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Il cinema nel fascismo

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Academic year: 2022

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Il cinema nel fascismo

Postfazione di Goffredo Fofi Gianfranco Miro Gori

e Carlo De Maria (a cura di)

2017

Italia-Europa-Mondo, 3

OttocentoDuemila

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Italia-Europa-Mondo, 3

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L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. I, Bologna, Cineteca di Bologna, 2009.

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Carlo De Maria (a cura di)

Il cinema nel fascismo

Postfazione di Goffredo Fofi

BraDypUS.net COMMUNICATING CULTURAL HERITAGE

Bologna 2017

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Progetto grafico BraDypUS

ISSN: 2284-4368

ISBN: 978-88-98392-67-4

Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0.

2017 BraDypUS Editore via Oderisi Da Gubbio, 254 00146 Roma

CF e P.IVA 14142141002 http://bradypus.net http://books.bradypus.net info@bradypus.net

tà contemporanea di Forlì-Ce- sena, con la collaborazione e il sostegno di Atrium-Architecture of Totalitarian Regimes in Urban Managements

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INDICE GENERALE

Prefazione, Elisa Giovannetti, Presidente della Rotta culturale Atrium Premessa, Carlo De Maria, Direttore Istituto storico di Forlì-Cesena Introduzione, Gianfranco Miro Gori

I cinegiornali Luce ovvero lo schermo e la propaganda obbligatoria per le masse, Silvio Celli

Alla ricerca del realismo. Forme, urgenze, paradossi del documentario italiano negli anni del fascismo, Marco Bertozzi

Sulla storicità dei film narrativi del ventennio fascista, Gianfranco Miro Gori

Cinecittà. L’idea, il progetto, Sara Martin

Forlì come “eterotopia” della provincia fascista. La “piccola Roma” nella propaganda del Luce, Domenico Guzzo

Postfazione, Goffredo Fofi Indice dei nomi

7 9 15 19

35

53

71 85

105 109

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Roma (BraDypUS) 2017 ISBN 978-88-98392-67-4 pp. 7-8

Il convegno che si è svolto a Forlì nell’aprile del 2017 su Cinema e Fascismo è frutto di un percorso che il Comune sta conducendo sull’eredità dissonante e conflittuale del regime fascista in città; nel ventennio, infatti, Forlì è stata pro- fondamente trasformata attraverso un vasto e radicale intervento urbanistico e architettonico.

Nel 2011 il Comune di Forlì, in qualità di capofila, ha vinto un progetto euro- peo che ha intitolato Atrium (Architecture of Totalitarian Regims in Urban Ma- nagements) da cui ha costituito una associazione transnazionale di sedici città in cinque paesi europei, la quale nel 2014 ha ricevuto il riconoscimento di Rotta culturale dal Consiglio d’Europa. Atrium si occupa di approfondire la conoscenza del patrimonio dissonante, espressione del progetto politico e di propaganda degli ex totalitarismi in Europa, proponendosi di indagarne – oltre alle forme e alle persistenze nel tessuto urbano contemporaneo delle città europee – il contesto, l’origine e soprattutto i processi attraverso cui i sistemi totalitari hanno progettato e gestito il consenso nelle comunità.

Lo statuto di Atrium, così come la sua esplicita adesione ai valori e ai principi del Consiglio d’Europa, sancisce la ferma volontà di rifiutare ogni forma di totali- tarismo, e individua come missione quella di perpetuare, attraverso l’azione cul- turale, i valori dell’Europa democratica e unita. Il presupposto da cui il progetto Atrium parte è che l’antidoto ai governi totalitari e repressivi sia precisamente la ricerca e la conoscenza di tutti gli aspetti della vita nei regimi non democratici, e in particolare di come le forme della propaganda e della repressione abbiano inciso con esiti drammatici sulla storia delle persone.

Proprio in questa prospettiva, assecondando una dimensione di interdiscipli- narità, si colloca la sinergia con l’Istituto storico di Forlì-Cesena, che già da tem- po ha sviluppato una forte collaborazione con Atrium su progetti di ricerca e di

Prefazione

ELISA GIOVANNETTI

PRESIDENTE DELLA ROTTA CULTURALE ATRIUM E ASSESSORA ALLA CULTURA DEL COMUNE DI FORLÌ

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interpretazione relativi alla storia del Novecento. Tra questi spicca la rassegna

“Gli occhi sulla storia: la storia contemporanea al cinema”, ideata dall’Istituto storico con l’intento di riflettere – attraverso cicli di proiezioni rivolti alle scuole e ai cittadini – sulle testimonianze cinematografiche intese come documenti e come dispositivi narrativi della storia del XX secolo.

Nell’ambito dell’edizione 2017, abbiamo promosso l’organizzazione del con- vegno Il cinema del fascismo – curato da Miro Gori e Carlo De Maria e con la par- tecipazione di Goffredo Fofi – per trovare punti di collegamento tra architettura, urbanistica e cinema nella macchina del consenso fascista. Tanti gli elementi di connessione e possibile associazione nel disegno di propaganda dell’architettu- ra e del cinema, come la mancanza, in entrambi i casi, di una pianificazione or- ganica e totalmente diretta dal regime; inoltre entrambe queste due espressioni artistiche e culturali erano rivolte a un pubblico di massa e usate per celebrare e diffondere un modello di società patriarcale e nazionalista. Questi temi sono stati ampiamente approfonditi e sviluppati nel corso del convegno, credo co- munque che sia ancora possibile, indagando ulteriormente, trovare altre chiavi di lettura e, perché no, nuove testimonianze storiche utili a descrivere meglio il progetto della propaganda fascista nelle dinamiche che legavano tra loro disci- pline e forme espressive diverse.

In qualità di presidente di Atrium tengo a esprimere la mia soddisfazione per il risultato ottenuto e l’auspicio di poter continuare a lavorare sul tema cinema e architettura nel fascismo in collaborazione con l’Istituto storico e colgo l’occa- sione per ringraziare Goffredo Fofi, Miro Gori, Carlo De Maria e Domenico Guzzo, oltre che tutti i relatori, per il loro preziosissimo lavoro.

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Roma (BraDypUS) 2017 ISBN 978-88-98392-67-4 pp. 9-14

Questo libro nasce da un convegno organizzato a Forlì nell’ambito della rasse- gna “Gli occhi sulla storia. La storia contemporanea al cinema”; una iniziativa di public history dell’Istituto storico di Forlì-Cesena nata con l’obiettivo di raccon- tare l’età contemporanea attraverso il cinema1.

Le ragioni alla base del progetto muovono dalla consapevolezza che il cine- ma è sul piano culturale e sociale una delle novità più importanti portate dal Novecento. Esso rappresenta qualcosa di veramente nuovo. Un testimone che, almeno all’apparenza, non mente; un medium che racconta la storia, divenendo- ne, in quanto spettacolo di massa, un potente veicolo di diffusione sociale; e, nel- lo stesso tempo, un “agente” addirittura capace di esercitare la propria influenza sul corso degli eventi.

Nato ufficialmente a Parigi sullo scorcio del XIX secolo, il cinematografo si articola, già alla vigilia della Prima guerra mondiale, lungo due linee narrative: il documentario e la finzione. Il cinema mostra la guerra nelle trincee e la racconta in storie d’invenzione. Ma oltre alla guerra quel periodo e i decenni successi- vi videro l’emergere di nuovi e sconvolgenti fenomeni politici: dalla rivoluzione russa ai fascismi, dalla grande crisi economica degli anni Trenta alle esperienze progressiste dei fronti popolari, francese e spagnolo, fino alla Seconda guerra mondiale e alla ricostruzione dell’Europa post-1945.

1  Nata nel 2016 la rassegna è curata da Gianfranco Miro Gori e Carlo De Maria. Promossa dall’Isti- tuto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Forlì-Cesena, è realizzata con il patrocinio del Comune di Forlì, Assessorato alla Cultura, Politiche giovanili e Pari opportunità, in collaborazio- ne con il Cinema Saffi d’essai di Forlì. La prima edizione, 1-22 marzo 2016, venne dedicata al tema La Grande Guerra e le conseguenze del conflitto; la seconda, 7 marzo - 4 aprile 2017, a Totalitarismi e democrazie tra le due guerre mondiali. I programmi sono rintracciabili sul sito http://istorecofc.it.

Premessa

CARLO DE MARIA

DIRETTORE ISTITUTO STORICO DI FORLÌ-CESENA

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Tutti contesti nei quali la presenza del nuovo medium fu massiccia. Mussolini e Lenin ne intuirono tra i primi la potenza e la celebrarono con slogan del tutto simili tra loro. Entrambi mostrarono di aver compreso che, oltre a un potente spettacolo di massa (e proprio per questo), il cinema poteva essere un grande strumento di formazione popolare, così come di propaganda e costruzione del consenso. E se ne servirono. Come se non bastasse, il cinema narrò questi eventi e questi personaggi entrando a pieno titolo nel dibattito storiografico; nei modi, come è ovvio, di uno spettacolo e non di un libro di storia.

L’edizione 2017 de “Gli occhi sulla storia” si è concentrata sul periodo tra le due guerre mondiali, cercando di dar conto della sua estrema complessità. In- sieme al fascismo e al nazismo, regimi in cui il cinema ebbe un ruolo centrale, sono state tematizzate la risposta democratica dei fronti popolari e la Guerra di Spagna, primo esempio di lotta sul campo tra fascismo e antifascismo, ma anche occasione di profonde e drammatiche spaccature interne alla sinistra italiana ed europea. Sullo sfondo, l’ombra sempre più pervasiva dell’Unione Sovietica e dello stalinismo.

A fianco della rassegna cinematografica, ha preso forma, come occasione di approfondimento, il convegno Il cinema del fascismo, pensato per indagare il rapporto assai articolato tra cinema e regime, attraverso una serie di affondi sulle linee d’intervento del regime a livello nazionale e locale.

Il programma del convegno – aperto da una relazione introduttiva di Goffre- do Fofi, che qui firma la postfazione del volume – venne inserito all’interno del Festival “Forlì città del Novecento” promosso dal Comune di Forlì nell’ambito delle iniziative della rotta culturale europea Atrium-Architecture of Totalitarian Regimes in Urban Managements, di cui la città di Forlì è capofila2.

Il tema delle architetture tra le due guerre e del patrimonio urbano del No- vecento, su cui Atrium sta lavorando da anni con l’adozione di una varietà di angolature disciplinari e interpretative (dalla storia dell’architettura alla storia politica e sociale), spiega la particolare sensibilità riscontrabile nel contesto cul- turale forlivese per una riflessione interdisciplinare sulla storia del fascismo3.

Il progetto politico del fascismo ebbe tra i suoi strumenti più importanti il coinvolgimento delle diverse categorie professionali e tecnico-specialistiche in- teressate dai crescenti processi di intervento statale promossi dal regime nell’e-

2  Convegno Il cinema del fascismo, Forlì, Festival “Forlì città del Novecento”, Ex-Gil, 22 aprile 2017, promosso da Comune di Forlì, Atrium-Architecture of Totalitarian Regimes in Urban Managements e Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Forlì-Cesena. Organizzazione scien- tifica: Gianfranco Miro Gori e Carlo De Maria.

3  Cfr. L’architettura, i regimi totalitari e la memoria del ’900. Contributi alla nascita di una Rotta Culturale Europea, atti del convegno tenutosi a Forlì dal 13 al 15 giugno 2013 nell’ambito del pro- getto Atrium, Forlì, Casa Walden Editrice, 2014. Per saperne di più: http://www.atriumroute.eu.

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conomia, nella società, nella cultura. Su architetti, urbanisti e ingegneri molto si è scritto, ma si pensi anche al mondo degli operatori culturali impegnati nel settore dei «beni culturali» e dell’industria dello spettacolo.

Questo non significa, naturalmente, che fossero tutti dei fascisti militanti – anzi, i militanti erano generalmente una minoranza –, ma era indubbiamente ampio il loro coinvolgimento nella “mobilitazione” voluta dal regime. Il fatto che esistesse poi una relativa autonomia stilistica, un certo eclettismo, che non ci fosse un canone stilistico di Stato – in architettura, così come nelle arti figurative, o anche nella cinematografia di quegli anni – costituisce un dato importante, che interessa giustamente gli storici dell’architettura, gli storici dell’arte, gli storici del cinema, ecc., ma che non consente di delineare una separatezza di questi settori culturali dallo Stato fascista. Da un punto di vista storico-sociale e storico- politico, il dato di fondo è la mobilitazione dall’alto che, attraverso l’intervento pubblico, coinvolse queste categorie professionali avvicinandole al regime, con- solidando il consenso del fascismo e il suo radicamento nella società.

La volontà di indagare il rapporto tra cinema e società caratterizza un’opera a suo modo straordinaria come L’avventurosa storia del cinema italiano, curata da Franca Faldini e Goffredo Fofi sul finire degli anni Settanta e riedita in anni recenti dalla Cineteca di Bologna. Una sorta di romanzo del cinema italiano costruito per testimonianze, nel quale le voci delle “star” si mescolano con quelle di comprima- ri e figuranti, fino a costituire un racconto polifonico e per questo appassionante.

La convinzione espressa dai due autori è che si potesse «capir meglio l’Italia ricostruendo la storia del suo cinema»4. E questo sicuramente vale anche per il ventennio fascista, periodo al quale è dedicato il primo volume dell’Avventurosa.

Risale al 1930, del resto, il primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore, diretto da Gennaro Righelli e tratto da una novella di Luigi Pirandello.

Tra i gerarchi fascisti i primi a individuare nel cinematografo un’arma di cui poteva giovarsi anche la politica furono Augusto Turati e Giuseppe Bottai. Una piccola società di produzione fondata da Alessandro Blasetti alla fine degli anni Venti si chiamava Augustus, proprio in omaggio ad Augusto Turati... Ma fu, so- prattutto, la figura di Bottai, ministro dell’Educazione nazionale dal 1936 al 1943, a risultare fondamentale affinché l’Italia si dotasse di una moderna industria ci- nematografica con la nascita di Cinecittà (1937).

Secondo la prassi vigente negli anni Trenta, appena si ultimava il montaggio di un film una copia veniva sottoposta all’esame della censura e un’altra veniva inviata a Villa Torlonia, dove Mussolini si faceva proiettare i film. L’interesse del fascismo per il cinema non si traduceva automaticamente nel realizzare film di

4  Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. I, Bologna, Cineteca di Bologna, 2009, p. 10.

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pura e semplice propaganda. Lo stesso Mussolini, parlando con suo figlio Vitto- rio, osservava come in Italia ci fossero fatti

solo due film a sfondo fascista: Vecchia guardia di Alessandro Blasetti (1934) e Camicia nera di Giovacchino Forzano (1933); il loro parziale successo ti dice quanto il popolo mal sopporti la propaganda ufficiale. Credo che neanche i russi si divertano vedendo sullo schermo l’eroe stakanovista mentre produce tonnellate di lingotti di acciaio, tra- scurando di baciare la propria fidanzata5.

Un terzo film che si può definire “fascista” fu Il grande appello del 1936, regia di Camerini (con Mario Soldati come coautore del soggetto), un film girato in Africa Orientale, dedicato alla colonizzazione dell’Etiopia. Lo notava Mario Monicelli, in un brano citato da Faldini e Fofi che vale la pena riprendere per esteso:

Film di regime, nel senso propagandistico della parola, in realtà non ce ne furono. Al massimo ne furono girati due o tre: tipo Camicia nera di Forzano, Vecchia guardia di Blasetti, e, in un certo senso, Il grande appello di Camerini e Soldati. Il cinema di regime era piuttosto un cinema tutto di evasione in cui non dovevano esistere problematiche, adulteri, o fatti appena un tantino scabrosi […] mentre la massima sottolineatura anda- va ai buoni sentimenti, agli atti di coraggio, ai lati, insomma, più edificanti6

Queste parole di Monicelli sembrano trovare conferma nella sorte che toccò a un film del 1934. Si tratta di una pellicola di Ivo Perilli, intitolata Ragazzo. Seb- bene il film fosse privo di implicazioni antifasciste – narrava del giovane figlio di un povero operaio che, vivendo tra gli stenti della periferia, finiva male e poi veniva recuperato – Mussolini non gradì le riprese della squallida realtà urbana in cui si muoveva il protagonista. A suo avviso, il cinema doveva dare dell’Italia, e soprattutto di Roma, soltanto una immagine di fulgido splendore. Così Ragazzo sparì letteralmente nel nulla: benché a Roma fossero già stati apposti i manifesti pubblicitari, non arrivò mai nelle sale. Il verdetto del duce si pose al di sopra di quello della censura.

Secondo la testimonianza di Blasetti, però, ci fu qualcosa di più in quegli anni.

Nonostante la centralizzazione del comando, la retorica, il nepotismo e tutto il resto, si affermò negli anni Trenta «una tendenza realista»:

L’intensificazione della produzione e la riorganizzazione degli apparati tecnici serviro- no anche a questo, perché, nel gran numero di film che si giravano, fu possibile farne

5  Ivi, p. 43.

6  Ivi, p. 71.

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di buoni, che uscivano dai generi, che affrontavano ambienti e generi che poi, più tardi, avrebbero avuto la fioritura che sappiamo7.

La Augustus di Blasetti produsse tra le altre cose un lungometraggio intitolato Sole, un film muto del 1929, diretto dallo stesso Blasetti, all’esordio nella regia cinematografica, imperniato sulla bonifica delle paludi pontine. Un tema socia- le, dunque, legato alla politica ruralista del fascismo. Qualche anno più tardi, nel 1933, Pirandello ricevette dal regime l’incarico di scrivere un soggetto cine- matografico sulle acciaierie di Terni per sostenere, questa volta, l’immagine e lo sviluppo dell’industria pesante italiana. In realtà il soggetto di Pirandello, troppo teatrale, non soddisfò i produttori, che lo fecero riscrivere da cima a fondo al regista che avevano scelto per il film, il tedesco Walter Ruttmann, e a un giovane Mario Soldati. Nacque così Acciaio, un film ancora oggi bello e interessante.

L’attenzione maggiore, comunque, Mussolini la rivolgeva ai cinegiornali Luce.

Finita la proiezione dei “film-Luce”, esprimeva i suoi giudizi: togliere questo, ac- corciare quest’altro, sviluppare quell’avvenimento, modificare il commento parlato, ecc. Generalmente ordinava di ridurre il materiale che lo riguardava personalmente. Era perfettamente consapevole che una assiduità troppo assil- lante poteva avere come conseguenza nel pubblico un senso di saturazione che avrebbe confinato con la noia. Più volte, per determinate scene che si riferivano a fatti importanti, voleva essere informato sulla reazione del pubblico.

Secondo le parole di uno dei suoi camerieri, Quinto Navarra, Mussolini si im- pegnava giorno dopo giorno a costruire il proprio personaggio8. Cominciò a cu- rarsi le mani, a tenere i capelli cortissimi. Cambiò il modo di camminare: dappri- ma camminava come tutti, poi alzò la vita e allungò il passo. Imparò a gestire e perfezionò i movimenti delle mani durante i discorsi. Tenere le mani appoggiate ai fianchi divenne la sua posa ufficiale nelle parate. Cominciò a voltarsi a scatti, sbarrando gli occhi.

Come studiava Mussolini i particolari di questo suo “stile”? Davanti allo spec- chio? No, era piuttosto su una comoda poltrona che, ogni sera, seduto nel buio, il Duce aveva modo di studiare se stesso e apportare al suo comportamento ester- no quelle modifiche che riteneva opportune. Alludo alla già citata sala di proie- zione che egli aveva a Villa Torlonia, dove venivano scrupolosamente proiettati tutti i “film-Luce” che sarebbero poi stati visti dal pubblico: Mussolini esigeva di controllarsi antecedentemente, per far tagliare quelle sue mosse o espressioni che non giudicava adatte a essere presentate all’Italia fascista.

7  Ivi, p. 42.

8  Ivi, p. 44.

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Nel corso degli anni Trenta, un raffinato intellettuale anarchico, Camillo Ber- neri, costretto all’esilio, scrisse un libro intitolato Mussolini, grande attore9, che oggi, finalmente riscoperto, sta suggerendo nuovi spunti di ricerca su immagine e realtà del regime fascista.

9  Camillo Berneri, Mussolini, grande attore, a cura di Pier Carlo Masini, Pistoia, Archivio Famiglia Berneri, 1983. Il manoscritto, in francese (Mussolini, grand acteur), risale alla prima metà degli anni Trenta.

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Roma (BraDypUS) 2017 ISBN 978-88-98392-67-4 pp. 15-18

La genesi di questo libro sta in un convegno che a sua volta è parte di una ras- segna pluriennale dedicata allo studio della storia contemporanea attraverso il cinema, ma di questo Carlo De Maria, nella Premessa al presente volume, propo- ne un puntuale resoconto e a lui rimando.

Il nuovo medium si nutrì sin dalle origini di soggetti storici – pur se non solo di essi –, atti a colpire l’immaginazione del pubblico più ampio, presentandosi subito come una straordinaria macchina del tempo, capace di viaggi all’indietro, e in avanti: chi non ricorda il meraviglioso Viaggio nella luna (Voyage dans la lune, 1902) di Georges Méliès? Così cineasti di talento, con effetti speciali assai rudimentali, trasportano gli spettatori in emozionati viaggi nel passato, come Edward H. Hamet che ricostruisce l’affondamento della flotta dell’ammiraglio Cervera (guerra ispano-americana) con dei modellini in una tinozza nel giardino di casa sua, riscuotendo pure l’interesse del governo spagnolo che acquista film per documentazione storica.

A opera dei film storici, si costituisce progressivamente un poderoso apparato narrativo e iconografico che, data l’ecumenicità del nuovo medium, diventa patri- monio diffuso. Ma qualcuno si spinge oltre. Tra questi David Wark Griffith che, nel fuoco delle polemiche sul suo Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915), dichiara: «insegna in un lampo», prevedendo la scomparsa del libro soppiantato dal film. Se la profezia non s’è avverata, il cinema e gli audiovisivi comporranno comunque, dalle origini in avanti, la gran parte dell’immaginario storico.

Allo stesso tempo i film narrativi, come ogni altra opera affabulata, costitui- scono un importante documento “indiretto”, da leggere «a contropelo», per usa- re una locuzione di Carlo Ginzburg, sulle epoche che li hanno prodotti. Laddove,

Introduzione

GIANFRANCO MIRO GORI

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con tutta evidenza, i film documentari rappresentano, a patto di non oberarli di un carico di verità di natura positivistica, anche una cospicua fonte “diretta”.

Nella cultura storicista del nostro Paese l’endiadi cinema e storia è sempre stata presente, ma il primo tentativo di affrontare la questione in termini teorici approfonditi, Film, storia e storiografia, che si deve ad Antonio Mura, risale al 1963. Attenzione e nuove ricerche suscitano, in seguito, la pubblicazione italiana dei libri di Marc Ferro e Pierre Sorlin, in particolare del primo, Cinema e storia.

Linee per una ricerca (Cinéma et Histoire. Le cinéma agent e source de l’histoire, 1977, edizione italiana 1980), del secondo, Sociologia del cinema (Sociologie du cinéma, 1977, edizione italiana 1979).

Durante il fascismo molti gerarchi sottolinearono l’importanza del film sto- rico; e il regime cercò d’indirizzarlo all’affermazione propagandistica di una sostanziale continuità nella storia della patria tra Roma antica, Rinascimento, Risorgimento, Prima guerra mondiale: epoche che culminerebbero nel fascismo.

Ma più in generale il cinema costituì un’eccezionale mezzo di indottrinamento al di là della finzione storica. Con gradazioni diverse tra la propaganda più diretta e quella più indiretta: dai cinegiornali Luce (da un certo momento anche Incom) ai documentari, ai film narrativi. Ma non basta. Il cinema, medium moderno per eccellenza, mostra in quanto tale, non solo attraverso i soggetti trattati – basti l’esempio di Sole che, allo scadere degli anni Venti per la regia di Alessandro Blasetti, cantava la bonifica integrale – la modernizzazione del Paese che il fa- scismo starebbe mettendo in opera.

È stato Piero Gobetti, tra le prime vittime del fascismo, ad applicare al nuovo regime la locuzione: «autobiografia di una nazione», volendo significare che esso corrispondeva al “carattere” degli italiani, alla loro immaturità e arretratezza, ai gravi limiti delle classi dirigenti. Alla ricostruzione di detta autobiografia il cinema – come appare da quanto accennato sopra – può dare un contributo fondamenta- le, e non solo ovviamente per l’epoca fascista. Esemplare, da questo punto di vi- sta, è la lezione del cinema americano che emerge da film come il citato Nascita di una nazione o da opere “saggistiche” come L’America e il cinema (America in the Movies, 1975, edizione italiana 1979) di Michael Wood e Cinemamerica. Una storia sociale del cinema americano (Movie-made America. A Cultural History of American Movies, 1975, edizione italiana 1982) di Robert Sklar. Quanto all’Europa non si può non ricordare un classico come Cinema tedesco dal «Gabinetto del dottor Caligari» a Hitler (From Caligari to Hitler. A Psychological History of the German Film, 1947, edizione italiana 1954) di Siegfried Kracauer.

Carlo De Maria, nella citata Premessa, si rifà a più riprese a L’avventurosa storia del cinema italiano curata da Franca Faldini e Goffredo Fofi, il cui primo volume (quello che si occupa del periodo fascista) esce nel 1979. Egli riporta,

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tra l’altro, la loro affermazione che si possa «capir meglio l’Italia ricostruendo la storia del suo cinema».

Nella convinzione che il cinema nazionale nell’epoca fascista presenti anco- ra aspetti meritevoli di esplorazioni ulteriori, nonostante i notevoli studi già pub- blicati, il presente volume presenta una lettura del cinema nel ventennio fonda- ta sulla tradizionale suddivisione tra cinegiornali, documentari e film narrativi ad opera rispettivamente di Silvio Celli, Marco Bertozzi, Gianfranco Miro Gori. A questo vasto campo sono accostati due soggetti esemplari: uno nazionale e l’al- tro locale. Cinecittà, il principale intervento del regime nel settore, è analizzato da Sara Martin; il rapporto filmico tra il fascismo e la provincia del duce, Forlì, da Domenico Guzzo. Goffredo Fofi nella Postfazione colloca il cinema fascista lungo l’asse diacronico del cinema italiano.

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Roma (BraDypUS) 2017 ISBN 978-88-98392-67-4 pp. 19-34

È facile avvedersi come in epoca moderna i conflitti bellici si sono dimostrati, nei fatti, la tragica occorrenza che ha indotto le forze al potere nei vari Stati a incre- mentare, al massimo grado, le potenzialità dei più moderni mezzi di comunica- zione di massa. L’osservazione, è evidente, assume un maggior rilievo nel caso dei paesi a guida democratica, per i quali il coinvolgimento e la mobilitazione dell’opinione pubblica a sostegno dello sforzo bellico risultano ragioni impre- scindibili per il conseguimento della vittoria sul campo di battaglia.

In questo senso, la Prima guerra mondiale «diventò presto la grande occa- sione perché il cinema fosse impiegato, nella nascente società di massa, come il medium capace di favorire grandemente la propaganda bellica: l’arma nuova da porre accanto alle artiglierie, alle navi, agli aerei, per incitare le moltitudini di soldati mandati al fronte contro un nemico descritto, ovviamente, come “invaso- re” e “barbaro”»1. La tragica esperienza della guerra mondiale, insomma, dimo- strò vieppiù come in qualsiasi paese la cinematografia fosse diventata, in breve tempo, uno strumento fondamentale per l’istruzione, per l’educazione, per la do- cumentazione dei principali avvenimenti pubblici e per l’azione di propaganda politica esercitata nei riguardi delle popolazioni. La guerra ebbe anche il risul- tato di accentuare e affinare l’attività di direzione e di controllo censorio sull’in- formazione filmata, ed è questa una “lezione” che i regimi totalitari pervenuti

1  Renzo Renzi, Il detto e il non detto, in Il cinematografo al campo. L’arma nuova nel primo conflit- to mondiale, a cura di Renzo Renzi, con la collaborazione di Gian Luca Farinelli e Nicola Mazzanti, Ancona, Transeuropa, 1993, p. 9. Per uno sguardo d’insieme sugli interventi statali in campo cinema- tografico nel corso della Prima guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi si vedano anche: L’intervento diretto dello Stato nel cinema, in Mino Argentieri, L’occhio del regime. Informa- zione e propaganda nel cinema del fascismo, Firenze, Vallecchi, 1979, pp. 7-16; Marcel Huret, Ciné actualités. Histoire de la presse filmée 1895-1980, Paris, Henri Veyrier, 1984, in particolare pp. 42-57.

I cinegiornali Luce ovvero lo schermo e la propaganda obbligatoria per le masse

SILVIO CELLI

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al potere negli anni successivi – in Urss, in Italia e in Germania – mostreranno di aver ben assimilato. Dunque, l’attento esame delle cineattualità (più conosciute come giornali cinematografici) costituisce un’irrinunciabile fonte per lo studio della storia del Novecento, specialmente per l’Italia del ventennio fascista.

Va rilevato che i primi due importanti interventi in campo cinematografico del fascismo, appena giunto al potere, riguardarono da un lato la vigilanza go- vernativa sulle pellicole cinamtografiche (R.D.L. 24 settembre 1923, n. 3287) e dall’altro – ed è quanto ci interessa ora – la creazione dell’Istituto nazionale per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia denominato “L’Unio- ne Cinematografica Educativa – L.U.C.E.” (R.D.L. 5 novembre 1925, n. 1985). Le origini dell’Istituto Luce in effetti vanno ricercate in una piccola società privata, il Sindacato Istruzione Cinematografica, che su impulso diretto di Mussolini fu dunque trasformata in ente parastatale designato quale organo tecnico cinema- tografico dei ministeri e degli enti posti sotto il controllo e l’autorità dello Stato2. Il passaggio dalla società privata all’ente parastatale si realizza in un momento cruciale per la stessa sopravvivenza del fascismo, messo alle corde dallo scanda- lo seguito al sequestro e all’uccisione del deputato del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti. Il biennio 1924-1925 è dunque «contraddistinto da una sorta di “offensiva mediatica” di un fascismo che trasmuta in regime dittatoriale: il controllo, diretto o indiretto, sulla stampa, sul cinema “non fiction”, sulla neonata radio diventa essenziale per formare e organizzare il consenso»3.

Le disposizioni che presiedono alla nascita dei giornali cinematografici (e che garantiranno entrate stabili e certe, anno dopo anno, per l’Istituto Luce) sono contenute nel R.D.L. 3 aprile 1926, n. 1000 il quale «ritenuta la necessità urgente ed assoluta di svolgere una costante ed intensa azione di educazione civile e na- zionale mediante la proiezione nelle pubbliche sale cinematografiche di pelli- cole di propaganda nazionale e di cultura varia» obbliga gli esercenti di cinema- tografi a «includere nel programma degli spettacoli […] la proiezione di pellicole

2  «A tal scopo Benito Mussolini, nel settembre del 1924, promosse la costituzione della Società Anonima “L’Unione Cinematografica Educativa” (“L.U.C.E.”) […]. Non era trascorso un anno di vita quando il Duce riteneva urgente e necessario trasformare l’Anonima in un grande Istituto Naziona- le», in Due anni di vita dell’Istituto Nazionale ‘Luce’, Roma, Grafia, s. a. [ma 1927], p. 4.

3  Silvio Celli, Nuove prospettive di ricerca, “Bianco e Nero”, LXIV, n. 1-3 (fasc. 547), inverno 2003, p.

32. Sull’azione del fascismo nei confronti della stampa italiana si veda Renzo De Felice, Mussolini il fascista. 1. La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, in particolare pp. 390-392.

Per la radio, Franco Monteleone osservò: «La storia dell’EIAR, sia dal punto di vista tecnologico che culturale, coincide singolarmente con gli anni della presa del potere e il successivo consolida- mento della dittatura fascista, e va studiata in relazione alle condizioni oggettive dell’epoca e agli strumenti di potere utilizzati dal regime in tutti i settori della vita nazionale. A differenza di altri paesi, in Italia il sorgere delle moderne tecniche di comunicazione di massa è contemporaneo alla nascita dello stato totalitario» (Franco Monteleone, La radio italiana nel periodo fascista. Studio e documenti: 1922-1925, Venezia, Marsilio, 1976, p. 9). Il corsivo è nostro.

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a scopo di educazione civile, di propaganda nazionale e di cultura varia»; come precisa poi l’art. 2 del provvedimento, le pellicole sono fornite dall’Istituto Luce,

«dal quale gli esercenti, a loro cura e spese, dovranno tempestivamente ritirar- le»; e a prevenire ostruzionismi o boicottaggi da parte degli esercenti, l’art. 4 sta- bilisce: «L’autorità locale di pubblica sicurezza non deve approvare i programmi dei singoli cinematografi se non siano in essi incluse le pellicole di cui all’art. 1».

Il provvedimento individua così le linee-guida, poi definite con successive norme attuative, che regolamenteranno la proiezione dei giornali Luce sino alla caduta del regime fascista.

Il testo di questo provvedimento legislativo esige che siano fatte una serie di considerazioni:

a) di regola, in una società liberale e liberista, il legislatore interviene per regolare, a posteriori, un fenomeno che le leggi del mercato hanno susci- tato, vale a dire hanno reso economicamente possibile e sostenibile. In questo caso, invece, il decreto-legge fa dello Stato – attraverso un braccio operativo parastatale, l’Istituto Luce – un attore che avoca a sé un ambito d’azione, la propaganda nazionale e l’educazione a mezzo della cinema- tografia, sino a quel momento disciplinato dalle regole del mercato;

b) corollario inevitabile di quanto dianzi esposto è la scomparsa di quelle iniziative private, in verità sporadiche e discontinue, che dopo la guerra mondiale tentarono di ritagliarsi uno spazio nel settore delle attualità ci- nematografiche. Nessun proprietario di cinematografo sarà più disposto a noleggiare cinegiornali da privati, sapendo già di dover corrispondere un importo per il noleggio del Giornale Luce. Di fatto, il provvedimento sancisce l’avvio del monopolio Luce sui cinegiornali;

c) la pubblicazione del decreto-legge non è tanto da considerarsi come un atto di normazione di un fenomeno diffuso e sviluppato, bensì come una disposizione di indirizzo dettata dal regime fascista, dacché alla data di promulgazione del decreto si era ben lungi dall’apparizione, sugli scher- mi italiani, dei primi cinegiornali Luce, che saranno prodotti soltanto a partire dal 1927. I problemi da risolvere per dare attuazione al decreto apparivano in verità assai complessi, poiché «il Luce si era fino a quel mo- mento preoccupato di organizzarsi per raggiungere pubblici determinati, muovendosi al di fuori dei normali circuiti, tramite le scuole, i circoli cul- turali e dopolavoristici, le sedi del partito e di istituzioni varie nonché le piazze di paese dove i “cinemobili” allestivano proiezioni all’aperto. Ora invece deve diventare anche noleggiatore per il circuito delle sale com- merciali, creando agenzie nelle città capo-zona e stampando di ciascun documentario da proiettare un numero di copie adeguato all’immenso

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mercato che l’obbligo imposto dalla legge gli consente di raggiungere»4. In anni relativamente recenti l’Istituto Luce ha provveduto al riordino e alla digi- talizzazione del proprio archivio, allo scopo di metterlo a disposizione del pub- blico, per la consultazione online, sul sito internet http://www.archivioluce.com/

archivio/. I giornali cinematografici sono stati tra i primi prodotti resi disponibili, considerata la loro importanza per lo studio del Novecento italiano, e non solo.

Il processo di riordinamento dell’archivio ha fatto sì che tutti i cinegiornali Luce fossero raggruppati in tre serie (e così ordinati li ritrovano i navigatori della rete):

a) I Giornali muti della serie A (1927-1932), che si compone di 979 numeri5. Nelle sale cinematografiche gli spettatori potevano ricavare le informa- zioni circa gli eventi ripresi dalle didascalie;

b) i Giornali sonori della serie B (1931-1939), 1707 numeri, i primi dei quali con musiche e con rumori in presa diretta;

c) i Giornali sonori della serie C (1940-1945), 428 numeri realizzati nel pe- riodo bellico.

In totale, dunque, furono prodotti ben 3.114 numeri di cinegiornali fra il 1927 e la caduta della Repubblica sociale italiana nel 1945. La sovrapposizione di date che si può riscontrare fra la serie A e la serie B è dovuta al fatto che nei primi anni Trenta, nel periodo di transizione fra il muto e il sonoro, il Luce dovette edi- tare un certo numero di cinegiornali in doppia versione, muta e sonora appunto, per non penalizzare le numerose sale che non poterono rapidamente conver- tirsi, per ragioni prevalentemente economiche, alla novità del cinema sonoro.

Si aggiunga, poi, che nel 1932, secondo quanto riferiva l’allora presidente del Luce Alessandro Sardi, le circa 4.000 sale presenti in Italia erano concentrate in 2.300 comuni, mentre circa 5.000 comuni erano privi di cinematografo; si pensò pertanto di attrezzare degli autocinema (o cinemambulanti) per raggiungere, almeno occasionalmente, le località prive di sale cinematografiche6.

La completa transizione muto/sonoro si rivelò piuttosto impegnativa e lunga, dacché fonti interne del Luce scrissero di un «primo progresso, conseguito nel

4  Ernesto G. Laura, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, Roma, Ente dello Spettacolo, 2000, p. 44.

5  I dati sulla consistenza numerica dei cinegiornali nel ventennio fascista e la loro attuale suddivi- sione in serie sono tratti da: Giovanni Bruno, Gabriele D’Autilia, L’Istituto Luce: l’Archivio storico au- diovisivo, in Storia e archivi audiovisivi, Roma, Il Centro di Ricerca, 1999, p. 84 (numero monografico della rivista “Archivi e cultura. Rassegna dell’Associazione nazionale archivistica italiana”).

6  Alessandro Sardi, L’Istituto Nazionale L.U.C.E., s.l., s.n., 1932, pp. 3-4.

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1934 con la sostituzione alle didascalie del commento parlato»7.

Che cosa s’intende col termine cinegiornale? Ebbene, lo stesso Istituto Luce, in una pubblicazione del 1934, ce ne offre una lettura che potremmo definire

“fascisticamente orientata”: «Il “Giornale” rappresenta infatti un rapido servizio informativo dei più importanti avvenimenti di attualità nazionali ed esteri. Esso è sempre presente a tutte le manifestazioni importanti della vita italiana. Grandi adunate; inaugurazioni di opere pubbliche; manifestazioni di popolo; opere di assistenza e di previdenza; visite di sovrani, capi di governo, ministri ed altre per- sonalità; lavoro dei campi, bonifiche; attività delle varie istituzioni del Regime;

competizioni sportive; avvenimenti d’arte e di cultura; progressi dell’industria;

crociere aeree; manovre militari e navali; tutto ciò che il Duce ha voluto e rea- lizzato, tutto ciò che da Lui riceve impulso e compimento, è seguito e documen- tato dalla LUCE»8. E, con qualche chiaroveggenza, a giudicare dal continuo riuso dei materiali Luce del ventennio fascista da parte sia di canali televisivi che di documentaristi, la pubblicazione aggiunge: «Materiale magnifico che costituirà un valido ausilio per gli storici futuri e che tramanderà in modo incancellabile la marcia e gli aspetti dell’Italia fascista»9. Quanto riportato da questo volume autocelebrativo – destinato a essere consegnato ai partecipanti (per lo più stra- nieri) al Congresso internazionale della cinematografia di educazione e di inse- gnamento (Roma, 19-25 aprile 1934) – sintetizza perfettamente il compito che Mussolini assegna ai cinegiornali: trasmettere, in Italia e all’estero, attraverso il potente strumento della stampa filmata, la visione di una nazione che si stringe attorno al suo duce, nazione che deve apparire, sotto il suo impulso, lanciata in una marcia progressiva e inesorabile verso un destino di grandezza. E del resto non è un caso se proprio il Luce diede alle stampe, un paio d’anni prima, un libro fotografico dall’emblematico titolo L’Italia fascista in cammino10.

In un interessante articolo pubblicato nel 1936 sulla rivista “Lo Schermo” il giornalista e regista Corrado D’Errico, vero e proprio elemento di raccordo fra il Ministero per la stampa e la propaganda e l’Istituto Luce, s’incaricò di spiegare ai lettori le peculiarità dei giornali cinematografici e dei documentari, individuan-

7  Giacomo Paulucci di Calboli Barone, L’attività dell’Istituto Nazionale Luce dal luglio 1933-X al gennaio 1940-XVIII, p. 10. Il documento – una relazione riassuntiva del suo lavoro che l’ormai ex presidente dell’Istituto Luce inviò a Mussolini (senza data, ma primi mesi del 1940) – si trova presso l’Archivio di Stato di Forlì-Cesena, Archivio privato Paulucci di Calboli, fondo Giacomo Paulucci di Calboli Barone, busta 248, fascicolo “Attività Istituto Luce”.

8  Istituto Nazionale L.U.C.E., Origine, organizzazione e attività dell’istituto nazionale “LUCE”, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1934, p. 36.

9  Ibid.

10  Istituto nazionale Luce, L’Italia fascista in cammino, Roma, Istituto Poligrafo dello Stato, 1932.

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done anche le rispettive funzioni. Vale la pena riportare ampi stralci dell’articolo:

Benché, a rigore di termini, qualunque giornale cinematografico sia un documenta- rio, la distinzione è tutt’altro che sottile. Il giornale si ferma all’attualità, riproducendo i fatti nella loro immediatezza cronachistica; il documentario li trascende, cercando d’interpretarne lo spirito e inquadrandoli nel clima lirico della vita nazionale. Se anche la maggior popolarità, data la frequenza delle programmazioni, è quella del giornale Luce, la maggior importanza va quindi annessa al documentario Luce, la cui funzione artistica e spirituale è di ben diversa ampiezza e di ben più elevato criterio.

I criteri che presiedono la compilazione del giornale sono gli stessi che regolano l’u- scita di qualunque quotidiano: l’informazione, la veste editoriale, la facile assimilazio- ne, l’aderenza a qualunque categoria di pubblico, la snellezza narrativa, la varietà. […]

Rispondendo infatti al precipuo fine dell’Istituto, il giornale, pur nella sua brevità, non si propone soltanto d’informare, ma cerca, nella sensibilità dello spettatore, le qualità migliori per trasportarlo in una superiore zona di educazione e di cultura, sia politica che artistica, sia artigiana che tecnica o sportiva, marciando di pari passo con la stam- pa e contribuendo a integrarla con l’irresistibile fascino dell’immagine11.

A fronte di siffatte riflessioni, occorre riconoscere che i servizi dei giornali Luce ben di rado riusciranno ad elevarsi dal piano dell’arida esposizione cronachisti- ca dei maggiori eventi della vita pubblica. Se proprio volessimo ritrovare un cor- rispettivo dei cinegiornali, con riferimento alla carta stampata, allora potremmo citare il periodico Annali del fascismo, ove «ogni fascicolo contiene il resoconto, giorno per giorno, degli avvenimenti verificatisi nel mese precedente, nonché il testo integrale dei discorsi e dei messaggi di Mussolini»12.

Nel primo anno di edizione dei cinegiornali (1927) ne furono realizzati 44 numeri, stampati in complessive 902 copie, mentre l’anno successivo i numeri editati furono 201, vale a dire una media di almeno quattro alla settimana (dif- fusi per un complesso di 4410 copie). Non dunque un settimanale ma quasi un quotidiano, che anticipa con la sua frequenza l’attuale appuntamento del pub- blico con il telegiornale»13. Le relazioni inviate a Mussolini dai dirigenti dell’ente circa l’attività svolta nel corso di ogni anno (e i comunicati diramati alla stampa) a proposito dei cinegiornali ripropongono pedissequamente le cifre relative ai metri di pellicola impressionati, ai metri di pellicola montati e al numero di copie diffuse, mettendo in rilievo i costanti progressi dell’Istituto. Nel 1939, alla vigilia della guerra, i dati indicano che furono prodotti «208 negativi e 6.384 copie di

11  Corrado D’Errico, Stile ‘Luce’, “Lo Schermo”, II, n. 7, pp. 17-18.

12  Voce Annali del fascismo, in Il fascismo. Dizionario di storia, personaggi, cultura, economia, fonti e dibattito storiografico, a cura di Alberto De Bernardi e Scipione Guarracino, Milano, Bruno Monda- dori, 1998, p. 147. Rispetto alla stampa, sugli schermi cinematografici basterà attendere solo pochi giorni per vedere rappresentati i più recenti avvenimenti.

13  Laura, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, cit., p. 50.

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giornali per la distribuzione in Italia»14. In altra parte del medesimo documento si precisa che i 208 giornali corrispondono a 55.000 metri di negativo, mentre ogni Giornale è distribuito mediamente in 34 copie ciascuna, «portando a contatto di una massa di milioni e milioni di spettatori, la documentazione di ogni aspetto della nostra vita sociale, politica, militare e costituendo uno dei più possenti e continuativi fattori di formazione e di indirizzo dell’opinione pubblica»15. Dietro l’aridità e la ripetitività delle cifre si può scorgere l’orgoglio dei dirigenti Luce per i risultati conseguiti dal servizio cinegiornali, il core business dell’Istituto, cioè il ramo aziendale più importante in relazione non solo agli introiti realizzati, ma, soprattutto, in rapporto ai compiti assegnatigli dal duce, che volle farne appunto

«lo strumento più diretto per conseguire gli scopi che gli sono commessi quale organismo di italianità, di cultura, di educazione morale e politica»16. Paulucci di Calboli ricordava compiaciuto che se «nel 1933 il noleggio obbligatorio dei Giornali rappresentava il 76% dei ricavi, nel 1939 la sua incidenza è scesa al 60%

mentre è salito al 40% il coefficiente di redditi di carattere prettamente commer- ciale e patrimoniale»17.

I cinegiornali muti dei primi anni si caratterizzano per un’estrema semplicità compositiva e una durata assai breve (circa due minuti), lontana dallo standard del periodo “aureo” della seconda metà degli anni Trenta, quando la durata si fissò all’incirca sui dieci minuti (più o meno 300 m. di pellicola). Questi primi gior- nali Luce si componevano di non più di due-tre servizi, in genere uno prodotto dall’Istituto e un paio provenienti dall’estero, specialmente dagli Stati Uniti. Sul- la rivista L’Eco del Cinema comparve, nell’ottobre 1931, un interessante articolo di Alessandro Sardi, allora presidente del Luce, che scrisse: «L’Istituto Nazionale

“L.U.C.E.”, a partire dal 2 ottobre 1931 – IX inizierà la pubblicazione del Giornale Sonoro “L.U.C.E.”. Detto Giornale consterà di una parte italiana, eseguita dall’Isti- tuto stesso, già debitamente attrezzatosi per le riprese cinematografiche sonore, e di una parte straniera. Quest’ultima verrà fornita dalla “Fox Film Corporation”

con cui l’Istituto “L.U.C.E.” ha stabilito un apposito accordo, in virtù del quale la Casa predetta si è impegnata a fornire settimanalmente all’Istituto “L.U.C.E.” l’in-

14  Paulucci di Calboli Barone, L’attività dell’Istituto Nazionale Luce dal luglio 1933-X al gennaio 1940-XVIII, cit., p. 13.

15  Ivi, p. 11.

16  Ivi, p. 9.

17  Ivi, p. 21. A pagina 21 dello stesso documento Paulucci di Calboli riconoscerà che il noleggio Giornali rappresentava «il nucleo centrale ed indispensabile di tutta l’impalcatura». Gli altri ricavi del Luce provengono per lo più dal noleggio di film culturali e scientifici (attività che si svolge in regime di libera concorrenza), dal servizio fotografico svolto in qualità di organo tecnico dello Sta- to, dalla vendita di fotografie alla stampa e dal servizio di doppiaggio svolto per una quota dei film importanti dall’ENIC.

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tegrale notiziario sonoro che essa pubblica all’estero, e a proiettare all’estero le più importanti attualità italiane che le verranno fornite dalla Luce. La “Fox” non editerà più in Italia, durante il periodo dell’accordo, né i suoi giornali né i notizia- ri sia muti che sonori»18. Il salto di qualità avverrà gradualmente, in seguito alla sottoscrizione di una serie di accordi di scambio di attualità con enti e società straniere. Se si dà credito a quanto scrisse nel novembre 1929 Alessandro Sardi, la «prima di tali convenzioni fu quella realizzata, sotto la guida personale di S. E.

il Capo del Governo [Mussolini], con il trust giornalistico cinematografico ame- ricano W. R. Hearst, cui fanno capo numerosi giornali, agenzie di informazioni con reportage fotografico quali l’International Newsreel Corporation e grandi case produttrici di film come la Metro Goldwin [sic] Mayer G. La convenzione è in atto da oltre due anni con piena cordialità da ambo le parti»19. A questo primo accordo ne seguirono altri con la tedesca U.F.A. (ottobre 1927, rinnovato con modifiche nel 1929) – che assicurava lo scambio per i territori di Germania, Olanda, Svizzera, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Litua- nia, Lettonia, Estonia, Finlandia – con la Gaumont British Co. Ltd. (gennaio 1929), e poi ancora con la Svenka Film Export (Svezia), l’Officine Cinématographique (Svizzera), la Elekta Journal (Cecoslovacchia), la Magyar Film Iroda (Ungheria), la Dai Nippon Eiga Kiokai (Giappone)20. Alla fine del 1939 risultavano in atto accordi con sedici case di produzione straniere, appartenenti a dieci paesi diversi21.

Ora, lungi dallo svolgere una mera elencazione di atti burocratico-ammini- strativi, soffermarsi sugli accordi di scambio di attualità sottoscritti dal Luce con case straniere ha piuttosto lo scopo di sottolineare un problema storiografico sinora scarsamente o per nulla affrontato. Fino ad oggi, tutti coloro che si sono accostati allo studio dei cinegiornali Luce si sono concentrati sulla nazionalità dei vari servizi filmati provenienti dall’estero, sulla loro interpretazione alla luce della politica estera del fascismo, sull’immagine complessiva che di quei paesi gli italiani potevano farsi a partire dalla visione dei giornali Luce. Invece, una serie di domande sostanzialmente inevase reclamano studi nuovi e approfonditi:

quanti (e quali) sono stati i servizi italiani inclusi nelle cineattualità straniere?

Quale immagine dell’Italia è scaturita da tali servizi? Quali furono i criteri che condussero le case estere produttrici di cineattualità a includere (o, viceversa,

18  Alessandro Sardi, Il nuovo giornale sonoro L.U.C.E. – Importanti accordi per le attualità sonore straniere, “L’Eco del Cinema Radio-Moda”, IX, n. 95, ottobre 1931, p. 10.

19  Alessandro Sardi, Cinque anni di vita dell’Istituto Nazionale “L.U.C.E.”, Roma, (Grafia), s.d. (ma 1929, poiché il testo risulta chiuso nel novembre – anno VIII), p. 86.

20  Ivi, p. 87.

21  Paulucci di Calboli Barone, L’attività dell’Istituto Nazionale Luce dal luglio 1933-X al gennaio 1940-XVIII, cit., p. 18.

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a escludere) i vari filmati del Luce? Si dovrà prima o poi accettare il fatto che anche i servizi dei cinegiornali rappresentarono uno degli strumenti di politica estera messi in campo dal fascismo, regime quanto mai attento a giovarsi, in massimo grado, di tutti i più moderni mezzi di comunicazione di massa. Ancora, c’è da chiedersi quale ruolo, e quale responsabilità, ebbero i servizi Luce proiet- tati all’estero nella costruzione di quella corrente di simpatia per il fascismo (e per la figura di Mussolini in particolare) che percorse gli ambienti conservatori e moderati dei paesi democratici, soprattutto nei primi anni Trenta, prima che l’aggressiva politica estera fascista spaventasse quegli stessi ambienti, i quali considerarono il duce un solido argine alla diffusione del pericolo comunista.

E ancora: gli schermi cinematografici francesi, inglesi o americani ospitarono scene riprese dagli operatori Luce di bonifiche, di fondazione di nuove città, di assistenza alle madri e ai neonati, di schiere ordinate di giovani in divisa ospitati nelle colonie marine volute dal regime, di folle inneggianti al duce? E se sì, quali furono gli effetti sui comuni cittadini dei paesi democratici, quei cittadini che frequentavano i cinematografi e che a milioni persero il lavoro a seguito della grande crisi mondiale del 1929? Intravidero forse nel fascismo un’alternativa a quel capitalismo spietato che li aveva gettati sulla strada?

In mancanza di studi sistematici sulla diffusione dei filmati Luce all’estero, disponiamo tuttavia di alcuni dati che Paulucci di Calboli riporta nella sua re- lazione di fine mandato: «Nel 1939 la diffusione delle attualità Luce attraverso gli scambi è stata particolarmente attiva, registrando 87.000 metri di materiale spedito contro 61.000 metri ricevuti. Inoltre, sono state spedite all’estero, extra accordi di scambio, numerose altre attualità per un complessivo di 19.000 metri.

Dal 1938, in aggiunta all’invio di singoli avvenimenti staccati, ho iniziato la spe- dizione all’estero di un giornale organicamente formato con soggetti italiani ed esteri, sul tipo di quelli già diffusi dalle grandi organizzazioni cinematografiche americane, francesi e tedesche»22.

E c’era poi una curiosità enorme per la figura di Mussolini, che catalizzava l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, perché il suo dinamismo e il suo modo di agire in pubblico lo identificavano immediatamente come un politico di una “specie nuova”, una figura lontana dai modi compassati dei politici che sino alla Prima guerra mondiale avevano retto il mondo. Invero, come è stato ben osservato, Mussolini mette a punto il suo “personaggio” pubblico nel cor- so di alcuni anni, manifestando non poche incertezze e balbettamenti. «Il gesto di Mussolini, almeno all’inizio, non vuole essere inimitabile, pur servendosi del modello dannunziano: anzi, un elemento qualificante che lo differenzia dallo

22  Ivi, p. 19. L’esperimento, precisa l’ex presidente, fu dapprima limitato all’Argentina e alla Grecia, ed esteso nel 1939 alla Spagna con edizioni in lingua spagnola e poi all’Albania, Bulgaria, Norvegia, Finlandia, Stati Uniti e Brasile con edizioni in lingua italiana.

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stile dannunziano è dato proprio dalla sua riproducibilità e imitabilità. È certo, anzitutto, il gesto del maestro […] che catechizza la classe degli italiani indisci- plinati e cerca di metterli in fila per due, ma si trasforma man mano, cercando di volgere sempre più allo stile sublime del “fulgore” degli anni imperiali, per poi ricadere miseramente nello stile degradato dell’attore di piazza costretto a mendicare l’attenzione del pubblico»23. Le influenze dannunziane sul Mussolini dei primi anni di governo furono ben evidenziate dallo scrittore Camillo Berneri nel suo libro Mussolini grande attore24. L’anarchico Berneri riuscì a sintetizzare in poche battute i tratti distintivi e necessari per il nuovo politico del XX secolo, il quale dovrà fare della comunicazione e dell’azione di guida e/o di confronto con l’opinione pubblica una delle qualità salienti della sua azione: «Mussolini è un grande uomo politico perché è anche un grande attore. Si può essere uomo politico senza essere attore? Penso di no. […] La base della fortuna dell’uomo politico che arriva al potere, nel quadro di un partito o di un regime, fu, è e sarà sempre quella del tribuno, del giornalista, del tattico»25.

In verità, Mussolini, come appare dai cinegiornali muti del Luce, si dimostrò nei primi anni un attore ancora alla ricerca dei mezzi espressivi, delle scenogra- fie e dei costumi più adatti per far presa sulla folla. Troppi tratti lo ricollegavano ai politici del passato. In primo luogo una mimica e una gestualità particolar- mente accentuati, che denunciavano la sua crescita e formazione di politico in un’epoca in cui gli oratori nelle piazze – in assenza di film sonori atti sia a rende- re distinguibile ogni parola pronunciata che a ritrarre il tribuno con inquadrature ravvicinate, così da rivelarne ogni espressione – dovevano caricare, oltre modo, ogni frase, espressione e gesto, in modo da rendersi visibili e ascoltabili da quanti affollavano le piazze. Nei suoi primi anni da capo del governo persino il guar- daroba ricollegava Mussolini ai politici d’antan. Bombette, redingote e ghette fanno del duce una sorta di tranquillo borghese ma, in lui, i tratti, le movenze, l’andatura, le pose non riescono a nascondere le origini popolane di un politico non ancora perfettamente a suo agio nel nuovo ruolo di duce.

Tuttavia Mussolini comprese assai presto che il cinema avrebbe cambiato per sempre le forme della comunicazione politica e che la cinematografia sarebbe stata l’arma più forte, capace di surclassare tutti gli altri media26. Grazie al cine-

23  Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano 1895-1945, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 371- 372.

24  Camillo Berneri, Mussolini grande attore, con una introduzione di Pier Carlo Masini, Pistoia, Edi- zioni dell’Archivio Famiglia Berneri - Comune di Pistoia, Assessorato agli Istituti culturali, 1983, pp.

31-37. Le riflessioni di Berneri sul “Mussolini attore” furono scritte in Spagna nel 1934.

25  Ivi, pp. 25-26.

26  Nel novembre 1937, alla cerimonia per la posa della prima pietra della nuova sede dell’Istituto Luce, sul cantiere si stagliava una gigantografia con l’immagine del duce dietro una macchina da

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ma, «gli uditori da poche centinaia di persone, diventarono decine di migliaia, milioni e decine di milioni. Le nazioni si trasformarono in sterminate platee e in congressi permanenti. […] Fra questi cambiamenti decisivo è l’effetto inebrian- te provocato in folle sprovvedute dalle qualità istrioniche, o vocali o mimiche dell’uomo politico: qualità che costituiscono la chiave del suo successo rapido ed impetuoso»27. E allora vale la pena sottolineare che il fascismo fu un regime nel quale i giornalisti, esperti di comunicazione, giocarono un peso fondamenta- le nel processo di indottrinamento delle masse. Giornalisti furono, ad esempio:

Mussolini, il ministro della cultura popolare Dino Alfieri, il direttore generale della cinematografia Luigi Freddi, la gran parte dei presidenti che negli anni si susseguirono alla guida del Luce, numerosi gerarchi (come Roberto Farinacci). E allora va altresì rilevato che nel ventennio fascista i termini “stampa” e “propa- ganda” non ebbero quel carattere antitetico che siamo soliti attribuire a queste locuzioni nelle odierne democrazie, e a metà degli anni Trenta si poté tranquil- lamente dar vita a un Ministero per la stampa e la propaganda28.

Questo “regime di giornalisti” guidato da un giornalista schiacciò la libera stampa, agendo ad ogni livello: pressioni e intimidazioni sulle proprietà dei gior- nali; istituzione di monopoli in alcuni settori (le cineattualità); confisca nelle edi- cole dei giornali sgraditi; asservimento di periodici e giornalisti attraverso un diffuso sistema di sovvenzionamenti; ecc.

In ultima istanza, invece, il controllo sui cinegiornali faceva capo direttamen- te a Mussolini, come ricordò Luigi Freddi: «Ogni martedì, il presidente dell’Istitu- to LUCE portava al Duce i “giornali”, che venivano “visionati” nella sala da proie- zione dell’Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa che aveva sede in un fabbricato sorgente nello stesso parco di Villa Torlonia. […] Finita la proiezio- ne dei “giornali”, Mussolini esprimeva i suoi giudizi: togliere questo, accorciare quest’altro, sviluppare quell’avvenimento, modificarne il commento parlato, ec- cetera. C’era quasi sempre in lui come un senso di insoddisfazione. Evidentemen- te non si rendeva ben conto di quel che si doveva e si poteva fare, ma capiva che i

“giornali” erano insufficienti e monotoni. Generalmente si sfogava dando ordine di ridurre il materiale che lo riguardava personalmente. Era perfettamente con- sapevole che una assiduità troppo assillante poteva avere come conseguenza un

presa, con sotto la scritta “La cinematografia è l’arma più forte”, e quindi la firma di Mussolini. Può essere utile rilevare che già nel 1922 Lenin asseriva: «Per noi il cinema è, tra tutte le arti, la più importante». Si veda il Giornale Luce B1119 che dedica all’inaugurazione un servizio della durata di circa sei minuti.

27  Pier Carlo Masini, Prefazione, in Berneri, Mussolini grande attore, cit., p. 10.

28  R.D.L. 24 giugno 1935, n. 1009. Anche nella denominazione il fascismo mostra di ispirarsi al mo- dello tedesco, che nel marzo 1933 aveva dato vita al Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda, sotto la guida di Joseph Goebbels.

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senso di saturazione che avrebbe confinato colla noia»29.

Le memorie di Freddi farebbero intendere un’azione quasi esclusivamente censoria di Mussolini nei confronti del Giornale Luce. Invece, in anni recenti, si è potuto accertare che nell’autunno del 1934 il duce espresse, in via riservata, al presidente del Luce Paulucci di Calboli e a Luigi Freddi il desiderio di veder rea- lizzato un documentario nel quale egli fosse ripreso «in mare, in cielo, in terra»30. Freddi, in una lettera del 2 novembre indirizzata a Paulucci di Calboli, precisa che «per il mare, il Duce ha espresso il desiderio che venga utilizzato il docu- mentario girato il 25 ottobre a Castelporziano. Per il cielo, Egli ha confermato l’inserzione di tratti della pellicola girata dal Maggior Biseo. Per la terra, Egli ha ritenuto opportuno venga utilizzato il documentario che lo mostra in mo- tocicletta». Questo documentario di montaggio venne effettivamente prodotto, col titolo Duce sportivo, a cura del regista Corrado D’Errico, ma ebbe anche una diffusione assolutamente straordinaria, in forma di servizio di cinegiornale, dal momento che apparve in ben quattro numeri del Giornale Luce sotto il titolo “Le attività sportive di Mussolini”31. Il duce, già con l’indicazione delle sequenze da montarsi, si ritaglia un ruolo da supervisore del lavoro (da regista occulto?), e rivela una precisa e attiva volontà di alimentare il mito che circonda la sua per- sona. In effetti, se c’è un aspetto sul quale insistono i cinegiornali, sottolineando l’originalità del duce rispetto agli altri leaders internazionali, è il frenetico atti- vismo di Mussolini, il quale «vuol proporre di sé un’immagine di uomo atletico, che ama vivere dinamicamente la propria vita, capace di domare con la stessa facilità macchine (secondo un modello mutuato dai futuristi), animali e, sottinte- so, uomini. In questo suo proporsi come divo – nella doppia accezione di attore e di dio – Benito Mussolini, colla sua fregolistica, camaleontica trasformazione (via via cavallerizzo, schermitore, sciatore, aviatore, nuotatore, ma in altre occa- sioni anche automobilista e motociclista), finisce per rappresentarsi come una divinità dotata del dono dell’ubiquità, dell’onnipresenza. Tuttavia sarebbe errato interpretare tutto questo come una mera forma di narcisismo del dittatore; ad agire è innanzitutto il giornalista Mussolini, che sembra rivolgersi, ad un tempo,

29  Luigi Freddi, Il cinema, Roma, L’Arnia, 1949, Volume primo, pp. 388-390. Anche le foto di Musso- lini da pubblicare sui giornali dovevano avere l’approvazione del duce. Si veda in proposito Mim- mo Franzinelli, Immagini da una dittatura, in Mimmo Franzinelli, Emanuele Valerio Marino, Il duce proibito. Le fotografie di Mussolini che gli italiani non hanno mai visto, Milano, Mondadori, 2003, pp.

VII-XXXVI, in part. XXV-XXXVI.

30  Archivio di Stato di Forlì-Cesena, Archivio privato Paulucci di Calboli, fondo Giacomo Paulucci di Calboli Barone, busta 80, fasc. 186 “Freddi Luigi”. La vicenda, e il relativo esame del documentario prodotto, furono oggetto del saggio di Pierre Sorlin, Divo in mare, in cielo, in terra, “Bianco e Nero”, LXIV, n. 1-3 (fasc. 547), inverno 2003, pp. 53-59.

31  Si tratta dei Giornali Luce B0568, B0569, B0570, B0571. Non siamo a conoscenza di altri servizi così ripetuti: si voleva a tutti i costi che il servizio fosse visto da tutti gli italiani.

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all’opinione pubblica straniera e al pubblico italiano»32.

Dopo l’avvio del riordino amministrativo del Luce, nel biennio 1933-1934 i tempi sono maturi perché anche il Giornale cinematografico si rinnovi e si renda più attraente. Peraltro dall’estero giungevano in quegli anni esempi di efficaci e dinamiche cineattualità sia dalla Germania nazista, sia dai democratici Stati Uniti: il Luce dimostrerà, con pragmatismo, di saperne trarre lezione. Rinnovare i cinegiornali, soprattutto sveltendo i servizi, se da un lato è certo un’esigen- za economica (ridurre i metri di pellicola girati dagli operatori senza alcun co- strutto) dall’altro è la risposta a quanti tacciano i cinegiornali Luce di essere un concentrato di noia, di banalità, di vuota retorica. Dissimulate fra dissertazioni d’ordine generale sulle attualità cinematografiche e affermazioni perentorie del tipo «Il problema non è solo italiano; e del resto i nostri giornali Luce sono fra i migliori del mondo»33, le critiche alle cineattualità parlano a quanti devono sentire: «il cine-giornale, come la grande stampa d’informazione, non può né deve essere soltanto cronaca minuta di eventi secondari […]. Occorre che anche il cine-giornale senta intera questa necessità ed accosti le masse ai problemi essenziali della vita nazionale ed internazionale. Esso può farlo con ricchezza in- telligente e suggestiva come una volta lo facevano i famosi “inviati speciali” che erano scrittori e poeti, sociologi ed indagatori dei fenomeni: non freddi e retorici cronisti amanti della vacua ampollosità. La monotonia deve essere bandita, l’as- senza della pura attualità è compatibile solo quando in compenso lo spettatore sia portato in un mondo ricco di informazioni e di novità»34.

Pure all’interno dell’Istituto si è consci che serve una svolta. «Il Giornale Cine- matografico deve essere la raccolta vivace e rapida degli avvenimenti e perciò l’operatore deve riuscire, superando ogni difficoltà insita negli uomini e nelle cose, a ritrarre brevi, sintetici, suggestivi quadri della cerimonia, rilevando sol- tanto le fasi culminanti caratteristiche e fotograficamente interessanti di ogni avvenimento»35.

Se l’esempio di quanto si produceva all’estero agirà da stimolo per il rinnova- mento, altri fattori concomitanti resero possibili, e anzi evidenti, i cambiamenti nella composizione del Giornale Luce. Fra i principali indichiamo: a) la trasfor- mazione delle principali manifestazioni politiche (e segnatamente quelle nelle

32  Silvio Celli, Nuove prospettive di ricerca, “Bianco e Nero”, LXIV, n. 1-3 (fasc. 547), inverno 2003, p. 38.

33  Editoriale non firmato in “Cinema”, II, n. 24, 25 giugno 1937, p. 479.

34  Ibid.

35  Istituto Nazionale Luce, Ordine di servizio n. 34 del 13 settembre 1933 del segretario generale dell’Istituto Luce Giuseppe Croce, in Ordini di servizio emanati dal 21 agosto 1933 al 31 dicembre 1933 (Archivio di Stato di Forlì-Cesena, Archivio privato Paulucci di Calboli, fondo Giacomo Paulucci di Calboli Barone, busta 250 bis).

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