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Problematiche di criteriologia medico legale nella valutazione delle lesioni meniscali e condrali del ginocchio

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Academic year: 2022

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Problematiche di criteriologia medico legale

nella valutazione delle lesioni meniscali e condrali del ginocchio

Dr. Sergio Bonziglia* – Dr. Osvaldo Morini**

La sintomatologia algica e funzionale riferita all’articolazione del ginocchio è tra le più frequenti con cui deve cimentarsi il medico legale, conseguenza di traumi dovuti alla circolazione stradale ed all’attività sportiva, ma con viraggi, e non solo nell’anziano, verso patologie conseguenza di morfotipi caratterizzati da sovraccarico od usura funzionale, più tipici dell’età avanzata, legati comunque ad un accumulo di sollecitazioni nel tempo.

In particolare, tra questi capitoli, trova posizione la displasia dell’apparato estensore, conosciuta anche come lussazione recidivante di rotula o sublussazione, con inizio classico all’età di 13-14 anni.

E’ questa una patologia sovente bilaterale, in assenza di traumatismi iniziali, frequente in soggetti giovani, di sesso femminile.

La sintomatologia è caratterizzata da pseudoblocchi, dolore e peso rotuleo, instabilità articolare nella discesa di scale.

Il trauma può infatti venire a scompensare una sublussazione rotulea sino a quel momento ben tollerata.

Sempre in assenza di trauma iniziale, nel bambino può determinarsi un blocco del ginocchio per frammento osteocondrale secondario ad una osteocondrite femorale, mentre in un adulto potrebbe essere causato da una osteocondromatosi, o sinovite vollonodulare emopigmentata, da corpi estranei artrosici, da plica sinoviale mediopatellare, da esostosi osteogenica dell’estremità superiore della tibia aggettante sulla faccia interna, su cui scattano per intrappolamento parziale i tendini della zampa d’oca nella flessoestensione.

Vi sono infine i problemi meniscosici in soggetti adulti, quarantenni, con ginocchio varo, caratterizzati da crisi articolari subentranti, pseudoblocchi, dolore sull’emirina articolare mediale.

Clinicamente vi è idrarto, l’interlinea articolare interna è diffusamente dolente, con modesta lassità articolare; può coesistere una cisti poplitea o meniscale, con positività dei test specifici di lesione meniscale, dolorosi in rotazione esterna e digitopressione, asintomatici in sospensione e negativi quelli per lesione legamentosa.

Gli esami RX in appoggio monopodalico confermano la tibia vara e talvolta un addensamento sottocondrale del piatto tibiale mediale: si tratta di artrosi femoro rotulea interna al suo esordio con iniziale usura meniscosa.

Oltre agli aspetti degenerativi (vacualizzazione, fissurazione, rammollimenti) del menisco, si potrà riscontrare una sua rottura orizzontale, quali sempre di tipo degenerativo, con slaminamenti interessanti prevalentemente i corni posteriori di entrambi i menischi, specie quello mediale.

Nella genesi della lesione meniscale, caratterizzata da un trauma indiretto, vi è solitamente un meccanico distorsivo che si estrinseca in tre differenti fasi dinamiche, la compressione, la distrazione e la rotazione, con il superamento della posizione di stabilità del ginocchio e della capacità di difesa articolare.

Vi è ovviamente uno stretto rapporto tra l’intensità del traumatismo, la posizione del ginocchio sui vari piani spaziali (grado di flessione e rotazione) e la posizione del piede (generalmente in fissità ed appoggio).

Per quanto attiene alla fisioterapia del menisco, dal punto di vista schematico, sostanzialmente due constatazioni illustrano il meccanismo lesivo.

* Medico Legale, Torino

** Medico Legale, Milano

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La prima fu descritta da Watson Jones.

Se in un ginocchio flesso a novanta gradi si appoggia il dito sull’interlinea articolare davanti al legamento collaterale mediale, nel punto dove il condilo femorale si avvicina alla tuberosità tibiale e si porta la tibia in rotazione esterna, si sente il menisco, attirato dalla profondità, interporosi tra femore e tibia.

Il secondo meccanismo fu descritto da Judet che, nel corso di un'artrotomia interna, si accorse che, sezionando il legamento collaterale mediale il menisco si lussava immediatamente tra femore e tibia.

Addirittura il menisco veniva trazionato all’interno dalla sua inserzione sulla spina tibiale e trattenuto all’esterno dalla sua inserzione sulla capsula articolare del ginocchio in equilibrio relativamente instabile; il meccanismo essenziale per la rottura è dato dall’asincronismo nel movimento di rotazione e di flessoestensione.

La lesione meniscale può avvenire pure senza partecipazione legamentosa, per il cosiddetto stress meniscale di Ficat, determinato da rotazione interna del femore sulla tibia fissa in semiflessione, combinata ad un meccanismo di estensione brusca e rotazione esterna di tibia su femore fisso sempre in semiflessione.

Nello stress menisco legamentoso di Ficat, con lesione menisco legamentosa, al meccanismo precedente si aggiunge un’abdulazione od una adduzione forzata.

Assai spesso la lesione meniscale si manifesta in un secondo tempo dopo il trauma, trascorso un certo intervallo libero, e questo perché, secondo Smillie, dapprima si produce solamente una distrazione, un allungamento dell’intersezione del segmento posteriore del menisco.

La lassità risultante permette al menisco di farsi intrappolare secondariamente dai colli e quindi di strapparsi.

La cicatrizzazione stessa della lesione e la sclerosi che ne consegue provocano una flessibilità del menisco responsabile della disarmonia dei successivi movimenti articolari.

Non sempre la lesione meniscale è caratterizzata da versamento articolare e questo perché solo la parte periferica del menisco riceve rami di origine capsulare, dalla rete marginale pericapsulare.

Il menisco mediale è penetrato dal plesso capillare perimeniscale in misura variabile dal 10% al 30% della periferia ed il laterale dal 10% al 25%; solo quando la frattura interessa la zona periferica, il paramenisco, la cosiddetta zona rossa, si potrà determinare un emartro.

Una classificazione delle lesioni meniscali è basata in genere sulle caratteristiche morfologiche delle stesse e sulla localizzazione, in termini circonferenziali, e cioè al terzo posteriore, medio anteriore del menisco; la lesione, inoltre, può attraversare, sempre nella sezione trasversale, più di una zona.

A seconda del piano di clivaggio possono essere distinte fratture verticali, a loro volta longitudinali, radiali, oblique (con flap) od orizzontali; nel tipo complesso i piani di clivaggio possono essere multipli.

Una classificazione secondo il meccanismo causale si limita genericamente ad indicare quello traumatico e quello degenerativo.

Nell’esame del caso assume pertanto un’importanza fondamentale la metodologia medico legale, che deve pervadere tutto l’operato del consulente, ovviamente sino dalla raccolta dell’anamnesi, delle preesistenze patologiche, traumatiche e non, delle attività ed abitudini lavorative e sportive, spesso fonte di lesioni articolari su base microtraumatica.

Analoga cura e precisione andrà riservata alle circostanze dell’evento oggetto di indagine e causa dichiarata di lesione, alla posizione articolare, all’efficienza lesiva del trauma, ricorrendo a ricostruzioni cinematiche ed avvalendosi dell’opera di esperti tecnici del settore.

All’esame della documentazione medica prodotta, da controllarsi sempre in originale, dovrà far seguito la visione diretta delle pellicole radiografiche, RMN, TAC, ecografie.

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Nell’ambito della criteriologia medico legale è da esaminare, in merito alle certificazioni prodotte, la comparsa e l’evacuazione di emartri, idrarti, blocchi articolari, diffidando delle diagnosi specialistiche che senza accertamenti strumentali giungono ad indicare, ad esempio, tipo e sede di lesione meniscale (a manico di secchio non scomposta, radiale con flap ecc.) che possono mascherare l’esistenza (e la non esibizione) di referti confermanti lesioni precedenti alla stipula del contratto assicurativo od all’anamnesi dichiarata.

Analoga importanza riveste l’evoluzione del quadro, i presidi utilizzati, gli accertamenti strumentali effettuati e le terapie prescritte.

L’esame obiettivo dovrà poi essere mirato all’accertamento della patologia meniscale, legamentosa o di quanto altro di interesse medico legale e verterà sull’accertamento del tono, del trofismo muscolare, dello stato articolare, delle sue escursioni, movimenti abnormi, interessamenti meniscali e capsulo legamentosi, condrali ecc.

Proprio la semeiologia radiologica viene ad avere un’importanza notevole nella datazione cronologica delle lesioni capsulo legamentose.

In relazione a quanto già segnalato, una lesione centro meniscale è generalmente primitiva con immagini e bordi della soluzione di continuo che appaiono netti.

Nelle displesie meniscali giocano invece un ruolo di rilievo i fenomeni degenerativi e così pure nella genesi delle cisti meniscali e parameniscali a cui si associano le lesioni condrali dei capi articolari femoro tibiali e femoro rotulei.

Per quanto attiene al danno osteocartilagineo, la vecchia classificazione di Ficat comprendeva nello stadio primo l’edema, percepibile palpatoriamente con l’uncino, nello stadio secondo le fissurazioni, le incrinature e le ulcerazioni cartilaginee, che non giungevano all’osso sottocondrale, nello stadio terzo quelle in cui si iniziava ad evidenziare l’osso subcondrale messo a nudo.

Questa classificazione è stata poi superata da quella più recente di Tippet, a sua volta completante la classificazione di Bauner e Jackson (in cinque stadi), rendendola più precisa ed universale.

Da queste osservazioni sono stati indicati gradi di lesioni valutate in base all’aspetto artroscopico della condropatia, alle dimensioni ed alla profondità della stessa, allo stato dei margini e della cartilagine circostante. Nel primo grado vi è il rammollimento iniziale cartilagineo, senza soluzione di continuo, con parziale affondamento del palpatore; nel secondo grado la fissurazione lineare; nel terzo grado la fibrillazione dei margini; nel quarto grado una perdita cartilaginea dello spessore totale del 50%; nel quinto grado la perdita di cartilagine è maggiore del 50% ma non arriva ad interessare l’osso subcondrale che appare nel sesto grado, su di un solo versante articolare, delle dimensioni non superiori ad un centimetro; nel settimo la dimensione supera il centimetro ed è sempre limitata ad un versante articolare; nell’ottavo grado entrambi i versanti articolari sono esposti.

In altre parole il terzo grado di Ficat viene a corrispondere al sesto, settimo grado di Tippet.

I primi quattro gradi di Tippet sono sempre di origine traumatica e non degenerativa e possono essere contemporanei.

Il settimo e l’ottavo grado sono tipici di lesioni degenerative, vecchie.

Per i primi tre gradi la cronologia può essere datata a circa un mese dal trauma, mentre una frattura meniscale normalmente degenera dopo circa due mesi.

E’ pertanto necessario per il medico legale che l’artroscopista indichi la classificazione a cui la sua gradazione si riferisce, oppure descriva la lesione.

L’abitudine ad un esame del ginocchio programmato e completo consente allo specialista di accertare lo stato articolare precedente e successivo all’evento traumatico, il tipo di lesione iniziale, la sua evoluzione, le eventuali complicanze e soprattutto la preesistenza di turbe funzionali e modificazioni anatomiche.

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L’apprezzamento e la raccolta dei dati relativi a queste alterazioni è fondamentale per la stima del danno alla persona, laddove non si tratta solamente di determinare il valore anatomico dell’articolazione, ma il suo valore funzionale, in relazione alle manifestazioni cliniche, spesso soggettive, nel corso dei gesti della vita quotidiana dell’individuo.

Non esiste neppure un parallelismo obbligatorio tra valore funzionale e valore anatomico del ginocchio, poiché un buon valore funzionale potrà essere accompagnato da uno stato anatomico poco soddisfacente e, di contro, un valore funzionale scadente potrebbe essere abbinato ad esami radiografici pressoché normali.

Per questo è importante conoscere cosa il soggetto richieda (ed ha richiesto in passato) a questa articolazione, nonché la possibilità di intervento di fattori aggravanti dovuti essenzialmente al morfotipo meccanico dell’arto inferiore.

Scaturirà poi dal calcolo goniometrico del range di articolarità residuo, dallo stato della muscolatura, dalle lassità articolari e dalle lesioni meniscali associate nonché dallo studio della iconografia radiologica, la valutazione della percentuale di danno residuato.

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