dello scopo di lucro così come la “meritevolezza” del fine perseguito dall’ente.

La prospettiva è analoga nell’IVA, in cui lo svolgimento di un’attività d’impresa da parte dell’ente è in grado di determinare l’assoggettamento al tributo ed agli obblighi formali, secondo le regole ordinarie.

Anche nell’IVA è poi rilevante la distinzione fondata sull’oggetto dell’ente, nel senso che gli enti che hanno per oggetto l’esercizio esclusivo o prevalente di un’attività commerciale od agricola acquisiscono una soggettività passiva generale per tutte le operazioni compiute. Diversamente, l’IVA si applicherà solo relativamente alle specifiche (e non prevalenti) attività commerciali od agricole esercitate.

Sovvenzioni esterne

Una questione di grande interesse è costituita dalle ipotesi in cui le entrate dell’ente, che pure svolge attività d’impresa, siano formate da sovvenzioni esterne e non da prestazioni corrispettive.

In questi casi, infatti, l’attività di impresa configura un modello di gestione di tipo erogativo, potendosi affermare l’assenza dell’elemento dell’economicità dell’attività svolta e quindi, di conseguenza, anche quello della commercialità.

In dottrina, pur nella molteplicità delle ricostruzioni, è stato affermato che l’assenza di economicità si potrebbe configurare quando le sovvenzioni esterne risultano prevalenti rispetto a quelle corrispettive mentre in passato la prassi amministrativa ha riconosciuto la possibilità di qualificare l’ente come non commerciale solo quando è completamente escluso ogni assetto corrispettivo.

Occorre premettere che l’art. 26 del d.lgs. n. 460 del 1997 dispone: “alle ONLUS si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative agli enti non commerciali”.

Ciò comporta che per le ONLUS il reddito complessivo si determina, a norma dell’art. 143 del TUIR, sulla base della somma dei redditi appartenenti alle varie categorie reddituali (redditi fondiari, di capitale, d’impresa e redditi diversi).

L’art. 150 del TUIR, tuttavia, reca limitatamente al reddito di impresa una serie di agevolazioni in favore delle ONLUS.

Più in particolare a norma del citato articolo:

1. per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), ad eccezione delle società cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale.

2. i proventi derivanti dall’esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

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È vietata ogni riproduzione totale o parziale di qualsiasi tipologia di testo, immagine o altro.

Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente Nell’operare una netta distinzione tra attività istituzionali intese all’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale e attività connesse il legislatore ha ritenuto completamente irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi:

- le attività istituzionali, in quanto escluse dall’area della commercialità;

- le attività connesse, per espressa previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 150 del TUIR, pur mantenendone la natura di attività commerciali.

Giova precisare che si considerano direttamente connesse a quelle istituzionali le attività statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte e tutela dei diritti civili (di cui ai nn. 2, 4, 5, 6, 9 e 10 del comma 1, lettera a), dell’art. 10

del d.lgs. n. 460/1997), svolte in assenza delle condizioni previste ai commi 2 e 3 del citato art. 10 (ossia svolte nei confronti di soggetti non svantaggiati), nonché le attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse.

L’esercizio delle attività connesse è consentito a condizione che, in ciascun esercizio e nell’ambito di ciascuno dei settori elencati alla citata lettera a)

del comma 1, le stesse non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66%

delle spese complessive dell’organizzazione.

La citata classificazione ha conseguenze sul piano degli adempimenti contabili prescritti alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale infatti l’art. 20-bis, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 600/1973 ha, sancito l’obbligo, limitatamente alle attività connesse, della tenuta delle scritture contabili previste dalle vigenti disposizioni fiscali per gli esercenti attività commerciali.

In particolare le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) diverse dalle società cooperative, a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, devono ai sensi dell’art. 20-bis del d.P.R. n. 600/1973:

a) in relazione all’attività complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall’art. 22;

b) in relazione alle attività direttamente connesse tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli artt.

14, 15, 16 e 18; nell’ipotesi in cui l’ammontare annuale dei ricavi non sia superiore a lire 30

milioni, relativamente alle attività di prestazione di servizi, ovvero a lire 50 milioni negli altri casi, gli adempimenti contabili possono essere assolti secondo le disposizioni di cui al comma 166 dell’art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n.

662.

È appena il caso di precisare che gli obblighi di cui alla lettera a), si considerano assolti qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni di cui agli artt. 2216 e 2217 c.c.

Le ONLUS che nell’esercizio delle attività istituzionali e connesse non abbiano conseguito in un anno proventi di ammontare superiore ad euro 51.645,69, modificato annualmente secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 3, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, possono tenere per l’anno successivo, in luogo delle scritture contabili previste al primo comma, lettera a), il rendiconto delle entrate e delle spese complessive, nei termini e nei modi di cui all’art. 20.

In luogo delle scritture contabili previste alla citata lettera a), le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’art. 6 della legge 11 agosto 1991, n.

266, le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49 possono tenere il rendiconto nei termini e nei modi di cui all’art. 20.

Qualora i proventi superino per due anni consecutivi l’ammontare di euro 1.032.913,80, modificato annualmente secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 3, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, il bilancio deve recare una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili.

Ulteriori agevolazioni accordate alle ONLUS in materia di imposte dirette sono rinvenibili nell’ambito del d.lgs. n.

460/1997 che all’art. 16 prevede:

1. l’esonero dalla ritenuta del 4% stabilita dall’art. 28 del d.P.R. n. 600 richiamato sui contributi corrisposti ad imprese esclusi quelli per l’acquisto di beni strumentali, da regioni, province, comuni ed altri enti pubblici;

2. sui redditi di capitale di cui all’art. 44 del TUIR corrisposti alle ONLUS, le ritenute alla fonte sono effettuate a titolo di imposta.

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Agenzia delle entrate, risoluzione 25 agosto 2010, n. 88/E

ll Fisco aiuta l’energia pulita: agevolata la produzione “familiare” anche per gli enti non commerciali

Il mondo delle fonti rinnovabili riceve una mano dal Fisco, a condizione che l’energia immessa in rete da persone fisiche ed enti non commerciali sia prodotta mediante impianti di potenza fino a 20 kw posti al servizio dell’abitazione o della sede dell’organizzazione.

Questa, in sintesi, la risposta dell’Agenzia delle entrate fornita, con la risoluzione n. 88/E del 25 agosto 2010, al quesito posto dal Gestore dei servizi energetici in merito al corretto trattamento fiscale da riservare alla tariffa omnicomprensiva corrisposta a chi immette in rete energia elettrica non autoconsumata.

Il quesito

Il GSE chiede di conoscere il trattamento fiscale da applicare alla tariffa omnicomprensiva, prospettando che possa essere adottata la stessa soluzione indicata dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 46/2007 per la tariffa incentivante corrisposta ai titolari di impianti fotovoltaici, dal momento che, pur con alcune differenze, è identica la finalità incentivante delle due misure.

Il parere dell’Agenzia

I tecnici delle Entrate concordano sul fatto che l’introduzione in rete dell’energia prodotta e non autoconsumata da parte di persone fisiche e enti non commerciali, con impianti non superiori a 20 kw utilizzati per alimentare la propria abitazione o la sede dell’organizzazione, non dà luogo a un’attività commerciale svolta abitualmente, dal momento che l’impianto è destinato prevalentemente a scopi “personali”.

La tariffa erogata, pertanto, non è imponibile ai fini IVA, mentre sul fronte delle imposte dirette va considerata come un reddito diverso.

Differente è il caso di immissione in rete di energia prodotta da persone fisiche o enti non commerciali tramite impianti di potenza fino a 20 kw non asserviti all’abitazione o alla sede ovvero di potenza superiore a 20 kw, oppure prodotta da chi svolge attività commerciale o lavoro autonomo.

In tutti questi casi, si configura lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale: la tariffa pagata dal GSE è imponibile ai fini IVA e costituisce un ricavo che concorre alla determinazione del reddito d’impresa.

Infine, l’Agenzia precisa che la tariffa omnicomprensiva non dev’essere assoggettata alla ritenuta alla fonte del 4%

prevista dall’articolo 28 del d.P.R. 600/1973, poiché si tratta di un corrispettivo e non di un contributo.

Agevolazioni fiscali in materia di imposta sul valore aggiunto

Le agevolazioni riservate dal legislatore alle ONLUS in materia di IVA consistono nell’estensione a loro favore di particolari disposizioni di esclusione o di esenzione dall’applicazione del tributo, già disposte dal d.P.R. n. 633 del 1972 per operazioni aventi particolare rilevanza sociale, in conformità alle norme comunitarie dettate in materia dalla VI direttiva CEE n. 388/77 del 17 maggio 1977.

In particolare risultano non rilevanti ai fini IVA:

- prestazioni pubblicitarie volte alla promozione delle attività istituzionali delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (art. 3, comma 3, primo periodo, del d.P.R. n. 633/1972);

- cessioni di beni, previste dall’art. 2, n. 4), del d.P.R. n. 633 del 1972 per le quali l’imprenditore ha operato la detrazione all’atto dell’acquisto o dell’importazione, effettuate in favore delle ONLUS;

- prestazioni di trasporto di malati o feriti con veicoli all’uopo equipaggiati (art. 10, n. 15);

- prestazioni di ricovero e cura, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto (art. 10, n. 19);

- prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati alle strutture di detti organismi (art. 10, n. 20);

- prestazioni socio sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese direttamente (art. 10, n. 27-ter).

Ulteriore disposizione agevolativa accordata alle ONLUS in materia di osservanza degli obblighi contabili prescritti ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto consiste nell’esonero dall’obbligo di certificazione dei corrispettivi, mediante l’emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, le operazioni riconducibili alle attività istituzionali svolte dalle ONLUS elencate dall’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 460 del 1997.

Sono, invece, soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi le operazioni direttamente connesse a quelle istituzionali, fermo restando, tuttavia, per tutte le attività di natura commerciale, sia istituzionali che connesse, l’obbligo

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente di emissione della fattura prevista dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, qualora non ricorrano i presupposti di legge di cui al menzionato art. 22 dello stesso decreto, come, si evince dal disposto dell’art. 15 del d.lgs. 460/1997.

Altre agevolazioni in materia di imposta di bollo e tasse di CC.GG.

Ulteriori agevolazioni, fra le altre, sono previste in favore delle ONLUS in materia di imposte indirette ed in particolare:

- sono esenti dal tributo in esame gli atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) sia come enti destinatari degli atti che come soggetti che li pongono in essere;

- gli atti e provvedimenti concernenti le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative.

Novità fiscali in materia di ONLUS

Premessa

Il d.l. n. 185/2008 (convertito con modificazioni nella l. n. 2/2009) all’art. 30, commi 4, 5, 5-bis e 5-ter, reca alcune disposizioni in materia di ONLUS oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate con la circolare n. 12/E del 9 aprile 2009.

Il comma 4 disciplina il settore della beneficenza, riconducendo nell’ambito di tale attività, oltre gli interventi diretti a favore di soggetti svantaggiati, le erogazioni effettuate ad altri enti che realizzano programmi di utilità sociale (cd.

beneficenza indiretta).

Il comma 5 disciplina le organizzazioni di volontariato, fissando le condizioni necessarie perché le stesse possano acquisire la qualifica di ONLUS di diritto.

Infine, i commi 5-bis e 5-ter dell’art. 30 introducevano un’agevolazione temporanea (fino al 31 dicembre 2009) in materia di imposta catastale a favore delle ONLUS.

Organizzazioni di volontariato ONLUS di diritto

Il comma 5 del citato art. 30 stabilisce che le organizzazioni di volontariato iscritte nei Registri del volontariato di cui all’art. 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 acquistano, in forza dell’art. 10, comma 8, del d.lgs. 4 dicembre 1997, n.

460, la qualifica di ONLUS di diritto a condizione che non svolgano attività commerciali diverse da quelle marginali indicate nel decreto 25 maggio 1995.

La norma in esame modifica, in sostanza, la previsione del comma 8 dell’art. 10 del d.lgs. n. 460, intervenendo sui requisiti richiesti alle organizzazioni di volontariato per l’acquisizione della qualifica di ONLUS di diritto.

Le attività commerciali marginali individuate dal predetto decreto del 1995, consentite alle organizzazioni di volontariato, ai sensi dell’art. 30, comma 5, al fine dell’acquisizione della qualifica di ONLUS di diritto e al fine dell’esonero dalla trasmissione telematica dei dati e delle notizie fiscalmente rilevanti, sono le seguenti:

a) attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato;

b) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;

c) cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempre che la vendita di prodotti sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;

d) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;

e) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 148, comma 3, del TUIR, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione.

Le attività sopra elencate, ai sensi del comma 2 dell’art. 1 del citato decreto del 25 maggio 1995, devono essere svolte:

1. in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell’organizzazione di volontariato iscritta nei Registri di cui all’art. 6 della legge n. 266 del 1991;

2. senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l’uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell’impresa.

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È vietata ogni riproduzione totale o parziale di qualsiasi tipologia di testo, immagine o altro.

Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente In sintesi, in base alla previsione del comma 5 dell’art. 30, le organizzazioni di volontariato sono ONLUS di diritto e possono fruire della disciplina a favore delle ONLUS se:

- sono iscritte negli appositi Registri del volontariato di cui alla legge n. 266 del 1991;

- non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali elencate nel decreto del 25 maggio 1995.

Pertanto, qualora le organizzazioni di volontariato, ancorché iscritte negli anzidetti Registri, svolgano attività commerciali non riconducibili fra quelle sopra richiamate, le stesse non possono assumere la qualifica di ONLUS di diritto e sono tenute, ai sensi dei commi 1 e 5 dell’art. 30 del d.l. n. 185, a trasmettere il modello di comunicazione previsto dallo stesso articolo.

La qualificazione dell’attività come commerciale o non commerciale deve essere effettuata ai fini fiscali sulla base dei parametri oggettivi richiamati nel paragrafo 1.1.1 della circolare n. 12/E del 9 aprile 2009, senza che a tal fine possa assumere rilievo la qualificazione statutaria della stessa.

In sostanza, in base alla disposizione in esame, l’Agenzia delle entrate esercita l’autonoma attività di controllo anche sulle organizzazioni iscritte negli appositi Registri del volontariato al fine di accertare l’eventuale svolgimento di attività commerciali diverse da quelle elencate dal decreto del 25 maggio 1995 e, conseguentemente, la spettanza o meno delle agevolazioni fiscali.

Attività di beneficenza svolta da ONLUS

Il comma 4 dell’art. 30 prevede quanto segue: “All’art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, dopo il comma 2 è inserito il seguente: ‘2-bis. Si considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a), n. 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale’.”.

La formulazione della norma con le parole “Si considera attività di beneficenza (...)” fa assumere carattere interpretativo alla disposizione che qualifica e delimita l’attività di beneficenza, conferendo alla previsione in esame efficacia retroattiva. Il comma 4 dell’art. 30, aggiungendo all’art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, dopo il comma 2, il comma 2-bis, riconduce nella beneficenza, quale settore di attività in cui possono operare le ONLUS, oltre all’attività consistente direttamente nella concessione di erogazioni gratuite in denaro o in natura a favore degli indigenti, anche l’attività di erogazione gratuita di somme di denaro, provenienti dalla gestione patrimoniale della ONLUS o da campagne di raccolta di donazioni, a favore di enti che presentino i requisiti stabiliti dalla stessa norma. In particolare gli enti destinatari delle erogazioni gratuite di denaro devono avere i seguenti requisiti:

a) devono essere enti senza scopo di lucro;

b) devono operare prevalentemente e direttamente nei settori di attività previsti dal medesimo art. 10, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 460 del 1997 e quindi nei settori dell’assistenza sociale e socio-sanitaria, dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, della tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, della promozione della cultura e dell’arte, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale.

Per quanto riguarda la natura degli enti destinatari delle erogazioni, in mancanza di una limitazione normativa, si ritiene che gli stessi possano avere natura pubblica o privata e possano assumere qualsiasi forma giuridica.

L’espressa previsione dell’assenza di lucratività comporta che l’ente deve osservare di fatto e prevedere statutariamente il divieto di distribuzione anche indiretta degli utili e avanzi di gestione nonché di fondi riserve o capitale.

Affinché le erogazioni destinate a tali enti possano essere ricondotte nell’attività di beneficenza è inoltre necessario che:

• provengano dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte;

• siano destinate alla realizzazione diretta di progetti di utilità sociale.

Riguardo a quest’ultima previsione, si chiarisce che la norma esclude che gli enti beneficiari delle erogazioni effettuate dalle ONLUS cd. erogative possano a loro volta riversare le donazioni raccolte a favore di altri enti. La norma non consente, quindi, che si verifichi il fenomeno delle erogazioni a catena attraverso molteplici passaggi di denaro tra enti diversi, ma impone che gli enti beneficiari utilizzino “direttamente” le erogazioni ricevute per la realizzazione di progetti di utilità sociale.

La specifica destinazione delle erogazioni a progetti di utilità sociale comporta, peraltro, da una parte, la necessità della tracciabilità della donazione attraverso strumenti bancari o postali che evidenzino la particolare causa del versamento e, dall’altra, l’esistenza non di un programma generico, ma di un progetto già definito nell’ambito del settore di attività dell’ente destinatario prima dell’effettuazione dell’erogazione.

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È vietata ogni riproduzione totale o parziale di qualsiasi tipologia di testo, immagine o altro.

Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente L’utilità sociale del progetto comporta che esso si connoti per la realizzazione di finalità solidaristiche indirizzate, a seconda del settore di appartenenza dell’ente (ad esempio formazione, istruzione ecc.), a particolari tipologie di soggetti o collettività svantaggiate o, per la rilevanza artistica, scientifica o ambientale dell’intervento proposto (ad esempio tutela di beni di interesse artistico e storico, ricerca scientifica di particolare interesse sociale ecc.) a vantaggio della collettività diffusa.

Agevolazione in materia di imposta catastale per le ONLUS

I commi 5-bis e 5-ter dell’art. 30 in commento introducevano, con efficacia temporale limitata al 31 dicembre 2009, una nuova agevolazione in favore delle ONLUS in materia di imposta catastale.

Tale agevolazione consisteva, in sostanza, nella previsione dell’applicazione dell’imposta catastale in misura fissa, pari a 168 euro, per i trasferimenti a titolo oneroso a favore delle ONLUS, a condizione che la ONLUS dichiarasse nell’atto che intendeva utilizzare direttamente i beni per lo svolgimento della propria attività e che realizzasse l’effettivo utilizzo diretto entro 2 anni dall’acquisto.

Il regime forfetario di cui alla l. n. 398/1991

Ai fini dell’applicazione il regime agevolato in esame necessita che nei soggetti beneficiari coesistano le condizioni che seguono:

1. requisiti soggettivi;

2. requisito oggettivo.

GIURISPRUDENZA

Commissione tributaria provinciale di Treviso, sentenza del 4 agosto 2010, n. 70

In primo luogo, si noti che vi è una divaricazione palese tra le dichiarazioni programmatiche contenute nello Statuto (un’associazione senza scopo di lucro, le cui finalità istituzionali sono ricreative, sportive, culturali, ecc.), che ha optato per il regime fiscale agevolato della legge n. 398/1991 (che consente la determinazione forfetaria del reddito e la non obbligatorietà delle scritture contabili).

In base alle verifiche effettuate, in realtà, emerge che l’attività effettivamente svolta in via prevalente è quella di intrattenimento.

In questo caso, si tratterebbe, pertanto, non di un ente non profit, ma di una impresa simulata: una fattispecie elusiva- evasiva, purtroppo non sconosciuta in questo genere di associazioni.

Analizzata la documentazione raccolta, i verificatori concludono che “l’attività svolta dall’associazione non sia succedanea alle attività istituzionali ma sia un’attività commerciale a pieno titolo”.

Come è noto, ai sensi dell’art. 73, comma 1, lett. c) del TUIR “l’ente non commerciale viene definito come quello che non ha per oggetto esclusivo e principale l’esercizio di attività commerciale”.

Nel momento in cui l’attività commerciale sia prevalente, non solo si ha assoggettamento ad imposta della medesima, ma addirittura si avrebbe la perdita della qualifica di ente non commerciale (cfr. art. 149 del TUIR).

In altri termini, non è affatto scontato che un ente costituito ai sensi del libro I del codice civile sia un ente non commerciale ai fini fiscali.

Lasciando stare gli aspetti procedurali che in questa sede ci interessano di meno, veniamo alle questioni di merito affrontate dalla sentenza.

Secondo la CTP di Treviso, l’Associazione ricorrente non si perita minimamente di dimostrare che l’attività istituzionale prevalente sia quella sportiva e di conseguenza possa intendersi che l’attività “ricreativa”, di carattere commerciale, sia solo marginale.

I giudici, pur volendo considerare l’attività “ricreativa” istituzionalmente prioritaria, hanno, comunque, sottolineato che il fondamento di un ente non commerciale è la marginalità dell’attività commerciale.

A ciò si aggiunga che il godimento delle agevolazioni di cui all’art. 148 del TUIR riservato alle associazioni

“privilegiate”, tra cui le associazioni sportive, è subordinato al fatto che si tratti di enti non commerciali e non di enti lucrativi.

In conclusione, la non lucratività dell’ente è condicio sine qua non per il godimento delle agevolazioni fiscali.

Tale condizione però va non solo dichiarata nello Statuto, ma dimostrata nell’attività concreta.

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente Requisito soggettivo

I requisiti soggettivi necessari per poter usufruire del regime agevolato sono i seguenti:

• forma giuridica di associazioni sportive o società sportive _;

• assenza del fine di lucro;

• svolgimento di attività sportiva dilettantistica (riconosciuta tale dal CONI), compresa l’eventuale attività didattica, intendendosi per tale quella così definita nell’ambito della normativa regolamentare degli organismi suddetti cui l’associazione è affiliata;

• affiliazione a Federazioni sportive nazionali o enti di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti.

PRASSI

Circolare dell’Ufficio Studi Tributari della FIGC del 20 aprile 2012, n. 9/2012

Ai sensi dell’art. 21 del d.l. n. 78/2010 (conv. con modif. dalla legge n. 122/2010), come modificato dall’art. 2, comma 6, del d.l. n. 16/2012, entro il 30 aprile 2012 i contribuenti dovevano comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni rilevanti ai fini IVA poste in essere nel 2011 di importo superiore a 3.000 euro, IVA esclusa, per le quali sussisteva l’obbligo di emissione della fattura; riguardo, invece, alle operazioni per cui non era obbligatoria l’emissione di tale documento, dovevano essere comunicate soltanto quelle di importo superiore a 3.600 euro, IVA inclusa. Con il comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate del 5 aprile 2012, tuttavia, è stato consentito di inviare per l’anno 2011 anche le operazioni sotto soglia.

La FIGC, con la circolare n. 9/2012 del 20 aprile 2012, ha ricordato che sono stati esonerati dall’obbligo comunicativo soltanto i contribuenti minimi, nonché lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico, in considerazione delle modalità di tenuta della contabilità stabilite dalla legge, che rendono difficoltoso distinguere tra attività di carattere istituzionale e attività di carattere commerciale rilevanti ai fini IVA.

Anche gli enti non commerciali, pertanto, rientravano tra i soggetti tenuti all’obbligo di trasmissione delle comunicazioni in oggetto. In particolare, anche le associazioni sportive dilettantistiche sono obbligate, anche se determinano l’IVA con il criterio forfettario di cui alla legge n. 398/1991, che prevede l’applicazione dell’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 633/1972, in base al quale la detrazione dell’IVA versata sugli acquisti è forfettizzata nella misura del 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili. In proposito, la FIGC ha puntualizzato che, relativamente a tali associazioni, l’adempimento comunicativo è previsto soltanto per le operazioni commerciali poste in essere al di fuori delle attività istituzionali di ciascuna associazione. Pertanto per tali associazioni sono state escluse dall’obbligo comunicativo per quanto concerne le operazioni effettuate nell’ambito della loro sfera istituzionale.

È opportuno evidenziare, al riguardo, che i soggetti con detrazione forfetizzata, come le associazioni sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime di cui alla predetta legge n. 398/1991, comunicano le operazioni attive commerciali, ma non quelle passive perché gli acquisti non sono registrati, in quanto riconosciuti a forfait “a prescindere” (su tale aspetto, tuttavia, non è ancora giunta alcuna conferma ufficiale). Gli altri soggetti IVA, invece, comunicano le operazioni attive e passive, se rilevanti ai fini IVA e, quindi, per quelle passive, la comunicazione va fatta anche per gli acquisti non registrati perché la detrazione è preclusa o non viene esercitata; del resto, le istruzioni confermano che nella comunicazione, in mancanza della data di registrazione, va indicata la data di effettuazione dell’operazione.

Nel documento in oggetto è stato ricordato, poi, che l’omessa comunicazione o la trasmissione di dati non corretti o incompleti comporta l’applicazione di quanto previsto dall’art. 11, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 471/1997, per cui è punita con la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro l’omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli Uffici o dalla Guardia di Finanza al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di verifica e accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri. La FIGC ha ricordato che, però, è fatta salva la possibilità di ricorrere all’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997.

Infine, è stato precisato che, sebbene il termine ultimo per l’invio dei dati relativi al 2011 fosse quello prossimo del 30 aprile 2012 (anche se da indiscrezioni giornalistiche sembrerebbe trapelare la possibilità di un rinvio di una settimana), i contribuenti potevano comunque inviare una nuova comunicazione entro 30 giorni per rettificare i dati già trasmessi senza l’applicazione di alcuna sanzione.

Requisito oggettivo

Il requisito oggettivo che occorre possedere per poter accedere al citato regime è rappresentato dal conseguimento dall’esercizio di attività commerciali di proventi per un importo non superiore ad euro 250.000 nell’esercizio.

Più in particolare ai fini dell’applicazione del regime agevolato occorrerà:

a) che i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare dovranno aver conseguito proventi non superiori ad euro 250.000 nel periodo di imposta precedente;

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente b) che i soggetti con periodo di imposta non coincidente con l’anno solare dovranno aver conseguito proventi non superiori ad euro 250.000 nel periodo di imposta precedente;

c) che le associazioni di nuova costituzione, dovranno rapportare il limite massimo dei proventi, al periodo intercorrente fra la data di costituzione ed il termine dell’esercizio, computandolo in giorni.

A tale riguardo è opportuno precisare che nel plafond di 250.000 euro trovano collocazione tutti i proventi di cui all’art.

85 del menzionato TUIR n. 917 del 22 dicembre 1986, sempreché assumano, per l’attività svolta dalle associazioni in argomento, natura commerciale, nonché le eventuali sopravvenienze attive di cui al successivo art. 88 del medesimo TUIR, relative alle attività commerciali esercitate. Sono, pertanto, esclusi i proventi derivanti dalle attività di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 143 del TUIR medesimo, fermo restando il disposto dell’art. 148 dello stesso TUIR.

Nel limite dei 250.000 euro sopra considerato non vanno computate le plusvalenze di cui all’art. 86 del predetto TUIR, le quali, ai fini dell’imposizione diretta, sono escluse dalla determinazione forfetaria del reddito per effetto dell’art. 2, comma 5, della legge n. 398/1991.

In particolare si rileva che, ai fini del superamento del limite di 250.000 euro, non va acquisita l’indennità di preparazione e promozione di cui all’art. 6 della legge 23 marzo 1981, n. 91, la quale, non concorre alla determinazione del reddito delle associazioni che optano per l’applicazione della legge n. 398, ai sensi dell’art. 3 della legge medesima.

Del pari, non va computato nel predetto limite il corrispettivo delle cessioni aventi per oggetto beni patrimoniali, ivi comprese quelle dei diritti alle prestazioni sportive degli atleti, essendo le relative plusvalenze assoggettate a tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, in aggiunta al reddito determinato forfetariamente, così come previsto dall’art. 2, comma 5, della stessa legge n. 398.

10.5.3 L’esercizio dell’opzione e suoi effetti I soggetti destinatari della legge n. 398 in possesso dei requisiti sopra specificati possono optare per l’applicazione dell’IVA, dell’IRES _ e dell’IRAP secondo le disposizioni dell’art. 2, il quale, – nel confermare ai fini IVA il regime forfetario previsto dall’art. 74, quinto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, estendendolo a “qualsiasi” provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali, indipendentemente dall’esercizio o meno dell’attività spettacolistica, – introduce, ai fini delle imposte sui redditi, un particolare regime forfetario di determinazione del reddito e semplifica notevolmente gli adempimenti contabili relativi, con l’esonero previsto del comma 1 del medesimo art. 2.

PRASSI

Risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 1° luglio 2009, n.179/E L’Agenzia delle entrate, rispondendo ad un interpello di una casa di cura privata, ha precisato che la riduzione della metà dell’IRES vale anche per gli enti che svolgono le funzioni dei soppressi enti ospedalieri, nell’ambito della rete ospedaliera pubblica del Servizio sanitario nazionale.

Ai fini dell’esercizio dell’opzione, l’art. 1, comma 1, del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 442 dispone che l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.

Pertanto, i soggetti che intendono adottare tale regime manifestano l’opzione unicamente attraverso la sua concreta attuazione sin dall’inizio del periodo o dell’attività, fermo restando l’obbligo di comunicare l’opzione ai sensi dell’art. 2 dello stesso d.P.R. n. 442 del 1997.

Giova precisare che l’opzione ha valore fino a quando non viene revocata ma una volta fatta è vincolante per un periodo di cinque anni. Tuttavia se nel periodo di imposta si supera il limite di 250.000 euro, il regime agevolato cessa automaticamente e dal mese successivo a quello in cui è venuto meno il requisito oggettivo, si passerà al regime ordinario. In tale ipotesi occorrerà distinguere fiscalmente due differenti periodi soggetti a differenti regimi tributari:

a) nel primo (dall’inizio del periodo di imposta fino al mese in cui è avvenuto il superamento del limite) si applicherà il regime agevolato;

b) nel secondo (dal mese successivo all’avvenuto superamento del limite fino alla fine del periodo di imposta), si applicherà il regime tributario ordinario sia per determinare il reddito che per l’assolvimento dell’IVA e degli adempimenti contabili.

È appena il caso di precisare che trattandosi, nel caso di specie di soggetti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione IVA, la citata opzione va effettuata con le modalità e i termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi, utilizzando la specifica modulistica relativa alla dichiarazione annuale IVA (quadro VO).

L’esercizio dell’opzione deve essere comunicato, inoltre, alla SIAE prima dell’inizio dell’anno solare nel quale si intende fruire del regime agevolato.

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente La determinazione forfetaria del reddito imponibile ai fini IRES

In forza dell’art. 2, comma 5, della legge n. 398 del 1991 il reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche viene determinato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività, fissato dall’art. 25 della legge 13 maggio 1999, n. 133 nella misura del 3%, e aggiungendo l’intero importo delle plusvalenze patrimoniali.

Con riferimento alle società sportive dilettantistiche, ai fini della determinazione del reddito imponibile secondo la normativa prevista dalla legge n. 398 del 1991 si deve tener conto della qualificazione tributaria soggettiva delle società di capitali per le quali tutti i redditi, da qualsiasi fonte provengono, costituiscono reddito d’impresa. Pertanto, dette società devono applicare il coefficiente di redditività del 3%, stabilito dall’art. 2, comma 5, della legge n. 398, su tutti i proventi e componenti positivi che concorrono a formare il reddito complessivo ai sensi dell’art. 95 del TUIR, escluse le plusvalenze patrimoniali. Al reddito così determinato si aggiunge l’intero importo delle plusvalenze patrimoniali.

Si precisa, altresì, che non concorre alla determinazione del reddito delle associazioni sportive dilettantistiche e, quindi, anche delle società sportive dilettantistiche di capitali senza fine di lucro, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 398 del 1991, il premio di addestramento e di formazione tecnica di cui all’art. 6 della legge 23 marzo 1981, n. 91.

La determinazione dell’IRAP

In materia di IRAP ai fini della determinazione della base imponibile occorre distinguere:

1. le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono esclusivamente attività non commerciali;

2. le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività istituzionale e commerciale e le società sportive dilettantistiche.

GIURISPRUDENZA

Corte costituzionale, 20 aprile 2012, n. 99

È costituzionalmente illegittimo l’art. 17, comma 9, della legge della regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12, che limita a soggetti individuati (imprenditori agricoli professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di Commercio; giovani imprenditori agricoli; società agricole) la possibilità di esperire una procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell’energia elettrica da biometano e biogas. Il legislatore statale, infatti, attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, comma 3, Cost. L’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, recependo tanto il generale orientamento di favore della direttiva n. 2009/28/CE del 23 aprile 2009, verso la produzione di energia da fonti rinnovabili, quanto l’obiettivo di estendere al massimo il ricorso a procedure leggere, che incentivino l’insorgere di impianti anche di piccole dimensioni, ha introdotto una procedura semplificata, dando altresì facoltà alle regioni di estenderne l’ambito di applicazione fino ad una soglia massima di potenza di energia elettrica pari a 1 mw. A fronte di tale disciplina, europea e nazionale, la legge regionale interviene con una disposizione restrittiva, che limita sul piano soggettivo il ricorso alla procedura semplificata, individuando nominativamente i tipi di operatori economici ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in contrasto con la disposizione statale contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle procedure necessarie all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Pertanto, la legislazione regionale censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti alle regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare una restrizione all’accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell’intera normativa, volto a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili.

È costituzionalmente illegittimo l’art. 18, comma 20, della l.r. Sardegna n. 12 del 2011, in quanto nel disporre che le ONLUS devono comunicare all’Assessorato regionale competente la volontà di avvalersi dell’esenzione IRAP, il legislatore regionale ha violato la competenza esclusiva statale in materia di tributi statali, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost. La normativa impugnata ha, inoltre un contenuto che complica, piuttosto che semplificare, gli adempimenti a carico delle ONLUS, e sicuramente non è idonea ad alleggerire il quadro dell’iter burocratico.

È costituzionalmente illegittimo l’art. 21 della l.r. Sardegna n. 12 del 2011, che consente l’attuazione di programmi volti alla creazione di posti di lavoro a favore dei cosiddetti lavoratori socialmente utili, anche con il coinvolgimento di società in house, e permette agli enti che li impiegano di continuare ad utilizzarli, accollando l’onere finanziario derivante dalla loro stabilizzazione all’Amministrazione regionale. La circostanza che si tratti di una disposizione volta a favorire i cosiddetti lavoratori socialmente utili non esime il legislatore regionale dal rispetto delle norme costituzionali, le quali chiaramente prescrivono che si possa derogare al regime del pubblico concorso o prevedere una riserva di posti solo in presenza di puntuali requisiti, ossia la peculiarità delle funzioni che il personale deve svolgere o specifiche necessità funzionali dell’Amministrazione. Requisiti che in ogni caso dovrebbero rispettare i limiti imposti dalla legislazione statale sul punto, la quale ha fissato nel limite del 30% la quota di posti che può essere riservata ai

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente cosiddetti lavoratori socialmente utili. Pertanto, la normativa impugnata non rispetta le condizioni già da tempo esplicitate dalla giurisprudenza costituzionale, instaurando un progetto di stabilizzazione sciolto da qualsiasi specifica finalità amministrativa, se non quella risolventesi nell’inserimento stabile nei ruoli dell’Amministrazione di lavoratori appartenenti a detta categoria.

Nel primo caso la base imponibile IRAP è data dalla somma di:

• retribuzioni per lavoro dipendente e redditi a questi assimilati;

• compensi per prestazione occasionale di lavoro autonomo, non esercitato abitualmente (fatta eccezione per indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi di cui all’art. 81, comma 1, lettera m), del TUIR.)

Nel secondo caso le associazioni e le società sportive dilettantistiche che hanno scelto il regime fiscale agevolato, ex art.

17, comma 2, d.lgs. n. 446/1997, determinano la base imponibile sommando al reddito ottenuto ai fini IRES (applicando il coefficiente di redditività del 3% sui proventi commerciali conseguiti) i seguenti costi non dedicabili ai fini IRAP:

• retribuzioni per lavoro dipendente e redditi a questi assimilati;

• compensi per prestazione occasionale di lavoro autonomo, non esercitato abitualmente;

• interessi passivi.

Non concorrono alla determinazione del valore della produzione:

• i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro;

• le spese relative agli apprendisti, ai disabili ed al personale assunto con contratti di formazione lavoro;

• i compensi, i premi i rimborsi forfetari e le indennità di trasferta corrisposti a sportivi dilettanti di cui all’art. 81, comma 1, lettera m), del TUIR.

Al valore della produzione come sopra determinato si applica l’aliquota del 3,9% (o altra aliquota prevista da legge regionale).

Le agevolazioni in materia di imposte indirette

Caratteristiche generali del regime IVA forfetario ex l. n. 398/1991e determinazione forfetaria dell’imposta

Le associazioni sportive dilettantistiche unitamente alle società sportive dilettantistiche che optano per l’applicazione delle disposizioni recate dalla legge n. 398/1991 applicano per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio delle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali le disposizioni previste dall’art. 74, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Pertanto, per gli anzidetti soggetti, lo speciale regime recato da quest’ultimo articolo trova applicazione anche per quei proventi percepiti in relazione ad attività non soggette all’imposta sugli intrattenimenti. L’art. 74, sesto comma, prevede che, agli effetti della determinazione dell’IVA, la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 è forfettizzata con l’applicazione di una detrazione in via ordinaria pari al 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili.

La medesima disposizione prevede, inoltre, le seguenti specifiche percentuali di detrazione forfettizzata:

➢ per le prestazioni di sponsorizzazione la detrazione è forfettizzata in misura pari ad un decimo dell’imposta relativa alle operazioni stesse;

➢ per le cessioni o le concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica la detrazione compete in misura pari ad un terzo dell’imposta relativa alle operazioni stesse.

Come precisato con circolare n. 165/E del 7 settembre 2000, le associazioni sportive dilettantistiche per le prestazioni pubblicitarie, in mancanza di un’espressa previsione normativa godono della detrazione del 50% stabilita, in via generale, dal citato sesto comma dell’art. 74. Il regime speciale in argomento si applica alle condizioni richiamate anche alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fine di lucro.

A tal proposito, con circolare n. 9/E del 24 aprile 2013, avente ad oggetto “Quesiti relativi alle associazioni sportive dilettantistiche”, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che:

1. la norma di cui all’art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 544 del 1999 non prevede la decadenza dai benefici fiscali di cui alla legge n. 398 del 1991 in caso di mancato rispetto dell’obbligo di tenuta del modello di cui al d.m. 11 febbraio 1997, fermo restando, naturalmente, che la permanenza nel regime agevolativo è subordinata alla sussistenza dei requisiti sostanziali richiesti dalla specifica normativa;

2. che qualora, in sede di accertamento, si ravvisi la mancata tenuta del predetto modello secondo le modalità previste dal citato art. 9 del d.P.R. n. 544 del 1999, si potrà procedere alla ricostruzione della situazione reddituale dell’ente sportivo dilettantistico tenendo conto delle effettive risultanze contabili comprovabili, da parte dell’ente, con fatture e altri documenti.

In buona sostanza, l’ente sportivo dilettantistico, pur non avendo provveduto ad annotare i corrispettivi nel modello di cui al d.m. 11 febbraio 1997, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge, potrà continuare a fruire delle agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991, sempre che sia in grado di fornire all’Amministrazione finanziaria i

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente riscontri contabili, quali fatture, ricevute, scontrini fiscali ovvero altra documentazione utile ai fini della corretta determinazione del reddito e dell’IVA. Diversamente, qualora la società/associazione sportiva dilettantistica non sia in grado di produrre alcuna documentazione idonea a provare la sussistenza dei requisiti sostanziali per l’applicazione delle disposizioni di cui alla legge n. 398 del 1991, la stessa decadrà dal predetto regime di favore.

In particolare, in assenza dei presupposti previsti dalla legge (ad esempio, violazione del divieto di distribuzione diretta o indiretta di utili; proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali superiori a euro 250.000;

violazione dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti a favore di enti sportivi dilettantistici e dei versamenti da questi effettuati di importo superiore a euro 516,46: v. art. 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999), l’ente sportivo dilettantistico non potrà beneficiare delle disposizioni recate dalla legge n. 398 del 1991.

L’Agenzia delle entrate, nell’ambito della citata circolare chiarisce, tuttavia, che:

1. la mancata osservanza dell’adempimento di cui trattasi comporta, comunque, l’applicabilità della sanzione amministrativa prevista in materia di violazioni degli obblighi relativi alla contabilità dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (sanzione da euro 1.032 ad euro 7.746);

2. il mancato rispetto degli ulteriori adempimenti previsti dal citato art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 544 del 1999 (ad esempio, la conservazione e numerazione progressiva delle fatture di acquisto ovvero il versamento trimestrale dell’IVA) comporta – al pari della mancata tenuta del prospetto di cui al d.m. 11 febbraio 1997 – l’applicazione delle specifiche disposizioni previste dal d.lgs. n. 471 del 1997 e non la decadenza dal regime tributario di cui alla legge n.

398 del 1991, sempre che gli inadempimenti non precludano all’Amministrazione finanziaria il riscontro documentale utile ai fini dell’accertamento dei requisiti richiesti per beneficiare del regime stesso.

Adempimenti contabili e fiscali ai fini IVA

L’art. 9, comma 3, del regolamento emanato con d.P.R. n. 544 del 1999 disciplina gli adempimenti contabili a carico delle associazioni sportive dilettantistiche e dei soggetti assimilati, prevedendo che gli stessi devono:

• versare trimestralmente l’imposta sul valore aggiunto mediante delega unica di pagamento (modello F24), entro il giorno sedici del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, con possibilità di avvalersi della compensazione di cui all’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241;

• numerare progressivamente e conservare le fatture di acquisto a norma dell’art. 39 del d.P.R. n. 633 del 1972;

• annotare, anche con unica registrazione entro il giorno quindici del mese successivo, l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguiti nell’esercizio di attività commerciali, con riferimento al mese precedente, nel modello di cui al d.m. 11 febbraio 1997 opportunamente integrato;

• annotare distintamente nel citato modello di cui al d.m. 11 febbraio 1997 i proventi dell’art. 25, comma 1, della legge n. 133 del 1999, che non costituiscono reddito imponibile, le plusvalenze patrimoniali nonché le operazioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 47 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.

Per le società sportive dilettantistiche di capitali senza fine di lucro il modello di cui al d.m. 11 febbraio 1997 deve essere integrato con i componenti positivi di reddito che comunque concorrono alla formazione del reddito.

Le associazioni sportive fruiscono dell’esonero dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili previsti dagli artt. 14, 15, 16, 18 e 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e sono altresì esonerate dagli obblighi di cui al titolo II del d.P.R. n.

633 del 26 ottobre 1972 (fatta eccezione per la dichiarazione di inizio, variazione e cessazione di attività di cui all’art.

35).

L’esonero dagli obblighi di cui al titolo II del d.P.R. n. 633, comporta la non obbligatorietà:

- della fatturazione delle operazioni;

- della tenuta del libro degli acquisti;

- del registro dei corrispettivi e/o del registro delle fatture emesse;

nonché l’esonero dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA.

I soggetti in argomento, pertanto, sono esonerati dalla tenuta di qualsiasi libro o documento previsto dalle norme fiscali, ad eccezione dei documenti richiesti dal comma 2 dell’art. 2 (distinta o dichiarazione d’incasso).

I destinatari delle disposizioni in rassegna sono, quindi, facoltizzati all’emissione delle fatture, con il solo obbligo di numerarle progressivamente, per anno solare e di conservarle a norma dell’art. 39 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art.

22 del d.P.R. n. 600 del 1973.

I soggetti medesimi sono, poi, tenuti alla conservazione delle fatture di acquisto e di quelle eventualmente emesse, così come previsto dal comma 4, oltre, beninteso, al rispetto delle disposizioni in materia di ricevuta fiscale, di documento di trasporto e di scontrino fiscale, qualora fossero poste in essere attività che richiedono l’emissione dei predetti documenti.

L’espressa previsione dell’obbligo di conservazione delle fatture emesse contenuta nella norma citata conferma, peraltro, quanto fatto presente in altre circostanze, in ordine alla facoltà di emettere fatture da parte dei soggetti che non ne sono obbligati, non potendosi considerare l’esonero divieto di emissione delle fatture stesse.

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente È evidente che le società sportive dilettantistiche in quanto società di capitali sono comunque obbligate agli effetti civili alla tenuta delle libri sociali e delle scritture contabili previste dal codice civile.

Imposta di registro

Gli atti costitutivi e di trasformazione delle società e associazioni sportive dilettantistiche, nonché delle Federazioni sportive e degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI direttamente connessi allo svolgimento dell’attività sportiva, sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa (euro 168).

L’agevolazione è riconosciuta solo qualora detti atti siano direttamente connessi allo svolgimento dell’attività sportiva.

La disposizione in esame introduce una novità per quanto riguarda gli atti di costituzione, per i quali l’art. 4, parte I, della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) prevede, invece, ordinariamente l’assoggettamento a tassazione in misura proporzionale o fissa a seconda della natura dei beni oggetto di conferimento all’atto della costituzione.

L’agevolazione introdotta, pertanto, assume particolare rilievo con riferimento alle ipotesi nelle quali la costituzione venga effettuata con l’apporto di immobili o di altri beni il cui conferimento sconterebbe ordinariamente l’imposta di registro in misura proporzionale.

Imposta di bollo

Nessuna particolare agevolazione è prevista in materia di imposta di bollo se non per le Federazioni sportive e gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI con riferimento agli atti, documenti, istanze, contratti, copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni.

Detta esenzione non trova applicazione, infatti, nei confronti delle società e associazioni sportive dilettantistiche, non menzionate dalla norma, le quali dovranno assolvere l’imposta di bollo per le quietanze emesse per la riscossione e per il versamento delle quote e dei contributi associativi (ad esempio quote sociali o per la partecipazione ai corsi ed alle attività sociali).

Tasse di concessione governativa

In materia di tasse sulle concessioni governative, gli atti ed i provvedimenti concernenti le società e le associazioni sportive dilettantistiche sono esentati dal pagamento.

Cooperative sociali e di produzione: esenzione totale IRES

L’Agenzia, con la risoluzione n. 80/E del 25 marzo 2009, stabilisce che la cooperativa sociale può beneficiare dell’integrale esenzione da IRES (art. 11 del d.P.R. n. 601 del 1973) se presenta contemporaneamente:

- i requisiti per essere considerata cooperativa di produzione e lavoro;

- un ammontare di retribuzioni corrisposte ai soci non inferiore al 50% del totale degli altri costi, escluse materie prime e sussidiarie.

L’agevolazione è applicabile esclusivamente ai fini IRES e non anche ai fini IRAP.

GIURISPRUDENZA

Cassazione, sez. trib., sentenza 11 aprile 2011, n. 8140

Nessuna agevolazione per le cooperative che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi La Cassazione civile, sezione tributaria, con sentenza n. 8140 dell’11 aprile 2011 ha sancito la non spettanza delle agevolazioni fiscali, ex art.

12 della legge 904/1977, alle cooperative che non abbiano presentano l’apposita dichiarazione dei redditi.

Il fatto scaturisce dalla notifica, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un avviso di accertamento delle imposte IRPEG ed ILOR nei confronti di una società siciliana, per l’anno di imposta 1994.

In particolare, la società contribuente aveva fruito del beneficio fiscale previsto dall’art. 12 della legge 1997, che disciplina il regime tributario dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, dei dividendi e degli aumenti di capitale, nonché del capitale minimo delle società.

Come noto, l’art. 12 della predetta legge dispone che “non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento”.

Avverso l’atto di accertamento, la società propose ricorso alla CTP di Palermo che, con sentenza, accolse le motivazioni del ricorrente accordandogli la fruizione dell’agevolazione fiscale, annullando, di conseguenza, l’atto dell’amministrazione.

Di converso, l’amministrazione finanziaria ricorse in appello alla Commissione tributaria della Regione Sicilia che, però, rigettò il ricorso, dando nuovamente ragione alla società contribuente.

Non contenta della sentenza contraria e forte delle proprie ragioni giuridico-tributarie, l’Agenzia delle entrate, come ultimo grado di giudizio, propose ricorso in Cassazione.

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Circolare dell’Agenzia delle entrate del 7 febbraio 2011

Su richiesta di un’associazione di categoria, lo scorso 7 febbraio 2011 l’Agenzia delle entrate ha emanato un chiarimento circa le modalità di applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti sui c.d. “prestiti sociali”

delle cooperative, interpretando l’art. 2, comma 25, del d.l. n. 138/2011. In particolare, l’Amministrazione finanziaria ha evidenziato che tale ritenuta sugli interessi corrisposti ai soci finanziatori delle cooperative deve essere effettuata, in ogni caso, a titolo di imposta.

Il prestito sociale è una delle principali forme di finanziamento delle cooperative che si concretizza nell’apporto di capitali rimborsabili, solitamente a breve-medio termine, da parte di soci-persone fisiche, che di norma ottengono un rendimento.

Si tratta di un istituto – teso alla patrimonializzazione ed all’aumento della competitività economico-imprenditoriale delle cooperative – rilevante sia per l’impresa che ottiene una fonte di finanziamento utilizzabile come rimediare ad eventuali situazioni di sottocapitalizzazione, sia per il socio che ottiene una remunerazione del proprio risparmio impiegato nella cooperativa a cui partecipa.

In sostanza, il prestito sociale costituisce una opportunità per i soci di offrire delle risorse per contribuire al raggiungimento dello scopo sociale – con conseguente maggiore fidelizzazione alla cooperativa cui gli stessi partecipano – garantendosi al contempo un ritorno economico.

Lo strumento in esame si differenzia sia dal conferimento di capitale sociale, che è una forma di “finanziamento di rischio” con i noti vincoli alla restituzione, sia dalle obbligazioni che sono sottoscrivibili anche da non soci e sono rimborsabili, di norma, a medio-lungo termine.

Le disposizioni che regolano l’istituto del “prestito sociale” sono riconducibili a due macro categorie normative:

una disciplina di natura bancaria, che mira alla tutela del socio nella sua qualità di risparmiatore; una disciplina di natura tributaria, che prevede l’applicazione di un peculiare trattamento fiscale, al ricorrere di determinate condizioni.

La disciplina fiscale del prestito sociale

La disciplina tributaria del prestito sociale si è formata nei primi anni ‘70 ed è evoluta fino a oggi, intersecandosi e sovrapponendosi con altri provvedimenti di carattere fiscale.

In particolare, l’art. 20 del d.l. n. 95/1974, convertito in legge n. 216/1974, disponeva ab inizio che “ricorrendo le condizioni stabilite nell’art. 13 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, sugli interessi e sui redditi di capitale corrisposti ai propri soci persone fisiche residenti nel territorio dello Stato dalle società cooperative di cui al comma precedente la ritenuta del 15% prevista dall’ultimo comma dall’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è ridotta al 10% ed è applicata a titolo d’imposta”.

In estrema sintesi, si ricorda che le condizioni stabilite dall’art. 13 del d.P.R. n. 601/1973 sono le seguenti:

- la finalizzazione dei prestiti al raggiungimento dell’oggetto sociale;

- il rispetto, per ciascun socio, di un tetto massimo nelle somme prestate;

- il rispetto di un limite massimo di remunerazione che non può superare la misura massima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi aumentato di 2,5 punti percentuali;

- la sussistenza, in capo alla cooperativa, delle condizioni previste dall’art. 14 del d.P.R. n. 601/1973.

L’aliquota della ritenuta è stata successivamente elevata al 12,50%, ad opera dell’art. 23, comma 2, della legge 27 febbraio 1985, n. 49, parificandola quindi a quella “ordinaria” relativa agli interessi corrisposti sulle obbligazioni.

Con il d.l. n. 112/2008, a fare data dagli interessi corrisposti dal 25 giugno 2008 (benché maturati in precedenza), per le sole cooperative che non rientrano nel novero delle piccole e delle micro imprese, si applicava una ritenuta alla fonte, sempre a titolo d’imposta, in misura pari al 20%. Ferma rimaneva l’aliquota del 12,50% negli altri casi.

Con tale ultima disposizione, quindi è stato ribadito il titolo d’imposta della ritenuta e, nel contempo, è stata stabilita una misura più elevata della stessa per gli interessi corrisposti su finanziamenti dei soci da parte cooperative diverse da quelle piccole e “micro” (intendendosi per tali, quelle che rispettano i requisiti della raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003).

Pertanto, fino al 31 dicembre 2011, sugli interessi percepiti in relazione al prestito sociale, la tassazione avveniva con l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,50% o del 20%, a seconda delle dimensioni della cooperativa finanziata.

L’art. 2, comma 25, del d.l. n. 138/2011 ha abrogato la disposizione del citato d.l. n. 95/1974, che prevedeva la ritenuta a titolo di imposta nella misura ridotta del 12,50%, con la conseguenza che per tutti gli interessi su prestiti sociali, divenuti esigibili dal 1° gennaio 2012, la misura della ritenuta è uniformata al 20% a prescindere dal parametro dimensionale della cooperativa.

In sostanza, in base alla disciplina attuale, non esiste più alcuna differenziazione in base alle dimensioni della cooperativa finanziata (piccola/micro o meno).

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Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è violativa della Legge 633/1941 e pertanto perseguibile penalmente Ciò è coerente con le finalità delle previsioni in ambito di fiscalità finanziaria contenute nel menzionato d.l. n.

138/2011, che – come si evince dalla relazione illustrativa – mira “all’adozione di un’aliquota unica, intermedia rispetto a quelle esistenti ma non superiore al 20%”.

A seguito di tale abrogazione, un’associazione di categoria ha ritenuto necessario chiarire a quale titolo sia applicabile la ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti dalle cooperative “minori” ai propri soci persone fisiche.

Infatti, interpretando letteralmente la normativa in materia si poteva ritrarre che l’applicazione di tale ritenuta dovesse avvenire “a titolo di acconto”.

Al riguardo, secondo il condivisibile parere dell’Amministrazione finanziaria interpellata, il legislatore ha voluto prevedere esclusivamente un’uniformità del livello di imposizione dei redditi di natura finanziaria – ivi inclusi gli interessi dei prestiti alle cooperative da parte dei soci persone fisiche, residenti nel territorio dello Stato e salvo le note eccezioni (i.e. i titoli pubblici ed assimilati, ecc.) – ma non ha voluto in alcun modo incidere sulla modalità del prelievo che rimane “a titolo di imposta” per i soci di tutte le cooperative.

Se così non fosse – ha correttamente segnalato l’Agenzia nel proprio parere – si determinerebbe una disparità di trattamento tra i soci di cooperative di diverse dimensioni, in quanto quelli delle piccole e micro coop dovrebbero essere assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di acconto con conseguente obbligo di dichiarazione e di ulteriore tassazione secondo gli ordinari canoni IRPEF (l’aggravio sarebbe commisurabile con l’aliquota marginale IRPEF del percipiente).

La tassazione alla fonte definitiva comporta che non vi sia alcun obbligo né di certificazione al socio degli interessi sul prestito sociale assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta né di dichiarazione da parte del socio nel proprio Modello Unico. La cooperativa deve invece indicare l’ammontare complessivo degli interessi corrisposti nel quadro RZ del proprio Modello Unico.

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