Nel suo processo d’instaurazione dittatoriale – formalmente avviato nel genna-io 19251, ma sostanzialmente preparato dalla schiacciante e contestata vittoria elettorale del 6 aprile ’24 – il regime fascista aveva sin da subito fatto ricorso ad una retorica neo-romanica, che permetteva di legittimare idealmente lo Sta-to litSta-torio come erede moderno delle più alte esperienze di potenza espresse in passato dall’Italia: i Cesari e i Pontefici temporali. Un discorso che guardava evidentemente all’Urbe come a una sineddoche del Paese tutto, quindi come alla concrezione storica di ciò che nella contemporaneità nostrana restava della grandezza che fu2.
In questo senso, la rigenerazione totalitaria che avrebbe dovuto riportare la nazione alla testa del mondo latino, iniziava forzatamente dalla riconfigurazio-ne radicale della città eterna tri-millenaria, la quale, seppur caduta in disgrazia, continuava a rappresentare una capitale naturale ed obbligata per via del suo valore spirituale universale3. Proiettando allora la propria «azione politica per la creazione del futuro» attraverso la «ierofania della Roma eterna nell’epoca della modernità»4, le direttive mussoliniane intendevano aprire un nuovo corso
1 Il debutto formale della svolta dittatoriale viene comunemente individuato nel discorso che Be-nito Mussolini tiene, da capo del Governo, il 3 gennaio 1925 alla Camera dei Deputati, nelle more dell’affare Matteotti: «Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associa-zione a delinquere, io sono il capo di questa associaun’associa-zione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi. […] Allora viene il momento in cui si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza. Non c’è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai. Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono in piena efficienza. […] Voi state certi che nelle quarantott’ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area. Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria». Per lo stenografico completo, si veda: http://storia.camera.it/regno/lavori/
leg27/sed049.pdf
2 Cfr. Alessandro Bacchiani, Roma nel pensiero di Benito Mussolini, in “Capitolium”, 1925, n. 7, pp.
336-338.
3 «Roma e Italia non sono infatti due termini inscindibili. […] Il grido mazziniano e garibaldino di
“Roma o morte!” non era soltanto un grido di battaglia, ma la testimonianza solenne che senza Roma capitale, non ci sarebbe stata unità italiana, poiché solo Roma, e per il fascino della sua stessa posizione geografica, poteva assolvere il compito delicato e necessario di fondere a poco a poco le diverse regioni della Nazione», Benito Mussolini, Passato e avvenire, in “Il Popolo d’Italia”, 21 aprile 1922.
4 Emilio Gentile, Fascismo di pietra, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 48 e 193.
mistico e genetico: si trattava di rifondare il carattere degli italiani su quei perdu-ti attribuperdu-ti di gerarchia sociale, lavoro pacificato, virtù militaresca e vitalità della razza che la fisionomia dell’urbanistica neo-romanica era in grado di evocare5. Una «vasta colata di ideologia pietrificata» che andava a rivestire le pareti del crogiuolo fascista nel quale sarebbe stato modellato l’homo novus novecente-sco, depurato dalle sue tare di secolare servilismo ed evoluto in guerriero di ci-viltà italica6. Per la capitale, ciò significava innanzitutto annichilire tutte quelle
“eccezionalità” che, da ben prima della “Breccia di Porta Pia”, ingabbiavano l’Ur-be nella “questione romana” – dimensione di resilienza anacronistica alle evo-luzioni della Storia e dunque fattore di endemica inefficienza funzionale al suo ruolo direzionale di capitale – per mettere finalmente in continuità il glorioso passato e la riscossa presente della città7.
Riunire in un unico organismo urbano la tradizione più antica e la tecnologia più recente, partendo da una realtà così arretrata e da una reputazione così de-caduta, pone tuttavia il regime di fronte a due ordini di problemi, inerenti alla dimensione simbolico-monumentale (la grandezza) e all’aspetto logistico-mate-riale (la necessità)8.
I problemi di Roma, la Roma di questo XX secolo, mi piace dividerli in due categorie: i problemi della necessità e i problemi della grandezza. Non si possono affrontare que-sti ultimi, se i primi non siano stati risoluti. I problemi della necessità sgorgano dallo sviluppo di Roma e si racchiudono in questo binomio: case e comunicazioni. I problemi della grandezza sono d’altra specie: bisogna liberare dalle deturpazioni mediocri tutta la Roma antica, ma accanto alla antica e alla medioevale, bisogna creare la monumen-tale Roma del XX secolo. Roma non può, non deve essere soltanto una città moderna, nel senso ormai banale della parola; dev’essere una città degna della sua gloria e
que-5 Non a caso, la primissima tappa della sacralizzazione della “rivoluzione fascista” fu l’istituzione nel 1923 del Natale di Roma (21 aprile, anniversario della fondazione di Roma nel 753 a.C.) quale
“festa del lavoro”, in sostituzione del “rosso e sovversivo” 1° Maggio. Cfr. Dino Cofrancesco, Appunti per una analisi del mito romano nell’ideologia fascista, in “Storia contemporanea”, 1980, n. 3, pp.
383-411; Romke Visser, Fascist Doctrine and the Cult of the Romanità, in “Journal of Contemporary History”, 1992, vol. 27, pp. 5-22.
6 Cfr. Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 146-154; Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 143-181.
7 Cfr. Marcello Piacentini, La grande Roma, in “Capitolium”, 1925, n. 7, p. 412-418. Per la letteratura:
Françoise Liffran, Rome, 1920-1945 : le modèle fasciste, son Duce, sa mythologie, Paris, Autrement, 1991; Borden W. Painter Jr., Mussolini’s Roma. Rebuilding the Eternal City, New York, Palgrave Mac-millan, 2005.
8 Cfr. Joshua Arthurs, Excavating Modernity. The Roman Past in Fascist Italy, Ithaca-Londra, Cornell University Press, 2013.
sta gloria deve rinnovare incessantemente per tramandarla, come retaggio dell’età fascista, alle generazioni che verranno9.
L’autoproclamato “piccone demolitore e risanatore” che sconvolgerà Roma nell’arco del Ventennio10, lavorerà per l’appunto lungo questi due assi, riuscendo (grazie soprattutto al suo fanatismo megalomane ed al suo autoritarismo ope-rativo, che finiranno per passare sulla testa di cittadini e pratiche consolidate)11 a dare una prima organizzazione razionale ad un sistema urbano fatiscente12, oltreché sottoposto ad un impetuoso incremento demografico13. Riprendendo l’analisi elaborata da Bruno Tobia,
per la prima e unica volta nel corso della sua storia di città contemporanea, Roma ha toccato un vertice di riordinamento a partire da una idea organica, dalla quale sono scaturite la riformulazione del centro storico, l’ampliamento della città nuova e quel nascondimento della città illegale e provvisoria, mediante la creazione di borgate uf-ficiali, che fu anche il modo mediante il quale venne controllato e dominato il disagio sociale, per altro mai tradottosi in un conflitto vero e proprio ed esplicito. […] Insomma, Roma, pur anche disattendendo, secondo le migliori tradizioni, il piano regolatore del 1931, sembra giunta ad adeguare finalmente la propria forma al proprio contenuto, adempiendo lo scopo simbolico del ruolo a cui è destinata. […] È un risultato di grande importanza a cui l’Italia liberale non era stata in grado di pervenire. Il fascismo lo co-glieva invece con successo, proprio in virtù di quell’ansia di signoreggiare il tempo dan-do una forma nuova allo spazio, che è propriamente tipica di tutti quei regimi i quali si pensino portatori di istanze rivoluzionarie. […] una Roma che adesso riconquista una
9 Benito Mussolini, Discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma, 21 aprile 1924. Ora in Id., Opera Omnia, vol. XX, Firenze, La Fenice, 1956, pp. 234-236.
10 In termini di propaganda di regime, si vedano i cinegiornali Luce diffusi nelle seguenti date:
ottobre 1929, aprile 1931, settembre 1931, 25 novembre 1932, 18 settembre 1935, 15 aprile 1936, 29 aprile 1936, 24 giugno 1936, 3 marzo 1937, 27 aprile 1938, 31 maggio 1939, 16 agosto 1939.
11 «I cosiddetti sventramenti operarono in lungo e largo del centro storico, premesse a sistema-zioni progettate secondo criteri che miravano alla creazione di scenari da cartolina: le emergenze monumentali, talvolta le chiese, divennero i fondali di nuove vedute prospettiche ammirabili da lontano, isolate e staccate dall’assetto unitario che vedeva gli ambienti antichi praticamente im-mersi in quelli formatisi nelle epoche successive. Alcuni luoghi della città vecchia, come l’insieme di vie e piazze che univano la zona dei Cerchi al Campidoglio, caratterizzati da fitti reticolati abitativi formati da case a tre o quattro piani addossate le une alle altre, passarono da densità di popola-zione molto elevate allo zero assoluto», in Luciano Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbana, politica e sociale della periferia romana, Milano, Ledizioni, 2012, pp. 207-208
12 Per una analisi critica dell’amministrazione fascista di Roma, si veda: Paola Salvatori, Il gover-natorato di Roma. L’amministrazione della capitale durante il fascismo, Milano, FrancoAngeli, 2006.
13 La popolazione romana raddoppia fra il 1921 e il 1941, arrivando a sfondare il 1.300.000 abitanti agli inizi del secondo conflitto mondiale. Cfr. Lanfranco Maroi, Aumento e composizione della po-polazione di Roma secondo i risultati dei censimenti del 21 aprile 1936-XIV, in “Capitolium”, 1937, pp. 618-627; Id., Incremento naturale e incremento artificiale della popolazione di Roma, in “Capi-tolium”, 1941, pp. 399-400.
fluidità da gran tempo dimenticata nel rapporto tra momento simbolico-celebrativo e vita quotidiana. La giacitura monumentale della capitale fascista serve alle parate e alle manifestazioni del regime, ma al tempo stesso è pensata per la città moderna dei traffici e della comunicazione, per la vita che deve pulsare intensamente in una metropoli d’oggi14.
In virtù di questo successo sostanziale - risultato per contrasto delle colpevoli negligenze e malversazioni evidenziatesi nella precedente età liberale e nella successiva stagione repubblicana – il regime fascista fa di Roma capitale, l’e-picentro e la vetrina della propria palingenesi neo-imperiale: trasforma, vale a dire, la città eterna nell’avanguardia italiana di quella “metropoli” che è la cifra distintiva del più recente sviluppo occidentale15.