Nella sua intrinseca valenza nazionalista, una tale “anti-metropoli” diffusa deve necessariamente replicare quella dialettica “stra-paesana” – operante fra le ec-cellenze municipali figlie dei liberi Comuni tardomedievali e le bucoliche fatiche della campagna felix immortalata dalla metrica del Pascoli – considerata il ger-me primo del genio italico.
Sarà la Romagna – il cui sistema civico di piccole ed antiche città di fiera tradizione signorile, ravvicinate tra loro ma separate da prolifici contadi, si com-bina eccezionalmente coll’aver dato i natali al duce – ad essere individuata qua-le quintessenza territoriaqua-le. Al centro pivotaqua-le di questa provincia ideal-tipica stanno difatti la località di Dovìa che ne fu culla genitoriale e, soprattutto, il suo contiguo capoluogo forlivese che si rivelò per il giovane Mussolini palestra
25 Così nell’editoriale de “Il Popolo d’Italia”, 29 dicembre 1928.
urbana di formazione politica. Una sovrapposizione storicamente unica ed irri-petibile di miti d’italianità (basti pensare all’arco di Augusto di Rimini o al Dante
“ravennate”, per il quale furono spese imponenti celebrazioni nel seicentesimo anniversario della morte, appena un anno prima della “marcia su Roma”)26 e di potenziale culto della personalità, in grado di declinare e re-diffondere anche su scala periferica quel combinato disposto di rimodellamento antropologico e risorgenza estetico-funzionale che avrebbe dovuto propellere, nella testa del regime, l’avvio della nuova era littoria.
Così quello spazio etno-geografico riconosciuto nell’immediato dopoguerra dall’azione “identitaria” del cenacolo del repubblicano Aldo Spallici, finirà per essere carpito dal suo humus “dialettale” per essere strumentalizzato in una fino a quel momento inesistente Terra del Duce27 compresa fra Imola a Rimini, avente come epicentro una Forlì trasformata in “Seconda o Piccola Roma”, visceralmen-te connessa tramivisceralmen-te un monumentale cordone ombelicale alla “Betlemme del fascismo”, ricostruita nella nuova Predappio28. Nella modularità di corpi interi e complementari propria all’ideologia organicista, anche questa avanguardia della provincia viene indirizzata alla modernizzazione facendola muovere sugli stessi binari fascistissimi della grandezza e della necessità, già predisposti per la metropoli. Pur tuttavia con una sua specificità: meno case e comunicazioni, più infrastrutture di servizio, siti produttivi e centri di formazione; non recupero ed attualizzazione di sepolta gloria cesarea, ma marmorizzazione eroica del fresco Pantheon littorio29. Il tutto disposto in una progressione urbana che funge da
26 Cfr. Stefano Albertini, Dante in camicia nera: uso e abuso del divino poeta nell’Italia fascista, in
“The Italianist”, 1996, n. 1, pp. 117-142.
27 Cfr. Pellegrinaggi nella terra del Duce, in “La Stampa”, 12 ottobre 1936; La Terra del Duce, Roma, Caprotti, 1941. Si veda: Patrizia Dogliani (a cura di), Romagna tra fascismo e antifascismo 1919-1945, Bologna, Cleub, 2006.
28 Sulla strumentalizzazione fascista dell’etnografia e del territorio romagnolo, si vedano: Ferruc-cio Canali, Iniziative di Regime e trasformazioni territoriali nella “provincia del Duce” (1922-1942), in “Storia urbana”, 1994, 66, pp. 73-90; Mario Proli, Romagna, in Carlo De Maria (a cura di), Fascismo e società italiana. Temi e parole chiave, Bologna, Bradypus, 2016, pp. 317-344. Sui progetti per fare di Forlì una “piccola Roma”, si veda: Ferruccio Canali, Architetti romani nella “Città del Duce”, in
“Memoria e Ricerca”, 1995, n. 6, pp. 164-191. Sulla nuova Predappio: Sofia Serenelli, A town for the cult of the Duce: Predappio as a site of pilgrimage, in Stephen Gundle, Christopher Duggan, Giuliana Pieri (a cura di), The Cult of the Duce. Mussolini and the Italians, Manchester-New York, Manchester University Press, 2013, pp. 93-109. Sull’interconnessione fra Forlì e Predappio: Ulisse Tramonti e Luciana Prati (a cura di), La città progettata: Forlì, Predappio, Castrocaro. Urbanistica e architetture fra le due Guerre, Forlì, Comune di Forlì, 1999.
29 Cfr. Ferruccio Canali, Il valore dei modelli tra Centri e Periferie: città, territorio e architetture a Forlì e nella “Terra del Duce”, in “Parametro”, 1999, 229, pp. 21-23.
pellegrinaggio “maieutico” alle radici del mussolinismo, mentre a Roma resta il compito primario di “rappresentare” la nuova Italia in camicia nera nel mondo30.
Ecco come la costituzione artificiale della Terra del Duce finisce per rivestire nell’orizzonte fascista il ruolo di una eterotopia31, ovvero di uno spazio fisico ben delimitato ma al contempo aperto su tutti gli altri spazi possibili, di un luogo spe-ciale in grado di “situazionare” e giustapporre in sé il riflesso di ogni altro luogo:
l’unica cerniera effettuale che può mettere in comunicazione l’Impero e le torri civiche, l’aereo e l’aratro, le forme di Roma risorta e le radici antropologiche del ducismo, sintetizzando geograficamente una mistica dell’homo novus.
Nessun medium di propaganda come il cinegiornale Luce, inaugurato nel 192732, è in grado di testimoniarci stilemi e aporie di un tale progetto mitopoie-tico, in virtù della stessa natura “eterotopica” del montaggio di immagini sonore che sa, solo fra le arti, materialmente differire una percezione eclettica (vista, udito, emozione, ricostruzione intellettiva) nello spazio e nel tempo33. Monopo-lista per decreto dell’informazione cine-giornalistica relativa allo Stato e diret-tamente sottoposto all’autorità centrale del regime – dapprima il sottosegre-tariato della Presidenza del Consiglio, poi il Ministero della Cultura popolare – l’Istituto Luce nato nel 1924 è per certo un’affidabile cartina di tornasole delle evoluzioni della propaganda fascista, lungo il crinale che spinge una dittatura sempre più consolidata verso ambizioni totalitarie34. Alla sua testa tuttavia, con-trariamente a quanto imporrebbe un dominio totalitario, viene posto un mana-gement d’origine liberal-monarchica dal forte afflato cosmopolita35 (in primis il suo storico Presidente plenipotenziario, Giacomo Paulucci di Calboli Barone36), il quale pur aderendo disciplinatamente al mussolinismo per spirito nazionalista, rimane intimamente “contaminato” da una impostazione accorta e tecnocratica.
30 Si veda: Mario Proli, “Meta ideale di ogni italiano”: la costruzione della “terra del duce” vista at-traverso cronache e immagini, in Massimo Lodovici (a cura di), Fascismi in Emilia-Romagna, Cesena, Il Ponte Vecchio, pp. 103-128.
31 Su questo concetto, si veda: Michel Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, a cura di Salvo Vaccaro, Milano, Mimesis, 2001.
32 Cfr. Federico Caprotti, Information Management and Fascit Identity. Newreels in Fascist Italy, in
“Media History”, 2005, n. 3, pp. 177-191.
33 Cfr. Marco Bertozzi (a cura di), Il cinema, l’architettura, la città, Roma, Dedalo, 2001.
34 Cfr. Ernesto G. Laura, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, Roma, Ente dello Spetta-colo, 2000; Daniela Calanca, Bianco e nero. L’Istituto Nazionale Luce e l’immaginario del fascismo (1924-1940), Bologna, Bononia University Press, 2016.
35 Si veda: Pierluigi Erbaggio, Istituto Nazionale Luce: A National Company with an International Reach, in Giorgio Bertellini (a cura di), Italian Silent Cinema: A Reader, Londra, John Libbey, 2013, pp. 221-231.
36 Cfr. Giovanni Tassani, Diplomatico tra due guerre. Vita di Giacomo Paulucci di Calboli Barone, Firenze, Le Lettere, 2012.
Ne risulta una linea editoriale costantemente in ritardo rispetto al corso della fascistizzazione nazionale e pertanto sovente incapace, per insufficiente fana-tismo, di celare le ombre che persistono sullo sfondo della scintillante prosopo-pea neo-imperiale37. Dalle scelte dei soggetti e dalla prossemica della sua produ-zione filtrano tutte le difficoltà della quasi mai lineare aprodu-zione governativa, così come i limiti nello stimolare un sincero coinvolgimento popolare nel Paese38.
Non è un caso, infatti, che i cinegiornali Luce ignorino bellamente la città mercuriale e il suo comprensorio fintanto che l’idea della Romagna come Ter-ra del Duce non diviene una compiuta direttiva politica del regime: e questo perché, di base, la federazione forlivese è paradossalmente fra le più instabili e piccole della nazione, ben lungi dal rappresentare un possibile modello di “pro-vincia fascista” spontaneamente incline al culto mussoliniano39. La malsoppor-tazione del Duce nei confronti di una propaganda smodatamente agiografica e barocca, molto spesso espressa con rabbiosi ordini di retromarcia progettuale che sconvolgono ripetutamente i primi interventi pubblici nei suoi luoghi d’ori-gine40, contribuisce d’altro canto a sollecitare una cautelativa distrazione dello sguardo da parte di una agenzia statale che già di par suo fatica a tenere il passo della “littorializzazione”. Per tutti gli anni Venti, restano così senza traccia cine-giornalistica gli esordi fondamentali della costituzione della Terra del Duce, quali l’estensione della provincia forlivese alla marca transappenninica toscana, ospitante le sorgenti del Tevere, sacro “padre” di Roma41; la ricostruzione mu-seale della Casa natale di Dovìa42; la realizzazione ex-novo di Predappio Nuo-va, moderna Betlemme del fascismo43; il recupero dei ruderi della Rocca delle
37 Sulle aporie della cinematografia di regime in un totalitarismo imperfetto come quello fascista, si veda: Domenico Guzzo, Cinematografia, in De Maria (a cura di), Fascismo e società italiana, cit., pp. 121-140.
38 Cfr. Paul Corner e Valeria Galimi, Il fascismo in provincia. Articolazioni e gestione del potere tra centro e periferia, Roma, Viella, 2016.
39 Sulla scarsa militanza fascista della fantomatica “Terra del Duce”, vi erano d’altronde dati evi-denti. Su “Il Popolo di Romagna” del 30 agosto 1925, si potevano addirittura leggere strali di pole-mica mal sopportazione: «finché Forlì e la sua provincia continuerà ad essere fascisticamente la settantaquattresima provincia d’Italia non venite tra noi, Presidente!». Si veda: Mario Proli, Consen-so e dissenConsen-so nella “terra del duce”. La provincia di Forlì (1922-1940), in Istituto mantovano di storia contemporanea (a cura di), Fascismo e antifascismo nella Valle Padana, Bologna, Clueb, 2007.
40 È il caso, per esempio, dei lavori per la Casa natale di Dovia, dalla quale Mussolini fa rimuovere nel 1926 la lapide inaugurata appena un anno prima, per poi ordinare la distruzione della marmo-rea scala d’ingresso con tiburio costruita a partire dal 1928. Cfr. Il Duce ha visitato i lavori di Predap-pio Nuova, in “Il Popolo di Romagna”, 30 maggio 1926.
41 Regio decreto del 4 marzo 1923.
42 Iniziata a fine 1923, dopo che la casa fu donata al duce dal comune di Predappio Alta, durante la sua prima visita ufficiale da capo del governo (15 aprile 1923).
43 I lavori inaugurali sono lanciati dal segretario nazionale del PNF, Farinacci, il 30 agosto 1925.
Camminate, sita nella campagna predappiese, per farne la residenza privata di Mussolini, sulla quale viene installato un gigantesco faro tricolore in grado di far arrivare la “luce della Vittoria” al mare, ad oltre 50 chilometri di distanza44; l’ere-zione della nuova stal’ere-zione ferroviaria di Forlì, sovradimensionato snodo logisti-co di quell’asse urbano sui cui il “piclogisti-cone nero” intende declinare, fra grandezza e necessità, il successivo sviluppo della “piccola Roma - città del Duce”45.
A maggiore riprova di questa attitudine algida, si può far riferimento al solo cine-giornale che in questa prima fase storica si occupa monograficamente della provincia forlivese: un reportage muto dell’aprile 1929 (A0305) che immortala per quasi sette minuti l’avvio della bonifica dei colli predappiesi, alla presenza di un compiaciuto Mussolini46, senza sprecare neppure una didascalia per met-tere in risalto la connessione genetica, e sedicente sacrale, di quelle zolle con la guida suprema della nazione.
Tutto cambia decisamente a partire nel 1932, quando l’enorme mobilitazio-ne celebrativa per il Decennale della rivoluziomobilitazio-ne fascista47 sembra catalizzare e legittimare la completa maturazione di alcuni profondi processi riorganizzativi del regime, andanti dall’avocazione ad interim di ministeri cardinali come gli Esteri e le Corporazioni, alla rimozione del “padre” del codice penale fascista (Alfredo Rocco) dal dicastero della Giustizia, fino alla nomina del più fedele fra gli idolatri – il gerarca meridionale Achille Starace – alla segreteria del PNF.
Proprio quest’ultimo, poi artefice di quella normalizzazione “commissariale”
dell’associazionismo e di quell’inquadramento coatto della sociabilità pubblica che sanciranno l’irreggimentazione finale dello Stato48, darà impulso prioritario alla messa a sistema in chiave liturgica e didattica del “potenziale eterotopico”
romagnolo orbitante attorno all’asse Predappio-Forlì49.
44 Il faro della Rocca delle Camminate è inaugurato il 28 ottobre 1927, V anniversario della marcia su Roma, da Luigi Federzoni.
45 Si veda: Roberto Fregna, Forlì città del duce: dal primo dopoguerra alla crisi del ’29, in Mioni (a cura di), Urbanistica fascista, cit., pp. 151-184.
46 Sulla postura cinematografica di Mussolini, si veda: Massimo Cardillo, Il duce in moviola: politica e divismo nei cinegiornali e documentari “Luce”, Bari, Dedalo, 1983.
47 Sulle celebrazioni dell’anno X della marcia su Roma (su tutte, si ricorda la “Mostra della rivolu-zione fascista”) e sulla loro valenza nel definire il passaggio della dittatura mussoliniana nella sua fase “matura”, si vedano: Jeffrey T. Schnapp, Anno X - La mostra della Rivoluzione fascista del 1932, Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2003; Antonio Morena, Mussolini’s Decennale.
Aura and Mythmaking in Fascist Italy, Toronto, University of Toronto Press, 2015.
48 Sulla svolta del 1932, si veda per tutti: Salvatore Lupo, Il fascismo. La politica in un regime tota-litario, Roma, Donzelli, 2000, pp. 358-407.
49 Sull’effettiva decostruzione del rapporto fra Stato centrale e realtà locale, si veda: Andrea Gui-so, La “città del Duce”. Stato, poteri locali ed élites a Forlì durante il fascismo, Lungro di Cosenza, Marco, 2010.
Ne è prima significativa testimonianza il cine-giornale del maggio 1932 (A0955) che filma la visita ufficiale di Starace, accompagnato da Donna Rachele, nella città mercuriale per la rivista della leva provinciale fascista. Benché anco-ra infanco-ragilita dalla mancanza del sonoro – una ganco-rave lacuna tecnica, se si tiene conto che da circa due anni la presa diretta integrata in pellicola era divenuto un comune standard cinematografico - e da marchiane dimenticanze, come il non sottolineare nelle didascalie l’altamente simbolica data prescelta per la manife-stazione (21 aprile, “Natale di Roma”)50, la comunicazione del Luce si concentra per la prima volta su Forlì, diffondendone un’immagine di limpidezza e linea-re organizzazione: il gerarca è accolto da una composta ala di avanguardisti, snodata lungo il nuovo boulevard che si propende dall’enorme stazione sullo sfondo, lambendo ai suoi due lati, ricche costruzioni; mentre per i viali storici perfettamente nettati che conducono al centro storico, sfila una interminabile ed ordinatissima parata di moschetti, gagliardetti e balilla. In piazza Saffi, infine, cuore della città, sfatando le negative nomee di scarsa partecipazione popolare, una massa oceanica di cittadini assiste disciplinatamente ai riti, nel quadro di una compiuta sintesi d’italianità fra l’Abbazia romanica di San Mercuriale e il costruendo Palazzo delle Poste in stile classico modernizzato51.
Prodromi visuali di una nobilitazione quale avanguardia della provincia fasci-sta, rafforzati poche settimane dopo dal cine-giornale, stavolta sonoro (B0108), dedicato all’omaggio che gli atleti italiani in partenza per le Olimpiadi di Los An-geles esplicitano, rendendosi a Forlì (e, si badi bene, non a Roma) in entusiastica rassegna al cospetto del Duce.
Il Luce assegna incredibilmente poco credito, malgrado la loro portata stori-ca, ad alcune iniziative seguenti che vanno a completare il percorso di autenti-cazione formale della Terra del Duce, come la riunione delle salme dei genitori di Mussolini nel nuovo cimitero monumentale di Predappio e la proclamazione da Forlì della “vittoria della battaglia del grano”. La stessa cerimonia nazionale dell’avvio del secondo Decennale dell’era fascista - che il regime decide di tenere nel capoluogo romagnolo il 30 ottobre 1932, unendovi il fine di svelare all’Italia le grandi opere pubbliche concorrenti alla nascita della “Piccola Roma”52 - resta ben poco coperta. Se si considera il tenore dell’attenzione mediatica riservato
50 Per un esempio di propaganda attenta a questi aspetti, si veda: L’On. Starace accolto entusiasti-camente in Romagna, in “Corriere della Sera”, 22 aprile 1932.
51 Sugli interventi fascisti, fra monumentalità e servizio, sulla città di Forlì, si veda: Matteo Troilo, Architettura, in De Maria (a cura di), Fascismo e società italiana, cit., pp. 11-34.
52 Quel giorno verranno infatti presentati al pubblico: la scuola elementare per oltre mille alunni, intitolata alla madre del duce (Rosa Maltoni), sita sul viale della stazione; l’enorme monumento ai caduti della Grande Guerra e della rivoluzione fascista, eretto nel piazzale a sbocco del suddetto viale; il Palazzo delle Poste e dei Telegrafi, costruito nella centrale piazza Saffi.
dagli altri operatori dell’informazione di massa a questo evento epocale, si può ben capire il ritardo strutturale che persiste nella capacità propagandistica di un ente cine-giornalistico di Stato perennemente inadatto al ruolo di megafono totalitario53. Con toni più che altisonanti in prima pagina, il maggior quotidiano nazionale parlerà infatti di una giornata campale, durante la quale il duce e il suo popolo hanno sperimentato un bagno rigenerante nelle acque della Roma-gna, santi luoghi di virtù italica:
Il Duce stesso, il figlio di questa Romagna alla quale egli torna come alla culla della propria famiglia, al luogo sacro delle sue più care memorie, al nido dell’infanzia e della prima battagliera giovinezza, è voluto venire a Forlì e iniziare il secondo Decennale tra la sua gente, in vista di quelle campagne alle quali egli torna ogni volta che le opere della terra richiedano, anche fra i più umili, la sua presenza esemplare, a tu per tu con i conterranei, con le schiere dei figli di questa animosa, generosa e gentile, nata con i fermenti della passione nel sangue, cresciuta alla scuola di una virilità che fa dello spirito di sacrificio e dell’ardire le sue virtù migliori. S’inizia l’anno undicesimo54.
Con stupefacente lentezza per un sistema autoritario, giunge solo molti giorni appresso – sarà diffuso l’11 novembre 1932 – un cine-giornale (B0162), per di più limitato alla mera inaugurazione dell’imponente monumento ai caduti della Grande Guerra e della rivoluzione fascista: ciò nonostante, nei sei minuti e trenta secondi del filmato (una lunghezza eccezionale rispetto alla media usuale) si as-siste comunque ad un ulteriore salto in avanti del messaggio eterotopico. Per il tramite di campi lunghi atti a rendere appieno i trentadue metri di altezza della torre marmorea, alternati ai totali sul Duce scortato da plotoni di camice nere e culminanti in un vaticinio di colombe a fine cerimonia, si afferma l’apparizione di un “secondo Vittoriano” nazionale, sancito dall’intitolazione sostanziale del sacrario al forlivese Fulcieri Paulucci di Calboli, eroe e santo dei martiri di guer-ra italiani55. Prima gamba di una “piccola Roma” che completa i suoi arti urbani con una “seconda piazza Venezia”, riassunta in una piazza Saffi gremita all’in-verosimile, grondante di “spontanei e irrefrenabili” motti di giubilo. All’incipit del discorso mussoliniano, tenuto ovviamente dal “balcone” del potere politico e
53 Si veda: David Gargani e Antonella Pagliarulo, La costruzione semiotica delle ideologie: il caso dei cinegiornali Luce e Incom, in “Esercizi Filosofici”, 2011, n. 6, pp. 281-298.
54 Orio Vergani, Un forte discorso di Mussolini a Forlì, in “Corriere della Sera”, 31 ottobre 1932. Si veda anche: L’attesa a Forlì, in “La Stampa”, 26 ottobre 1932.
55 Sulla figura di Fulcieri, eroe degli eroi della Grande Guerra, si veda: Giovanni Tassani, Nobil-tà eroica. Fulcieri Paulucci di Calboli, in Mario Isnenghi e Daniele Ceschin (a cura di), La Grande Guerra. Uomini e luoghi del ’15-’18, Torino, UTET, 2008. Sulla strumentalizzazione fascista della sua memoria, si veda: Fulcieri Paulucci di Calboli commemorato a Roma, in “Corriere della Sera”, 12 novembre 1926; Ettore Grasselli, La vita di Fulcieri Paulucci di Calboli, medaglia d’oro, Milano, Oberdan Zucchi, 1936.
riprodotto in ottima qualità, il compito di suggellare la sacralizzazione su scher-mo della Terra del Duce: «popolo della mia Romagna, io sento che nel grido con il quale mi avete accolto a questa tribuna, c’è una sfumatura, una sfumatura sentimentale. Ci sono molte cose tra voi e me, tra i vostri cuori e il mio cuore»56.
Proprio l’emotività viscerale e patriottica, il richiamo ancestrale al connubio germinale di terra e sangue ribadito da novelli pantheon littori, diviene la sined-doche della grandezza forlivese acconciata dal Luce nel momento di maggiore consolidamento del regime, fra il Decennale e la guerra d’Etiopia57. Sfruttando l’occasione del quindicesimo anniversario del trionfo di Vittorio Veneto, avve-nimento totemico nella mitologia fascista, per il quale Forlì è ancora una volta chiamata a fungere da platea nazionale delle commemorazioni, il cinegiornale del 4 novembre 1933 (B0363) tenta di declinare in tre minuti il tracciato di un pellegrinaggio aureo rivolto all’homo novus. L’acchito è emblematico: il pan-nello di testa recita perentoriamente: «XV annuale della Vittoria. Forlì, culla del sicuro destino dell’Italia nuova». Seguono carrellate panoramiche che spaziano da piazza Saffi alla Rocca delle Camminate, per sfociare dapprima nell’inaugu-randa “Casa del Mutilato” consacrata a Fulcieri in rappresentanza di ogni ferito di guerra italiano ed infine nel “piccolo Vittoriano” del monumento ai caduti.
Proprio l’emotività viscerale e patriottica, il richiamo ancestrale al connubio germinale di terra e sangue ribadito da novelli pantheon littori, diviene la sined-doche della grandezza forlivese acconciata dal Luce nel momento di maggiore consolidamento del regime, fra il Decennale e la guerra d’Etiopia57. Sfruttando l’occasione del quindicesimo anniversario del trionfo di Vittorio Veneto, avve-nimento totemico nella mitologia fascista, per il quale Forlì è ancora una volta chiamata a fungere da platea nazionale delle commemorazioni, il cinegiornale del 4 novembre 1933 (B0363) tenta di declinare in tre minuti il tracciato di un pellegrinaggio aureo rivolto all’homo novus. L’acchito è emblematico: il pan-nello di testa recita perentoriamente: «XV annuale della Vittoria. Forlì, culla del sicuro destino dell’Italia nuova». Seguono carrellate panoramiche che spaziano da piazza Saffi alla Rocca delle Camminate, per sfociare dapprima nell’inaugu-randa “Casa del Mutilato” consacrata a Fulcieri in rappresentanza di ogni ferito di guerra italiano ed infine nel “piccolo Vittoriano” del monumento ai caduti.