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Le lesioni fratturative dello scafoide carpale: problematiche medico-legali di tipo valutativo.

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Academic year: 2022

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Le lesioni fratturative dello scafoide carpale:

problematiche medico-legali di tipo valutativo.

Prof. Domenico Vasapollo*, Dott. Andrea Gavina, Dr. Fabrizio Landuzzi

Riassunto

Gli Autori, dopo aver esaminato i principali aspetti relativi all’anatomia ed alla fisiopatologia dello scafoide carpale, analizzano le indicazioni valutative riguardo ai postumi permanenti delle rispettive fratture, riportate nei più autorevoli barémes nazionali ed internazionali, proponendo, altresì, il perseguimento di una più articolata metodologia medico-legale, che faccia riferimento precipuamente alle condizioni menomative di tipo funzionale.

Parole chiave: scafoide, semeiotica medico-legale, valutazione del danno

Summary

The Authors, after having examined the principle aspects of the anatomy and physio-pathology of the carpal scaphoid, analyze the indications of evaluation regarding the permanent outcomes of the respective fractures, discussed in the most authoritative mational and international reference books, and propose the pursuit of a more articulated methodology in legal medicine, that refers mainly to the conditions of functional disablement.

Key words: scaphoid, legal medicine semiotics, disablement evoluation.

Nell’ambito delle lesioni delle ossa carpali, la frattura dello scafoide rappresenta, di gran lunga, l’evenienza di più frequente riscontro. Inoltre, questa patologia assume notevole importanza anche, e soprattutto, per le peculiari problematiche diagnostiche, evolutive, terapeutiche e valutative, che richiedono dal punto di vista clinico e medico-legale particolare attenzione. Può accadere, infatti, che una frattura, misconosciuta nell’immediatezza del trauma, trattata tardivamente o in maniera inadeguata, più facilmente vada incontro ad alterata consolidazione o anche, in casi estremi, a pseudoartrosi.

Nella presente trattazione abbiamo limitato le nostre considerazioni alle problematiche valutative del danno, omettendo volutamente quelle inerenti all’altrettanto importante tematica della responsabilità professionale, che saranno esaminate in maniera dettagliata in un altro analogo studio. Ciò non toglie che anche in questa sede è importante ribadire il frequente sviluppo giudiziario e, quindi, la

* Professore Associato di Medicina Legale presso il Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Sezione Medico-Legale, dell’Università degli Studi di Bologna.

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richiesta di risarcimento danni, il più delle volte per difetto o ritardo nella diagnosi e per il conseguente trattamento inadeguato di tali fratture.

Prima di considerare i criteri funzionali, finalizzati alla valutazione degli esiti di tali lesioni fratturative, può essere utile rivedere alcuni aspetti di anatomia del carpo, alla luce delle più recenti acquisizioni di biomeccanica funzionale.

Figura 1

Procedendo in direzione radio-ulnare (13), la fila prossimale è formata in successione da: scafoide, semilunare, piramidale, pisiforme (osso sesamoide che si sovrappone al piramidale). Nello stesso senso, le ossa della fila distale sono rappresentate da: trapezio, trapezoide, capitato o grande osso uncinato. Lo scafoide occupa l’estremo radiale della fila prossimale, di cui costituisce l’osso di maggiore dimensione, partecipando altresì alla formazione dell’articolazione radio-carpica (condilo carpale). Sotto questo riguardo si riconoscono tre importanti connessioni articolari: radio-carpica (tra radio e fila prossimale del carpo); medio-carpica (tra fila prossimale e distale del carpo); carpo-metacarpica (tra fila distale del carpo e metacarpi).

Sotto il profilo funzionale, il carpo può essere scisso, convenzionalmente, in quattro unità: polo prossimale (1), collo (2), polo distale (3) e tubercolo (4).

Figura 2

La classica distinzione in due filiere ossiculari è certamente utile sul piano pratico, ma presenta il limite di essere essenzialmente statica. Per contro, essa ha scarso significato dal punto di vista funzionale, in quanto non consente la corretta interpretazione dei meccanismi dinamici operanti nel movimento carpale. A tal proposito, la distinzione in colonne carpali longitudinali (6) risulta più aderente alla complessa funzionalità della mano. Secondo questa classificazione si distingue: una colonna centrale, detta anche colonna stabile o solida (di cui fanno parte lo scafoide, il semilunare, il trapezoide, il 2° e il 3° metacarpo), impegnata nei movimenti di flesso-estensione ed inclinazione laterale o abduzione-adduzione; una colonna mobile laterale (costituita da scafoide, trapezio, 1° metacarpo), impegnata essenzialmente nei movimenti di rotazione ed opposizione del primo dito; una colonna semi-mobile (rappresentata da uncinato, piramidale, pisiforme, 4° e 5° metacarpo), impegnata nell’opposizione ed abduzione del 5° dito.

Lo scafoide, che, come abbiamo visto, fa parte sia della colonna stabile sia di quella mobile, ha nel suo insieme una duplice funzione: agisce come stabilizzatore della colonna centrale, poiché si trova a livello dell’interlinea semilunare-capitato;

contemporaneamente, si comporta da fulcro per il movimento della colonna mobile.

Nel complesso quindi, il movimento del carpo è il risultato di una complessa azione sincrona e combinata delle diverse strutture scheletriche, tra loro saldamente ingranate e concatenate. Pertanto, se si desidera valutare correttamente la dinamica globale del movimento del polso, non è possibile far riferimento alle singole componenti ossiculari. Infatti, nel movimento di flesso-estensione le due file del carpo ruotano attorno ad un asse trasversale che passa per la testa del capitato.

L’articolazione radio-carpica rappresenta il fulcro di tale movimento, che, però, è

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integrato e completato dall’azione sincrona di ambedue le componenti, radio-carpica e medio-carpica.

La flesso-estensione della mano al carpo (6) consiste in un movimento che si svolge sul piano sagittale, sicché nella flessione la faccia palmare si avvicina all’avambraccio, mentre nell’estensione è la faccia dorsale che si porta verso l’avambraccio. Considerando il polso in posizione neutra, in linea con l’asse longitudinale dell’avambraccio (0°), la flessione palmare, secondo tale autore, ha un’ampiezza totale di circa 85°, di cui 50° sono dovuti all’azione della medio-carpica, i rimanenti 35° alla radio-carpica. In flessione dorsale o estensione avviene il contrario: la medio-carpica partecipa al movimento per circa 35°, la radio-carpica per 50°.

Durante il movimento di flesso-estensione si verifica un processo di disaccoppiamento scafoide-semilunare. Ciò è possibile perché entrano in azione due importanti legamenti, il radio-scafoideo ed il radio-capitato (detto anche cinghia palmare). All’inizio del movimento di flessione lo scafoide e il semilunare si muovono insieme. Quindi, lo scafoide, bloccato al punto di tensione massima dal legamento radio-scafoideo, si ferma. Per contro, il semilunare, strettamente incastrato alla base del capitato, prosegue il movimento per altri 40°, grazie all’azione del legamento radio-capitato, che, per la sua maggior lunghezza, entra in massima tensione successivamente.

Il movimento di inclinazione laterale radiale-ulnare (o abduzione-adduzione) si compie su un piano frontale, che passa tra semilunare e capitato. In abduzione (inclinazione laterale o ulnare) lo scafoide compie un movimento a bascula, inclinandosi “a campana” in direzione dell’ulna. Contemporaneamente la seconda fila delle ossa carpali scivola sulla prima nella stessa direzione, mentre il grande osso si porta in dentro ed in alto verso il bordo ulnare. L’inclinazione ulnare è la più ampia, in quanto l’ulna non si estende distalmente quanto il radio e non si articola direttamente con il carpo. Ciò dipende sia dalla posizione obliqua della faccetta articolare radiale, sia dal fatto che il processo stiloideo dell’ulna è meno pronunciato rispetto a quello del radio. Sull’ampiezza del movimento sembra incidere l’età del soggetto, specialmente nella mobilità passiva in abduzione. A tal proposito, infatti, sono state registrate differenze significative negli individui con età inferiore ai 20 anni. L’ampiezza totale del movimento di abduzione (inclinazione laterale o ulnare) è di circa 45°, a cui la radio-carpica partecipa per circa 30° e la medio-carpica per 15°.

In adduzione (inclinazione mediale o radiale), ovviamente, avviene il contrario. Lo scafoide, tra le ossa carpali, è soggetto ai maggiori spostamenti fino a cm. 1.

L’ampiezza totale del movimento è di circa 15°, di cui circa 8° corrispondono all’escursione della radio-carpica, gli altri 7° alla medio-carpica.

E’ superfluo soffermarsi sull’importanza del corretto funzionamento delle singole componenti ossiculari nell’ambito della complessa biomeccanica del carpo.

Abbiamo voluto riportare sinteticamente tali aspetti per ribadire l’importanza funzionale dello scafoide che, per la sua posizione critica, come già specificato, assume la duplice funzione di fulcro e stabilizzatore.

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Si è già detto della localizzazione dello scafoide all’estremo distale radiale della fila prossimale del carpo. L’osso ha una forma ricurva, a concavità palmare.

Saldamente articolato alle ossa adiacenti, la maggior parte della sua superficie è ricoperta da cartilagini di incrostazione. Poiché i vasi non penetrano nelle parti cartilaginee dell’osso, lo scafoide risulta una delle meno irrorate ossa del carpo. La maggior parte del sangue nutritizio deriva da rami perforanti reflui dalla rete dorsale, che penetrano sulla superficie ossea non cartilaginea, distribuendosi in numero variabile (da un minimo di 5 ad un massimo di 26) e con diversa disposizione, prevalentemente a livello del collo e della parte distale. In circa i 2/3 degli individui vi è una buona disposizione dei vasellini, tale da consentire un discreto apporto nutrizionale a tutte le zone dell’osso. In tal caso, è difficile che la frattura scafoidea si complichi con ischemia e conseguente necrosi del polo prossimale. Per contro, nel restante 1/3 non vi sono vasi che entrano direttamente nella metà prossimale, la quale, pertanto, riceve l’apporto ematico da rami arteriosi che, penetrati nella corticale distale, vi giungono con direzione retrograda. Se esiste questa disposizione anatomica, una frattura del collo, che separi la parte distale da quella prossimale, è inevitabilmente seguita dalla necrosi ischemica del frammento prossimale, conseguente all’interruzione delle connessioni vascolari.

Come detto, lo scafoide è, tra le ossa del carpo, il più frequentemente interessato da lesioni fratturative. L’età più colpita è quella adulta, dai 20 ai 40 anni con prevalenza nei maschi, sul lato destro. In genere, la rima di frattura è localizzata in corrispondenza del collo (Figura 3); seguono, in ordine decrescente di frequenza, il polo prossimale e quello distale. Esiste, inoltre, un quarto tipo di frattura, quella del tubercolo, che, peraltro, deve essere considerata a sé stante, poiché si realizza in seguito a trazione con avulsione dalla sede di inserzione del ligamento trasverso del carpo.

Il meccanismo di produzione delle fratture dello scafoide carpale è, in genere, indiretto, mentre quello traumatico diretto risulta di eccezionale osservazione.

Solitamente, infatti, la frattura in esame si realizza in seguito ad una caduta sul palmo della mano a polso esteso e deviato in senso ulnare, con avambraccio pronato.

Vale, inoltre, la pena di segnalare che lo scafoide può presentarsi congenitamente bipartito con conseguenti difficoltà ad operare una diagnosi differenziale con fratture inveterate non completamente consolidate. A tal proposito (22), si distinguono tre varianti: osso centrale (è l’evenienza più frequente, in cui l’osso sovrannumerario risulta posto tra scafoide e capitato), osso radiale (localizzato in prossimità del tubercolo) e osso bipartito (in cui lo scafoide appare diviso a metà).

La sintomatologia conseguente alla frattura dello scafoide carpale è, in genere, scarsa ed aspecifica, proponendo, pertanto, assai di frequente seri problemi di diagnosi differenziale con altri tipi di eventi traumatici, contusivi e/o distorsivi, riguardanti il polso. E’ vero che esistono una serie di segni clinici che, nel loro insieme, dovrebbero, comunque, essere significativi per un corretto indirizzo diagnostico. Tuttavia, essi, talora presenti solo in parte, possono presentare, dopo la primissima fase, una tendenza alla rapida regressione anche in assenza di trattamento

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immediato. Pertanto, in tutti i casi in cui si sospetta la frattura dello scafoide, è doveroso effettuare un esame radiografico, che può fornire segni diretti o indiretti di frattura, dovuti alla presenza di ematoma con compressione del cuscinetto adiposo periosseo, visibile radiograficamente in quanto radiotrasparente.

Alla luce di importanti segni clinici di frattura o di evidenti dati radiografici indiretti (riscontrati nelle proiezioni standard), è opportuno ricorrere (1) all’effettuazione di proiezioni specifiche per lo scafoide: dorso-palmari, oblique e laterali. La linea di frattura, che interessa nella maggior parte dei casi, come detto, il collo dello scafoide, può avere diverso decorso, da cui dipende, ovviamente, l’evoluzione prognostica. Si distinguono rime a decorso obliquo-orizzontale (Figura 4), in cui la frattura consolida facilmente, a decorso trasversale (Figura 5), con evoluzione meno favorevole rispetto alla precedente, e a decorso obliquo-verticale (Figura 6, 7), che rappresentano le evenienze più sfavorevoli per la consolidazione.

Nel caso di evoluzione osteonecrotica del frammento prossimale il quadro radiografico è caratteristico in relazione alle diverse fasi evolutive. Inizialmente l’ischemia si manifesta come una zona di aumentata densità, la quale spicca rispetto alle ossa adiacenti osteopeniche. Tale quadro radiografico risulta ben evidente almeno dopo 4-5 settimane. Successivamente l’orletto sclerotico è evidente a livello della rima di frattura e il frammento stesso ha assunto un aspetto eburneo, poiché avascolarizzato. A tal proposito, peraltro, è da dire che con l’avvento delle più moderne tecniche strumentali, ed in particolare della R.M.N., la diagnosi di osteonecrosi è divenuta molto più precoce, per cui è possibile instaurare tempestivamente un trattamento corretto che, ovviamente, presenta maggiori probabilità di successo.

Infine, nell’evoluzione pseudoartrosica (Figure 8, 9), mentre in un primo tempo i fenomeni riparativi sono poco apprezzabili, successivamente, invece, si manifesta più nettamente la rima di frattura con successivo addensamento delle superfici prospicienti.

Per completezza d’indagine riportiamo di seguito alcuni tipi di classificazione delle fratture dello scafoide, distinte a seconda della sede anatomica (fratture del terzo prossimale, del terzo medio e del terzo distale), e la direzione della rima (fratture trasverse, oblique orizzontali e oblique verticali). Herbert (10, 11), in base alla sede di dislocazione dei frammenti classifica le fratture in stabili (fratture del tubercolo e microfratture del collo) ed instabili (fratture oblique del terzo distale, del collo, del polo prossimale, associate a lussazioni carpali, comminute).

È stata poi recentemente proposta una nuova classificazione (8), in cui vengono suddivisi tre gruppi di fratture (stabili, potenzialmente instabili ed instabili) sulla base dell’ampiezza dell’angolo scafo-lunato e luno-capitato, nonché della diastasi fra i frammenti. Vengono, quindi, considerate stabili le fratture della tuberosità, quelle incomplete, le oblique orizzontali e le oblique verticali del terzo distale;

potenzialmente instabili le fratture oblique orizzontali del terzo medio e trasversali complete del collo, instabili le fratture oblique verticali, del terzo prossimale e le fratture-lussazioni transcafoperilunari.

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L’evoluzione del quadro clinico varia a seconda della sede interessata.

Nell’evenienza più frequente, cioè le fratture del collo, di solito i frammenti conservano le connessioni vascolari e, quindi, non insorgono disturbi trofici. Se l’immobilizzazione è inadeguata o disposta per un tempo insufficiente, la frattura può facilmente andare incontro a necrosi del frammento prossimale o a pseudoartrosi. Le fratture del tubercolo sono quelle ad evoluzione più favorevole. Per contro, le fratture del polo prossimale avranno con alta probabilità un’evoluzione negativa. In generale, quanto più il piano di frattura si avvicina al polo prossimale, tanto maggiore è il rischio che insorgano disturbi trofici del frammento a valle e mancata consolidazione.

Come detto, vi sono individui (1/3 dei casi), in cui i vasi nutrizionali sono distribuiti principalmente nel collo e nel frammento distale. In tal caso, se il piano di frattura cade prossimalmente al punto di penetrazione dei vasi ed interrompe le connessioni intraspongiose, il frammento prossimale va incontro facilmente a fatti ischemici e conseguenti disturbi dell’irrorazione. Talvolta, i disturbi trofici sono irreparabili e portano inevitabilmente alla necrosi del frammento prossimale. Inoltre, è da tenere in considerazione il fatto che i fenomeni di rimaneggiamento rendono l’osso più fragile e facilmente vulnerabile ad eventuali insulti traumatici successivi. In tal caso, se l’immobilizzazione è inadeguata o addirittura non avviene, si verifica spesso una deformazione dell’osso che va incontro a pseudoartrosi in un’alta percentuale di casi.

L’enorme importanza funzionale della mano non richiederebbe particolari commenti, in quanto il suo valore quale strumento di precisione, forza e rapidità del movimento, nonché di organo di senso è di tutta evidenza. Sebbene le varie componenti muscolo-tendinee del polso e della mano siano ben stabilizzate e perfettamente coordinate, il continuo uso, oltre alle loro modeste protezioni muscolari ed adipose, le rendono oggetto di frequenti traumi. Lo studio attento ed approfondito di tale distretto anatomo-funzionale è, dunque, di fondamentale importanza in traumatologia e, di conseguenza, in medicina legale. Infatti, l’esperto deve essere in grado di cogliere gli squilibri funzionali che derivano dagli esiti traumatici e, quindi, di saper valutare correttamente invalidità, anche gravi, che alterano la funzione dell’arto superiore. Per tal motivo, in considerazione dell’argomento della presente ricerca, abbiamo voluto ricordare gli elementi fondamentali della funzionalità del carpo, che costituiscono i presupposti basilari per una corretta valutazione medico- legale del danno.

Uno dei principali aspetti concernenti la complessa funzione carpale è rappresentato dall’ampiezza fisiologica delle escursioni articolari del polso sui vari piani di movimento. A questo proposito, ci sembra utile riportare, schematicamente, quanto viene indicato dai principali Autori della letteratura nazionale ed internazionale:

Tabella 1, 2

Da quanto sopra appare evidente che esistono sensibili differenze tra i dati riportati in letteratura, visto che l’ampiezza dell’escursione articolare sui vari piani di movimento varia ampiamente: da 70 ° a 90° (valore medio pari a circa 80°) nella flessione palmare; da 60° a 90° (valore medio 75,5°) nella flessione dorsale; da 15° a

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poco più di 25° (valore medio 19°) nell’inclinazione laterale radiale; da 30° a 45°

(valore medio 35,6°) nell’inclinazione laterale ulnare. Per quanto riguarda la pronazione e la supinazione gli unici dati disponibili indicano valori di 85° e 90°, rispettivamente. E’ intuitivo, pertanto, che il corretto apprezzamento della limitazione articolare è ostacolato già inizialmente da questa incertezza, poiché non si hanno a disposizione punti di riferimento certi e ben definiti.

Passando ad esaminare più nel dettaglio le problematiche valutative, abbiamo voluto analizzare le indicazioni dei principali Autori che si sono interessati della materia, fornendo agli operatori del settore strumenti di guida per la stima del danno.

Tabella 3, 4, 5, 6, 7

L’esame delle valutazioni riportate in questo baréme fa ritenere leggermente più importante, sotto il profilo funzionale, il movimento di flessione palmare rispetto alla flessione dorsale. Infatti, nel caso in cui la prima risulti assolutamente impedita, viene concesso un tasso di invalidità pari all’11%. Per contro, nelle stesse condizioni disfunzionali, il tasso si riduce al 10% per l’estensione (naturalmente, ci dobbiamo sempre ricordare che queste indicazioni percentuali esprimono il cosiddetto

“impairment” del polso rispetto all’arto nella sua totalità). Viceversa, come vedremo in seguito, altri Autori (4, 7, 14) considerano funzionalmente più importante il movimento di flessione dorsale.

Al riguardo ci sembra importante citare quanto scriveva il Ciampolini (7), noto traumatologo del passato: “Aggiungasi che, in ogni valido atteggiamento prensivo, il cavo della mano - nella forzata chiusura del pugno - deve essere raggiunto dalle dita:

il che avviene particolarmente a mezzo della flessione dorsale della radio-carpica”.

Per l’Autore, passando alla valutazione delle menomazioni esitali delle fratture del polso, vale la seguente regola generale: “Nelle varie rigidità del polso con integrità funzionale di tutte le dita, con completezza di supinazione, di pronazione, di abduzione e di adduzione della mano (limitazioni escursorie da 1/4 ad 1/3 della radio- carpica) i tassi di indennizzo da aversi in conto, per i mestieri ove ha precipua importanza la funzione valida di presa, sono i seguenti:

a) se è più compromessa la flessione dorsale destra 13-20%, sinistra 10-15%;

b) se è più compromessa la flessione palmare destra 7-10%, sinistra 5-8%.

(queste valutazioni valgono per il primo triennio dell’infortunio)”.

E successivamente: “Le anchilosi del polso non causano turbe funzionali d’importanza quando si tratta di atteggiamenti diritti od in leggiera flessione.

Viceversa, trovandosi il polso in flessione palmare viene frustrata gran parte della forza prensile delle dita a causa dell’accorciamento dei flessori. La pinza è pressoché impossibile. Altrettanto s’ha da dire in caso di esagerata estensione”. L’Autore propone la seguente valutazione:

• c.g. (capacità lavorativa generica, operaio tipo-medio): d. 20-25%, s. 15-20%;

• m.f. (mestieri di forza, massime esigenze statico-dinamiche degli arti): d. 30%, s. 25%;

• prf.c. (professioni di concetto): d. 10%, s. 8%.

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Nella rassegna di casi specifici riguardanti le menomazioni del polso l’Autore riporta, tra l’altro:

• Anchilosi del polso destro in semiestensione o in semiflessione (in professionista di concetto) ad un anno di distanza dall’infortunio: 15%.

• Anchilosi del polso destro in semiestensione o in semiflessione (in operaio) a tre anni di distanza dall’infortunio: 25-30%.

• Anchilosi diritta della mano destra in un ingegnere (32 anni): 15%.

• Anchilosi diritta della mano sinistra in un notaio: 10%.

Riguardo agli esiti di frattura dello scafoide, l’Autore segnala che “la prognosi di questa lesione è quasi sempre sfavorevole, poiché non v’è tendenza a formarsi un callo osseo, ma bensì un callo fibroso come la rotula...”. La valutazione degli esiti di frattura dello scafoide è la seguente:

• c.g. (nel primo quadriennio): d. 10-15%, s. 8-10%.

Riguardo alla casistica l’Autore segnala: “In un mio caso la residua limitazione funzionale (giovane di studio d’avvocato d’anni 33) fu lieve (indennizzo 6%), mentre in un altro caso della mia raccolta si ebbero esiti assai più gravi (ingegnere di anni 58) e l’indennizzo dovette salire al 20%. Ho altri tre casi di frattura semplice di quest’osso (medico - impiegato comunale - agrimensore) in cui nessun danno poté dimostrarsi. Effettivamente sono le fratture comminute che lasciano qualche tara funzionale consistente nella limitazione della radio-carpica (flessione, estensione e anche pronazione e supinazione: specialmente quest’ultima). Esiti di frattura dello scafoide (mano destra di un muratore di anni 50): tara flesso-estensoria della radio- carpica (1/2) e limitazione (1/3) dei movimenti di abduzione e di adduzione della mano: 12%”.

Tabella 8, 9, 10, 11

Alcuni Autori (14) riportano le indicazioni valutative al riguardo, vigenti in alcuni paesi stranieri.

Tabella 12, 13, 14, 15, 16

Dall’analisi dei barémes sopra elencati, a parte le differenze, talora sensibili, riguardanti l’indicazione della percentuale del danno permanente, emerge che la stima viene formulata semplicemente sulla base della limitazione dell’escursione articolare, desumendo da questa il corrispondente deficit funzionale. Per contro, noi pensiamo che si debba seguire una prassi valutativa più articolata. Infatti, la dinamica del carpo è il risultato dell’azione sincrona e combinata dei singoli elementi strutturali (ossei, tendinei, articolari, muscolari, nervosi) che lo compongono. La frattura dello scafoide, interferendo nell’insieme di tali rapporti, altera questo delicato equilibrio. Ciò si traduce in una limitazione della funzionalità del polso, la cui gravità risulta variabile in rapporto non solo alle caratteristiche anatomiche della frattura, vale a dire la sede ed il tipo, ma anche all’evoluzione del quadro clinico ed alle conseguenti alterazioni funzionali. Queste ultime sono estremamente importanti in quanto, come detto, lo scafoide rappresenta, allo stesso tempo, il fulcro e lo stabilizzatore del movimento carpale.

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Dunque, ai fini di un più corretto apprezzamento disfunzionale della menomazione riportata, è necessario partire da un fondamentale presupposto di ordine generale, e cioè che “l’optimum” di una determinata funzione articolare consiste nella capacità di eseguire tutti i movimenti possibili con la massima forza.

Pertanto, il valore di una menomazione articolare è data, in primo luogo, dal numero dei movimenti soppressi e dall’importanza della limitazione funzionale, indicata dallo spettro in cui si compie il cosiddetto “movimento utile”, cioè l’escursione articolare che consente di estrinsecare una buona funzionalità motoria. A questo proposito, vale la pena ricordare quanto riportato dal Cappellin (ma sottolineato anche da numerosi altri Autori), che, nel valutare le rigidità articolari, richiama l’attenzione sul valore funzionale dell’articolarità del polso nell’ambito delle comuni esigenze della vita lavorativa e di relazione, riferendo che lo studio della motilità e della mobilità deve prevedere la misurazione dell’ampiezza del movimento abolito ed il valore funzionale residuo. Secondo l’Autore, l’arco di “movimento utile” del polso in flesso- estensione è, mediamente, di circa 70°, calcolando 35° di flessione e 35° di estensione rispetto alla posizione neutra. Se il movimento è consentito in quest’ambito, il deficit funzionale assume modesta rilevanza sul piano valutativo. Per contro, mano a mano che lo spettro di movimento utile si riduce, il deficit funzionale acquisisce sempre maggiore importanza sotto l’aspetto funzionale della gestualità quotidiana e della stima del danno. Se, invece, il movimento di flesso-estensione fosse consentito soltanto nel settore inutile sotto il profilo funzionale, ne risulterebbe una limitazione, che, a parità di gradi di ridotta escursione articolare, sarebbe sicuramente meno vantaggiosa per il soggetto sul piano funzionale. Ciò, ovviamente, vale anche per i movimenti di inclinazione laterale del polso e di prono-supinazione.

A questo punto si impone una breve riflessione su quanto appena detto. La vita di tutti i giorni comporta sovraffaticamento articolare e impegno funzionale, anche in occasione di gesti semplici e ripetitivi. Quindi, la valutazione della limitazione funzionale di un individuo non può prescindere dal bilancio minuzioso delle attività proprie della vita quotidiana, in modo che l’esperto possa prendere coscienza anche di tutto quanto concorra eventualmente ad aggravare la menomazione. Il bilancio delle attività che l’individuo esegue e di quelle che non può svolgere nell’arco della giornata deve essere parte integrante dell’esame medico-legale, che scaturisce da una valutazione d’insieme, che tenga conto non solo delle ripercussioni negative sulla funzionalità articolare, ma anche dei disagi che la perdita del benessere comporta per l’individuo medesimo. E’, quindi, intuitivo che la stessa menomazione funzionale non incide in uguale misura nella vita quotidiana di differenti individui in funzione della diversa tipologia personale, dell’età, del sesso, impegno sociale, ecc.. Tali considerazioni, ovviamente, sono valide per la totalità delle minorazioni esitali. Si segnala al riguardo la dettagliata disamina svolta da Iorio e coll. (14), i quali hanno preso in considerazione una serie di gesti della vita quotidiana e li hanno rapportati alla frequenza ed all’importanza con cui viene coinvolto il polso (per maggiori ragguagli si rimanda al lavoro scientifico in oggetto). Da quanto esposto gli Autori,

“analizzando le tre coppie di movimenti”, hanno rilevato, in primo luogo, “che la

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pronazione prevale nettamente sulla supinazione, l’estensione sulla flessione, l’inclinazione ulnare su quella radiale”. Inoltre, si è desunto “che i tre movimenti principali, come pure i restanti, fanno uso soprattutto delle escursioni nei gradi medi, raramente nei gradi estremi”.

Anche il nostro gruppo di lavoro ha voluto approfondire l’argomento, esaminando su noi stessi alcuni dei gesti di più comune attuazione, produttivi di maggiore sollecitazione del polso. E’ da premettere che è stato necessario effettuare la stabilizzazione articolare, affinché tutti i tipi di presa od anche qualsiasi gestualità, usuali nella vita quotidiana, fossero efficaci. Per fare questo, abbiamo usufruito dell’ausilio di un tutore mobile d’avambraccio (Deluxe wrist/forearm support, Ro + Ten), capace di fissare l’articolazione del polso in posizione neutra (0°), con prono- supinazione libera. Ci siamo proposti, innanzitutto, di compiere una disamina delle attività giornaliere, senza tenere conto dei meccanismi di compenso eventualmente utilizzabili ed utilizzati. Ciò che contava era la funzione complessiva dell’arto e ciò che ne residuava. Potevano realizzarsi diverse eventualità:

1. si era in grado di eseguire completamente i movimenti abituali;

2. si potevano effettuare parzialmente;

3. non si era in grado di eseguirli;

4. si effettuavano tali movimenti, ma in condizioni pregiudizievoli per le altre articolazioni, adottando meccanismi di compenso.

L’esame delle attività della vita quotidiana è consistito nello studio di quelle abituali, indispensabili nella vita domestica, quali la toilette, l’abbigliamento, la preparazione dei pasti, la stiratura, il portare carichi, nonché condurre automobili, ecc..

In base alla difficoltà di esecuzione che abbiamo incontrato, espressa da uno a cinque, sono stati ottenuti i seguenti risultati:

Toilette: lavarsi (++++), radersi (con lametta +++++, con rasoio elettrico +++), entrare e uscire dalla vasca da bagno (+++)

Abbigliamento: vestirsi (++++) e svestirsi (+++);

Pasti: bere (+), versare da bere (+), usare le posate (+), tagliare carne (+++);

Cucina: aprire e chiudere rubinetti (+), girare manopole (+), servirsi di apribottiglia (++), stirare (+++);

Scrivere a mano (+), col computer (+++), piantare chiodi (+), aprire finestre (+), guidare l’auto (+++);

Hobby: tennis (++++), ciclismo (bicicletta da passeggio ++, bicicletta da corsa +++++), biliardo (++++).

Tale breve ricerca, pur con tutti i limiti derivanti dalla sintesi con cui è stata condotta, è, comunque, a nostro avviso, utile per meglio comprendere le reali ripercussioni negative di una certa menomazione sulla comune gestualità di un individuo, aspetto questo che riteniamo importante per una corretta valutazione del danno. Dunque, l’esame dell’arco di movimento utile non costituisce l’unico

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elemento rilevante ai fini di una corretta valutazione del danno, ma, tutt’al più, rappresenta il punto di partenza. Infatti, il criterio valutativo più completo e meno semplicistico deve considerare la globalità della funzione del polso, tenendo conto anche di altri parametri fondamentali, determinabili non solo mediante l’accertamento radiografico (che consente di apprezzare l’avvenuta consolidazione della frattura o la presenza di eventuali alterazioni di tipo pseudoartrosico), ma anche mediante l’impiego di moderne indagini strumentali, quali R.M.N., ecografia, elettromiografia, isocinetica. ecc., che possono consentire di valutare alcuni elementi primari della valutazione funzionale, quali la forza muscolare, la resistenza allo sforzo, la stabilità articolare nonché la presenza di dolore. Riguardo a quest’ultimo aspetto, vale la pena di ricordare che si tratta di un dato anch’esso rilevante per la valutazione del danno. Infatti, sebbene costituisca un elemento di carattere soggettivo, e, quindi, poco utilizzabile a fini medico-legali, ciononostante, la giustificazione clinico-strumentale della persistenza del dolore, nonché della sua comparsa in un preciso grado dell’arco di movimento, possono essere di importanza tutt’altro che secondaria sia per apprezzare la genuinità del riscontro, sia per giustificarlo sotto il profilo eziologico e patogenetico. Questo discorso vale ancor di più per quanto attiene alla forza muscolare ed alla resistenza allo sforzo. Infatti, attualmente disponiamo di strumentazioni (apparecchiature isocinetiche) che consentono di individuare in maniera obiettiva e precisa il livello di una compromissione funzionale, senza dover ricorrere a particolari accorgimenti pratici, talora di tipo empirico e talvolta grossolani, atti a svelare forme di esagerazione o di vera e propria simulazione più o meno volontaria. Ciò non significa volere trascurare l’ampio e multiforme capitolo della semeiologia medico-legale classica, ma più semplicemente cercare di integrare i risultati derivanti dall’applicazione dei criteri di questa importante branca della medicina forense con i dati ottenuti mediante esami strumentali di sicura attendibilità, in modo tale da affinare l’indagine peritale e giungere ad una più corretta rilevazione della disfunzionalità che si deve esaminare.

In definitiva, suggeriamo di ampliare quanto già riportato nei principali barémes, pur riconoscendo le oggettive difficoltà derivanti da necessità di sintesi. Infatti, al di là delle differenze numeriche percentuali riscontrate, le indicazioni valutative così come sono formulate non appaiono, a nostro avviso, sufficientemente dettagliate, poiché limitano lo spettro d’indagine ad un ristretto numero di elementi, principalmente di ordine anatomico. Ciò potrebbe indurre all’errore di pervenire alla stima del danno prendendo in considerazione unicamente fattori “statici”, cioè anatomici, non tenendo, invece, nel dovuto conto gli aspetti “dinamici”, e, quindi, funzionali. Per contro, oggigiorno è possibile, grazie all’ausilio di moderne tecniche d’indagine strumentale, ottenere un prezioso apporto alla corretta valutazione delle varie componenti strutturali (muscoli, tendini, articolazioni, ecc.) del distretto anatomo-funzionale esaminato. E’, dunque, auspicabile che la consolidata metodologia d’indagine medico-legale, principalmente affidata all’esame obiettivo, sia supportata dalle acquisizioni di ordine strumentale, al fine di giungere ad una più completa e, quindi, soddisfacente valutazione del danno.

(12)

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(14)

Tabella 1

Mélennec: flessione palmare = 80°

flessione dorsale = 70-80°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 40°

A.M.A.: flessione palmare = 70°

flessione dorsale = 60°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 30°

Luvoni et al.: flessione palmare = 90°

flessione dorsale = 90°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 40°

Hoppenfeld: flessione palmare = 80°

flessione dorsale = 70°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 30°

(15)

Tabella 2

Medical Association flessione palmare = 70°

of California: flessione dorsale = 65°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 40°

Mayo Clinic: flessione palmare = 90°

flessione dorsale = 90°

inclinazione laterale radiale = 15°

inclinazione laterale ulnare = 30°

American Academy of flessione palmare = 80°

Orthopedic Surgeons: flessione dorsale = 70°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 30°

Donna et al. flessione palmare = 76,4° +/- 6,3 flessione dorsale = 74,9° +/- 6,4 inclinazione lat. radiale = 21,5° +/- 4°

inclinazione lat. ulnare = 36° +/- 3,8°

Iorio M. e coll.: flessione palmare = 85°

flessione dorsale = 85°

inclinazione laterale radiale = 15°

inclinazione laterale ulnare = 45°

pronazione = 85°

supinazione = 90°

Bargagna M. flessione palmare = 60°

e coll.: flessione dorsale = 60°

inclinazione laterale radiale = 20°

inclinazione laterale ulnare = 30°

Tabella 3

(16)

Il Mélennec (16) parla di settore articolare utile come nozione fondamentale da ricordare per effettuare un’equa valutazione del danno; l’Autore prende altresì in considerazione i gesti della vita quotidiana con riferimento alla cosiddetta vita funzionale. Nel Baréme des Incapacités vengono concessi i seguenti tassi di valutazione:

a) limitazioni del polso di 1/5: da 4% a 5% (turbe leggere);

b) limitazioni con perdita di mobilità tra 1/5 e 3/5 con riguardo al settore utile (posizione funzionale): da 5% a 10% (turbe moderate);

c) rigidità articolari con limitazione superiore a 3/5 circa con riguardo al settore utile (spalla, gomito, polso): da 10% a 15% (turbe medie);

d) anchilosi o rigidità serrate di una o più articolazioni (gomito e spalla): da 15% a 20%.

e) amputazione della mano a livello del polso: 40-50%.

(17)

Tabella 4

Il Luvoni (15), a proposito dei postumi di frattura dello scafoide carpale, riporta la seguente classificazione:

1. lievi, con limitazioni funzionali di circa 1/4: 4% (a destra), 2% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 6% (a destra), 4% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

2. medi, con limitazione dei movimenti di flesso-estensione e inclinazione del polso di circa 1/3: 6% (a destra), 4% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 11% (a destra), 8% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

3. gravi, con limitazione di circa 2/3 dei movimenti di flesso-estensione e inclinazione del polso: 12% (a destra), 8% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 14% (a destra), 11% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

4. anchilosi dell’articolazione radiocarpica in estensione rettilinea:

a) con movimenti di pronosupinazione libera: 10% (a destra), 8% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 18% (a destra), 15% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

b) in semipronazione: 15% (a destra), 10% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 22% (a destra), 18% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

c) in pronazione: 20% (a destra), 15% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 25% (a destra), 22% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa;

d) in supinazione: 25% (a destra), 20% (a sinistra) in responsabilità civile e nell’infortunistica privata, 35% (a destra), 30% (a sinistra) nell’infortunistica lavorativa.

(18)

Tabella 5

L’A.M.A., American Medical Association (3) propone i seguenti parametri di valutazione del danno:

Disfunzionalità dovuta all’amputazione, anomalie motorie ed anchilosi della flessione dorsale del polso:

a) Amputazione a livello dell’articolazione del polso: 90% ;

b) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 0° (movimento articolare limitato di 60°): 10%;

c) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 10° (movimento articolare limitato di 50°): 8%;

d) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 20° (movimento articolare limitato di 40°): 6%;

e) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 30° (movimento articolare limitato di 30°): 5%;

f) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 40° (movimento articolare limitato di 20°): 3%;

g) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 50° (movimento articolare limitato di 10°): 2%;

h) Flessione dorsale concessa dalla posizione neutra (0°) a 60° (movimento articolare limitato di 0°): 0%;

i) Anchilosi a 0° (posizione neutra): 30%

j) Anchilosi a 10°: 28%

k) Anchilosi a 20°: 27%

l) Anchilosi a 30° (posizione funzionale): 25%

m)Anchilosi a 40°: 47%

n) Anchilosi a 50°: 68%

o) Anchilosi a 60° (flessione dorsale completa): 90%

Tale valore percentuale, come pure i seguenti indicati dall’A.M.A., non deve essere rapportato

(19)

Tabella 6

Disfunzionalità dovuta all’amputazione, anomalie motorie ed anchilosi della flessione palmare del polso:

a) Amputazione a livello dell’articolazione del polso: 90%;

b) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 0° (movimento articolare limitato di 70°): 11%;

c) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 10° (movimento articolare limitato di 60°): 10%;

d) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 20° (movimento articolare limitato di 50°): 8%;

e) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 30° (movimento articolare limitato di 40°): 6%;

f) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 40° (movimento articolare limitato di 30°): 5%;

g) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 50° (movimento articolare limitato di 20°): 3%;

h) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 60° (movimento articolare limitato di 10°): 2%;

i) Flessione palmare concessa dalla posizione neutra (0°) a 70° (movimento articolare limitato di 0°): 0%;

j) Anchilosi a 0° (posizione neutra): 30%

k) Anchilosi a 10°: 39%

l) Anchilosi a 20°: 47%

m)Anchilosi a 30°: 56%

n) Anchilosi a 40°: 64%

o) Anchilosi a 50°: 73%

p) Anchilosi a 60°: 81%

q) Anchilosi a 70° (flessione palmare completa): 90%

(20)

Tabella 7

Disfunzionalità dovuta all’amputazione, anomalie motorie ed anchilosi dell’abduzione-adduzione del polso:

a) Amputazione a livello dell’articolazione del polso: 90%;

b) Deviazione radiale concessa dalla posizione neutra (0°) a 0° (movimento articolare limitato di 20°): 4%;

c) Deviazione radiale concessa dalla posizione neutra (0°) a 10° (movimento articolare limitato di 10°): 2%;

d) Deviazione radiale concessa dalla posizione neutra (0°) a 20° (movimento articolare limitato di 0°): 0%;

e) Deviazione ulnare concessa dalla posizione neutra (0°) a 0° (movimento articolare limitato di 30°): 5%;

f) Deviazione ulnare concessa dalla posizione neutra (0°) a 10° (movimento articolare limitato di 20°): 4%;

g) Deviazione ulnare concessa dalla posizione neutra (0°) a 20° (movimento articolare limitato di 10°): 2%;

h) Deviazione ulnare concessa dalla posizione neutra (0°) a 30° (movimento articolare limitato di 0°): 0%;

i) Anchilosi (deviazione radiale) a 0° (posizione neutra): 30%

j) Anchilosi (deviazione radiale) a 10°: 60%

k) Anchilosi (deviazione radiale) a 20° (deviazione radiale completa): 90%

l) Anchilosi (deviazione ulnare) a 0° (posizione neutra): 30%

m)Anchilosi (deviazione ulnare) a 10°: 50%

n) Anchilosi (deviazione ulnare) a 20°: 70%

o) Anchilosi (deviazione ulnare) a 90° (deviazione ulnare completa): 90%

(21)

Tabella 8

Umani Ronchi G. (19), a proposito delle fratture dello scafoide carpale, ritiene necessario distinguere diverse eventualità sotto il profilo valutativo:

a) Frattura dello scafoide trattata incruentemente con esito favorevole, ma con modesta limitazione funzionale: 3-5%;

b) Frattura dello scafoide operata con discreto successo oppure non operata, ma con postumi di media entità: 6-10%;

c) Frattura dello scafoide complicata da necrosi avascolare osteosintetizzata e con rilevante limitazione funzionale: 11-15%;

d) frattura dello scafoide complicata da necrosi avascolare o da osteoartrite, con asportazione dell’osso e artrodesi medio-carpica: 16-20%.

(22)

Tabella 9

Nella Guida di Bargagna M. e al. (4) vengono fornite le seguenti percentuali indicative:

• Anchilosi

a) rettilinea con prono-supinazione consentita: arto dominante 12%, arto non dominante 10%;

b) in flessione a 60°: arto dominante 24%, arto non dominante 22%;

c) in flessione a 30°: arto dominante 16%, arto non dominante 15%;

d) in estensione a 30°: arto dominante 15%, arto non dominante 14%;

e) in estensione a 60°: arto dominante 21%, arto non dominante 20%;

• Rigidità

a) perdita del movimento di flessione: arto dominante 7%, arto non dominante 6%;

b) perdita del movimento di estensione: arto dominante 9%, arto non dominante 8%;

c) riduzione della metà di entrambi i movimenti (a partire dalla posizione intermedia):

arto dominante 6%, arto non dominante 5%;

(23)

Tabella 10

Iorio M. e coll. (14) indicano, con riferimento all’ambito civilistico, i seguenti criteri valutativi per le menomazioni del polso:

• anchilosi in estensione rettilinea dell’articolazione radio-carpica:

a) in supinazione 30% (destra) 25% (sinistra) b) in pronazione 22% “ “ 18% “ “ c) in semipronazione 19% “ “ 15% “ “ d) con prono-supinazione libera 15% “ “ 12% “ “

• movimenti del polso ridotti globalmente di 2/3:

12% “ “ 8% “ “

(24)

Tabella 11

L’esame delle valutazioni riportate nel baréme dell’A.M.A. fa ritenere più importante sotto il profilo funzionale il movimento di flessione palmare rispetto a quella dorsale, dal momento che alla prima, laddove vi è un assoluto impedimento, viene concesso un tasso invalidante dell’11%. Per contro, alla seconda, nelle stesse condizioni disfunzionali, il danno permanente è valutato pari al 10% (naturalmente, ci dobbiamo sempre ricordare che questa percentuale è riferita alla menomazione del polso rispetto all’arto nella sua totalità). Per contro, il baréme del Bargagna valuta 12% l’anchilosi del polso dell’arto dominante, mentre la riduzione della metà di ambedue i movimenti di flessione palmare e dorsale, a partire dalla posizione intermedia, viene stimata pari al 6%, rispettivamente. Tale valutazione, a nostro avviso, non considera adeguatamente il cosiddetto “arco di movimento utile”, in quanto la perdita di metà del movimento di flessione palmare e dorsale, coinvolgendo il settore “più utile”, andrebbe valutato in misura superiore al 6%.

Tuttavia, la stessa guida segnala che il movimento di flesso-estensione si svolge su di un arco utile di circa 120° (60° di flessione e 60° di estensione), risultando, in pratica, non particolarmente importanti riduzioni delle escursioni articolari collocate al di là di questi limiti. Giustamente, però, si mette in evidenza la notevole invalidità derivante dalle condizioni di anchilosi estreme (in flessione ed in estensione), pur aggiungendo che, per situazioni intermedie, l’atteggiamento in estensione è meno svantaggioso di quello in flessione. Tuttavia, sotto il profilo valutativo, si riconosce la differenza di un solo punto percentuale, visto che l’anchilosi in flessione a 30° viene valutata 16%, mentre quella in estensione a 30° è stimata pari al 15%. La stessa differenza (un punto percentuale) esiste anche per l’arto non dominante (15% in flessione, 14% in estensione). Inoltre, per la perdita del movimento di estensione si indica un tasso di invalidità pari al 9%, mentre per l’abolizione della flessione tale tasso si riduce al 7%. A parere della predetta guida, giustamente, il movimento di estensione riveste una maggiore importanza funzionale rispetto alla flessione, in contraddizione con quanto riportato nel baréme dell’A.M.A.. Infatti, traducendo i valori numerici forniti dall’A.M.A. con riferimento a quelli del baréme del Bargagna, la perdita del movimento di flessione andrebbe valutata nella misura del 4,4%, mentre l’abolizione dell’estensione 4%.

(25)

JUGOSLAVIA Dx Sn

(%) (%)

a) Anchilosi dell’articolazione radio-carpica:

in estensione rettilinea 30 20

in estensione dorsale 20 15

in flessione palmare 40 35

b) Menomazione funzionale dell’articolazione

radio-carpica:

di grado lieve 15 10

di grado medio 20 15

di grado grave 25 20

(26)

Tabella 13

POLONIA

Dx Sn

(%) (%)

Limitazione della mobilità del carpo, da lesioni del medesimo (distorsioni, lussazioni, frattura delle ossa carpali, necrosi asettica delle ossa medesime), a seconda della posizione, della limitazione dei movimenti, dei dolori, delle alterazioni trofiche e della funzione delle dita della mano:

a) limitazione della mobilità 5-10 3-8 b) limitazione della mobilità di notevole grado 10-20 8-15 c) limitazione della mobilità di notevole grado in

sfavorevole posizione funzionale della mano 20-30 15-25 Anchilosi totale del carpo:

a) in posizione favorevole, a seconda del grado di

menomazione funzionale della mano e delle dita 15-30 10- 25

b) in posizione sfavorevole, a seconda del grado di

menomazione funzionale della mano e delle dita 25-45 20- 40

Le lesioni del carpo complicate da profonde alterazioni trofiche, da osteite cronica purulenta del carpo, da fistole e da alterazioni neurologiche si valutano aumentando il grado di invalidità a seconda

delle gravità delle complicazioni 1-10 1-10

(27)
(28)

Tabella 14

CECOSLOVACCHIA

Dx Sn

(%) (%) a) Anchilosi della mano in estensione 20 16 b) Anchilosi del carpo:

in flessione dorsale 15-30 10-25

in flessione palmare 30 25

c) Limitazione della motilità carpale:

di grado lieve 5 4

di grado medio 10 8

di grado notevole 17 14

d) Articolazione del carpo ciondolante 15-30 10-25

(29)

Tabella 15

RUSSIA

Dx Sn

(%) (%)

a) Anchilosi radio-carpica 40 30 b) Limitazione dei movimenti della radio-carpica:

di grado lieve 10-15 5-10

di grado medio 20 15

di grado notevole 25 20

c) Conseguenze di fratture meta-carpali che si accompagnano a disturbi funzionali del

carpo o delle dita:

di grado lieve 5-10 5

di grado medio 15 10

di grado notevole 25 20

(30)

Tabella 16

ISRAELE Anchilosi del polso

a) Anchilosi favorevole, in flessione dorsale

a destra 20%

a sinistra 10%

b) Anchilosi sfavorevole:

a destra 30%

a sinistra 20%

c) Limitazione dei movimenti; conservazione di 15 gradi nella flessione dorsale e flessione palmare:

a destra 0%

a sinistra 0%

d) Perdita della supinazione e della pronazione;

rigidità della mano in supinazione o pronazione completa:

a destra 30%

a sinistra 20%

e) Perdita della supinazione e della pronazione

o limitazioni dei movimenti in posizione favorevole e in pronazione:

a destra 20%

a sinistra 10%

(31)

scafoide

Figura 1: anatomia delle ossa del carpo.

(32)

Figura 2: anatomia dello scafoide carpale: 1) polo prossimale, 2) collo, 3) polo

(33)

Figura 3: decorso delle fratture del collo dello scafoide carpale: A orizzontale, B obliquo-orizzontale, C obliquo-verticale. Le due linee continue rappresentano i limiti della regione del collo dello scafoide. La linea più spessa tratteggiata costituisce l’asse principale dello scafoide.

(34)

Figura 4 (proiezione dorso-palmare del polso)

Frattura del collo dello scafoide con rima a decorso obliquo-orizzontale.

Individuazione di piccolo frammento sul lato radiale. Modesta diastasi dei monconi principali che non presentano significative scomposizioni.

(35)
(36)

Figura 5 (proiezione dorso-palmare)

Frattura trans-scafo-perilunare. Il decorso della rima di frattura del collo dello scafoide appare pressoché orizzontale, per cui i monconi non sono più in contatto tra loro.

(37)
(38)

Figura 6 (proiezione obliqua-ulnare del polso)

Frattura del collo dello scafoide con rima a decorso obliquo-verticale. Non si apprezza significativa diastasi dei monconi, né scomposizione degli stessi.

(39)
(40)

Figura 7 (proiezione dorso-palmare con deviazione ulnare del polso)

Frattura del collo dello scafoide con rima a decorso tipo obliquo-verticale, non visualizzabile sulla proiezione dorso-palmare. Non si apprezza significativa diastasi dei monconi, né scomposizione degli stessi.

(41)
(42)

Figura 8 (proiezione dorso-palmare)

(43)

Frattura del collo dello scafoide esitata in pseudoartrosi con evidenza di fenomeni degenerativi tra il moncone distale dello scafoide ed il radio.

(44)

Figura 9 (proiezione dorso-palmare)

Radiografia di controllo a distanza di circa 7 mesi dall’intervento di asportazione dello scafoide. Si nota l’alterata architettura del carpo ridotto in altezza in modo asimmetrico. In particolare, il trapezio ed il trapezoide sono dislocati prossimalmente.

(45)

Tali alterazioni testimoniano limitazione funzionale e sono le premesse per l’instaurarsi di fenomeni degenerativi.

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• Lo scrittore enciclopedico romano Aulo Cornelio Celso (I° sec. D.c.) nel DE RE MEDICA, s’impegnò a fondo sui traumi al capo; egli suggerisce come diagnosticare le fratture