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Il principio dello stare decisis e la funzione nomofilattica dell’adunanza plenaria del Consiglio di stato al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione Europea. - Judicium

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ADA CALDARERA

Il principio dello stare decisis e la funzione nomofilattica dell’adunanza plenaria del Consiglio di stato al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

SOMMARIO: 1. – PREMESSA: L’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI GIU- STIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIA 17 OTTOBRE 2013, N. 848 E LA QUESTIONE ANCORA APERTA DELL’ORDINE DI ESAME DEL RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE; 2. – IL PRINCIPIO DEL- LO STARE DECISIS NEI SISTEMI DI COMMON LAW E LA SUA IN- TRODUZIONE IN QUELLI DI CIVIL LAW; 3. – LA “SOLUZIONE” ITA- LIANA. A) LA VINCOLATIVITA’ DELLE SENTENZE DELLA CORTE DI CASSAZIONE. B) (SEGUE) E DELLE SENTENZE DEL CONSIGLIO DI STATO; 4. – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

1. – PREMESSA: L’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SI- CILIA 17 OTTOBRE 2013, N. 848 E LA QUESTIONE ANCORA APERTA DELL’ORDINE DI ESAME DEL RI- CORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE.

Con l’ordinanza n. 848 del 20131, il Consiglio di Giustizia Am- ministrativa per la Regione Sicilia torna ad occuparsi dell’ormai nota, e, purtroppo, ancora spinosa questione dell’ordine d’esame del ricorso principale ed incidentale “reciprocamente escluden- ti”2.

Sul punto, come è noto, si sono susseguiti, oltreché serrati, e particolarmente accesi, dibattiti dottrinari, diversi orientamenti della giurisprudenza sfociati, alfine, nelle contrastanti, ma, pur sempre interessanti, sia dal punto di vista puramente scientifico che da quello strettamente processuale, sentenze dell’Adunanza                                                                                                                          

1 C.G.A.R.S., ord. 17 ottobre 2013, n. 848, in www.lexitalia.it, con nota di P.

QUINTO, La nomofilachia della CGUE e dell’Adunanza Plenaria: collabora- zione o concorrenza?; in Urb. e app., 3, 2014, 328 ss., con nota di B.SPAM- PINATO, Sui ricorsi “escludenti incrociati”: uno sguardo “interno” ed uno

“europeo”, 333 ss.

2 In generale, su questo argomento, G.ACQUARONE, In tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale (nota a Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 22 dicembre 1995, n. 388), in Dir. Proc. amm., 1997, 555 ss.

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Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 10 novembre 2008, per la quale il giudice deve, prima di decidere, in ossequio al princi- pio della parità delle parti in giudizio, necessariamente esamina- re ambedue i ricorsi, e n. 4 del 7 aprile 20113, secondo la quale, invece, ragioni di economia del giudizio impongono che il giu- dice, una volta accolto il ricorso incidentale “escludente”, possa dichiarare inammissibile il ricorso principale parimenti “esclu- dente”, non residuando, in capo al ricorrente principale, alcun interesse, nemmeno quello c.d. strumentale alla rinnovazione della gara, meritevole di tutela; quest’ultima, a sua volta, seguita non solo da una giurisprudenza, soprattutto di secondo grado, sostanzialmente adesiva4, ma anche, e in maggior misura, da numerose perplessità, difficilmente superabili, espresse, oltreché da quella parte della giurisprudenza amministrativa più attenta5, anche dalle Sez. Un. della Corte di Cassazione6, e definitiva-                                                                                                                          

3 Ambedue reperibili in www.giustizia-amministrativa.it.

4 Per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2012, n. 63; Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 892, Sez. V, 28 febbraio 2012, n. 1153, in www.giustizia- amministrativa.it.

5 Si vedano per tutte, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, 10 gennaio 2012, n. 197, per il quale, in sostanza, le conclusioni dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011 non possono riferirsi al caso in cui il ricorrente principale abbia non solo l’interesse agli “esiti della procedura selettiva”, ma anche l’ulteriore interes- se alla rinnovazione della gara, in quanto, diversamente opinando, si giunge- rebbe a conclusioni contrastanti con i principi di parità delle parti nel proces- so e di effettività della tutela giurisdizionale, attribuendo, di fatto, al ricorren- te incidentale una ingiustificata posizione di vantaggio rispetto alle prospetti- ve di tutela giurisdizionale riconosciuta a tutti gli operatori economici del set- tore che abbiano partecipato alla gara, nonché Cons. Stato, Sez. V, ord. 15 aprile 2013, n. 2059, e Sez. VI, ord. 17 maggio 2013, n. 2681, in www.giustizia-amministrativa.it, che hanno nuovamente sottoposto la que- stione all’Adunanza Plenaria, evidenziando, la prima, che la verifica della legittimazione, comporta che il giudizio verta in gran parte sul merito della controversia, sicché l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario si porrebbe in contrasto con il principio della parità delle parti, e, prospettando la seconda ben due questioni concernenti l’estensione del principio di tassati- vità delle clausole di esclusione delle gare e la legittimazione del soggetto escluso dalla gara ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, con la richiesta di una rimeditazione delle statui- zioni espresse nella sentenza n. 4 del 2011. In proposito, ex multis, P.QUINTO, Il valore della legalità amministrativa: in attesa dell’A.P., ivi.

6 Corte Cass., S.U., sent. 21 giugno 2012, n. 10294, in www.cortedicassazione.it, la quale, in particolare, ha sottolineato che la con- clusione raggiunta dall’Adunanza Plenaria con la sentenza del 2011, lascia ancor più insoddisfatti se si pone mente al dato incontestabile che l’aggiudicazione può dare vita ad una posizione preferenziale solo se conse- guita in modo legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta, in ogni caso, l’aspirazione principale dell’ordinamento, che in questa materia richiede un’attenzione ed un controllo ancor più specifici, onde evitare di- storsioni della concorrenza e del mercato. D’altra parte, secondo la Suprema Corte, la già sperimentata praticabilità di una diversa conclusione sarebbe fo-

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mente palesati dall’ordinanza 9 febbraio 2013, n. 208, con la quale il T.A.R. Piemonte ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea7. La quale, a sua volta, con la sentenza del 4 luglio 20138, è intervenuta sulla questione stabi- lendo, una volta per tutte, che “l’accoglimento del ricorso inci- dentale dell’aggiudicatario non determina il rigetto (rectius:

l’inammissibilità) del ricorso principale dell’offerente qualora l’offerta di entrambi sia contestata nell’ambito del medesimo procedimento e con motivi identici, per l’analogo interesse le- gittimo di ciascun concorrente all’esclusione dell’offerta dell’altro che può indurre l’amministrazione aggiudicatrice a constatare l’impossibilità di procedere a un’offerta regolare”.

In atri termini, come ben evidenziato dal T.A.R. rimettente, una corretta disamina, nel merito, dei motivi di gravame sollevati in via principale ed in via incidentale, dovrebbe sfociare nell’accoglimento di ambedue i ricorsi (principale ed incidentale) per l’inadeguatezza di entrambe le offerte rispetto a quanto ri- chiesto dall’amministrazione, con la naturale conseguenza dell’annullamento di tutta la gara. Esito, questo, che, comunque, soddisferebbe il c.d. interesse strumentale del ricorrente princi- pale (ma, deve aggiungersi, anche del ricorrente incidentale) alla ripetizione delle operazioni di gara, mantenendosi, così, una chance di aggiudicazione futura a seguito della rinnovazione della procedura.

Le immediate reazioni della dottrina al principio enunciato dalla Corte di Giustizia hanno sostanzialmente ricalcato, com’era pre- vedibile, le contrastanti posizioni già espresse all’indomani della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 20119.

                                                                                                                                                                                                                                                                      riera di dubbi interpretativi, in quanto il giudice, a fronte di due letture alter- native, dovrebbe privilegiare quella che assicura e non quella che ostacola la somministrazione della tutela e la piena attuazione della legge.

7 T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, ord. 9 febbraio 2012, n. 208, in Urb. e App., 2012, 4, 437 ss., con nota di M.PROTTO, Ordine di esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti pubblici: la parola al giudice comunitario, 440 ss. In proposito, si vedano anche le considerazioni di R.

CAPONIGRO, L’interesse legittimo strumentale nelle gare d’appalto, in www.giustizia-amministrativa.it.

8 Corte Giust. UE, Sez. X, 4 luglio 2013, in causa C – 100/2012, Fastweb s.p.a. c. ASL Alessandria, in Urb. e App., 2013, 10, 1003 ss., con nota di C.

LAMBERTI, Per la Corte di giustizia l’incidentale non è più “escludente”?, 1006 ss. Si veda anche il commento di R.CAPONIGRO, Le azioni reciproca- mente “escludenti” tra giurisprudenza europea e nazionale, e diP.QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa la Plenaria, in www.giustizia-amministrativa.it.

9 Sul punto si rinvia essenzialmente ai commenti di R.CAPONIGRO, Le azioni reciprocamente “escludenti” tra giurisprudenza europea e nazionale, cit., che si mostra favorevole alla soluzione della Corte di Giustizia, e di C.LAM- BERTI, Per la Corte di Giustizia l’incidentale non è più “escludente”?, cit., il quale, invece, sembra mostrare una netta preferenza per la tesi accolta dall’Adunanza Plenaria con la sent. n. 4/2011. Cfr., tuttavia, anche B.SPAM-

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Non è, ovviamente, possibile ripercorrere funditus le tappe che hanno portato alla richiamata sentenza della Corte europea, per le quali si rinvia ai numerosi contributi da altri offerti nel corso di questi ultimi anni10, né trarre delle conclusioni definitive su                                                                                                                                                                                                                                                                      

PINATO, Sui ricorsi “escludenti incrociati”, cit., 333, il quale, nell’annotare l’ordinanza da cui muove il presente lavoro, rileva che la questione dell’incidentale sembrerebbe meglio impostata in termini di interesse a ricor- rere anziché di legittimazione a ricorrere e, alla luce della concezione sogget- tiva della giurisdizione amministrativa, il c.d. interesse a ricorrere strumenta- le sembra destinato a trovare spazi ridotti. Quanto, invece, alla menzionata sentenza della Corte di Giustizia UE, invece, l’A. rileva come, in materia di appalti pubblici, al fine di assicurare la tutela della concorrenza, sembrerebbe che il diritto dell’UE tenda sempre più a comprimere la c.d. autonomia pro- cessuale dell’ordinamento nazionale e, conseguentemente, alterare, nella suddetta materia (ma, si deve aggiungere, non solo), la funzione (istituzionale) del processo amministrativo, in tal modo aprendo nuove prospettive in ordine alla consistenza del principio dispositivo e ai poteri d’ufficio del giudice amministrativo. Il Consiglio di giustizia siciliano, dunque, secondo tale opi- nione, potrebbe rappresentare un’importante occasione verso la delineazione del ruolo del giudice nel delicato settore dei pubblici appalti. Ciò, a parere di chi scrive, potrebbe anche essere condivisibile. Sembra, però, che, come si vedrà meglio nel testo, l’ordinanza de qua, costituisca, piuttosto, un passo avanti verso quel dialogo tra le Corti, nazionali ed europee, volto a costruire un più avanzato sistema di giustizia uniforme, applicabile a tutti gli Stati membri (recte, utilizzabile dai cittadini di tutti gli Stati membri).

10 Sull’Adunanza Plenaria n. 11 del 2008, si vedano i contributi di R.VILLA- TA, In tema di ricorso incidentale e di procedure di gara cui partecipano due soli concorrenti; ID., L’Adunanza Plenaria interviene sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale, ambedue in Dir. proc. amm., 2008, 911 ss. e 1186 ss.; ID., Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio ammini- strativo di primo grado. (Con particolare riguardo alle impugnative delle gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 2010, 285 ss.; A.ROMANO TASSONE, Il ricorso incidentale e gli strumenti di difesa nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, 581 ss.; G.TROPEA, La Plenaria prende posizione sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli concorrenti). Ma non convince, in Dir. proc. amm., 2009, 146 ss.; L.R.PER- FETTI, Legittimazione e interesse a ricorrere nel processo amministrativo: il problema delle pretese partecipative, in Dir. proc. amm., 2009, 688 ss.; A.

CERRI, Spunti e riflessioni sull’ordine delle domande, l’ordine delle questioni e l’impugnativa incidentale escludente, in Riv. dir. proc., 2010, 1283 ss.; G.

PELLEGRINO, Effetto paralizzante del ricorso incidentale. Necessità di un ri- pensamento, in www.giustamm.it; ID., Ricorso incidentale e parità delle parti.

La svolta della Plenaria, in www.giustizia-amministrativa.it. In relazione all’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, si rinvia ai commenti di F.G.SCOCA, Ordine di decisione, ricorso incidentale, in Corr. Giur., 2012, 105 ss.; G.

PELLEGRINO, La Plenaria e le “tentazioni” dell’incidentale. Nota ad A.P. n.

4 del 2011, in www.giustamm.it; F.FOLLIERI, Un ripensamento dell’ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale, in Dir. proc. amm., 2011, 1151 ss.; M.MARINELLI, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente” e or- dine di esame delle questioni (note brevi a margine di un grand arret dell’Adunanza Plenaria), ivi, 1174 ss.; A.GIANNELLI, Il revirement della Plenaria in tema di ricorsi paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensa- no sulla nozione di interesse strumentale, ivi, 1119 ss.; A.SQUAZZONI, Anco- ra sull’asserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale c.d. escluden-

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una questione che, come ricordato, resta ancora sostanzialmente aperta.

L’ultima tappa della vicenda, così sommariamente descritta, in- fatti, è segnata dalla statuizione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 201411, con la quale, il supremo organo della giustizia ammini- strativa, nel dare risposta all’ ordinanza di rimessione n. 2681 del 2013 della VI Sez. del Consiglio di Stato12, dopo aver riper- corso approfonditamente le tappe principali del problema del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, enuncia ben quattro nuovi principi di diritto, fornendo un’interpretazione del- la sentenza Fastweb che, sembra, piuttosto forzare le intenzioni e le statuizioni del giudice europeo13, e mettendo un punto (defi- nitivo?) a tale questione.

Secondo l’Adunanza Plenaria, infatti, “a) il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione; b) nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso prin- cipale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non ag- giudicatario, in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione; tuttavia, l’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia proces- suale, qualora risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile; c) nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non                                                                                                                                                                                                                                                                       te nelle controversie in materia di gare. La Plenaria statuisce nuovamente sul rebus senza risolverlo, ivi, 1063 ss.; E.M.BARBIERI, Ricorsi reciproca- mente “escludenti” ed ordine di esame delle questioni proposte, in Dir. proc.

amm., 2012, 745 ss.; R.VILLATA, Ricorso incidentale escludente ed ordine di esame delle questioni: un dibattito ancora vivo, in Dir. proc. amm., 2012, 363 ss.

11 Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9, in www.giustizia- amministrativa.it, commentata da G. PELLEGRINO, Considerazioni sul rap- porto tra ricorso principale e ricorso incidentale dopo Corte di Giustizia (Fastweb) e la nuova Adunanza Plenaria, in www.giustamm.it.

12 Cons. Stato, Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2681, cit.

13 Pur se, come rilevato da G.PELLEGRINO, Op. ult. cit., 4, la conclusione del- la nuova Adunanza Plenaria sarebbe imposta “da nostre regole processuali sul punto sicuramente non in contrasto con i principi comunitari che invece si è giustamente ritenuto violati da una incondizionata iperprotezione dell’aggiudicatario/ricorrente incidentale”.

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va esaminato prima del ricorso principale allorquando non pre- senti carattere escludente; tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipa- zione alla procedura del ricorrente principale; d) nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la le- gittimazione del ricorrente principale – estromesso per atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale – ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale come precisato in motivazione”14.

Come si vede, il dato letterale della sentenza Fastweb viene for- zato ed, anzi, considerato introduttivo di una mera eccezione alla

“laboriosa” ricostruzione da ultimo fornita proprio dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, sicché, la nuova Adunan- za Plenaria, in definitiva, pur aggiustando il tiro e meglio preci- sando i termini della questione, conferma, sostanzialmente, quanto già statuito nella precedente pronuncia.

Non ci si può, tuttavia, dilungare su questo nuovo capitolo della vicenda, pur se dagli interessantissimi risvolti teorici e pratici15, che, sicuramente, per quanto soltanto accennato, non resterà pri- vo di conseguenze future, anche a livello europeo16.

                                                                                                                         

14 Secondo l’Adunanza Plenaria, devono ritenersi comuni, e, quindi, idonei all’esame incrociato e all’eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi per come stabilito dalla sentenza Fastweb, esclusivamente i vizi ricompresi all’interno di tre, alternative, categorie: 1) tempestività della domanda ed in- tegrità dei plichi; 2) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione alla gara (comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizza- tivi e di qualificazione); 3) carenza di elementi essenziali dell’offerta previsti a pena di esclusione. In questi casi, dunque, il ricorrente principale ha la pos- sibilità di impugnare l’aggiudicazione e, soprattutto, di vedere valutato il proprio ricorso da parte del giudice. Tale orientamento è stato, poi, ulterior- mente chiarito da Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno – 6 ottobre 2014, n. 4985, in www.giustizia-amministrativa.it.

15 La richiamata sentenza n. 9/2014, infatti, si occupa minuziosamente anche dell’irretroattività del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare per l’affidamento di appalti pubblici; del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle procedure selettive; nonché, del principio del soc- corso istruttorio, e meriterebbe ben altro approfondimento che, in questa sede, non è possibile svolgere.

16 Tra le ragioni dell’instabilità degli orientamenti che si sono ricordati, peral- tro, sono state annoverate sia la tradizionale, e non ancora del tutto superata, visione “oggettiva” del giudizio amministrativo di legittimità (su cui, ex mul- tis, B.MARCHETTI, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva:

riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014, 74 ss.), che, soprat- tutto, l’indeterminatezza, strutturale, della collocazione, nell’ambito degli strumenti di difesa del processo amministrativo, del ricorso incidentale, la cui qualificazione, com’è noto, oscilla ancora tra l’eccezione, la domanda ricon-

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In questa sede, infatti, preme, piuttosto, sottolineare che la sud- detta sentenza Fastweb, la quale, come detto, sembrava aver ri- solto definitivamente il contrasto, ha, invece, spinto il Consiglio di Giustizia, con l’ordinanza in commento, ad ulteriori conside- razioni17, che, però, a ben vedere, costituiscono solo l’occasione per rimettere all’esame della Corte di Giustizia, l’ulteriore, ed altrettanto interessante, questione della presunta introduzione nel nostro ordinamento del c.d. precedente vincolante.

Quando si parla di precedente giudiziale, com’è noto, si fa rife- rimento ad una decisione giudiziaria anteriore, considerata nel suo valore orientativo rispetto al giudizio attuale, concernente la medesima questione o una diversa che, però, renda utile un raf- fronto.

Aderendo alla nota distinzione tra prassi “genetica”, “realizzati- va” e “adeguatrice”18, sembra corretto, inoltre, inquadrare19 il precedente giudiziale nell’ambito della prassi realizzativa, che può avvenire nelle forme dell’attuazione spontanea o giudiziaria della norma e, ove risulti essere il risultato di un’elaborazione ed opzione interpretativa, può essere considerata come un momento di prassi adeguatrice, rispondente all’esigenza di ispirarsi, nella scelta tra più possibili letture astrattamente consentite dal dato normativo, ad un principio di adeguamento del diritto al fatto ed alla concreta situazione di interesse che si manifesta.

Considerando, poi, che le decisioni giudiziarie hanno, da sempre, significativamente influenzato l’inquadramento giuridico e la ri- soluzione di casi uguali o analoghi, esercitando un’autorità per- suasiva o vincolante tale da orientare e condizionare le successi- ve pronunce, non stupisce il dato fattuale che sia nei sistemi ispirati al principio dello stare decisis che in quelli in cui il giu-                                                                                                                                                                                                                                                                       venzionale e l’”eccezione riconvenzionale”. Non è questa, ovviamente, la se- de per addentrarsi in questo importante dibattito, per il quale si rinvia a C.

BENETAZZO, Il ricorso incidentale: oggetto, legittimazione e ordine di esame delle questioni tra disciplina interna e principi comunitari, in Dir. Proc.

amm., 2014, 107 ss.

17La vicenda descritta e le soluzioni offerte dalla giurisprudenza citata, infat- ti, si riferiscono alle gare cui abbiano partecipato solo due concorrenti. Il Consiglio di Giustizia, con l’ordinanza in commento, rilevando subito che la fattispecie sottoposta al suo esame si differenzia, in parte, da quella decisa dalla Corte europea, in quanto le imprese ammesse a partecipare alla gara erano più di due, pur se solamente due di queste imprese hanno poi attivato il contenzioso, evidenzia la necessità di stabilire se il principio di diritto enun- ciato a livello europeo possa ritenersi applicabile non solo alle controversie vertenti sulle c.d. gare a due, ma anche a quelle in cui i concorrenti erano in maggior numero.

18 Elaborata da A.FALZEA, La prassi nella realtà del diritto, in AA.VV., Stu- di in onore di Pietro Rescigno, Milano, 1998, 353 ss.

19 In tal senso, F.SAITTA, Valore del precedente giudiziale e certezza del di- ritto nel processo amministrativo del terzo millennio, in Dir. amm., 2005, 606.

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dice non è vincolato dalle precedenti pronunce sulla stessa que- stione ed ha, quindi, l’obbligo di giustificare le ragioni del suo convincimento, il riferimento ai precedenti finisce per costituire un’abituale modalità di motivazione dei provvedimenti giudizia- ri, nel senso, duplice, di tendere generalmente a considerare soddisfatto l’obbligo della motivazione “in diritto” anche me- diante solo il richiamo di precedenti conformi e di ritenere che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale non sia total- mente appagante qualora non tenga conto, espressamente o taci- tamente, dei precedenti, aderendovi o dissentendovi20.

Purtuttavia, la posizione del giudice cambia a seconda che si trovi innanzi ad un precedente vincolante (binding authority) o meramente persuasivo: nel primo caso, infatti, pur non potendo- si ravvisare una situazione di soggezione analoga a quella in cui si pone rispetto alla legge, v’è comunque un obbligo giuridico di attenersi, salve eccezioni, al già deciso; nel secondo caso, invece, v’è libertà di scegliere discrezionalmente se attenersi o meno al precedente, con l’onere, comunque, di motivare l’eventuale dis- senso.

Orbene, le ultime riforme legislative, nel modificare l’art. 374, 3° comma c.p.c. ( Dlgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e nell’introdurre l’art. 99 c.p.a. (Dlgs. 2 luglio 2010, n. 104), hanno stabilito, sia per il giudizio ordinario che per quello amministrativo, che i principi di diritto enunciati dalle magistrature supreme (Sezioni Unite della Corte di Cassazione e Adunanza Plenaria del Consi- glio di Stato), non possono essere disattese dalle c.d. sezioni semplici, le quali, invece, se da quelle vogliono discostarsi, sono obbligate a rimettere la questione ai medesimi organi supremi, motivando puntualmente le ragioni del dissenso e, conseguen- temente, provocando un nuovo pronunciamento, che sostituirà, eventualmente, la precedente statuizione e dovrà essere rispetta- to da quelli che, a questo punto, possiamo definire giudici infe- riori21.

                                                                                                                         

20 Così, ancora F.SAITTA, Valore del precedente, cit., 607.

21 Il problema si pone in minor misura per le magistrature di primo grado, in quanto, il loro dissenso potrà essere valutato come motivo di appello. Anche nell’ambito della giurisprudenza contabile, peraltro, la disciplina della fun- zione nomofilattica delle Sez. Riunite della Corte dei Conti è stata modificata in linea con le disposizioni riferite nel testo in relazione ai giudizi civili ed amministrativi. Il comma 7 dell’art. 1 del d.l. n. 453 del 1993 prevede, infatti, che “se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condi- videre il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio”. Nell’ambito della funzione di controllo, inoltre, l’art. 17, comma 31, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni in L. 3 agosto 2009 n. 102, ha previsto anche che il Presidente della Corte dei Conti “può disporre che le Sezioni Riunite adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in manie- ra difforme dalle sezioni regionali di controllo nonché sui casi che presenta-

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Tale situazione ha destato non poca preoccupazione, come si vedrà, in un sistema in cui tradizionalmente, com’è noto, in virtù del fondamentale principio della separazione dei poteri, i giudici sono indipendenti e soggetti soltanto alla legge, la quale sola ha il compito di creare il diritto. L’introduzione di una sorta di pre- cedente vincolante, invero, sembrerebbe minare alla radice quel- li che, come ognuno sa, sono considerati principi fondamentali del nostro ordinamento e, più in generale, di tutti i sistemi conti- nentali: la creazione legislativa del diritto e l’indipendenza della magistratura.

Non stupisce, pertanto, il rinvio pregiudiziale da parte del Con- siglio di Giustizia Amministrativa siciliano, anche in ragione delle sue peculiarità, pur se sembra doveroso avvertire, sin d’ora, che l’esito si preannuncia alquanto scontato, non potendo, si ri- tiene, la Corte di Giustizia europea non ammettere la validità del precedente, posto che proprio le sue statuizioni entrano a far par- te degli ordinamenti dei singoli Stati membri per mezzo del principio del precedente vincolante.

A questo punto, allora, sembra altrettanto doveroso, prima di ogni altra considerazione su tale questione, tracciare i caratteri fondamentali e l’evoluzione del principio dello stare decisis.

2. – IL PRINCIPIO DELLO STARE DECISIS NEI SISTE- MI DI COMMON LAW E LA SUA INTRODUZIONE IN QUELLI DI CIVIL LAW.

Il principio del precedente vincolante – stare decisis -, trova le sue radici storiche nei sistemi giuridici di common law, ove è profondamente radicato, e si sostanzia, com’è noto, nel fatto che le decisioni giurisdizionali su un determinato punto di diritto hanno, generalmente, carattere vincolante per i giudici che si trovino, successivamente, investiti della medesima questione.

Tale obbligatorietà dei precedenti non trova il suo fondamento nella legge, ma ha matrice consuetudinaria, derivando dal con- solidamento della loro influenza di fatto, e, secondo gli studiosi d’oltremanica22, risulta strettamente legata alla storia dei laws reports, raccolte di decisioni giurisdizionali risalenti alla fine del XIII secolo, pur se si stabilisce con nettezza solo nell’Ottocento, nella versione estrema della doctrine of binding precedent, per mezzo della decisione sul caso London Streets Tramways ltd. v.

                                                                                                                                                                                                                                                                      no una questione di massima di particolare rilevanza”. Deve, qui, ricordarsi anche che la suddetta disciplina è stata confermata da Corte Cost., 24 gennaio 2011, n. 30, in www.cortecostituzionale.it.

22 Sull’origine consuetudinaria della regola del precedente vincolante, si ve- dano per tutti, C.K.ALLEN, Law in the making, Oxford, 1964, 187 ss; R.

CROSS – J.W.HARRIS, Precedent in English law, Oxford, 1977, 22 ss.

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London County Council, con la quale, nel 1898, la House of Lords dichiarò espressamente l’esistenza del principio della vin- colatività interna (o vincolo in senso orizzontale), l’obbligo, cioè, di non discostarsi dai propri precedenti per la stessa corte su- prema inglese23

A fronte del forte accentramento legislativo o “fetichisme de loi”, com’è stato definito24, che accompagna anche il perdurante as- solutismo dell’Europa continentale, nel Regno Unito si riscontra, invece, un sistema pluralistico di fonti che lascia ampio spazio all’attività (e alla discrezionalità) degli organi giudiziari ed alla continuità che in essa si esprime attraverso la coerenza con i precedenti25.

In altri termini, a fronte di un sistema – continentale o di civil law – caratterizzato dal predominio del diritto di fonte legislati- va, nel quale, per definizione, il ruolo dei giudici consiste nella mera applicazione della legge per risolvere la controversia sot- toposta al proprio giudizio, si pone un sistema – di common law – caratterizzato, al contrario, dal predominio del diritto di fonte giurisprudenziale, nel quale viene meno la figura esterna del legislatore, mentre, conseguentemente, assume un ruolo cen- trale il giudice, che diventa egli stesso fonte del diritto con le proprie decisioni26.

Il continente, infatti, è dominato dall’opinione per cui tutti i casi sono già giuridicamente regolati dal diritto positivo e l’interpretazione è un’operazione puramente meccanica di appli- cazione delle categorie o concetti logico-razionali. In tal senso, si è parlato, in proposito, di formalismo interpretativo:

l’interprete ha il solo compito di rendere palese il significato delle norme con procedimenti di concettualizzazione che non                                                                                                                          

23 In proposito, si veda F.MORETTI, La dottrina del precedente giudiziario nel sistema inglese, in Contr. e impresa, 1990, 680 ss.

24 R.POUND, The spirit of the common law, Boston, 1966, trad. it. a cura di G.

BUTTA, Milano, 1970, 149 ss., il quale sottolinea che nemmeno il movimento di riforma legislativa promosso, nella prima metà dell’ottocento, sulla spinta delle teorie del Bentham, pur eliminando ciò che vi era di arcaico nel diritto anglo-americano, ha modificato i caratteri essenziali della teoria del prece- dente.

25 V. MARINELLI, Precedente giudiziario, in Enc. Dir. – agg. VI, Milano, 2002, 881.

26 In relazione alle caratteristiche del common law, si rinvia ai più approfon- diti studi di S.F.C.MILSOM, Historical Foundations of the Common Law, London, 1981; , A Concise History of the Common Law, London, 1956, non- ché, nella letteratura italiana, G.GORLA, Studio storico comparativo della

“common law” e scienza del diritto (le forme d’azione), in Riv. trim. dir.

proc. civ., 1962, 25 ss.; ID., Formazione e strutture fondamentali della

“Common Law”: le “forms of action”, in Riv. trim. dir, proc., 1965, 1646 ss.;

L.MOCCIA, Common Law, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., Torino, 1988, 17 ss.;

U.MATTEI, Common Law. Il diritto anglo-americano, Torino, 2004.

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comprendono né argomenti di tipo sostanziale, quali l’esame della funzionalità o delle conseguenze pratiche della pronuncia, né giudizi di equità. Tale metodo interpretativo, dunque, caratte- rizzato da un approccio formalistico al diritto e da un rigore di tipo logico-sistematico, si sostanzia, in definitiva, nella c.d.

dogmatica giuridica.

Fuori dal continente, invece, si afferma il realismo o antiforma- lismo giuridico, nel quale il diritto non interessa nella forma del- la sua validità, bensì in quella della sua efficacia. Secondo que- sto orientamento, il diritto è il complesso di regole che sono ef- fettivamente seguite in una determinata società, da analizzare non tanto dal punto di vista della realtà normativa quanto da quello della realtà fattuale e dell’efficacia concreta delle norme e degli istituti giuridici. Pertanto, i giudici, nell’applicare le norme, ne possono modificare il contenuto, adattandolo alla realtà. Ciò, in quanto, il giudice, nell’interpretazione delle norme, non uti- lizza esclusivamente il diritto positivo, ma valuta anche l’efficacia, il contesto storico e l’evoluzione delle esigenze so- ciali, divenendo interprete delle esigenze della società.

Con il riconoscimento di questo ruolo attivo e creativo della giu- risprudenza e la valorizzazione del momento interpretativo si verifica quella netta rottura con la rigorosa struttura sistematica del diritto e, conseguentemente, con il dogmatismo puro ed il metodo interpretativo logico-formale, che si è risolta nella nota quasi incomunicabilità iniziale tra gli ordinamenti di tipo conti- nentale e di tipo anglosassone, almeno finché, come si vedrà a breve, il realismo giuridico non ha aperto una breccia nel muro del formalismo continentale27.

Nel common law, dunque, non si rinvengono norme generali ed astratte da applicare ai casi concreti, bensì sentenze giudiziali, decisioni, che diventano vincolanti, nate sul caso concreto.

Naturalmente, non sembra inutile precisare, non la sentenza per esteso è da considerarsi decisione in senso stretto, bensì quella parte di essa riguardante la soluzione delle questioni giuridiche che emergono dalla controversia, anche se non tutte avranno la medesima importanza come precedente. A tal proposito, infatti, si suole distinguere tra ratio decidendi e obiter dictum. Laddove per ratio decidendi deve intendersi, com’è noto, la decisione                                                                                                                          

27 Tuttavia, non può tacersi l’opera di mediazione tra queste due correnti teo- rizzata da H.L.A.HART, Il concetto di diritto, Torino, 1991, passim, per il quale, condivisibilmente, “il formalismo e lo scetticismo sulle norme sono le Scilla e Cariddi della teoria del diritto: esse sono delle grandi esagerazioni, salutari quando si correggono reciprocamente, e la verità sta in mezzo a lo- ro”. Per un’analisi del formalismo pratico nel diritto amministrativo ed una disamina delle correnti formaliste ed antiformaliste di dottrina e giurispru- denza, si veda S.CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio. Forma- lismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006.

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delle questioni giuridiche necessarie alla risoluzione del caso in questione, “la ragione autonoma, indipendente, distinta dalle altre, sufficiente da sola a sorreggere logicamente e giuridica- mente la decisione”28; proprio per mezzo di tale diretta relazione con la fattispecie concreta da risolvere essa potrà essere utilizza- ta per risolvere un caso successivo simile o analogo. Una que- stione è rilevante, infatti, se, nell’ambito di una decisione che contempli più alternative decisionali, la sua soluzione è un ele- mento necessario della giustificazione di una delle possibili al- ternative decisionali29. Determinare la ratio decidendi, dunque, risulta necessario per stabilire il contenuto prescrittivo della de- cisione giudiziale30.

Per obiter dictum, invece, si intende la soluzione delle questioni giuridiche non necessarie alla decisione, l’argomentazione, co- me si suol dire, ad abundantiam, “i principi di diritto enunciati dalla sentenza in modo incidentale”31, quella questione giuridica prospettata in via ipotetica e risolta nel discorso argomentativo della motivazione; non avendo una relazione diretta con i fatti della controversia non potrà, generalmente, valere come prece- dente, pur se potrà preannunciare una giurisprudenza futura su altre liti in cui tali questioni giuridiche prospettate e risolte in via ipotetica vengano a qualificare i fatti di cui si discute32.

                                                                                                                         

28 Così L.NANNI, Ratio decidendi e obiter dictum nel giudizio di legittimità, in Contratto e impresa, 1987, 865 ss.

29 In tal senso, G.SARTOR, Il precedente giudiziale, in www.eistig.ipbeja.pt, 1996, 238.

30 Secondo R.MANDELLI, La determinazione e l’applicazione della ratio de- cidendi del precedente giudiziale nella Common Law, in Riv. dir. proc., 1980, 319 ss., il procedimento di applicazione della ratio decidendi si può concet- tualmente scomporre in tre passaggi ed operazioni: la prima – reasoning by analogy o reasoning from case by case – consiste in una serie di giudizi con- cernenti la possibilità di porre una distinzione razionale tra i fatti del presunto precedente e quelli della fattispecie litigiosa e l’influenza di un’eventuale di- versità ai fini di un diverso trattamento giuridico; la seconda operazione con- siste nel dovere di dimostrare l’eventuale oggettiva diversità della fattispecie della precedente decisione da quella da decidere, poiché il distinguishing che non soddisfi tale condizione può essere equiparato ad un overruling, e quindi viene considerato illegittimo; la terza operazione consiste, infine, nell’applicare la norma individuata come ratio decidendi ai fatti di causa.

31 F.GALGANO, L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto e impresa, 1985, 701 ss.

Sul concetto di obiter dictum non si può non ricordare la definizione fornita da V.ANDRIOLI, Massime consolidate della Corte di Cassazione, in Riv. dir.

proc., 1948, 249 ss., per il quale l’obiter è null’altro se non “lo svolazzo dot- trinario dell’estensore”.

32 Interessante sembra, piuttosto, la posizione di V.MARINELLI, Precedente, cit., 885, per il quale in una posizione “intermedia fra le rationes decidendi e gli obiter dicta stanno le argomentazioni ad abundantiam e in particolare le rationes decidendi alternative, cioè lo svolgimento di due o più serie di ar- gomenti ciascuna delle quali autonomamente idonea a sostenere una data

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Il vincolo al precedente, o stare decisis, insomma, indica l’obbligo giuridico a conformarsi alle rationes dei precedenti (stare rationibus decidendi). La ratio decidendi risulta essere, così, una statuizione universale, potendosi, in tal modo, riferire anche a tutti i casi futuri per i quali essa sia pertinente. Il vincolo dello stare decisis, pertanto, differisce dall’obbligo di rispettare la res judicata, la quale, invece, com’è noto, si pone come disci- plina del caso concreto33.

Si deve, tuttavia, sottolineare che non sono mancate divergenze nel dibattito dottrinario, non solo in relazione alla distinzione dei due suddetti elementi della decisione34, ma anche, e forse in maggior misura, circa il modo di intendere il rapporto tra pro- nunce giurisdizionali e realtà sociale. Secondo un primo, e più datato orientamento, infatti, la natura delle decisioni delle corti è solo dichiarativa o ricognitiva di regole già operanti nella realtà sociale35, mentre, maggiormente aderente alla realtà sembra, piuttosto, l’orientamento per il quale al precedente dev’essere attribuito carattere costitutivo o creativo, nel senso che i giudici non si limitano ad attingere ai mores e ad esprimere ciò che in essi è già insito, bensì offrono un proprio originale contributo alla formazione delle regole giuridiche36.

Lo sviluppo storico del diritto inglese, ove si riscontra la più ri- gida applicazione del principio dello stare decisis, è avvenuto soprattutto nella forma della case of law o judiciary law, quindi sulla base dei precedenti stabiliti dalle autorità giudiziarie a ciò preposte, mancando quasi totalmente, eccettuate le materie am- ministrative, le codificazioni scritte o gli atti legislativi del Par- liament o di altre autorità che, nonostante una progressiva

                                                                                                                                                                                                                                                                      conclusione”. Tuttavia, numerose voci, in dottrina, tendono a smorzare il si- gnificato della distinzione tra ratio e obiter in base alla constatazione che nel nostro sistema è la massima ad avere valore di precedente. In tal senso, V.

DENTI, Relazione di sintesi, in AA.VV., La giurisprudenza per massime e il valore del precedente, Padova, 1988, 117.

Ad ogni modo, anche nell’ambito dei sistemi di common law si sono riscon- trate numerose difficoltà nella distinzione, all’interno della decisione, della ratio decidendi dall’obiter dictum. Si veda in proposito, K.ZWEIGERT H.

KOTZ, Introduzione al diritto comparato, I, Principi fondamentali, Milano, 1998, 312.

33 Così, G.SARTOR, Il precedente giudiziale, cit., 246.

34 Per un’utile ricostruzione del dibattito, si rinvia essenzialmente a G.SAR- TOR, Il precedente giudiziale, cit., 239 ss., il quale riporta con esattezza le di- verse opinioni che si sono avvicendate tra gli studiosi della common law.

35 Cfr., per tutti, W.BLACKSTONE, Commentaries on the laws of England, London, 1839; M.HALE, History of the Common Law, London, 1820.

36 Si veda, in tal senso, il contributo di J.A.G.GRIFFITH, The politics of the judiciary, London, 1977, trad. it. a cura di M.P.CHITI, Giudici e politica in Inghilterra, Milano, 1980.

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espansione, continuano ancora ad essere considerati come fonti di diritto speciale.

Proprio in quanto il diritto di matrice giurisprudenziale è visto quale diritto comune - complesso organico di principi, regole e categorie che sono presupposti e tendenzialmente conservati dal- la statute law -, le pronunce giurisprudenziali, salvo un limite generale di compatibilità con la legge scritta, di cui i giudici tendono, peraltro, a dare interpretazioni restrittive, possono an- che non avere, e spesso non hanno, fondamento in un atto legi- slativo. Conseguentemente, le legal rules formulate dalle corti hanno efficacia obbligatoria anche nei giudizi successivi.

Per comprendere appieno la dottrina del precedente vincolante, sembrano necessarie alcune precisazioni.

Innanzitutto essa sembra essere strettamente legata alla dottrina dei remedies.

Nella tradizione del common law, il rimedio è lo strumento per riparare la violazione di un precetto, differenziandosi, dunque, sia dalla norma attributiva di un diritto, da intendersi, ovviamen- te, come risposta dell’ordinamento all’emersione di un interesse, sia dalla sanzione, che, certamente, è la risposta alla violazione di un precetto, in quanto, il rimedio, ha, in definitiva, la funzione specifica di ristabilire un ordine giuridico violato o irrealizzato a causa della frapposizione di un elemento anche esterno. Contra- riamente alla norma ed alla sanzione, inoltre, esso è strumento tipicamente posto dalla legge o dall’autonomia privata a dispo- sizione del singolo.

I rimedi si distinguono in judicial remedies e non judicial reme- dies. I primi, in particolare, possono essere at law, come il risar- cimento del danno o la tutela possessoria, oppure equitable, co- me la specific performance. Il tratto fondamentale di questo si- stema è, però, che il rimedio implica, necessariamente, una pon- derazione di interessi da parte del giudice.

I rimedi sembrano, dunque, costituire un “piano mobile” di strumenti preposti non al soddisfacimento in prima battuta di in- teressi giuridicamente protetti, bensì al soddisfacimento in se- conda battuta di un bisogno di tutela del singolo conseguente all’inattuazione di quell’interesse o alla sua violazione37 e, con- seguentemente, consentono di offrire una risposta adeguata e mirata ai bisogni di tutela che affiorano nella prassi.

È noto, d’altra parte, che in termini funzionali un medesimo in- teresse può dar luogo ad una pluralità di bisogni di tutela che necessitano di una pluralità di rimedi, così come, per converso, una pluralità di interessi possono dare luogo al medesimo biso- gno di tutela e, quindi, al medesimo rimedio. Si realizza così una                                                                                                                          

37 In tal senso, S.MAZZAMUTO A.PLAIA, I rimedi nel diritto privato euro- peo, Torino, 2012, 16.

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sorta di fungibilità o circolarità dei rimedi, definibile come change of remedies.

In un sistema come quello di common law, è bene sottolineare, sembra del tutto coerente, in assenza di leggi scritte e, quindi, di risposte cristallizzate nella norma, questo ruolo del giudice – creatore di diritto che, con le sue decisioni, non si limita a pla- smare la realtà giuridica, ma tende ad assicurare la giusta tutela al caso concreto.

In secondo luogo, la dottrina del precedente si collega alla strut- tura piramidale del sistema giudiziario.

Al vertice della giurisdizione, sia civile che penale, v’è la House of Lords38, i cui precedenti devono essere seguiti da tutte le altre corti di giustizia, e ai quali la House of Lords stessa è vincolata, potendosene discostare solo “when it appears right to do”39. Al di sotto della House of Lords, nella struttura piramidale che si sta delineando, si trova la Court of Appeal, le cui decisioni vin- colano sia la corte stessa che le corti ad essa inferiori, nei giudizi successivi40. Tuttavia, anche la Court of Appeal si è ritagliata il potere di riformare le proprie precedenti decisioni nel caso in cui il precedente si ponga in conflitto con una decisione anteriore della stessa Corte, nel caso in cui il precedente risultasse incom- patibile con una pronuncia della House of Lords e, infine, in pre- senza di una decisione adottata per incuriam, non tenendo, quindi, conto di una rule of law posta giudizialmente o legislati- vamente. A questa fa seguito, nella scala gerarchica, la High Court of Justice, i cui giudici sono vincolati dalle statuizioni dei due organi precedenti ad essa sovraordinati, ma non sono obbli- gati ad uniformarsi alle decisioni di altri giudici di High Court, sebbene nella pratica tendono a farlo, a meno di non ravvisare una valida ragione in contrario.

Alla base della struttura piramidale così delineata si collocano le Count Courts, vincolate dalle decisioni di tutte le superior                                                                                                                          

38 A differenza della nostra Corte di Cassazione, tranne che in tema di giuri- sdizione e competenza e per gli errores in procedendo, la House of Lords è giudice non solo di diritto ma anche di fatto, pur trattando annualmente solo un ristrettissimo numero di cause, oltre ad essere una delle due Camere del Parliament. Di qui, probabilmente, discende l’autorevolezza assoluta dei suoi precedenti giurisdizionali.

39 V.MARINELLI, Precedente giudiziario, cit., 882, puntualizza che solo nel 1966, con la dichiarazione resa il 26 luglio dal Lord Chancellor, la House of Lords si è riconosciuta il potere di discostarsi dai propri precedenti a propria discrezione.

40 Tuttavia, come sottolinea R.DWORKIN, Law’s empire, Cambridge (Massa- chusset), 1986, 24 ss., trad. it. di L.CARACCIOLO, L’impero del diritto, Mila- no, 1989, 29 ss., questa distinzione non è unanime, bensì “della maggior par- te dei giuristi britannici”, mentre sembra preferibile adottare la distinzione generale, anziché tra precedenti vincolanti e non, tra dottrina del precedente rigida e dottrina moderata.

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courts, ma che non emettono, a propria volta, pronunce con va- lore vincolante per altri giudici.

Così inquadrato il sistema vigente in Inghilterra, si può meglio individuare l’essenza del c.d. stare decisis.

Se si considera, infatti, la common law – intesa quale diritto non scritto – in contrapposto con la statute law – legge scritta -, ci si avvede immediatamente della notevole, pur se apparente, affini- tà tra common law e diritto consuetudinario41, permanendo tra loro, nel sistema delle fonti, una differenza, in linea di principio, non trascurabile: la trama della common law non deriva da vere e proprie norme consuetudinarie, traendo origine non tanto da un’uniformità di comportamento osservabile a livello sociale, quanto dagli orientamenti delle corti di giustizia, venendo in ri- lievo, appunto, la formazione di regole giuridiche, in foro, sotto il controllo del giudizio e del potere dei giudici42.

Di qui deriva che solo quando una consuetudine è stata confer- mata da una o più decisioni giurisdizionali, entra a far parte del- la common law, diversamente, essa resta inquadrata come fonte giuridica a sé stante, di tipo secondario.

D’altra parte, il carattere non scritto della common law dev’essere inteso in senso lato, poiché essa trova espressione nelle sentenze e nei c.d. laws reports. Tuttavia, secondo la dot- trina anglosassone43, la sua qualificazione come diritto non scrit- to risponde ad una triplice ragione: l’origine consuetudinaria (come visto in senso lato) del sistema, la sua persistenza, allo stesso modo, come frutto di una prassi indipendente da interven- ti del legislatore, la mancanza, infine, di una formulazione defi- nitiva delle norme, alle quali, di conseguenza, è attribuita una naturale capacità di adattamento a nuovi casi e circostanze.

Il principio dello stare decisis, più in particolare, si giustifica, secondo alcuni44, in base al principio del consenso e della repli- cabilità, per cui i giudici devono stabilire e applicare regole che siano supportate da standard generali della società (e qui, sem- bra, entra in gioco la consuetudine vera e propria) o standard speciali del sistema giuridico, adottando un processo decisionale che sia riproducibile dagli altri giudici.

                                                                                                                         

41 Sulla consuetudine intesa come fonte del diritto, non può non rinviarsi, ex multis, ai fondamentali studi di teoria generale di A.FALZEA, Introduzione alle scienza giuridiche. Il concetto del diritto, Milano, 2008; ID., La prassi nella realtà del diritto, cit.

42 V.MARINELLI, Precedente, cit., 883.

43P. G. STEIN, Judgments in the european legal tradion, in AA.VV., La sen- tenza in Europa. Metodo, tecnica e stile – Atti del Convegno di Ferrara, 10 – 12 ottobre 1985, Padova, 1988, 27 ss.

44 M.A.EISENBERG, La natura del Common Law, trad. it. di M.GRANIERI, Milano, 2010, 77.

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E si giustifica anche in base al principio dell’oggettività, per il quale le corti sono obbligate a ragionare a partire da proposizio- ni aventi carattere generale, conseguentemente applicabili a tutti coloro che si troveranno in analoga situazione in eventuali giu- dizi successivi. In tal modo trova piena applicazione anche il principio di imparzialità, in quanto, come visto poc’anzi, tutti i casi simili devono essere trattati in modo simile, nel senso che, a parità di altre condizioni, una volta che il giudice ha adottato la norma per decidere un caso, dovrebbe applicare quella regola a soggetti in condizioni simili.

Il principio dello stare decisis, inoltre, funziona anche come fondamento per la funzione delle corti di arricchire l’offerta di norme giuridiche. Proprio in quanto vincolante, in base allo sta- re decisis, un precedente può essere concepito come diritto. In tal modo, lo stare decisis consente una pianificazione più affi- dabile ed una più semplice soluzione delle controversie giudizia- rie45.

Lo stare decisis sembra, così, rivolto soprattutto alla protezione del legittimo affidamento, che può essere inteso come generale o speciale.

Si parla di legittimo affidamento speciale nel senso di affida- mento davanti al giudice di una parte che ha specificamente pia- nificato il suo comportamento sulla base di una regola giuridica, mentre, per legittimo affidamento generale deve intendersi l’affidamento della generalità dei consociati che, verosimilmente, pianificano i propri comportamenti sulla base di un sistema di norme giuridiche.

Riguardando, inoltre, il principio in parola in termini di certezza del diritto, si deve ulteriormente sottolineare che, in mancanza di leggi scritte, risulta viepiù necessario conferire alla c.d. law in action una maggiore stabilità ed uniformità, raggiungibili sola- mente assegnando una qualche vincolatività al precedente. Ciò in quanto, a tale maggiore stabilità ed uniformità potrebbe ostare l’interazione tra due diversi tipi di libertà di cui godono i giudici:

da una parte la libertà nei confronti della legge scritta, che porte- rebbe inevitabilmente a contrasti giurisprudenziali sincronici e diacronici e ad un maggior distacco tra legge scritta e diritto giu- risprudenziale; dall’altra la libertà nei confronti degli altri giudi- ci e di se stessi nell’interpretare la legge, nel senso che, pur esi- stendo un’unica law in the books, possono crearsi tante law in action , essendo ogni giudice libero di interpretare la legge di- versamente. Perciò, risulta inevitabile agire sulla law in action con lo strumento del precedente vincolante.

                                                                                                                         

45 In tal senso, ancora M.A.EISENBERG, op. ult. cit., 78.

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