Trovare un ruolo da protagonista nel quadro della moderna sofisticazione su grande scala, cui la coesistenza organizzata novecentesca sempre più sembra tendere, rappresenta evidentemente una conquista di prioritaria importanza per il potere mussoliniano. Ma si tratta di un’azione politica che non esaurisce il pro-gramma per il modellamento di una nazione nuova. Sta infatti alla radice della pur composita e controversa ideologia littoria una aspirazione ancora più alta; ov-vero affermarsi quale faro di ri-civilizzazione di un Occidente che sarebbe ormai avviluppato in una crisi irrisolvibile, determinata da una idolatria dell’urbanesi-mo industriale16. Una Weltanschauung nutrita alle fonti della nascente sociologia post-positivista – che legge nella grande città di stampo fordista un’incubatrice
14 Bruno Tobia, Roma da città a metropoli: gli ardui percorsi di una capitale inventata, in “Studi Storici”, 2003, pp. 284-285.
15 Cfr. Ernesto Gimenez Caballero, Roma risorta nel mondo, Milano, Hoepli, 1940; Giuseppe Bottai, La funzione di Roma nella vita culturale e scientifica della Nazione, Roma, Istituto di studi romani, 1940. Per uno sguardo coevo esterno al fascismo, si vedano: Edwin W. Hullinger, The New Fascist State: A Study of Italy under Mussolini, New York, Rae D. Henkle, 1928; Herman Finer, Mussolini’s Italy, New York, H. Holt and C., 1935; Dreams of Empire Kindle Rome, in “New York Times”, 25 agosto 1935.
16 Cfr. Benito Mussolini, Sfollare le città, in “Il Popolo d’Italia”, 22 dicembre 1928. Per un inqua-dramento storico della questione, si veda: Renzo De Felice, Mussolini il Duce, tomo I: “Gli anni del consenso 1929-1936”, Torino, Einaudi, 1974, p. 147 et ss.
di processi anomici e criminogeni17 – e condizionata dalla contingenza italiana (segnata da un apparato manifatturiero nel suo insieme ancora troppo ristretto ed arretrato per assorbire l’eccedenza di manodopera liberata dall’impoverimen-to del mondo rurale), che reclama un contenimendall’impoverimen-to scientifico del prorompente espansionismo metropolitano, attraverso una redistribuzione coatta di capitale umano, fisico e mobiliare in favore della provincia, latamente intesa18.
Si è di fronte alla più netta manifestazione di quella inclinazione “organicista”, lungo la quale il regime scivolerà inesorabilmente nei suoi primi di istituzionaliz-zazione dittatoriale, approdando infine, nei primi anni Trenta, su posizioni totali-tarie19. Nell’idea infatti che il corpo sociale si articoli in un organismo complesso, avente funzioni e membra ben differenziate e gerarchizzate, non possono darsi apparati autosufficienti ed ipertrofici: al contrario, in una simile concezione ba-sata sulla primazia del tutto sulle parti, il raggiungimento del bene comune non può ottenersi che tramite l’interdipendenza simbiotica fra “gangli direzionali”,
“polmoni produttivi” e “tessuti connettivi”, all’interno di un sistema omeostati-co20. Ciò significa che per evitare macrocefalismi e tumori “sociali”, ogni tenden-za “aggregativa” deve sempre essere calmierata da una controspinta “diffusiva”, mentre fra la portata arteriosa ed il riflusso venoso s’impone l’opera infaticabile di un muscolo cardiaco che presiede all’interscambio di scorie e risorse. Così il centro deve circondarsi di una adeguata periferia, la città poggiare su una suf-ficiente campagna, la metropoli centripeta specchiarsi in una equivalente
pro-17 Si vedano: Georg Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, trad. di P. Jediowski, Roma, Ar-mando, 1995 [1903]; Robert E. Park, Ernest W. Burgess, Roderick D. McKenzie, La città, trad. di A. De Palma, Milano, Edizioni di Comunità, 1967 [1925]. Un certo ascendente ebbe anche la descrizione della “cosmopoli industriale”, materializzazione della degenerazione antropologica che investe l’uomo formato spiritualmente dalla campagna ma divenuto preda del denaro una volta entrato nella grande città, proposta da Oswald Spengler: Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una mor-fologia della storia mondiale, trad. di J. Evola, Milano, Longanesi, 1957 [1918-1922].
18 Si vedano: Danilo Breschi, Fascismo e antiurbanesimo. Prima fase: ideologia e legge (1926-1929), in “Le carte e la storia”, 2007, n. 2, pp. 171-188; Anna Treves, La politica antiurbana del fascismo e un secolo di resistenza all’urbanizzazione, in Alberto Mioni (a cura di), Urbanistica fascista. Ricerche e saggi sulle città e il territorio sulle politiche urbane in Italia tra le due guerre, Milano, FrancoAngeli, 1986, pp. 313-330; Michele Dau, Mussolini l’anticittadino. Città, società, fascismo, Roma, Castelvec-chi, 2012.
19 Si veda: Dario Padovan, Organicismo sociologico, pianificazione e corporativismo in Italia duran-te il fascismo, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, 2007, n. 4, pp. 681-718.
20 Sulle basi filosofiche dell’ideologia organicista, si veda: Jakov Aleksandrovič Novikov, La théorie organique des sociétés. Défense de l’organicisme, Parigi, V. Giard & E. Brière, 1899; Michele Marotta, Organicismo e neo-organicismo, Milano, Giuffré, 1959; Paolo Becchi, Adam Müller, Hegel e le radici dell’organicismo politico, Milano, Giuffré, 1993; Id., Il tutto e le parti: organicismo e liberalismo in Hegel, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994.
vincia sparpagliata, nel quadro di un equilibrio generale che assorbe e bilancia ogni istanza bulimica21.
È in questo senso che va interpretata la scelta di costruire a tavolino un con-trappeso “periferico” all’inurbamento di massa, contingentato per evitare che le grandi città – già sottoposte ai lavori di modernizzazione ed estetizzazione del regime – degenerino in cosmopoli ove «l’uomo formato spiritualmente dalla campagna perde il contatto con la terra e diviene preda del denaro, divenendo infine vanesio e sterile»22. Al netto degli indubbi fattori di opportunità politica, degli occulti rapporti di forza interni alla gerarchia fascista e delle palesi esi-genze di controllo del dissenso, che ne sosterranno le ragioni sempre più anti-metropolitane23, Mussolini è infatti sinceramente convinto che solo applicando una leva ruralista all’azione statale, l’Italia possa modernizzarsi trovando al contempo un baricentro fra incremento demografico, lotta alla disoccupazione, aumenti degli spazi vitali e salvaguardia di valori tradizionali24. Per un orizzonte ultimo che può vedersi sintetizzato nelle parole di schietto “organicismo” redat-te dal più fidato consigliere del Duce, suo fraredat-tello Arnaldo:
Vi è qualcuno in Italia che nella politica rurale, fermamente perseguita dal Governo, vede con esagerato pessimismo il tramonto triste e la fine ingloriosa delle città. Vi sono persino dei semplicisti, magari di recente inurbanati [sic], che si attendono l’usciere in famiglia con una carta di diffida per far rientrare al paesello di origine i profughi scesi verso le città tentacolari. Non bisogna tener conto di questi orecchianti. Vi è invece
21 Tra tutti i provvedimenti, si veda la legge n. 1092 del 6 luglio 1939 “sulle migrazioni interne e contro l’urbanesimo”, che vieta i trasferimenti nei comuni con più di 25mila abitanti, se non per ragioni eccezionali.
22 Spengler: Il tramonto dell’Occidente, cit., pp. 793-802. Il pensatore tedesco ebbe un’influenza particolare e profonda sull’animo mussoliniano, in particolar modo per quel che attiene al presunto rapporto fra inurbamento metropolitano e calo della natalità in Occidente. Cfr.: Riccardo Korherr, Regresso delle nascite, morte dei popoli, prefazione di O. Spengler e B. Mussolini, Roma, Libreria del Littorio, 1928. Nel cosiddetto “discorso dell’Ascensione” del 26 maggio 1927, considerato come l’avvio formale della lotta all’urbanesimo, Mussolini affermerà «che l’urbanesimo industriale porta alla sterilità le popolazioni».
23 Si fa particolare riferimento agli attriti fra regime e mondo industriale. Si veda: Piero Melograni, Gli industriali e Mussolini. Rapporti tra confindustria e fascismo dal 1919 al 1929, Milano, Longanesi, 1972; Franklin H. Adler, Italian Industrialists from Liberalism to Fascism, Cambridge, CUP, 1995. Sul controllo sociale, si veda per tutti: Paul Corner, Fascismo e controllo sociale, in “Italia contempora-nea”, 2002, pp. 382-405.
24 Sulle politiche per la natalità, si veda: Benito Mussolini, Il numero come forza, in “Gerarchia”, 1928, n. 9. Per una lettura storiografica, si veda: Carl Ipsen, Demografia totalitaria. Il problema della popolazione nell’Italia fascista, Bologna, Il Mulino, 1997. Sulle bonifiche e i lavori di fondazione, si vedano: Riccardo Mariani, Fascismo e “città nuove”, Milano, Feltrinelli, 1976; Andrea Di Michele, I diversi volti del ruralismo fascista, in “Italia contemporanea”, 1995, n. 199, pp. 243-267; Mauro Stam-pacchia, “Ruralizzare l’Italia!”. Agricoltura e bonifiche tra Mussolini e Serpieri, 1928-1943, Milano, FrancoAngeli, 2000; Antonio Pennacchi, Fascio e martello. Viaggio per le città del duce, Roma-Bari, Laterza, 2010.
tutta una categoria di […] ultramoderni intenti a dimostrare che la politica rurale è un regresso nella vita civile; a sentire questa gente il Fascismo vorrebbe arenare nei cam-pi il corso della modernità. Questi sono degli elementi pericolosi e disintegratori […].
Noi ci chiediamo prima di tutto: le città che si sono affollate in modo inverosimile nel dopoguerra, che cosa hanno guadagnato in fatto di civiltà e che cosa hanno acquisito per la storia? […]
Siamo noi per questo contrari alle città? No. I paesi e i grandi centri sono egualmente organismi indispensabili alla elaborazione della nostra fatica. Tutto ciò che vive in noi e per noi, si ingrana nella vita e negli interessi dei nostri simili. Il lavoro e i suoi pro-dotti vengono elaborati e lanciati. Vicino alla produzione dei campi, cento altre forme di attività, artigiane e industriali, completano la vita. Le città sono un complesso ne-cessario, civile e vitale, del mondo rurale. Ma noi non dobbiamo dimenticare che non possediamo impero e colonie ricchissime capaci di recare alle nostre città i prodotti di altre terre e di altri popoli: siamo quindi costretti a equilibrare tutte le esigenze della vita, con le nostre sole possibilità. A tal fine è indispensabile alimentare la campagna, elevare la produzione agricola, aumentare il benessere, lasciando alle nostre città il senso austero della vita, senza renderle idropiche, mostruose, senza pietrificarle nei patrimoni e nello spirito. […]
Solo così, ponendo in armonia la politica rurale del Regime con la politica sana delle città, potremo fare veramente dell’Italia nostra la Nazione armoniosa, che nel secolo XX appare, ogni giorno di più, un monito e un esempio per gli altri popoli del mondo25.