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CENNO SULLA NOMENCLATURA. BOTANICA Sì LATINA CHE VOLGARE... Eugène : de Reboul. 9 Digitized by Google

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CENNO SULLA NOMENCLATURA

BOTANICA

LATINA CHE

VOLGARE...

Eugène

:

de Reboul

9

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(3)
(4)

2/

Cenno

sulla

nomenclatura botanica

latina che volgare considerata ne suoi rapporti con

la

lingua

italiana.

Memoria

del

Socio ordinario Eugenio Reboul,

letta alla

R. Ac- cademia dei

Georgofili di

Firenze nelPAdu- nanza

del dì

7 Gennaio

1849.

1 (E$tr.dagli*™,Voi.XXVII)

ti***'

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Non

del tulio abbandonalo dai naturalisti, Vuso della lingua Ialina, utile agli scienziati per la dif- fusione delle loro idee,si è mantenuto costantemente nella nomenclatura degli esseri organizzati; la quale

,

comune

a tuttele nazioni, adattasi allevarie lor favel- le, standovi i nomi latini a guisa di termini tecnici.

Ma

Tindole delle lingue in cui vengono incorporati non sempre permette che vi conservino i loro attributi grammaticali, e qualora li perdano ne resultano in quel linguaggio misto delle locuzioni eteroclite. Circa del che, limitandomi alla lingua italiana ed ai nomi de* vegetabili, siami concesso, chiarissimi Colleghi, esporre pochee breviconsiderazioni, nonestranee agli studj vostri, nè forse affatto immeritevoli dell'atten- zione de'filologi.

Meglio d'ogni altra può la linguaitaliana, perla sua grande analogia col latino, appropriarsene i nomi.

Nel passarvi quelli delle piante subentrano ordinaria- mente a dei loro derivati, di cui risvegliano l'idea per omofonia, talmenteche, in forza della prepoode-

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ranza che conserva nel discorso la lingua in cui è costrutto, la concordanza dei nomi latini non di rado deve accomodarsi a quella dei loro derivati. Per bene intendere quali sono i casi in cui ciò segue gioverà ricordare:

Che

il

nome

completo d'una specie, cioè compo- sto del

nome

generico e dello specifico, essendo pro- prio di quella sola cui viene applicato non è suscetti- bile di plurale;

Che

il suo genere grammaticale vien determina- to dal

nome

generico;

Che

il

nome

d'un genere, essendo applicabile, salvo rare eccezioni, a più specie, usato isolatamente

si adopra anche al plurale.

Ciò premesso, appoggiandomi agli scrittideibota- nici toscani, ed ai colloquj avuti seco loro, credo po- tere asserire che nel linguaggio misto i nomi latini prendono, ove non V abbiano con essi comune, il ge- nere dei loro derivati,

meno

che abbiano desinenza italiana; nel qual caso ritengono il proprio, e inomi generici usati isolatamente, si declinano al plurale, mentre nel caso contrario restanoindeclinabili. Alcuni esempj saranno di schiarimento a questo mio concetto

Non

si contrasterà che, nonostante la sconcor- danza che ne resulta, non debba dirsi, per esempio

,

ilpinus viaritirila, il cupressus disticha, il salix vitel- lina. Or, per qual motivo deve il

nome

latino

cam-

biare il proprio genere in quello del suo derivato, se non perchè, usurpandone il luogo in un discorso ita- liano, lo richiama alla mente? Se mi si volesse ob- biettare che, senza cercarlo nel suono della parola

,

può trovarsi neirindole diversa delle duelingue, che vuole i nomi degli alberi generalmente feminini inla- tino,spesso mascolini in italiano, risponderei checon- servano il proprio genere, non soloquei nomi latini

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5

di piante arboree, i di cui derivati italiani sono essi pure feminini,

come

peresempio la Quercia,

ma

quelli ancora la di cui desinenza è non

meno

italiana che latina, per esempio, la Tilia europaea, la

Cananea

vesca, quantunque i loro derivati, Tiglio, Castagno,

Steno mascolini. Chiara n'è laragione; atta, caslanca, in grazia della loro desinenza, diventano in questo caso latinismi,

come

lo sono rosa, salma e mille al- tri, e nulla rendesi la rimembranza de'loro derivali.

Frequentissimi sono i nomi generici di tal desi- nenza nellanomenclatura Ialina dellepiante, edhanno tanla somiglianzacongl'italiani, eh*è forza declinarli al plurale, ove per quanto lo comporta ildittongoia- lino, suonano ancora italianamente; onde dicesi: le tiliae, lerotae, lesalviae, leveronicae,legalegae,etc.

Nelle condizioni stesse di quei latinismi trovatisi alcuni grecismi, che neppure i Latini ne disgiunsero.

Tali sono, per esempio, Androsace,

Anemone,

ed al- tri simili. Però dicesi: le Androsacae le Anemonae.

Al contrario, e di qualunque genere sieno,resta- no indeclinabili inomi latini quando non hanno desi- nenza italiana, nò al singolare,né al plurale, perciò dicesi; iirifolium,gliacer,gliaster, i

rumex

, lecarex,

le vitis, leanagaltis,etc.

Avvi un'altra categoria di nomi Ialini, la quale comprendequelli, che mascolini, o

come

tali consi- derati nel linguaggio misto, hanno desinenza italiana solo al plurale, per esempio, philadelphus, sambucus.

Coerentementeall'enunciatoprincipio,sembra che deb- bano declinarsi, e che per la stessa ragione che si

dice: lerosae, le salviae, debba dirsi: i philadelphi,i

sambuci. Pure qualoracadano in discorso insiemea dei nomi indeclinabili, credo sia meglio non declinarli

,

onde direi: i pini edicupressi, i pinus e gli abies; le saturejaee i Ihymi, i thymus e gli origanum.

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Non

m'iooUreiò maggiormente neiresame diquel linguaggio botanico, che volentieri chiamerei italico- latino. Neil*accennarne le regole generali altro scopo non ho avuto se non quello di ridurlead unmedesimo principio,quale ioscorgonell'influenza, che mediante

le proprie desinenze, esercita la lingua italiana sopra

i nomi Ialini. Abbastanza avròdettosu diciò, se

non

mi sono illuso, e nel caso contrario, inutile sarebbe tutto quello che potrei aggiungere. Passo a ragionare della nomenclatura metodica volgare.

Dappoiché ibotanici,ondeovviareairincongruen- za de*nomi usuali delle piante, di

comune

consenso statuirono che i loronomivolgari altro nondovessero essere senonchefedeli traduzionidegliscientifici latini, la nomenclatura melodica volgare venne a collegarsi alla scientifica latina, stabilendosi in tal

modo

intima relazione fra il linguaggio familiare e lo scientifico presso ciaschedun popolo, e fra luttiquella uniformità di nomenclatura volgare, che la diversità dellelingue consente.

Se la lingua italiana, per la sua stretta affinità con illatino, ha potuto meglio d'ognialtra appropriar- sene i nomi nel linguaggio botanico misto,

meno

dr qualunque altra se ne allontanerà traducendoli, e la sua nomenclatura volgare sarà di tutte la più consen- tanea alla Ialina. Questo vantaggio lo deve in grao parte ai latinismi e agli ellenismi di cui abbonda, ed io divido l'opinione di quei botanici, che, ne' limiti dell'indole sua, non sono avversi ad accrescerne il

numero

;

ma

non per questo ne loderei I'abuso, e in specie neinomi generici, noncredo che senedebbano introdurre senza bisogno.

A

un' epoca in cui inomi delle piante senza ave- re la regolarità della nomenclatura linneana ne ave- vano alle volte la semplicità, il Mattioli, traduceodo

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7 ad lileram, distingueva ne*suoi commentarj il popolo bianco, il popolo nero, il popolo libico. Più dicevole,

ma

inutile sarebbe oggi il latinismo populo, giacchéil

nome

di pioppo manifesta a sufficienza la sua deriva- zione. Cosi faggio, pero, melo ed altri; e se taluno non sembrasse rivelare la propria etimologia, non per

«fuesto renderebbesi necessariounlatinismo, poichénon è <robbligoche il sinonimo volgare d'un

nome

lati-

no ne sia

un

derivato. Bensì, ove ad un

nome

Ialino corrispondanodue nomivolgari,unode' quali nederivi e l'altro no, va preferito il primo; perciò morus é stato meglio tradotto per morodi quello ch'esser lo potesse per gelso, né dovette fare ostacolo l'accozza- mento delle parole in

moro

bianco, moro nero,cheri-

chiama alla mente t popoli del Mattioli.

Ma

cornus è stato convenevolmente tradotto per corniolo. Prunoè piuttosto un latinismo che una traduzione, poiché se n'é cangiato il significato dandogli quello di prunus.

Diunthus è stato tradotto per garofano, che di fatti vi corrisponde in italiano;

ma

allora, per esser conse- guenti, bisognava tradur prunus per susino, lo che

non

facendo, dianlo è preferibile a garofano. Brossica è un buon latinismo,

ma

, per avventura, non sarà inutile la precauzione presa dal Mattioli, che trattan- done comincia ilsuo capitolo col dire:

Chiamiamo

noi in Toscana la Brassica Cavolo.

1 latinismi e gli ellenismi, rendonsi indispensabili per quei generi di piante, che non essendo di nessun uso economico non hanno

nome

volgare. Tali sono:

(a maggiorpariedei generi di varie famiglie, le dicui specie sono comprese presso che tutte sotto un

nome

solo, come-i muschi, i licheni; i generi che slaccati da altri hanno cessatod'aver nomi volgari; peresem- pio quelle Valerianae, che oggi costituiscono il genere Centranthus, prendono il

nome

di Centranto. Lo slesso

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8

accade per gli altri generi smembrati dalla Valeriana, e generalmenteper tulli quelliche resultanodasiffatte divisioni.

Latinizzati da tutte le linguemeritano particolare attenzione i nomi patronimici, ossia didedica. Linneo volle che fossero religiosamente conservati,

come

ri-

compensa non peritura di servigi resi alla scienza; al che applaudenti i botanici tulli, acciò chiara ne resti l'origine, hanno voluto che non se n'alteri l'ortogra- Ga.

Adunque

, avendo questi nomi, eccettuatine po- chissimi, desinenza italiana, debbono generalmente passarenonmutati nella nomenclatura volgare. Alcuni botanici hanno creduto doverli volgarizzare accomo- dandone l'ortografia alla pronunzia,

ma

ciò facendo senefalsa lo scopo. Il

nome

di Marchantia,per esem- pio, scritto italianamente non

rammenta

più quello dell'uomo, cui pietà filiale lo intitolava. Sostituendovi

il

nome

volgare di fegatella, s'infrangonoadun tempo

il precetto linneano e la legge fondamentale della no- menclatura metodica volgare. Il

nome

di Sherardia,

(«diane

Vh,

per ridurlo alla pronunzia latina, o can- giatala in c,per conseguirnelapronunziainglese,viene egualmente sfigurato. Peraltro in qualche casoil

man-

tenere con troppo rigore nella nomenclatura volgare rortografia latina dei nomi patronimici, produrrebbe

l'eirellocontrario a quellochesicerca. Egli è fuor di dubbio che ai nomi degl' Italiani va serbala la propria ortografìa. Si tolgadunque Thda Matlhiola,

ma

sicon-

j/( servi in fìajkhinia. Si scriva cou e semplice non solo Cesalpinia, Tiltea,

ma

generalmente ogni

nome

in cui

il dittongo Ialino non appartenga orgioariamente al

nome

latinizzalo, così Linneo, Dodonea, Catesbea,ec.

Que'pochi nomi patronimici che non hannodesinenza italiana tradotti l'acquistano. Talisono, peresempio, Eupatorio, Teucrio, EracleoAsclepiade,Serrafalco,vol-

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9 gnrizzalidaSupatorium, Teuerium,Heracleum, Ascie- pias

, Serrafalcus.

La legge che prescrive l'esaltezza dell'ortografia pei nomi generici derivanti da cognomi, deve appli- carsi anche ai nomi specifici, che hanno la stessa ori- gine. Questi nella nomenclatura latina sono posti in genitivo, o ridotti in forma d*addiettivi.Nella nomen- clatura italiana sono pure ammissibili nell'uno e nel-

1'altro

modo

,

ma

l'ultimo sembra preferitoesclusiva- mente. Plantago Biliardi, per esempio si traduce per Piantaggine Bellardiana, piuttosto che per Piantaggine del Bellardi, lo che sarebbe più regolare;

ma

ciò che non lo è in verun conto, è I'abolizione del

nome

che indica l'origine della specie. Veronica pratajuola, per esempio, in vecedi Veronica liutbaimiu, oltre ildop- pio inconveniente avvertito poc'anzi inpropositodella Marchantia volgarizzata sotto il

nome

di Fegatella,ha quello di simulare una specie immaginaria. Devesi adunqueserbareaquesta Veronicail

nome

di

Buxbaum,

ed in qualunque forma vi si apponga, non variarne Tortografìa. SìflTatli nomispecificis'incontrano frequen- tementenellepiantecheprendonoil loro dal

nome

gene- rico dellespeciesucnivivono. Inquestocaso prevalela

formadell*addiettivo.

Erineum

Sorbi, Vitis,populinum;

ErineodelSorbo,della Vite, pioppi no. Erysibe Populi,

Leguminosaram; RrisibedelPioppo, delle Leguminose.

Diversi daglialtri,alcuni nomi specifici postiingenitivo indicano implicitamente un paragonecol genere da cui son presi;questiresiaddiettivi nel volgarizzarliserbano la loro concisione. Chrysanlhemum Achilleae, Crisante-

mo

achilleiforme.

Inqualche casoil dipartirsidauna versione troppo servile,quando non induca inerrore,puòessereoppor- tuno.

Adiamo

Capelvenere, per esempio, è un'elegante traduzionediAdiantum Capillus Veneris. I nomi di5co-

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10

lopendrio officinale, Cetracca officinale sono preferibili a quelli che resulterebbero dalla Irailu/ione letterale di Scolopendriumofficinarum, Ceterachofficinarum, atteso- ché il significalo dei nomi specifici è il medesimo io

ambedue

le lingue. Peraltro, ove un

nome

specifico latino possa tradursi in varie maniere, senza che se ne cangi il senso, sarebbe desiderabile che i botanici fosserd'accordo tra loro, e specialmente consè stessi, sulla scelta del più conveniente. Trifolium pratense può rendersi in italiano per Trifogliopratense,Trifogliopra- lajuolo, Trifoglio dei prati. Fra quei nomi il più con- forme al latino a

me

sembra il migliore,

ma

sien pur

tulli ugualmentebuoni, ache giova mescolarli?Perchè nominare unaspecie Trifoglioarvense,epoco dopochia-

marne

un' altra Trifoglio pratajuolo, in vece che Trifo- gliopratense?

Devesi poiassolutamente evitare di confonderedei nomi di significato diverso. Gli addiettivi arvensis .

ayreslis,campestris,sylvestris, pralensis, indicano, egli è vero, vagamente le stazioni delle piante,

ma

sono applicali a delle specie ben distinte, nè possono ado- prarsi gli uni per gli altri. Così, chiamando Shcrar- dia campestre la Sherardia arvensis, Viola campestre la Violaarvensis, non s'indica la specie cui si cangia il

nome

, e se ne fingeuna che non esìste.

La nomenclatura volgare italianaha una preroga- tiva

comune

con la scientifica latina; è ricca di nomi composti allusivi agli organi delle piante. Sono gene- ralmente ellenismi o latinismi confacentissimi alla lin- gua italiana,

come

: acaule,anso, polirizo, macronizo, unifloro, infioro, multifloro , monostachio, dislachio,

palislachioec. Molti nesomministranole foglie: afillo, monofillo,polifìtlo, intuìfolio,crassifui io,angustif tv, la- tifolio,unifolio, bifolio, trifolio, trifollato,trifoliolato, oc.

Circa gli ultimi è da notarsi la differenza che passa

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11 fra la loro terminazione e quella di qualche derivato puramente italiano,

come

: trifoglio, caprifoglio,agrifo- glio, ond'è che mentre da trifoliusaddiettivo fassiirt- folio,irifoliumsostantivosi traduce pertrifoglio;perciò dicesi: Trifoglio angustifolio.

Dal tìnquidello intornola nomenclaturametodica volgareè facile intenderequantoèsempliceil principio su cui si fonda. N'è stata fatta una felice applicazione

,

Irannealcuni trascorsi,dal Pollini nella Flora veronen- sis, e più recentemente dalNaccari nellaFlora veneta.

Egli èprincipalmentedaqueste due opere che ho tolto gliesempj,daimitarsi, chedasfuggirsi, addotti nel mioragionamento.Duolmidi nonpotere,quanto a ciò,

commendare

senza restrizione i numerosi e pregevoli scritti d'un valente Toscano, di Gaetano Savi, che,

come

già il

rammentava

regregio nostro Presidente nel tesser bella e giusta lode di lui, fu il primo che applicasse i principj di Linneo alte descrizioni delle piante d' Italia.Il Savi, egli è vero, costruì la sua nomenclatura volgare rigorosamente a

norma

della linneana;

ma,

mosso dal desiderio di render popolare la scienza che

amò

tanto, e tanto illustrò, si valse più che gli fu possibile, dei nomi usuali, ed anche

triviali delle piante, non traducendo ilinneani che in

mancanza

d'altri, onde questi soli sono quali si ri-

chiedonoper1'odiernanomenclatura volgare. L'Italia possiede la più consimile alla scientifica; vaglia essa a far cancellare dal vocabolariodi Flora tutte quelle voci bizzarre e sconce che l'ignoranza v'introdusse.

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