• Non ci sono risultati.

Gino Peressutti

Nel documento Il cinema nel fascismo (pagine 75-86)

Ma chi è Gino Peressutti? E quale percorso compie per giungere al progetto ese-cutivo di Cinecittà?

Peressutti è un professionista defilato, schivo; la ricostruzione delle tappe che lo portarono al progetto dei più grandi stabilimenti cinematografici europei è un’operazione a oggi ancora lacunosa.

Peressutti nasce nel 1883 a Gemona del Friuli; frequenta la scuola d’Arti e Mestieri e svolge attività pratica presso l’impresa edile del conterraneo Giam-battista Della Marina, presso cui lavora anche suo padre. Trascorre un periodo a Vienna dove subisce l’influenza dello stile liberty grazie soprattutto alla fre-quentazione dei seminari tenuti dall’architetto Raimondo D’Aronco che, dopo l’Esposizione d’Arte Decorativa Moderna di Torino del 1902 e l’Esposizione Na-zionale di Udine del 1903 (a cui peraltro partecipa anche Gino Peressutti), sale alla ribalta dell’architettura contemporanea e diventa uno dei massimi esponen-ti dello sesponen-tile liberty.

5Sull’argomento, si veda il saggio in due parti di Noa Steimatsky, Cinecittà campo profughi (1944-1950) sui numeri 560 e 561/562 di “Bianco e Nero”, Carocci, 2008. Si segnala inoltre il film docu-mentario di Marco Bertozzi Profughi a Cinecittà (2012). Il film racconta la trasformazione subita da Cinecittà fra il 1943 e il 1950 attraverso un montaggio di immagini d’epoca – tra le quali, quelle dell’unico film girato fra i rifugiati degli stabilimenti, Umanità (Jack Salvatori, 1946) – e lo sguardo di un gruppo di profughi ritornati oggi a Cinecittà per ricordare quel periodo.

6Cfr. Barbara Crespi, Cinecittà: utopia fascista e mito americano, in Orio Caldiron (a cura di) Storia del cinema italiano 1934-1939, vol. V, Venezia, Marsilio, Edizioni di Bianco & Nero, 2006, p. 133; Jean A. Gili, Stato fascista e cinematografia. Repressione e promozione, Roma, Bulzoni, 1981, p. 113. Sulla produzione dall’inaugurazione alla guerra: Mario Verdone, Cinecittà story. Storia personaggi e fatti della Hollywood italiana dalla fondazione ai giorni nostri, Roma, Newton, 1996.

Tra il 1904 e il 1905 Peressutti inizia, poco più che ventenne, la sua carriera padovana. Il primo progetto a lui affidato è il Pensionato Universitario Antonia-num, voluto dai Padri Gesuiti. Questa imponente architettura è la prima pre-senza del liberty nel capoluogo veneto. Le motivazioni per cui questo giovane e sconosciuto architetto ottiene un incarico di tale levatura vanno trovate nel ruolo fondamentale che ricopre, nella Padova di inizio Novecento, l’impresario gemonese Giambattista Della Marina che negli anni precedenti aveva costruito l’ampliamento del Seminario di Udine e quello della villeggiatura di Cividale (la-vori a cui partecipano anche i Peressutti – padre e figlio), su incarico dell’allora Rettore mons. Luigi Pellizzo7.

Pellizzo infatti viene nominato, fra le polemiche da parte della cittadinanza e della curia veneta, vescovo di Padova nel maggio del 1907. È facile intuire che, a partire dal successo dell’imponente progetto dell’Antonianum e grazie alla rete di relazioni instaurate da Gino Peressutti (con l’ing. Della Marina e con mons. Luigi Pellizzo), si apre una vera e propria corsia preferenziale per il futuro professionale del giovane architetto friulano.

Dopo il periodo di sperimentazione liberty, Peressutti acquista negli anni Venti e Trenta, incarichi professionali di grande importanza nella città di Padova, in cui prende residenza nel 1915. Dà prova di notevole abilità nella definizione di organismi architettonici ispirati al periodo medioevale, come la villa Meschino del 1916 realizzata con la collaborazione di Primo Tertulliano Miozzo. E diventa principale interprete di due interventi all’interno di un complesso piano edilizio – il nuovo quartiere Vanzo – progettando il palazzo Esedra e il quartiere centrale di Santa Lucia8. Questa operazione, negli anni tra il 1919 e il 1927 sconvolgerà gran parte dell’urbanistica della città di Padova suscitando accese polemiche.

Nel quadro del piano di risanamento dei quartieri centrali di Padova, viene re-alizzata negli anni Trenta piazza Insurrezione, con i suoi fabbricati principali.

Peressutti progetta due dei tre edifici che definiscono i confini della piazza: i palazzi Inps (sul lato ovest) e Cogi (sul lato nord). Archi, semicolonne giganti, frontoni, coronamento di statue, demarcano il classicismo marcato del palazzo Cogi, progettato nel 1931 e ultimato nel 1934. Più semplificato e regolare nella riconoscibilità della trama geometrica è il palazzo Inps, disegnato nel 1933 e terminato nel 1937, in equilibrio tra la precedente architettura monumentale e l’esperienza vicina al razionalismo che Peressutti compirà in seguito con il

pro-7Sulla biografia di Pellizzo: Antonio Lazzarini (a cura di), La visita pastorale di Luigi Pellizzo nella diocesi di Padova (1912-1921), Vol. 1, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1973;  Antonio Lazzarini, I cattolici padovani e il vescovo Pellizzo nell’età giolittiana, “Ricerche di storia sociale e religiosa”, n. 1, 1972.

8Mario Universo, L’architettura della Padova nova, in Lionello Puppi, Fulvio Zuliani (a cura di), Padova. Case e Palazzi, Vicenza, Neri Pozza, 1977, p. 286.

getto per Cinecittà. L’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale è uno dei più imponenti d’Italia e nella bella semplicità degli interni testimonia il gusto sicuro del progettista.

A partire dal 1935 Gino Peressutti si trasferisce a Roma, impegnato nell’idea-zione della sua opera più importante, Cinecittà.

Notiamo, incrociando le diverse informazioni, che l’attività professionale dell’architetto non perde mai il legame con l’attività pastorale di Luigi Pellizzo, il quale dal 1923 fino al 1936 (anno della sua morte) è segretario economo del-la Fabbrica di San Pietro in Città del Vaticano – una trasferta forzata queldel-la di Pellizzo da Padova a Roma, causata da inimicizie insanabili sul territorio veneto.

Durante il periodo romano Peressutti lavora anche per l’Esposizione Univer-sale del 1942 progettando assieme ad Aschieri, Bernardini e Pascoletti quello che sarebbe dovuto diventare il Palazzo della Romanità, una struttura monu-mentale dedicata alla celebrazione delle vittorie fasciste9.

Gino Peressutti è sicuramente un professionista di prim’ordine, ma l’elemento su cui non è possibile trarre delle conclusioni definitive, è la motivazione che in-duce Luigi Freddi in prima battuta e poi l’on. Carlo Roncoroni (ma anche il Duce stesso), ad affidare un progetto di tale richiamo mediatico come la Città del Ci-nema a un professionista così lontano dal dibattito sull’architettura che gravita intorno all’ambiente romano da più di un decennio.

Ci pare evidente, che un’influenza di peso deve averla avuta il mons. Luigi Pel-lizzo (pur non avendo a disposizione documenti ufficiali che confermino questa relazione), ma non è da escludersi anche l’ipotesi di una scelta in funzione del fatto che Peressutti non era mai stato implicato in polemiche e dibattiti legati ai movimenti e ai progetti realizzati dai protagonisti del razionalismo come Pia-centini, Terragni, Montuori, Scalpelli, Piccinato, Cancellotti, Michelucci, Pagano…

Dati i tempi brevi con cui si volevano realizzare gli stabilimenti cinematografici (che, si ricorda, appartengono pur sempre a una tipologia architettonica indu-striale), Freddi e Roncoroni potrebbero aver valutato di coinvolgere una figura professionale che garantisse un’elaborazione non soggetta a eventuali polemi-che dovute a particolari sperimentazioni tecnipolemi-che o formali.

Per ragioni diverse infatti, come tutti sappiamo, nel Ventennio si crea intor-no all’architettura un clima di grande fermento, intor-non solo gli addetti ai lavori, ma anche i vertici istituzionali e gli intellettuali prestano attenzione all’arte di costruire. Cinecittà, con le sue forme rigorose e funzionali, è percepita come un valido esempio di quel linguaggio nazionale capace di unificare visivamente il

9Cfr. Giorgio Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Torino, Einaudi, 1989. Sulle mostre permanenti pensate per l’esposizione: Maurizio Calvesi (a cura di), E42. Utopia e scenario del regime. Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Venezia, Marsilio, 1987; Michele Vajuso, E42, la gestione di un progetto complesso, Roma, Palombi, 2007.

paese. Se è vero, come vedremo fra poco, che gli stabilimenti nascono guardan-do al modello degli studios americani, è vero anche che un centro pienamente autosufficiente e concepito come città a sé, fisicamente separato dalle altre aree urbane, e con una propria logica di sviluppo urbanistico e funzionale, riflette completamente il disegno mussoliniano di fare del territorio lo specchio dell’or-ganizzazione del regime.

Non è stata rintracciata la documentazione ufficiale relativa ai rapporti inter-corsi tra Mussolini e Peressutti o tra Peressutti e Freddi prima della progettazio-ne di Ciprogettazio-necittà, ma è utile compiere un percorso di raffronto fra i diversi teatri di posa europei attivi negli anni Trenta, a partire dalle informazioni sul viaggio di studio che avrebbe compiuto l’architetto poco prima di firmare le prime tavole del progetto per gli stabilimenti del Quadraro.

Gino Peressutti nel saggio che pubblica sulla rivista “Cinema”, il 25 aprile del 1937 dichiara:

L’on. Roncoroni nell’affidarmi l’incarico dello studio del complesso progetto, ha voluto che io visitassi espressamente i maggiori Stabilimenti Cinematografici d’Europa.

Questo mio viaggio, effettuato ai primi di novembre – anno XIV, mi fece vedere tut-ta l’importut-tanza dell’incarico affidatomi, e la utilità di creare finalmente in Europa un centro consono alle necessità moderne della cinematografia, e degno dei compiti che le sono destinati. Difatti tutti i maggiori centri di produzione cinematografica, sia a Vienna che a Berlino e Parigi, sono o riadattamenti di vecchi Stabilimenti, o sono studi che lasciano scorgere evidenti lacune, sia per quanto riguarda la disposizione, spesso non logica o poco razionale, sia per ciò che riguarda il non adeguato sfruttamento dei ritrovati tecnici raramente utilizzati con sagacia. Solo gli Stabilimenti nuovissimi della London film, a Londra sono, al momento attuale, quanto di meglio vi possa essere nel campo della Cinematografia in Europa, e presentano un complesso organico e una bene studiata disposizione generale, dove si è tenuto evidentemente conto della diffi-coltà di girare all’aperto, dato il clima locale. Tali Stabilimenti però, per quanto interes-santi, non possono essere presi a modello per il nostro Paese, ove invece bisogna dare valore alla possibilità di girare all’aperto in una gran parte dell’anno10.

Poco più di un mese dopo il disastroso incendio della Cines, Peressutti compie il viaggio negli studios europei e nel novembre del 1935 pone la firma sulla prima tavola del progetto.

L’architetto lavora sulla distribuzione dei teatri, conciliando la necessità di disimpegno con quella di accentramento, attraverso la progettazione di un siste-ma di singoli gruppi organici di produzione comprendenti ciascuno una coppia indipendente di teatri con i relativi servizi adiacenti.

10Gino Peressutti, Cinecittà, “Cinema”, n. 20, aprile 1937, p. 302-306.

Possiamo formulare delle ipotesi riguardo alla documentazione acquisita du-rante il viaggio da parte dell’architetto.

Gli stabilimenti cinematografici europei negli anni Trenta, in generale, non rappresentano un modello da seguire. Innanzitutto perché, a parte quelli della London Film, sono strutture obsolete, nate nel pre-sonoro e convertitesi da poco alle esigenze del sonoro; in secondo luogo perché le caratteristiche di clima e di varietà di panorama di Roma e dintorni, non sono paragonabili a quelle delle altre capitali europee.

Gli stabilimenti della London Film, meglio conosciuti con il nome di Denham Film Studios11, fondati dal produttore e regista Alexander Korda, dovevano essere in fase avanzata di progettazione nel momento del sopralluogo di Gino Peres-sutti, perché furono ufficialmente inaugurati solo nell’estate del 1936. Nonostan-te siano il miglior esempio nel campo della progettazione di Nonostan-teatri di posa, gli stabilimenti si trovano a circa cinquanta chilometri da Londra, elemento aggra-vante nel bilancio economico di un film, soprattutto rispetto agli spostamenti delle maestranze e all’accoglienza delle masse; inoltre presentano un comples-so organico e una bene studiata disposizione generale, ma ragionata prevalen-temente in funzione delle difficoltà di girare in esterni a causa delle condizioni climatiche del territorio britannico, di gran lunga diverse dal clima mediterraneo che caratterizza la città di Roma.

L’impianto estetico del complesso edilizio inglese è tipicamente industriale, non mostra esigenze di rappresentanza o uno stile architettonico individuabile e definito, a differenza della città cinematografica voluta dal Duce, modello indu-striale, prima di tutto, ma anche simbolo dell’Impero.

Gli studi londinesi e quelli di Cinecittà hanno un approccio distributivo com-pletamente diverso.

I Teatri londinesi sono serviti da un corpo di fabbrica a loro perpendicolare, ma autonomi gli uni rispetto agli altri; non presentano piazzale d’ingresso con funzioni di coordinamento generale ma accessi diretti con mezzi di trasporto o nella zona dei teatri di presa o nella zona dedicata alle lavorazioni (carpenteria, falegnameria ecc.). I teatri di via Tusculana, disposti lateralmente all’asse cen-trale, tranne il teatro 5 che si trova sull’asse, sono strutturati invece a gruppi di due teatri coordinati.

Sulla questione distributiva sul quotidiano “Il Messaggero”, poco dopo l’ap-provazione del progetto di Cinecittà da parte del Capo del Governo, si legge:

11Sugli stabilimenti: Frederic P. Miller, Agnes F. Vandome, John McBrewster (a cura di), London Films: Production Company, Alexander Korda, Denham Film Studios, Buckinghamshire, The Private Life of Henry VIII, Rembrandt (Film), The Four Feathers, United Kingdom, Alphascript Publishing, 2010.

Korda per esempio preferisce costruire i suoi teatri a notevoli – relativamente s’intende – distanze l’uno dall’altro; e alcune grandi ditte di Hollywood usano lo stesso sistema che conferisce certo una autonomia maggiore e quindi una maggiore individualità ai vari film in produzione, evitando le interferenze fatali quando i teatri sono raggruppati.

Ma un criterio del genere che i grandi organismi industriali d’Inghilterra e d’America sopportano, data la unità di comando che deriva dall’unità del capitale, sarebbe, in Ita-lia, il logico, per la natura stessa della nostra industria, che almeno per ora, è costituita in massima parte da produttori indipendenti. Se gli stabilimenti fossero sparpagliati, ogni produttore costituirebbe nell’ambito del teatro o dei teatri a sua disposizione una specie di piccolo potentato indipendente, che sfuggirebbe facilmente al controllo e alla disciplina indispensabili. È quest’anarchia che si è voluta evitare, pur tenendo pre-sente la necessità di disimpegno dei vari teatri12.

In Germania Peressutti visita gli stabilimenti dell’Ufa, a Neubabelsberg a sud ovest di Berlino, di realizzazione anteriore al sonoro, ampliati nel 192213.

Gli imponenti teatri berlinesi, nonostante le carenze tecniche, fino all’inau-gurazione di quelli di Cinecittà, detengono il primato europeo dal punto di vista dell’estensione ricoprendo un’area di 430.000 metri quadrati.

In Francia Peressutti si reca degli studi Pathé di Joinville-le-Pont i più grandi e importanti dell’epoca, costruiti da Charles Pathé tra il 1908 e il 1910 (e in attività fino al 1987)14. Gli studi, anche questi costruiti in epoca pre-sonora, e adattati alle nuove esigenze foniche, sorgono nei pressi di Parigi sulle sponde della Marna, in una zona densamente abitata. Le dimensioni dell’area coperta dagli stabilimenti sono piuttosto ridotte e non vi è un vero e proprio ragionamento urbanistico-distributivo che preceda la costruzione. A partire dalla pre-esistenza di alcuni teatri, sono stati costruiti i servizi di pertinenza e la modalità di ampliamento è condizionato dalla struttura del tutto irregolare del lotto. Le condizioni sono dunque integralmente diverse da quelle in cui si trova a lavorare l’architetto di Cinecittà, che dispone di ampie metrature e di grande libertà progettuale.

12  La Città del cinema al Quadraro, “Il Messaggero”, Roma, 5 gennaio 1936.

13Sugli stabilimenti a Neubabelsberg si veda: Hans Michael Bock, Michael Toteberg, Das Ufa Buch.

Kunst und Krisen - Stars und Regisseure Wirtschaft und Politik, Zweitausendeins, Frankfurt, 1992; si veda inoltre, Davide Cassani, Voce UFA (L’Universum Film Aktiengesellschaft), in Fernaldo Di Giam-matteo, Dizionario universale del cinema, vol. II Tecnica, generi, istituzioni, autori, Roma, Editori Riuniti, 1985, pp. 268-271; sul rapporto dell’Ufa con l’Italia: Riccardo Redi, Ufa in Italia, in Giovanni Spagnoletti (a cura di), Schermi germanici. Ufa 1917-1933, Mostra Internazionale del Nuovo Cine-ma, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 91-97. Si vedano anche gli altri saggi contenuti nel volume.

14Sugli stabilimenti di Joinville-le-Pont si veda almeno: Christian Brieu, Laurent Ikor, Jean Michel Viguier, Joinville, Le Cinéma: Le temps des Studios, Paris, Ramsay, 1985; Jacques Kermabon (a cura di), Pathé Premier Empire du Cinéma, Paris, Centre Georges Pompidou, 1991.

A Nizza, invece, Peressutti visita gli studi della Victorine, costruiti nel 191915 e resi celebri a tutti dal film La nuit américaine (1973) di François Truffaut. Gli studi, sviluppati su una superficie di 65.000 mq, sono di dimensioni assai ridotte rispetto a quelli tedeschi, parigini, inglesi e ai costruendi italiani. Ma le particola-ri qualità del clima permettono al complesso di produzione cinematografica di essere considerato la Hollywood francese. Le caratteristiche sia strutturali che distributive (l’estensione è quasi dieci volte inferiore ai 600.000 metri quadrati del Quadraro), a prescindere dalle caratteristiche climatiche mediterranee, evi-dentemente simili a quelle italiane e particolarmente favorevoli per le riprese esterne, non sono d’esempio alla futura Cinecittà.

Se, come abbiamo appena visto, gli stabilimenti europei non hanno influen-zato in modo rilevante l’elaborazione del progetto per Cinecittà, osservando le caratteristiche dei teatri della First National/Vitaphone Studios di Burbank in Ca-lifornia, si notano – come si vede dalla foto aerea – evidenti similitudini.

L’impianto distributivo dei due stabilimenti è analogo. Entrambi presentano un ingresso principale di ampio respiro in cui si dispongono edifici bassi dedicati alle funzioni amministrative e gestionali e, disposti parallelamente ad un asse centrale (ma in senso opposto), i teatri di posa.

È chiara la forte influenza del modello hollywoodiano, non solo sul piano organizzativo dell’industria cinematografica, ma anche su quello squisitamente architettonico, anche se l’unica fonte che attesta l’effettiva conoscenza da parte dell’architetto dei progetti degli stabilimenti californiani è quella di Luigi Fred-di che afferma: «Gino Peressutti, prima ancora Fred-di definire il piano della futura costruzione, aveva iniziato il giro degli stabilimenti europei per rendersi conto del grado di perfezione raggiunto dai diversi complessi di produzione. Berlino prima, poi Londra, Parigi, Nizza. Io gli fornii i piani e i dati degli stabilimenti di Hollywood»16.

15Sugli stabilimenti di Nizza si veda almeno: Anne Elizabeth Dutheil de la Rochère, Les Studios de la Victorine, 1919-1929, Paris-Nice, Association Francaise de Recherche sur l’Historie du Cinéma &

Cinémathèque de Nice, 1998.

16Freddi, Il Cinema, cit., p. 277.

Il Progetto

Gino Peressutti progetta gli edifici degli stabilimenti dando loro una precisa disposizione logico funzionale. La maggior parte del complesso fa chiaro ri-ferimento all’architettura razionalista. Lo stile è particolarmente evidente nei fabbricati posti vicino all’ingresso principale, caratterizzati da forme geometri-che semplici e lineari. Angeometri-che se si notano nella veduta prospettica della prima versione dell’ingresso principale dei motivi decorativi disegnati in facciata, un richiamo allo stile decorativo liberty, tipico dei progetti eseguiti dall’architetto nel primo decennio del Novecento a Padova. I motivi floreali e non, sono stati poi eliminati disegni prospettici successivi.

La parte dei teatri di posa, invece, considerata il fulcro degli stabilimenti, è caratterizzata da un’architettura più semplice e pratica, completamente funzio-nale alla destinazione d’uso.

Per la disposizione dei corpi di fabbrica Gino Peressutti ha fatto riferimento a un preciso criterio, che consiste nel collocare i singoli volumi in base al loro rapporto più o meno diretto con gli studi di posa.

Lo studio planimetrico è stato affrontato

in funzione delle condizioni climatiche di Roma, che permettono di esplicare la la-vorazione all’aperto. Essa è stata progettata in modo da consentire, com’è avvenuto, un ulteriore grande sviluppo oltre a tutti quegli ampliamenti che il continuo divenire nella tecnica cinematografica rende necessari. In dipendenza dalle necessità di funzio-namento dei servizi, reparti ed impianti, venne stabilito di disporre in una prima zona, attorno ad un grande piazzale a parco, situato dietro l’ingresso principale di via Tusco-lana, gli edifici destinati ai servizi tecnici e le costruzioni del teatro di sincronizzazione e della proiezione modello, del ristorante e del reparto edizioni. In una limitrofa secon-da zona è stato ordinato il complesso dei teatri e dei servizi relativi. Nella terza zona, verso la via di Tor Spaccata, sono stati raggruppati i servizi industriali ed accessori. I singoli edifici delle diverse zone sono stati studiati ciascuno in funzione delle sue par-ticolari esigenze, nell’intento di conseguire la migliore soluzione tecnica ed utilitaria 17.

Il progettista si propone pertanto di rispondere, nello studio preventivo, a tre caratteri fondamentali:

1 - organicità della disposizione planimetrica in rapporto alle esigenze tecni-che e industriali;

2 - rapidità di organizzazione del lavoro al costo del film e alla sua perfezione tecnica ed artistica;

3 - raggiungimento delle migliori condizioni acustiche

17Ivi, p. 276.

Per raggiungere tali obiettivi, Peressutti lavora principalmente sulla disposi-zione degli studi di presa.

Gli Studi di presa nel loro assieme, e rispetto ai fondali, ai camerini degli artisti, agli

Gli Studi di presa nel loro assieme, e rispetto ai fondali, ai camerini degli artisti, agli

Nel documento Il cinema nel fascismo (pagine 75-86)