QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO
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SEDE IN T O R I N O
N. 57 5 Maggio 1949
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ECONOMICHE
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CONSIGLIO DI REDAZIONE dott. A U G U S T O B A R G O N I prof. dott. A R R I G O B O R D I N prof. avv. ANTONIO CALANDRA dott. G I A C O M O F R I S E T T I prof. dott. SILVIO G O L Z I O prof. dott. F R A N C E S C O P A L A Z Z I - T R I V E L L Iprof. dott. LUCIANO GIRETTI D i r e t t o r e
dott. A U G U S T O B A R G O N I C o n d i r e t t o r e responsabile
QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO
PROGRESSI DELL'INDUSTRIA IN ITALIA
IIìni'ui'mi l e n u l o il S O a p r i i « ' i n ' l ' o r i l i » , a l l a C a i n r r a A m e r i c a n a d i C o m m e r c i » <•»•• l ' I t a l i a , « l a i M i n i s t r e J A M E S D . % K L I , E I I I I A C I I , C a p o d e l l a M l N s l o n e E I I I » .
E' questa la prima volta ohe mi è dato il piacere di parlare davanti alla sezione di Torino della Camera Americana di Commercio con l'Italia, ma non è però la prima volta che tengo una conver-sazione presso questa Organizzazione in generale. Infatti, il mio primo discorso nell'Italia settentrio-nale fu da me tenuto davanti alla sezione di Mi-lano della vostra Camera nel settembre scorso, meno di due mesi dopo il mio arrivo in questo Paese. E' per me motivo di compiacimento ohe alcuni dei membri della Camera Americana di Commercio che ebbero allora ad ascoltare il mio discorso siano oggi qui presenti.
Il soggetto di quel discorso era « Il significato dell'ERP per l'industria italiana »; vorrei oggi fare alcuni passi indietro ed esaminare gli sviluppi che si sono verificati da allora ad oggi. « Allora » vuoJ dire meno di otto mesi fa, ma dobbiamo conside-rare quegli sviluppi sia dal punto di vista di quanto è accaduto in questi otto mesi, che alla luce del fa.tto che il Piano ha ora poco più di un anno di vita.
Al tempo del mio discorso a Milano, il Piano Marshall era entrato in vita da esattamente cinque mesi. Un piano di questa grandezza, tuttavia, non si può organizzare dall'oggi al domani. A quel-l'epoca, la Missione ERP a Roma funzionava ancora con un organico assai ridotto. Si stavano stabilendo le modalità operative, si venivano organizzando i contatti con i membri nostri corrispondenti del Governo italiano, ed i funzionari italiani stessi si stavano predisponendo a dare la massima coo-perazione al più grande programma economico che 1« storia ricordi.
Il secondo anno del Piano Marshall è corso, ed è mia opinione che si
tratti dell'anno più importante dell'intero Piano. Parte del pri-mo anno è stata dedicata al la-voro organizzativo. Inoltre — a causa del naturale spazio di tempo che intercorre fra la pro-grammazione e l'emissione le autorizzazioni, l'emissione le ordinazioni, la spedizione del-le merci, il loro arrivo, e la loro utilizzazione — l'effetto della as-segnazione di quasi 600 milioni di dollari all'Italia per il primo anno non potè farsi sentire per intero. Una considerevole parte
ora m
Il tliniwlro Zfllcrltarh. ammipa^nalii dui l'nsiliniI»• Minola. in li.sita lilla l aniera di Coininm*li> ili Torino.
SOMMARIO
Progressi dell'industria in Italia
(J D. Z e l l e r b a c h ) . . . . pag. 1
Le redressement français (H. I^a.uïenfourg'Eir) . . . ipag. 4 n regionalismo italiano (G. Oansaoohii ) J>ag. 5 Il problema dell'emigrazione
IP. Palazzi-TrlviiHl) . . . . pag. 7 Protezionismo >(U. BLnon>;(pal'l) pag. 11 Rosa dei venti (g.c.) . . . . pag. 13
pag. 15 p-ag. 19 pag. 21 pag. 22 pag. 25 pag. 28 Trattati e accordi commerciali ipag. 31 Notiziario estero
Rassegna Borsa-Valori . . . Borsa compensazioni
Mercati
Il mondo offre e chirde . . La ghisa rinforzata <1. Marti
naizasl )
Disposizioni ufficiali per
delle merci incluse in tale assegnazione è tuttora in arrivo.
Il secondo anno, tuttavia, non ci offre nessun alibi. Il lavoro organizzativo è ormai compiuto, sia da parte nostra che da quella del Governo italiano. Le spedizioni in arretrato dal primo anno dovreb-bero compensare qualsiasi sfasamento negli arrivi in dipendenza del programma per il secondo anno. I risultati che si otterranno in questa annata do-vranno fornire una misura di previsione di quelli che si otterranno alla fine dei Piano Marshall pre-vista per il 1952.
Il secondo anno comincia sotto favorevoli auspici. In questi giorni il Parlamento degli Stati Uniti ha dato prova della sua piena fiducia nel Piano. Dietro al Parlamento, il popolo americano ha dimostrato il proprio entusiastico appoggio al Piano Marshall. Esso ha fatto chiaramente capire di essere disposto a continuare ad attingere alle pro-prie tasche ed a sacrificarsi quanto è necessario per sostenere un programma che non ha simili nella storia. Per quanto riguarda l'Italia, mi risulta che l'opinione pubblica americana è animata dallo spirito più amichevole. Il nostro popolo si consi-dera ricompensato dei propri sacrifici dagli evi-denti segni di ripresa che si riscontrano qui in Italia, seppure esso — e noi con lui — si renda pienamente conto della immensità dei problemi ancora da risolvere.
Quanto più grandi saranno i progressi fatti dal-l'Italia e dall'Europa nell'anno entrante, tanto più lieti ne saremo. Coloro che non ci sono amici ci hanno accusati di mire imperialistiche: una assurda accusa da rivolgere ad un popolo che sta attin-gendo al proprio patrimonio per rendere al più presto l'Europa indipendente da aiuto straordinario esterno. In effetti, noi stiamo « lavorando a por fine al nostro lavoro ».
Nel mio discorso del settembre scorso, alla Ca-mera di Commercio Americana a Milano, ho par-ticolarmente insistito sulla necessità che l'industria riduca i propri alti costi di produzione, senza di che non potrebbe sperare di sostenere ia concor-renza sul mercato mondiale e di poter fornire alla popolazione italiana una maggior quantità di pro-dotti a minor prezzo. Sono felice di poter dire che nei mesi seguenti si è fatto del progresso, ma molto ancora resta da fare in quel senso.
Avevo osservato allora che i prodotti industriali italiani non possono essere posti sul mercato a prezzi di concorrenza fino a che i costi delle ma-terie prime comprendono una tassa « a piramide», quale l'imposta generale sull'entrata. Questa tassa è stata ora portata dal quattro al tre per cento, ed è nostra speranza che possa in seguito essere ulte-riormente ridetta e forse eliminata, mano a mano che fonti di entrate più economicamente razionali vengono sviluppate dal Governo. Questa riduzione di tassa ha particolarmente contribuito a rendere possibile l'aumento delle esportazioni di determi-nati prodotti ottenuti da specifiche importazioni di materie prime.
Feci allora presente ohe non vi può essere svi-luppo dell'industria senza i necessari capitali e che essa non può produrre a bassi prezzi se deve pagare esorbitanti tassi di interesse sulle somme che prende a prestito. Oggi, tuttavia, una maggiore quota di investimenti si sta indirizzando verso canali privati, con un minore assorbimento per finanziamenti di pubbliche spese. Il Governo sta assorbendo sempre meno capitali privati mano a mano che il bilancio, grazie ai risoluti e coraggiosi sforzi del Ministro Pella e dei suoi colleghi, si sta avviando verso il pareggio. Il Governo ha recente-mente annunciato una serie di importanti misure che avranno per effetto la diminuzione del tasso di interesse. Una serie di trattative fra il Governo e noi per la messa in atto di un sistema di crediti a basso interesse per l'industria e l'agricoltura, con fondi da prelevarsi dai Fondo Lire ERP, sta ora per dare i suoi frutti.
Ulteriori progressi sulla strada della riduzione
dei costi di produzione dovrebbero esser resi pos-sibili dal fatto che nuove macchine — di tipi non prodotti in Italia — hanno cominciato ad arrivare in Italia con il programma ERP. Un vasto pro-gramma per la importazione di macchine destinate a contribuire alla modernizzazione dell'industria italiana è in corso di esame da parte della Ammi-nistrazione per la Cooperazione Americana a Roma e Washington, e dozzine su dozzine di specifici progetti sono già stati approvati.
Il primo anno del Piano Marshall è stato dedi-cato quasi per intero alle importazioni di materie prime — carbone, grano, cotone, petrolio - poiché esse erano assolutamente necessarie e perchè oc-correva un maggior tempo per la preparazione ed organizzazione di un programma di importazioni di macchine. Prevediamo che le importazioni di tali macchine — lo ripeto, di tipi o dimensioni non fabbricati in Italia — aumenteranno in volume durante il secondo anno del Piano. Un'importante serie di prestiti a basso tasso di interesse è stata approvata a tal fine.
Tali importazioni, in aggiunta alle altre misure di cui ho fatto cenno, dovrebbero contribuire in misura notevole a mettere l'industria italiana in grado di fabbricare una maggior quantità di pro-dotti a prezzi inferiori. I milioni di italiani a cui era questi prodotti sono negati potranno perciò averli a" loro .portata senza troppi gravosi sacrifici con un conseguente innalzamento del tenore di' vita. E la posizione dell'Italia nella concorrenza mondiale verrà cosi sostanzialmente migliorata.
All'epoca del mio discorso in settembre, il Fondo Lire ERP non era ancora in funzione. Ora esso e in vigoroso movimento, e si sta ingrandendo di giorno in giorno. Alla data del 6 aprile, i versa-menti al fondo ammontavano a 104 miliardi di lire. Grazie a finanziamenti da questo fondo sono in corso m Italia meridionale lavori pubblici per 20 miliardi, un programma di ricostruzione ferro-viaria per 70 miliardi, diciannove progetti di 'boni-fica ed U completamento della campagna antima-larica in Sardegna. Altri vasti programmi avranno inizio nel prossimo futuro, e dovrebbero avere be-nefici effetti sulla disoccupazione.
Coloro che non ci sono amici hanno tentato di sfruttare qui in Italia settentrionale il fatto che una parte maggiore del Fondo Lire viene destinata al Sud Italia. Io personalmente sono lieto che si sia adottata questa ripartizione. Chiunque abbia visto l'Italia del Sud ha dovuto rendersi conto a prima vista di quanto grandi siano i bisogni di quelle regioni. Sono certo che voi settentrionali ricono-scete che il Sud è una parte vitale della Nazione, e che un miglioramento delle sue condizioni eco-nomiche vuol dire maggior possibilità di vendita laggiù dei vostri prodotti. La prosperità dell'Italia meridionale contribuisce a quella dell'Italia set-tentrionale.
Nel secondo anno del Piano Marshall, con la disponibilità di crediti e beni strumentali, l'indu-stria ed i dirigenti indul'indu-striali italiani si trovano di fronte alla inequivocabile necessità di affrontare le loro responsabilità.
Si dovrebbe approfittare delle possibilità offerte dall'ERP per ottenere la migliore assistenza tecnica possibile nel progettare la modernizzazione di im-pianti ed attrezzature. Ancora più importante del perfezionamento di impianti ed attrezzature è la possibilità di conseguire un miglioramento nella qualità dei criteri e metodi direttivi industriali. Ed il più importante di questi ultimi è quel settore di responsabilità direttiva che riguarda le relazioni fra le industrie e gli individui: gli individui che comprano i prodotti dell'industria e quelli che li producono.
hanno dato atto i sindacalisti italiani che si seno recati in America un paio di settimane fa.
Vi sono intelligenti misure che possono essere prese al riguardo. I suggerimenti che diedi nel settembre scorso furono questi: che le industrie s: assicurino che i loro dipendenti ricevano tratta-mento e salari equi, ohe sia loro data ampia possi-bilità di addestramento, che vengano tenuti al cor-rente delle prospettive di affari e dei problemi che si presentano ai loro datori di lavoro e dirigenti e che i dirigenti stessi facciano uso di cgni via per presentare ai rappresentanti sindacali gli elementari fattori economici su cui poggiano la prosperità della ditta e la sicurezza dei membri del sindacato.
Sono stato veramente lieto nel vedere che, da allora, alcune misure di vasta portata sono state prese in questa direzione; ma molto resta ancora da fare, e presto.
Come dirigenti di aziende abbiamo una netta responsabilità sociale, non solo verso i nostri pro-prietari ed azionisti; ma anche verso i nostri dipendenti, i nostri clienti e le comunità in cui operiamo. Noi dirigenti americani abbiamo impa-rato a nostre spese durante i venti scorsi anni. Abbiamo imparato che, se vegliamo conservare il diritto di dirigere le nostre aziende, non possiamo continuare a considerarle solo di nostro esclusivo interesse. Proprio come un privato che possiede la propria casa deve considerare anche il bene della comunità — egli non può, peT esempio, buttare spazzature dalla finestra o metter fuoco alla pro-pria casa — così l'industria ha delle responsabilità verso le comunità e verso i membri di queste co-munità, al di là dei muri di cinta della fabbrica. E' stato con grande piacere che ho constatato che anche i lavoratori stanno diventando sempre più consapevoli del fatto che anche essi hanno delle responsabilità.
Una chiara dimostrazione della accettazione da parte delle forze' del lavoro delle loro proprie respon-sabilità si riscontra in una dichiarazione fattami la settimana scorsa da tre dirigenti sindacali italiani di ritorno da una visita effettuata in America in rappresentanza di tre correnti sindacali non comu-niste. La dichiarazione dice quanto segue:
« Ai primi posti della lista di cose importanti che abbiamo potuto osservare nella nostra recente visita a centri industriali e sindacali negli Stati Uniti, sta la quasi totale unità di intenti che esiste fra dirigenti e lavoratori. Rappresentanti di en-trambe le parti in ogni livello sembrano rendersi perfettamente conto dei vantaggi che a dette parti derivano da un programma di ininterrotta e cre-scente produzione.
« Noi tutti concordiamo nel ritenere che una migliore comprensione del vincolo di comune inte-resse fra industria italiana e lavoratori italiani avrebbe benefici effetti su una più rapida ripresa della nazione italiana».
Non ho alcun dubbio che questo atteggiamento da parte di questi intelligenti sindacalisti troverà rispondenza fra voi industriali. Una maggiore e migliore produzione ne sarà il frutto.
Nel settembre scorso ebbi ad elencare quattro ulteriori responsabilità dell'industria: sviluppo di un programma di azione generale per il bene comune; efficace presentazione di questo programma al Governo ed al popolo; cooperazione col Go-verno nella presentazione di dati attendibili sulle attività industriali; aiuto finanziario al Governo sotto forma di coscienziosa obbedienza a giuste leggi fiscali. Queste responsabilità sono altret-tanto chiare adesso quanto lo erano allora. Mi rendo conto che le due ultime di queste responsa-bilità sono in certo senso interconnesse, ma la mancata presentazione di dati attendibili da parte di alcuni settori industriali ha persino intralciato il funzionamento del Piano Marshall.
Noi americani abbiamo da lungo tempo riposto la nostra fede nell'iniziativa privata nel quadro di un minimo di regolamentazione governativa. Come ho detto nello scorso settembre, noi non crediamo nei monopoli e nei cartelli.
Si riscontra qui in Italia la necessità di aiutare la crescita e lo sviluppo di piccole e medie imprese Mi e giunta all'orecchio qualche critica al fatto che troppi dei benefici diretti dell'ERP sarebbero an-dati alle grosse imprese che scino in grado di pia-nificare le proprie azioni in anticipo e conoscono 1 procedimenti da seguire per ottenere assistenza La Missione, tuttavia, ha tenuto ben presente l'im-portanza del posto occupato dalle medie e piccole imprese nell'economia del Paese, ed il grande con-tributo che essere possono recare alla ricostruzione nazionale. Ci siamo preoccupati di fare in modo che l'aiuto ERP sia egualmente accessibile ed utile alle piccole e medie come alle grandi imprese, e che il Piano non venga usato come un punto di appoggio per lo sviluppo di monopoli nel campo industriale.
Ebbi a dire lo scorso settembre che non è suf-ficiente che l'industria collabori ccn gli altri settori economici e con il Governo, ma che le imprese italiane dovrebbero riconoscere che il loro assieme e parte della economia naturale dell'Europa, e che 1 loro piani di sviluppo futuro dovrebbero essere basati sul principio che esse possono servire i loro mteressi nel modo più efficace servendo gli interessi congiunti dell'intera Europa.
Da nessun altro campo più di questo della col-laborazione internazionale ho avuto maggiori in-coraggiamenti nel primo anno del Piano Marshall
iutta la mia ammirazione va all'Italia per i pro-gressivi passi che essa ha preso per stringere i legami di collaborazione colle Nazioni dell'Europa Occidentale allo scopo di giovare a tutte le economie nazionali. L'Italia è all'estrema avanguardia di questo movimento, come è provato dalla Unione Doganale Italo-Francese e dalla parte di primo piano che l'Italia ha avuto nelle deliberazioni della organizzazione per la Cooperazione Economica Europea a Parigi. A seguito della storica proposta avanzata dal Governo italiano, quella organizza-zione che costituisce il fulcro della economia del-l'Europa Occidentale, ha deciso di continuare la propria esistenza per un tempo indefinito, anche dopo la fine del Piano Marshall.
Entrando nel secondo anno del Piano Marshall, vedo molte valide ragioni di fiducia, mentre al tempo stesso devo ammettere che molti fondamen-tali problemi ifondamen-taliani restano ancora insoluti. Il programma assistenziale è finito ed il programma di ripresa è in moto. L'attività di molti settori economici sta avvicinandosi ai livelli anteguerra; ed in alcuni casi li ha persino sorpassati. Le espor-tazioni sono aumentate di metà ed oltre. Un alto grado di stabilità monetaria e di gettiti fiscali è stato raggiunto. Molti dei complessi ostacoli iniziali opponentisi alla ripresa sono stati sormontati. Macchinari ed attrezzature ERP stanno comin-ciando ad arrivare im considerevoli quantità, e centinaia di progetti Pondo Lire sono stati avviati. Dall'altro canto, la disoccupazione è tuttora ad un elevato livello; si è verificata una acuta scarsità di corrente elettrica, e le condizioni di alloggio di una eccessivamente larga parte della popolazione sono indescrivibilmente cattive.
La fiducia nel futuro dell'Italia che ho riscon-trato in America sta trovando un sempre più vasto eco nell'Italia stessa. Sebbene nessuno di noi voglia cullarsi in un vuoto ottimismo, vedo più ragioni di incoraggiamento che di scoraggiamento nei risultati del primo anno e nelle prospettive del secondo anno ERP in Italia.
LE REDRESSEMENT FRANÇAIS
p a r H E S i R Ï L A V F E N B U R C i E R . P r o f e s s e u r d e F i n a n c e s à l a S o r b o n n e
Comme dans tous les pays impliqués dans la
grande tourmente de la seconde guerre mondiale,
une psychose de hausse a caractérisé en France
l'économie de la période de transition.
L'épuise-ment des ressources agricoles et industrielles, d'une
part, la subsistance d'un pouvoir d'achat
excéden-taire dû à l'inflation et insuffisamment neutralisé
par des ponctions monétaires et fiscales, d'autre
part, avaient fait prévoir un mouvement
ascen-sionnel des prix de longue durée. Les efforts faits
pour vaincre la pénurie par une production
ac-crue et par la résorption progressive du déficit
budgétaire, véritable foyer de l'inflation, n'ont été
appréciés à leur juste valeur que le jour où le
renversement de la conjoncture était déjà inscrit
dans les faits.
Le plan Monnet avait proposé un niveau de
production supérieur de 25 p. cent à celui de
l'année 1938 pour vaincre la rareté et pour
per-mettre de prélever sur le revenu national une
marge d'épargne suffisante au financement du
rééquipement et de la réparation des dommages
de guerre.
Les bonnes récoltes de l'année 1948 ont été le
premier élément décisif du redressement. Malgré
la répétition des grèves au cours de l'exercice passé,
l'indice de la production industrielle a fini par
dépasser le niveau d'avant-guerre. Après avoir
dépassé temporairement la cote 115 (par rapport
à 100 en 1938) il vient de s'établir, après une
rechute temporaire, à 113 en décembre dernier
(bâtiment compris); il n'est plus que de 15 p. cent
inférieur à l'objectif du plan Monnet. L'industrie
textile reste avec 100 légèremen inférieure à la
moyenne, tandis que l'électricité, la verrerie, la
construction mécanique la dépassent sensiblement.
Comment expliquer dans ces conditions que la
hausse a persisté jusqu'à la fin de l'année
der-nière? Tout simplement parce que la rétention des
denrées agricoles et le stockage de certains
pro-duits industriels avaient créé sur le marché
l'im-pression d'une rareté persistante.
C'est grâce à l'assainissement conjugué de la
monnaie et des finances publiques que
l'amélio-ration de la situation économique a pu se
mani-fester au début de l'année 1949 avec un éclat qui,
par sa soudaineté, a surpris non seulement les
observateurs étrangers mais encore les Français
eux-mêmes.
Après avoir été l'aliment dominant des budgets
extraordinaires et un appoint appréciable du budget
ordinaire, l'inflation a été maîtrisée au cours de
l'année 1948. Les avances de la Banque de France
à l'Etat qui avaient été la cause principale de
l'augmentation de la circulation fiduciaire, ont été
stoppées puis progressivement réduites. Selon les
prévisions pour l'exercice 1949, les ressources
fi-scales couvriront non seulement la totalité des
dépenses courantes (budgets civil, militaire et
équipement des services publics), mais encore
18 p. cent des dépenses d'équipement et de
re-construction évaluées à 620 milliards. Le solde du
budget extraordinaire des investissements <82 par
cent) est financé par la contrevaleur en francs
de l'aide Marshall (280 milliards), par le produit
des réparations et de la vente des surplus
amé-ricains, enfin par l'émission des titres de
dom-mages de guerre (60 milliards) et surtout par
l'ar-gent frais recueilli lors de l'émission du grand
emprunt 5 p. cent perpétuel (plus de 110 milliards).
Le succès de l'emprunt qui dépasse de plus de
10 milliards les prévisions, marque la renaissance
de l'épargne française qui est appelée à devenir,
lors de la cessation de l'aide Marshall en 1952,
l'instrument financier par excellence de la
recon-struction. Jusqu'ici le Français avait thésaurisé le
surplus de ses revenus sur ses besoins de
consom-mation et d'entretien. On estime à plus de 3.000
tonnes la quantité de l'or détenu par les
parti-culiers, soit au cours du change officiel plus de la
moitié de l'aide américaine à l'Europe. Pour
« déstériliser » l'épargne, c'est-à-dire pour la
re-mettre petit à petit dans le circuit productif, il
a fallu consacrer l'assainissement financier par le
rétablissement progressif de la liberté du marché
de l'or et de certaines devises. La France ne
sau-rait jamais remercier assez l'Italie de lui avoir
montré l'exemple depuis les courageuses initiatives
prises, il y a plus de deux ans, par M. Einaudi,
alors qu'il était encore Gouverneur de la Banque
d'Italie, puis ministre du Trésor.
De même qu'à la suite des bonnes récoltes et
de la véritable surproduction de certaines denrées
telles que les pommes de terre, la viande de porc,
les vins, les cours agricoles se sont ébranlés, il
a suffi que la crise des trésoreries privées, la
re-striction des crédits et, « last not least»,
l'em-pressement de souscrire à l'emprunt déclenche une
première vague de réalisations de pièces d'or pour
que les cours du métal jaune cèdent à leur tour
du terrain. Il n'était pas possible de maintenir ces
cours au coefficient 25 alors que les prix de détail
n'étaient qu'à 18 et ceux des actions françaises
à 12.
Au début du mois de mars 1949, le louis d'or
qui avait progressé au-delà de 6.000 francs,
s'éta-blit au palier de 5.000 francs. L'affaiblissement
des cours des devises sur le marché parallèle semble
être appelé à se poursuivre sous l'influence des
facilités accordées aux touristes étrangers qui
pourront désormais importer 20.000 francs contre
10.000 et 4.000 francs précédemment.
La baisse qui s'impose pour épurer l'appareil de
distribution de ses éléments parasitaires et qui
enlève aux revendications tendant à la hausse des
salaires leur principale raison d'être, ne se traduit
qu'avec un certain retard de l'échelon du gros à
celui du détail. Après a-voir grimpé jusqu'à 1928
• par rapport à 100 en 1938), les cours des 34
ar-ticles d'alimentation à Paris enregistrent au terme
des deux premiers mois de 1949 une baisse
d'en-viron 5 p. cent, s'etablissant à 1836. Les prix
in-dustriels qui sont d'un tiers supérieurs aux prix
agricoles, sont plus résistants.
L'amélioration de la situation économique,
mo-nétaire et financière va-t-elle se poursuivre?
re-IL REGIONALISMO ITALIANO
La nuova Costituzione ha trasformato l'Italia da
Stato fortemente centralizzato in Stato «
decen-trato ad autonomie regionali ».
Fino a quando le norme autrici di questa
tra-sformazione rimasero scritte sulla Carta
costitu-zionale, pochi se ne preoccuparono; ma allorché
ci si accorse che le norme della Costituzione
sa-rebbero state applicate e che in forza
dell'arti-colo 8 delle disposizioni transitorie e finali era
stato fissato il fatale termine di un anno, a
de-correre dall'entrata in vigore della Costituzione,
per l'elezione dei Consigli regionali e quindi per il
concreto funzionamento delle Regioni, l'allarme fu
vivissimo e si diffuse in molti strati della
popo-lazione un senso di costernazione e di timore.
E' realmente fondata questa preoccupazione?
Si deve, per onestà di giudizio, rilevare che le
posizioni di adesione o di critica nei riguardi del
regionalismo italiano non si fondano, per lo più,
su di un'obbiettiva interpretazione del testo
costi-tuzionale, ma piuttosto su delle impressioni
sog-gettive e su dati di fatto spesso erronei. Vi sono
coloro che confondono le Regioni con dei piccoli
Stati e credono che l'Italia sia divenuta una
specie di Stato federale, entro il quale e contro il
quale i secessionismi regionali saranno facilissimi;
vi sono, invece, all'opposto, coloro che considerano
le Regioni come semplici enti amministrativi,
co-me delle Provincie a territorio ampliato, sottoposte
al rigido controllo del governo centrale.
Entrambe queste posizioni estreme sono
er-rate; la verità sta nel mezzo. Le Regioni non sono
degli Stati, ma neppure soltanto degli enti
ammi-nistrativi. Esse avranno una potestà legislativa
propria, che le Provincie ed i Comuni non
ave-vano e non hanno; eserciteranno, nello Stato,
un'innegabile influenza politica; svolgeranno una
attività amministrativa, nel disimpegno degli
af-fari locali, assai ampia e discrezionale e non
su-scettiva di controllo di merito per parte del
Go-verno centrale.
Pure scartando le critiche eccessive e non
giu-stificate, ritengo che, nel suo complesso, la
ri-forma sia più dannosa che utile al nostro Paese.
Mi limiterò a sommarie coonsiderazioni
riferen-domi unicamente al testo costituzionale.
£ * f
Il primo difetto del regionalismo italiano è di
avere creato degli enti territoriali con un proprio
Governo ed un proprio Parlamento; vi saranno,
così, in Italia, diciannove piccoli Governi e
dician-nove Parlamentini.
E' facile prevedere che i candidati dei partiti
politici, non riusciti nelle elezioni nazionali,
aspi-reranno, come premio di consolazione, a divenire
Consiglieri ed Assessori regionali; questi
parlamen-tar; mancati troveranno nei consessi regionali una
ottima piattaforma per sfogare la loro passione
politica, emulando i Deputati della capitale sia
nei discorsi inconcludenti e generici, sia
nell'igno-ranza dei concreti problemi amministrativi, che
necessiterebbero soluzioni ponderate.
La legislazione regionale e la correlativa
fun-zione amministrativa saranno considerate da
que-ste persone soltanto come armi politiche per la
lotta fra i partiti. Se poi — come avverrà in
nu-merosissimi casi — la maggioranza dominante nel
Consiglio regionale avrà colore diverso dalla
mag-gioranza formatasi in alcuni dei Comuni
com-presi nell'ambito regionale o dalla maggioranza
costituitasi in Regioni limitrofe, vi sarà il grave
pericolo che la legislazione e l'amministrazione
re-gionale divengano mezzi di rappresaglia per
col-pire l'avversario politico e la popolazione da questo
amministrata. I contrasti campanilistici sono stati
sempre diffusi ed aspri in Italia; l'organizzazione
regionale li fomenterà e li acuirà, tanto più che
la rivalità fra Regione e Regione, attualmente
so-pita, avrà moltissime occasioni per invelenirsi. Se
si voleva tener conto degli interessi regionali e dar
modo agli stessi rappresentanti delle popolazioni
locali di amministrarli, non era necessario
costi-tuire le Regioni, come enti a larga autonomia;
bastavano dei Consorzi di Provincie, i quali
avreb-bero avuta maggior libertà di conclusione fra gli
enti locali interessati e maggior elasticità d'azione
secondo le esigenze che potevano di volta in volta
presentarsi.
Il secondo inconveniente dell'organizzazione
re-gionale è la sua rigidità. Allorché si costituirono
le attuali diciannove Regioni, si .ebbero proteste
da ogni parte circa il frazionamento regionale che
era stato compiuto; alcune Provincie, aggregate ad
una Regione, sostenevano di aver maggior interesse
ad essere annesse ad altre o ad essere eratte in
Regione autonoma.
E' facile prevedere che col funzionamento delle
Regioni, queste lagnanze si acuiranno; il
capo-luogo della Regione eserciterà una notevole forza
di attrazione sulla periferia; i problemi economici
che i Consigli regionali affronteranno saranno visti
e risolti con maggior propensione verso gli
inte-ressi del capoluogo e delle Provincie centrali; vi
saranno popolazioni periferiche, che, a ragione o a
torto, crederanno di essere sacrificate dalla
buro-crazia regionale ed aneleranno a sottrarvisi.
Poiché la Costituzione contempla dei
procedi-menti di separazione, statuendo all'uopo lunghe
pratiche (con deliberazione di vari enti locali,
re-ferendum e leggi statali), è facile prevedere
con-trasti e discussioni senza fine nel seno di una
stessa Regione, con inceppamento
dell'ammmistia-zione che i costituenti avrebbero voluto fosse la
unica cura dei governanti locali.
Terza e più grave incognita rimane la potestà
legislativa affidata ai Consigli regionali, i quali
possono deliberare vere e proprie leggi, di efficacia
pari a quelle approvate dal Parlamento. Si è detto
per sminuire la portata di questa innovazione, che
si tratta di un semplice attributo formale e che le
leggi regionali sono soltanto dei regolamenti di
esecuzione delle leggi statali.
Non mi pare, però, che la giustificazione sia
esatta. E' vero che l'art. 117 della Costituzione
elenca tassativamente le materie nelle quali si può
estrinsecare la potestà legislativa della Regione;
che queste materie riflettono unicamente affari di
cettes. Ainsi l'impôt sur le chiffre d'affaires qui
représente 45 p. cent des recettes fiscales (400
mil-liard en 1948 su 870 mimil-liards d'impôts proprement
dits) est particulièrement sensible à la diminution
des prix et risque de ce chef de subir de sensibles
moins-values. Heureusement que l'excédent sur les
prévisions du produit de l'emprunt permettra de
constituer une réserve susceptible de compenser
dans une certaine mesure la moindre productivité
des impôts indirects. Encore faut-il que le
Gou-vernement soit assez sage pour ne pas engager à
la légère cette réserve.
Tout compte fait, les éléments favorables
l'em-portent, dans le bilan de l'économie française, sur
les éléments contraires. Candidat à une union
économique avec sa grande voisine, l'Italie ne
peut que se réjouir des progres réalisés en France
au moment même où elle vient de tourner à son
tour le cap de ses principales difficultés.
interesse regionale; che la legge regionale non
po-trebbe disporre in contrasto con i princìpi
fonda-mentali. stabiliti dalle leggi statali e in
opposi-zione all'interesse nazionale e di altre Regioni; ma
tutti questi limiti e garanzie presuppongono
sem-pre, per la loro osservanza, che i legislatori
re-gionali vogliano ottemperarvi e non abbiano,
in-vece, la precisa intenzione di causare fastidi ed
inciampi al Governo centrale e al partito
domi-nante nel Parlamento o nelle Regioni limitrofe.
Per es., in base all'art. 117 della Costituzione,
rientrano nella competenza legislativa regionale
l'agricoltura e le foreste; i Consigli regionali
po-tranno, così, legiferare in materia di contratti agrari
e in ordine alla produzione agrìcola e forestale,
emanando norme che interferiranno largamente
negli interessi dei privati. Orbene: quando si
po-trà affermare con sicurezza che questa
legisla-zione regionale non contrasta con i princìpi
fon-damentali della legislazione statale? Quando si
potrà essere sicuri, data l'interferenza di interessi
fra le Regioni, che ima determinata legislazione
re-gionale non avrà ripercussioni dannose sulle
per-sone e sui beni esistenti in altre Regioni?
La genericità dell'art. 117 della Costituzione pare
fatto apposta per favorire i contrasti, in sede
legi-slativa, fra Regioni e fra Regioni e Stato.
Qualora le leggi regionali non rimangano nei
limiti fìssati dalla Costituzione, non pare che i
procedimenti escogitati per eliminare
l'inconve-niente possano sempre raggiungere lo scopo.
II Governo non può, infatti, annullare la legge
regionale illegittima o inopportuna; può
unica-mente impugnarla per illegittimità davanti alla
Corte Costituzionale o per vizio di merito davanti
al Parlamento; quindi, ove si inasprisse il
con-trasto politico fra una pluralità di Regioni e il
Go-verno o fra più Regioni tra di loro, il Parlamento e
la Corte Costituzionale si troverebbero sommersi da
innumerevoli impugnazioni di leggi regionali,
men-tre l'amministrazione locale sarebbe totalmente
paralizzata e in uno stato di anarchia.
Si deve tener conto anche di un'altra
circo-stanza; i termini di impugnazione di cui
all'arti-colo 127 della Costituzione sono assai ristretti;
non sempre può essere possibile per i funzionari
governativi di accertare, con una rapida scorsa
del testo legislativo approvato da un Consiglio
re-gionale, se questo testo si adegui o meno ai
princìpi dell'ordinamento giuridico statale o non
contrasti con gli interessi della Nazione o di altre
Regioni; il più delle volte l'illegittimità o
l'inop-portunità si faranno palesi quando già la legge
regionale è entrata in vigore ed è stata applicata.
La Costituzione non ha previsto questa ipotesi che,
a mio giudizio, darà luogo a contrasti più accesi
e genererà le più deprecabili conseguenze.
Altra disposizione assai inopportuna è quella
dell'art. 125 della Costituzione che esclude ogni
controllo di merito per parte del Governo centrale
sugli .atti amministrativi emessi dalle Regioni.
Da-ta la grande massa di mesti atti e la loro
rile-vanza sugli interessi, specialmente economici, dei
cittadini, rappresenta un grave pericolo il non
avere predisposto un controllo efficace
sull'oppor-tunità intrinseca dell'atto, specialmente in ordine
alle spese che ne possono derivare all'ente e quindi
agli amministrati.
Per terminare questa breve rassegna, accennerò
ancora alla autonomia finanziaria e alla
burocra-zia regionale.
I n oggetto alla .prima parrebbe, in base
all'arti-colo 119 della Costituzione, che le finanze
regio-nali, specialmente per quanto riflette la
determi-nazione dei tributi e la loro riscossione, siano
strettamente imbrigliate dalle leggi statali;
tut-tavia vi sarà una complessa finanza regionale,
tributi proprii delle Regioni e percentuali detratte
dai tributi erariali; è perciò inevitabile un forte
aggravio fiscale.
I n secondo luogo le Regioni — come già se ne
sono avuti esempi in Sicilia, in Sardegna, in Val
d'Aosta, ecc. — avranno la tendenza ad
acca-parrarsi tutti gli introiti fiscali prodotti nella
cir-coscrizione regionale, privandone lo Stato e
ri-chiedendo, invece, al medesimo dei contributi.
Se tutte le Regioni italiane manifesteranno
que-sta tendenza, non si vede da quali cespiti le
finan-ze dello Stato potranno essere alimentate.
Altro pericolo, sempre nel campo finanziario ed
economico, riflette l'eventualità che le Regioni
isti-tuiscano dazi od altri aggravi fiscali diretti sia ad
aumentare le entrate di bilancio, sia ad ostacolare
il passaggio dei prodotti da una Regione all'altra;
questa possibilità è stata tenuta presente dai
Co-stituenti, tant'è che essi l'hanno espressamente
di-vietata nell'art. 120 della Costituzione, giungendo
ad enunciare il principio che la Regione non può
adottare provvedimenti ohe ostacolino in qualsiasi
modo la lìbera circolazione delle persone e delle
cose fra le Regioni.
Senonchè è eccessivamente ottimistico' supporre
che per i governanti regionali la semplice
enuncia-zione del divieto legislativo sia sufficiente garanzia
alla sua osservanza; anche su questo punto
po-tranno verificarsi contrasti fra Regione e Regione
e fra Regioni e Governo centrale, nè il macchinoso
procedimento sul controllo delle leggi e degli atti
amministrativi regionali potrà dare buoni rimedi
ed in ogni caso di rapida e completa attuazione.
Un ultimo punto .credo sia utile rilevare e cioè
l'enorme spesa di gestione che l'organizzazione
del-le Regioni comporterà.
Non soltanto sarà costoso l'impianto- iniziale (per
esempio, l'allestimento di tanti uffici), ma
occor-rerà por mente al costo della burocrazia
regio-nale. I fautori dell'ente-Regione hanno* sostenuto
che la burocrazia regionale potrà essere, quasi
esclusivamente, tratta dalla burocrazia statale, in
quanto col trasferimento di molte funzioni
ammi-nistrative dallo Stato alle Regioni, gran parte degli
impiegati statali sarebbe rimasta inutilizzata.
ISenonchè è lecito dubitare della realizzazione
di un tale progetto; il ceto impiegatizio romano
non avrà alcun interesse ad abbandonare la
capi-tale, dove ormai ha il suo centro di vita,
l'al-loggio, le amicizie, ecc.; non credo, perciò, che
questo passaggio possa essere volontario, nè la
co-strizione, a cui si volesse giungere, potrà essere
facilmente attuata per le difficoltà di vario ordine
che, comunque, si profilerebbero.
In secondo luogo, sarà facile alla burocrazia
centrale sostenere la sua necessità. Gli impiegati
della capitale allegheranno di dover pur sempre
esercitare opera di direzione, di coordinazione e
di controllo anche in quelle materie i cui dettagli
di attuazione locale sono affidati alle Regioni; in
definitiva — ed è fatale che così avvenga •— una
nuova burocrazia sorgerà nella Regione,
burocra-zià che sì aggiungerà a quella dello Stato (centrale
e periferica) delle Provincie, dei Comuni, degli enti
pubblici di vario genere. La costituzione delle
Re-gioni genererà, quindi, ulteriori e sensibili aggravi
fiscali e nuove spese.
I lati negativi della riforma regionale non si
li-mitano a quelli testé descritti; altri potrebbero
essere elencati. I difetti e le incognite del sistema
sono anche maggiormente accentuati ove l'esame
si porti su quelle Regioni che godono di
un'auto-nomia più ampia di quella normale, quali le
Re-gioni Siciliana, Sarda, Valdostana, Trentina e
Giu-liana. I recenti .contrasti, specialmente in materia
di legislazione regionale, di imposte e di finanza
locale, fra la Sicilia e lo Stato e le avvisaglie di
intolleranza campanilistica e linguistica e di
au-tarchia economica che si sono manifestate in Vai
d'Aosta e in Alto Adige non fanno certo presagire
una convivenza pacifica fra Governo centrale e
Regioni a più ampia autonomia.
IL PROBLEMA DELL'EMIGRAZIONE
\<!C('ssilà di ( ' m i g r a l e
Il tema del recente congresso di Bologna
l'emigrazione — parve ai convenuti null'altro che
il naturale completamento del tema discusso a
Napoli: la disoccupazione, tanto ohe
argomenta-zioni e controversie colà iniziate furono riprese e
continuate di tacito accordo. Tutti si
dimostra-rono convinti che, senza ricorrere all'emigrazione,
non può trovarsi, nell'attuale rigidità di mercato
e dato l'attuale rapporto fra incremento
demo-grafico e aumento del risparmio, rimedio valido
e sufficiente alla disoccupazione.
Circa la convenienza, anzi la inderogabile
neces-sità di emigrare, solo una voce fu discorde, quella
dei rappresentanti locali e nazionali dei lavoratori.
Se mal non ho inteso, gli esponenti qualificati
degli interessi dei lavoratori temono che il ricorso
alla emigrazione allontani la realizzazione delle
« riforme di struttura ».
Ora, questo argomentare mi pare bizzarro. O
le riforme di struttura sono benefiche ed
oppor-tune, e vanno fatte, e al più presto, e si faranno
pur contemporaneamente alla ripresa del moto
mi-gratorio. O quelle vantate riforme opportune e
vantaggiose non sono, ed esse non debbono farsi
in nessun caso, quale si sia il moto migratorio e
la pressione demografica in Italia. Che Se si
ra-gionasse diversamente, se si volesse ostacolare
l'im-pulso del disoccupato a cercarsi lavoro sotto altri
cieli, pur di avvicinare l'attuazione delle famose
riforme, si agirebbe come quel medico che
provo-cava terribili malanni per sperimentare
gloriosa-mente i suoi originali rimedi.
Talmente pacifica si mostrò la convinzione della
indispensabilità dell'emigrazione, ohe non venne
neppure ripresa al Congresso la controversia,
an-nosa in politica e in dottrina, fra benefici e danni
dell'emigrazione. Solo dall'emigrazione possono
trovare sollievo le plebi meridionali avide di lavoro
ma prive di terra, di strumenti, di risparmio e di
credito; generose, sobrie e tenaci ma incolte.
Col-l'emigrazione si eleva ad un tempo la condizione
economica e umana di chi trasmigra in terre più
ricche e in mercati meno affollati; delle famiglie
I '¡III
che tosto o tardi ricevono sussidi e rimesse
dal-l'emigrato e comunque spesso si sono liberate dal
peso di un membro disoccupato; dei rimasti che
nella ricerca del lavoro, dell'impiego, dello
smer-cio, o della terra, sono constrastati da una meno
severa concorrenza. Il costo dell'allevamento e
del-l'addestramento dell'emigrante, per l
acollettività
e per la famiglia, e ben minore del vantaggio delle
rimesse — senza la ripresa delle quali è vano
sperare in un equilibrio della bilancia dei
paga-menti — e dell'apertura alle nostre esportazioni
tipiche di vasti mercati di concittadini emigrati.
I danni e i lutti recenti hanno talmente
inde-bolito u mito della conquista, della potenza, e
della gloria militare; la tecnica dell'armamento
pesante ha talmente dominato nell'ultimo
con-flitto, che nessuno oserebbe più contrastare
l'emi-grazione nell'intento, o col pretesto, di rafforzare
la potenza militare.
Accanto ai benefici economici dell'emigrazione,
altri di altra sorta vanno oggi posti in luce: una
conveniente collocazione all'estero dell'esuberanza
di popolazione rinsalderà la nostra incerta
strut-tura sociale, lenirà lo scontento dei ceti meno
for-tunati, colmerà il divario, nel tenore economico e
nelle consuetudini di vita, tra le diverse regioni
italiane. In questa fase della congiuntura
mon-diale di ricostruzione, di riconversione e —
ahi-mè — di riarmo, la nostra mano d'opera è una
forza internazionale assai richiesta, che può
es-sere vantaggiosamente oggetto e argomento di
con-trattazioni interstatali. L'italiano all'estero, infine,
non è solo produttore di ricchezza, consumatore
di prodotti naz.onali, risparmiatore nell'interesse
dei lontani famigliari; egli è naturalmente un
por-tatore di italianità, un difensore dei nostri diritti
e dei nostri interessi in seno all'opinione pubblica
di altri Stati. L'emigrante stagionale o
tempora-neo, al suo ritorno, apporta al natio, e spesso
in-sufficientemente progredito villaggio i frutti di un
risparmio che non è solo fatto di 'denaro, ma di
esperienza tecnica e umana, di educazione civile.
Non a caso nel decennio idi maggiore benessere
economico, di più rapido progresso tecnico, di più
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