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Cronache Economiche. N.057, 5 Maggio 1949

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QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

ma. ii uimiMiTi

FISTILE (H curri'

L 125

Filiali e Agenzie:

I T A L I A

ALESSMMIA : Pi

un tantali i I Ititi, 23«

BIELLA : Vii Trieste 6 Ititi IMI • TtC

BOLOGNA : Via Bella Itea I Ititi OW

CAGLIMI: Vii h a « Telef. 2Z34

CAMELLI : Vii IMI I Ititi.«

CATANIA: Vii A. li Sa*ilMM SI Ititi. 11712

CHIESI Via Cari» Allerti I Ititi. 22

CIVITAVECCHIA : Via tartara 1 Ititi. B S

COREO: Cam I. Seltri II Ititi. 3117

DOMODOSSOLA Cattili rettale 7 Ititi.«

FIRENZE: Via Itili hrra ! Ititi.««

FIUMICINO Viale Iman

GENOVA : Via C.t. Ciccarti 4 M t l . 5K25I (linee)

LIVORNO: Via B. Verii « Ititi. VS»

LOCCA: Via SciÉKtmi D Ititi, 5985

LIMO: Via XXV Acrile 72 Ititi. 3

NASSA: Via laett 5 Ititi. 7KI

MESSINA : Via S. «aria Altmw 34-38 • Ititi. UBI

MILANO : Via Citrici 11 Itili. 88B48 (4 liNt)

NOOANE : Caselli Pestili 8 Itili. S

NAPOLI : Via Inrpt hllancni 2 24 - Ititi. 244«

PALERMO: Vii StMi 183 Ititi. 1621

PORTEMI: Ititi. I

PONTI CHIASSO: Vii Itlliuwi 174

PRATO: Via Caieir 41 kit Ititi. 26SI -1497

ROMA : Pian S. tararti 15 - Ititi. «1757 - «8851«

SAVONA: Vii S. Ina l/S Itili. 2751

TORINO : Vii Carli Alberta 2 • III. 451251 (S l'ite)

TRIESTI : Vii li Tirrekinca 11 Hill. «41

VENEZIA: Canoni 25» Telef. 21711

VENTIHI6LIA: Via la Mortala 49 Itili. 21297

A R G E N T I N A

BUENOS AIRES : CKacitoco 77 Telef. TIC 499

MAR DEL PIATA: Itatpttaticii 281 7 - T.E. NI7

BAHIA BIANCA: Las Htrts 24 2 T. E. 4957

CORDOBA: Sai Mari» 338 T. E. 1141

MENDOZA: Calli Es>t|i IS( T. E. 18971

ROSARIO: Hai» 509 I. E. 5675

P A R A G U A Y

ASUNCION : Benjamia Contai! 434 T. E. 8287

»

b r a s i l e

SAN PAOLO : Prapa da Sé 371 Telef. 2-5471

S T A T I U N I T I

NEW YORK : 2061 Bruttar Ititi. Ir. 3-8527

S V I Z

2 E R A

CHIASSO : Corso Su Bettarde 3 Telef. 4 2512

m S O Z Z I

SOCIETÀ PER AZIONI CAPITALE L. 10.000.000 INTERAMENTE VERSATO

SEDE IN T O R I N O

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N. 57 5 Maggio 1949

CRONACHE

ECONOMICHE

^

CONSIGLIO DI REDAZIONE dott. A U G U S T O B A R G O N I prof. dott. A R R I G O B O R D I N prof. avv. ANTONIO CALANDRA dott. G I A C O M O F R I S E T T I prof. dott. SILVIO G O L Z I O prof. dott. F R A N C E S C O P A L A Z Z I - T R I V E L L I

prof. dott. LUCIANO GIRETTI D i r e t t o r e

dott. A U G U S T O B A R G O N I C o n d i r e t t o r e responsabile

QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

PROGRESSI DELL'INDUSTRIA IN ITALIA

IIìni'ui'mi l e n u l o il S O a p r i i « ' i n ' l ' o r i l i » , a l l a C a i n r r a A m e r i c a n a d i C o m m e r c i » <•»•• l ' I t a l i a , « l a i M i n i s t r e J A M E S D . % K L I , E I I I I A C I I , C a p o d e l l a M l N s l o n e E I I I » .

E' questa la prima volta ohe mi è dato il piacere di parlare davanti alla sezione di Torino della Camera Americana di Commercio con l'Italia, ma non è però la prima volta che tengo una conver-sazione presso questa Organizzazione in generale. Infatti, il mio primo discorso nell'Italia settentrio-nale fu da me tenuto davanti alla sezione di Mi-lano della vostra Camera nel settembre scorso, meno di due mesi dopo il mio arrivo in questo Paese. E' per me motivo di compiacimento ohe alcuni dei membri della Camera Americana di Commercio che ebbero allora ad ascoltare il mio discorso siano oggi qui presenti.

Il soggetto di quel discorso era « Il significato dell'ERP per l'industria italiana »; vorrei oggi fare alcuni passi indietro ed esaminare gli sviluppi che si sono verificati da allora ad oggi. « Allora » vuoJ dire meno di otto mesi fa, ma dobbiamo conside-rare quegli sviluppi sia dal punto di vista di quanto è accaduto in questi otto mesi, che alla luce del fa.tto che il Piano ha ora poco più di un anno di vita.

Al tempo del mio discorso a Milano, il Piano Marshall era entrato in vita da esattamente cinque mesi. Un piano di questa grandezza, tuttavia, non si può organizzare dall'oggi al domani. A quel-l'epoca, la Missione ERP a Roma funzionava ancora con un organico assai ridotto. Si stavano stabilendo le modalità operative, si venivano organizzando i contatti con i membri nostri corrispondenti del Governo italiano, ed i funzionari italiani stessi si stavano predisponendo a dare la massima coo-perazione al più grande programma economico che 1« storia ricordi.

Il secondo anno del Piano Marshall è corso, ed è mia opinione che si

tratti dell'anno più importante dell'intero Piano. Parte del pri-mo anno è stata dedicata al la-voro organizzativo. Inoltre — a causa del naturale spazio di tempo che intercorre fra la pro-grammazione e l'emissione le autorizzazioni, l'emissione le ordinazioni, la spedizione del-le merci, il loro arrivo, e la loro utilizzazione — l'effetto della as-segnazione di quasi 600 milioni di dollari all'Italia per il primo anno non potè farsi sentire per intero. Una considerevole parte

ora m

Il tliniwlro Zfllcrltarh. ammipa^nalii dui l'nsiliniI»• Minola. in li.sita lilla l aniera di Coininm*li> ili Torino.

SOMMARIO

Progressi dell'industria in Italia

(J D. Z e l l e r b a c h ) . . . . pag. 1

Le redressement français (H. I^a.uïenfourg'Eir) . . . ipag. 4 n regionalismo italiano (G. Oansaoohii ) J>ag. 5 Il problema dell'emigrazione

IP. Palazzi-TrlviiHl) . . . . pag. 7 Protezionismo >(U. BLnon>;(pal'l) pag. 11 Rosa dei venti (g.c.) . . . . pag. 13

pag. 15 p-ag. 19 pag. 21 pag. 22 pag. 25 pag. 28 Trattati e accordi commerciali ipag. 31 Notiziario estero

Rassegna Borsa-Valori . . . Borsa compensazioni

Mercati

Il mondo offre e chirde . . La ghisa rinforzata <1. Marti

naizasl )

Disposizioni ufficiali per

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delle merci incluse in tale assegnazione è tuttora in arrivo.

Il secondo anno, tuttavia, non ci offre nessun alibi. Il lavoro organizzativo è ormai compiuto, sia da parte nostra che da quella del Governo italiano. Le spedizioni in arretrato dal primo anno dovreb-bero compensare qualsiasi sfasamento negli arrivi in dipendenza del programma per il secondo anno. I risultati che si otterranno in questa annata do-vranno fornire una misura di previsione di quelli che si otterranno alla fine dei Piano Marshall pre-vista per il 1952.

Il secondo anno comincia sotto favorevoli auspici. In questi giorni il Parlamento degli Stati Uniti ha dato prova della sua piena fiducia nel Piano. Dietro al Parlamento, il popolo americano ha dimostrato il proprio entusiastico appoggio al Piano Marshall. Esso ha fatto chiaramente capire di essere disposto a continuare ad attingere alle pro-prie tasche ed a sacrificarsi quanto è necessario per sostenere un programma che non ha simili nella storia. Per quanto riguarda l'Italia, mi risulta che l'opinione pubblica americana è animata dallo spirito più amichevole. Il nostro popolo si consi-dera ricompensato dei propri sacrifici dagli evi-denti segni di ripresa che si riscontrano qui in Italia, seppure esso — e noi con lui — si renda pienamente conto della immensità dei problemi ancora da risolvere.

Quanto più grandi saranno i progressi fatti dal-l'Italia e dall'Europa nell'anno entrante, tanto più lieti ne saremo. Coloro che non ci sono amici ci hanno accusati di mire imperialistiche: una assurda accusa da rivolgere ad un popolo che sta attin-gendo al proprio patrimonio per rendere al più presto l'Europa indipendente da aiuto straordinario esterno. In effetti, noi stiamo « lavorando a por fine al nostro lavoro ».

Nel mio discorso del settembre scorso, alla Ca-mera di Commercio Americana a Milano, ho par-ticolarmente insistito sulla necessità che l'industria riduca i propri alti costi di produzione, senza di che non potrebbe sperare di sostenere ia concor-renza sul mercato mondiale e di poter fornire alla popolazione italiana una maggior quantità di pro-dotti a minor prezzo. Sono felice di poter dire che nei mesi seguenti si è fatto del progresso, ma molto ancora resta da fare in quel senso.

Avevo osservato allora che i prodotti industriali italiani non possono essere posti sul mercato a prezzi di concorrenza fino a che i costi delle ma-terie prime comprendono una tassa « a piramide», quale l'imposta generale sull'entrata. Questa tassa è stata ora portata dal quattro al tre per cento, ed è nostra speranza che possa in seguito essere ulte-riormente ridetta e forse eliminata, mano a mano che fonti di entrate più economicamente razionali vengono sviluppate dal Governo. Questa riduzione di tassa ha particolarmente contribuito a rendere possibile l'aumento delle esportazioni di determi-nati prodotti ottenuti da specifiche importazioni di materie prime.

Feci allora presente ohe non vi può essere svi-luppo dell'industria senza i necessari capitali e che essa non può produrre a bassi prezzi se deve pagare esorbitanti tassi di interesse sulle somme che prende a prestito. Oggi, tuttavia, una maggiore quota di investimenti si sta indirizzando verso canali privati, con un minore assorbimento per finanziamenti di pubbliche spese. Il Governo sta assorbendo sempre meno capitali privati mano a mano che il bilancio, grazie ai risoluti e coraggiosi sforzi del Ministro Pella e dei suoi colleghi, si sta avviando verso il pareggio. Il Governo ha recente-mente annunciato una serie di importanti misure che avranno per effetto la diminuzione del tasso di interesse. Una serie di trattative fra il Governo e noi per la messa in atto di un sistema di crediti a basso interesse per l'industria e l'agricoltura, con fondi da prelevarsi dai Fondo Lire ERP, sta ora per dare i suoi frutti.

Ulteriori progressi sulla strada della riduzione

dei costi di produzione dovrebbero esser resi pos-sibili dal fatto che nuove macchine — di tipi non prodotti in Italia — hanno cominciato ad arrivare in Italia con il programma ERP. Un vasto pro-gramma per la importazione di macchine destinate a contribuire alla modernizzazione dell'industria italiana è in corso di esame da parte della Ammi-nistrazione per la Cooperazione Americana a Roma e Washington, e dozzine su dozzine di specifici progetti sono già stati approvati.

Il primo anno del Piano Marshall è stato dedi-cato quasi per intero alle importazioni di materie prime — carbone, grano, cotone, petrolio - poiché esse erano assolutamente necessarie e perchè oc-correva un maggior tempo per la preparazione ed organizzazione di un programma di importazioni di macchine. Prevediamo che le importazioni di tali macchine — lo ripeto, di tipi o dimensioni non fabbricati in Italia — aumenteranno in volume durante il secondo anno del Piano. Un'importante serie di prestiti a basso tasso di interesse è stata approvata a tal fine.

Tali importazioni, in aggiunta alle altre misure di cui ho fatto cenno, dovrebbero contribuire in misura notevole a mettere l'industria italiana in grado di fabbricare una maggior quantità di pro-dotti a prezzi inferiori. I milioni di italiani a cui era questi prodotti sono negati potranno perciò averli a" loro .portata senza troppi gravosi sacrifici con un conseguente innalzamento del tenore di' vita. E la posizione dell'Italia nella concorrenza mondiale verrà cosi sostanzialmente migliorata.

All'epoca del mio discorso in settembre, il Fondo Lire ERP non era ancora in funzione. Ora esso e in vigoroso movimento, e si sta ingrandendo di giorno in giorno. Alla data del 6 aprile, i versa-menti al fondo ammontavano a 104 miliardi di lire. Grazie a finanziamenti da questo fondo sono in corso m Italia meridionale lavori pubblici per 20 miliardi, un programma di ricostruzione ferro-viaria per 70 miliardi, diciannove progetti di 'boni-fica ed U completamento della campagna antima-larica in Sardegna. Altri vasti programmi avranno inizio nel prossimo futuro, e dovrebbero avere be-nefici effetti sulla disoccupazione.

Coloro che non ci sono amici hanno tentato di sfruttare qui in Italia settentrionale il fatto che una parte maggiore del Fondo Lire viene destinata al Sud Italia. Io personalmente sono lieto che si sia adottata questa ripartizione. Chiunque abbia visto l'Italia del Sud ha dovuto rendersi conto a prima vista di quanto grandi siano i bisogni di quelle regioni. Sono certo che voi settentrionali ricono-scete che il Sud è una parte vitale della Nazione, e che un miglioramento delle sue condizioni eco-nomiche vuol dire maggior possibilità di vendita laggiù dei vostri prodotti. La prosperità dell'Italia meridionale contribuisce a quella dell'Italia set-tentrionale.

Nel secondo anno del Piano Marshall, con la disponibilità di crediti e beni strumentali, l'indu-stria ed i dirigenti indul'indu-striali italiani si trovano di fronte alla inequivocabile necessità di affrontare le loro responsabilità.

Si dovrebbe approfittare delle possibilità offerte dall'ERP per ottenere la migliore assistenza tecnica possibile nel progettare la modernizzazione di im-pianti ed attrezzature. Ancora più importante del perfezionamento di impianti ed attrezzature è la possibilità di conseguire un miglioramento nella qualità dei criteri e metodi direttivi industriali. Ed il più importante di questi ultimi è quel settore di responsabilità direttiva che riguarda le relazioni fra le industrie e gli individui: gli individui che comprano i prodotti dell'industria e quelli che li producono.

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hanno dato atto i sindacalisti italiani che si seno recati in America un paio di settimane fa.

Vi sono intelligenti misure che possono essere prese al riguardo. I suggerimenti che diedi nel settembre scorso furono questi: che le industrie s: assicurino che i loro dipendenti ricevano tratta-mento e salari equi, ohe sia loro data ampia possi-bilità di addestramento, che vengano tenuti al cor-rente delle prospettive di affari e dei problemi che si presentano ai loro datori di lavoro e dirigenti e che i dirigenti stessi facciano uso di cgni via per presentare ai rappresentanti sindacali gli elementari fattori economici su cui poggiano la prosperità della ditta e la sicurezza dei membri del sindacato.

Sono stato veramente lieto nel vedere che, da allora, alcune misure di vasta portata sono state prese in questa direzione; ma molto resta ancora da fare, e presto.

Come dirigenti di aziende abbiamo una netta responsabilità sociale, non solo verso i nostri pro-prietari ed azionisti; ma anche verso i nostri dipendenti, i nostri clienti e le comunità in cui operiamo. Noi dirigenti americani abbiamo impa-rato a nostre spese durante i venti scorsi anni. Abbiamo imparato che, se vegliamo conservare il diritto di dirigere le nostre aziende, non possiamo continuare a considerarle solo di nostro esclusivo interesse. Proprio come un privato che possiede la propria casa deve considerare anche il bene della comunità — egli non può, peT esempio, buttare spazzature dalla finestra o metter fuoco alla pro-pria casa — così l'industria ha delle responsabilità verso le comunità e verso i membri di queste co-munità, al di là dei muri di cinta della fabbrica. E' stato con grande piacere che ho constatato che anche i lavoratori stanno diventando sempre più consapevoli del fatto che anche essi hanno delle responsabilità.

Una chiara dimostrazione della accettazione da parte delle forze' del lavoro delle loro proprie respon-sabilità si riscontra in una dichiarazione fattami la settimana scorsa da tre dirigenti sindacali italiani di ritorno da una visita effettuata in America in rappresentanza di tre correnti sindacali non comu-niste. La dichiarazione dice quanto segue:

« Ai primi posti della lista di cose importanti che abbiamo potuto osservare nella nostra recente visita a centri industriali e sindacali negli Stati Uniti, sta la quasi totale unità di intenti che esiste fra dirigenti e lavoratori. Rappresentanti di en-trambe le parti in ogni livello sembrano rendersi perfettamente conto dei vantaggi che a dette parti derivano da un programma di ininterrotta e cre-scente produzione.

« Noi tutti concordiamo nel ritenere che una migliore comprensione del vincolo di comune inte-resse fra industria italiana e lavoratori italiani avrebbe benefici effetti su una più rapida ripresa della nazione italiana».

Non ho alcun dubbio che questo atteggiamento da parte di questi intelligenti sindacalisti troverà rispondenza fra voi industriali. Una maggiore e migliore produzione ne sarà il frutto.

Nel settembre scorso ebbi ad elencare quattro ulteriori responsabilità dell'industria: sviluppo di un programma di azione generale per il bene comune; efficace presentazione di questo programma al Governo ed al popolo; cooperazione col Go-verno nella presentazione di dati attendibili sulle attività industriali; aiuto finanziario al Governo sotto forma di coscienziosa obbedienza a giuste leggi fiscali. Queste responsabilità sono altret-tanto chiare adesso quanto lo erano allora. Mi rendo conto che le due ultime di queste responsa-bilità sono in certo senso interconnesse, ma la mancata presentazione di dati attendibili da parte di alcuni settori industriali ha persino intralciato il funzionamento del Piano Marshall.

Noi americani abbiamo da lungo tempo riposto la nostra fede nell'iniziativa privata nel quadro di un minimo di regolamentazione governativa. Come ho detto nello scorso settembre, noi non crediamo nei monopoli e nei cartelli.

Si riscontra qui in Italia la necessità di aiutare la crescita e lo sviluppo di piccole e medie imprese Mi e giunta all'orecchio qualche critica al fatto che troppi dei benefici diretti dell'ERP sarebbero an-dati alle grosse imprese che scino in grado di pia-nificare le proprie azioni in anticipo e conoscono 1 procedimenti da seguire per ottenere assistenza La Missione, tuttavia, ha tenuto ben presente l'im-portanza del posto occupato dalle medie e piccole imprese nell'economia del Paese, ed il grande con-tributo che essere possono recare alla ricostruzione nazionale. Ci siamo preoccupati di fare in modo che l'aiuto ERP sia egualmente accessibile ed utile alle piccole e medie come alle grandi imprese, e che il Piano non venga usato come un punto di appoggio per lo sviluppo di monopoli nel campo industriale.

Ebbi a dire lo scorso settembre che non è suf-ficiente che l'industria collabori ccn gli altri settori economici e con il Governo, ma che le imprese italiane dovrebbero riconoscere che il loro assieme e parte della economia naturale dell'Europa, e che 1 loro piani di sviluppo futuro dovrebbero essere basati sul principio che esse possono servire i loro mteressi nel modo più efficace servendo gli interessi congiunti dell'intera Europa.

Da nessun altro campo più di questo della col-laborazione internazionale ho avuto maggiori in-coraggiamenti nel primo anno del Piano Marshall

iutta la mia ammirazione va all'Italia per i pro-gressivi passi che essa ha preso per stringere i legami di collaborazione colle Nazioni dell'Europa Occidentale allo scopo di giovare a tutte le economie nazionali. L'Italia è all'estrema avanguardia di questo movimento, come è provato dalla Unione Doganale Italo-Francese e dalla parte di primo piano che l'Italia ha avuto nelle deliberazioni della organizzazione per la Cooperazione Economica Europea a Parigi. A seguito della storica proposta avanzata dal Governo italiano, quella organizza-zione che costituisce il fulcro della economia del-l'Europa Occidentale, ha deciso di continuare la propria esistenza per un tempo indefinito, anche dopo la fine del Piano Marshall.

Entrando nel secondo anno del Piano Marshall, vedo molte valide ragioni di fiducia, mentre al tempo stesso devo ammettere che molti fondamen-tali problemi ifondamen-taliani restano ancora insoluti. Il programma assistenziale è finito ed il programma di ripresa è in moto. L'attività di molti settori economici sta avvicinandosi ai livelli anteguerra; ed in alcuni casi li ha persino sorpassati. Le espor-tazioni sono aumentate di metà ed oltre. Un alto grado di stabilità monetaria e di gettiti fiscali è stato raggiunto. Molti dei complessi ostacoli iniziali opponentisi alla ripresa sono stati sormontati. Macchinari ed attrezzature ERP stanno comin-ciando ad arrivare im considerevoli quantità, e centinaia di progetti Pondo Lire sono stati avviati. Dall'altro canto, la disoccupazione è tuttora ad un elevato livello; si è verificata una acuta scarsità di corrente elettrica, e le condizioni di alloggio di una eccessivamente larga parte della popolazione sono indescrivibilmente cattive.

La fiducia nel futuro dell'Italia che ho riscon-trato in America sta trovando un sempre più vasto eco nell'Italia stessa. Sebbene nessuno di noi voglia cullarsi in un vuoto ottimismo, vedo più ragioni di incoraggiamento che di scoraggiamento nei risultati del primo anno e nelle prospettive del secondo anno ERP in Italia.

(6)

LE REDRESSEMENT FRANÇAIS

p a r H E S i R Ï L A V F E N B U R C i E R . P r o f e s s e u r d e F i n a n c e s à l a S o r b o n n e

Comme dans tous les pays impliqués dans la

grande tourmente de la seconde guerre mondiale,

une psychose de hausse a caractérisé en France

l'économie de la période de transition.

L'épuise-ment des ressources agricoles et industrielles, d'une

part, la subsistance d'un pouvoir d'achat

excéden-taire dû à l'inflation et insuffisamment neutralisé

par des ponctions monétaires et fiscales, d'autre

part, avaient fait prévoir un mouvement

ascen-sionnel des prix de longue durée. Les efforts faits

pour vaincre la pénurie par une production

ac-crue et par la résorption progressive du déficit

budgétaire, véritable foyer de l'inflation, n'ont été

appréciés à leur juste valeur que le jour où le

renversement de la conjoncture était déjà inscrit

dans les faits.

Le plan Monnet avait proposé un niveau de

production supérieur de 25 p. cent à celui de

l'année 1938 pour vaincre la rareté et pour

per-mettre de prélever sur le revenu national une

marge d'épargne suffisante au financement du

rééquipement et de la réparation des dommages

de guerre.

Les bonnes récoltes de l'année 1948 ont été le

premier élément décisif du redressement. Malgré

la répétition des grèves au cours de l'exercice passé,

l'indice de la production industrielle a fini par

dépasser le niveau d'avant-guerre. Après avoir

dépassé temporairement la cote 115 (par rapport

à 100 en 1938) il vient de s'établir, après une

rechute temporaire, à 113 en décembre dernier

(bâtiment compris); il n'est plus que de 15 p. cent

inférieur à l'objectif du plan Monnet. L'industrie

textile reste avec 100 légèremen inférieure à la

moyenne, tandis que l'électricité, la verrerie, la

construction mécanique la dépassent sensiblement.

Comment expliquer dans ces conditions que la

hausse a persisté jusqu'à la fin de l'année

der-nière? Tout simplement parce que la rétention des

denrées agricoles et le stockage de certains

pro-duits industriels avaient créé sur le marché

l'im-pression d'une rareté persistante.

C'est grâce à l'assainissement conjugué de la

monnaie et des finances publiques que

l'amélio-ration de la situation économique a pu se

mani-fester au début de l'année 1949 avec un éclat qui,

par sa soudaineté, a surpris non seulement les

observateurs étrangers mais encore les Français

eux-mêmes.

Après avoir été l'aliment dominant des budgets

extraordinaires et un appoint appréciable du budget

ordinaire, l'inflation a été maîtrisée au cours de

l'année 1948. Les avances de la Banque de France

à l'Etat qui avaient été la cause principale de

l'augmentation de la circulation fiduciaire, ont été

stoppées puis progressivement réduites. Selon les

prévisions pour l'exercice 1949, les ressources

fi-scales couvriront non seulement la totalité des

dépenses courantes (budgets civil, militaire et

équipement des services publics), mais encore

18 p. cent des dépenses d'équipement et de

re-construction évaluées à 620 milliards. Le solde du

budget extraordinaire des investissements <82 par

cent) est financé par la contrevaleur en francs

de l'aide Marshall (280 milliards), par le produit

des réparations et de la vente des surplus

amé-ricains, enfin par l'émission des titres de

dom-mages de guerre (60 milliards) et surtout par

l'ar-gent frais recueilli lors de l'émission du grand

emprunt 5 p. cent perpétuel (plus de 110 milliards).

Le succès de l'emprunt qui dépasse de plus de

10 milliards les prévisions, marque la renaissance

de l'épargne française qui est appelée à devenir,

lors de la cessation de l'aide Marshall en 1952,

l'instrument financier par excellence de la

recon-struction. Jusqu'ici le Français avait thésaurisé le

surplus de ses revenus sur ses besoins de

consom-mation et d'entretien. On estime à plus de 3.000

tonnes la quantité de l'or détenu par les

parti-culiers, soit au cours du change officiel plus de la

moitié de l'aide américaine à l'Europe. Pour

« déstériliser » l'épargne, c'est-à-dire pour la

re-mettre petit à petit dans le circuit productif, il

a fallu consacrer l'assainissement financier par le

rétablissement progressif de la liberté du marché

de l'or et de certaines devises. La France ne

sau-rait jamais remercier assez l'Italie de lui avoir

montré l'exemple depuis les courageuses initiatives

prises, il y a plus de deux ans, par M. Einaudi,

alors qu'il était encore Gouverneur de la Banque

d'Italie, puis ministre du Trésor.

De même qu'à la suite des bonnes récoltes et

de la véritable surproduction de certaines denrées

telles que les pommes de terre, la viande de porc,

les vins, les cours agricoles se sont ébranlés, il

a suffi que la crise des trésoreries privées, la

re-striction des crédits et, « last not least»,

l'em-pressement de souscrire à l'emprunt déclenche une

première vague de réalisations de pièces d'or pour

que les cours du métal jaune cèdent à leur tour

du terrain. Il n'était pas possible de maintenir ces

cours au coefficient 25 alors que les prix de détail

n'étaient qu'à 18 et ceux des actions françaises

à 12.

Au début du mois de mars 1949, le louis d'or

qui avait progressé au-delà de 6.000 francs,

s'éta-blit au palier de 5.000 francs. L'affaiblissement

des cours des devises sur le marché parallèle semble

être appelé à se poursuivre sous l'influence des

facilités accordées aux touristes étrangers qui

pourront désormais importer 20.000 francs contre

10.000 et 4.000 francs précédemment.

La baisse qui s'impose pour épurer l'appareil de

distribution de ses éléments parasitaires et qui

enlève aux revendications tendant à la hausse des

salaires leur principale raison d'être, ne se traduit

qu'avec un certain retard de l'échelon du gros à

celui du détail. Après a-voir grimpé jusqu'à 1928

• par rapport à 100 en 1938), les cours des 34

ar-ticles d'alimentation à Paris enregistrent au terme

des deux premiers mois de 1949 une baisse

d'en-viron 5 p. cent, s'etablissant à 1836. Les prix

in-dustriels qui sont d'un tiers supérieurs aux prix

agricoles, sont plus résistants.

L'amélioration de la situation économique,

mo-nétaire et financière va-t-elle se poursuivre?

(7)

re-IL REGIONALISMO ITALIANO

La nuova Costituzione ha trasformato l'Italia da

Stato fortemente centralizzato in Stato «

decen-trato ad autonomie regionali ».

Fino a quando le norme autrici di questa

tra-sformazione rimasero scritte sulla Carta

costitu-zionale, pochi se ne preoccuparono; ma allorché

ci si accorse che le norme della Costituzione

sa-rebbero state applicate e che in forza

dell'arti-colo 8 delle disposizioni transitorie e finali era

stato fissato il fatale termine di un anno, a

de-correre dall'entrata in vigore della Costituzione,

per l'elezione dei Consigli regionali e quindi per il

concreto funzionamento delle Regioni, l'allarme fu

vivissimo e si diffuse in molti strati della

popo-lazione un senso di costernazione e di timore.

E' realmente fondata questa preoccupazione?

Si deve, per onestà di giudizio, rilevare che le

posizioni di adesione o di critica nei riguardi del

regionalismo italiano non si fondano, per lo più,

su di un'obbiettiva interpretazione del testo

costi-tuzionale, ma piuttosto su delle impressioni

sog-gettive e su dati di fatto spesso erronei. Vi sono

coloro che confondono le Regioni con dei piccoli

Stati e credono che l'Italia sia divenuta una

specie di Stato federale, entro il quale e contro il

quale i secessionismi regionali saranno facilissimi;

vi sono, invece, all'opposto, coloro che considerano

le Regioni come semplici enti amministrativi,

co-me delle Provincie a territorio ampliato, sottoposte

al rigido controllo del governo centrale.

Entrambe queste posizioni estreme sono

er-rate; la verità sta nel mezzo. Le Regioni non sono

degli Stati, ma neppure soltanto degli enti

ammi-nistrativi. Esse avranno una potestà legislativa

propria, che le Provincie ed i Comuni non

ave-vano e non hanno; eserciteranno, nello Stato,

un'innegabile influenza politica; svolgeranno una

attività amministrativa, nel disimpegno degli

af-fari locali, assai ampia e discrezionale e non

su-scettiva di controllo di merito per parte del

Go-verno centrale.

Pure scartando le critiche eccessive e non

giu-stificate, ritengo che, nel suo complesso, la

ri-forma sia più dannosa che utile al nostro Paese.

Mi limiterò a sommarie coonsiderazioni

riferen-domi unicamente al testo costituzionale.

£ * f

Il primo difetto del regionalismo italiano è di

avere creato degli enti territoriali con un proprio

Governo ed un proprio Parlamento; vi saranno,

così, in Italia, diciannove piccoli Governi e

dician-nove Parlamentini.

E' facile prevedere che i candidati dei partiti

politici, non riusciti nelle elezioni nazionali,

aspi-reranno, come premio di consolazione, a divenire

Consiglieri ed Assessori regionali; questi

parlamen-tar; mancati troveranno nei consessi regionali una

ottima piattaforma per sfogare la loro passione

politica, emulando i Deputati della capitale sia

nei discorsi inconcludenti e generici, sia

nell'igno-ranza dei concreti problemi amministrativi, che

necessiterebbero soluzioni ponderate.

La legislazione regionale e la correlativa

fun-zione amministrativa saranno considerate da

que-ste persone soltanto come armi politiche per la

lotta fra i partiti. Se poi — come avverrà in

nu-merosissimi casi — la maggioranza dominante nel

Consiglio regionale avrà colore diverso dalla

mag-gioranza formatasi in alcuni dei Comuni

com-presi nell'ambito regionale o dalla maggioranza

costituitasi in Regioni limitrofe, vi sarà il grave

pericolo che la legislazione e l'amministrazione

re-gionale divengano mezzi di rappresaglia per

col-pire l'avversario politico e la popolazione da questo

amministrata. I contrasti campanilistici sono stati

sempre diffusi ed aspri in Italia; l'organizzazione

regionale li fomenterà e li acuirà, tanto più che

la rivalità fra Regione e Regione, attualmente

so-pita, avrà moltissime occasioni per invelenirsi. Se

si voleva tener conto degli interessi regionali e dar

modo agli stessi rappresentanti delle popolazioni

locali di amministrarli, non era necessario

costi-tuire le Regioni, come enti a larga autonomia;

bastavano dei Consorzi di Provincie, i quali

avreb-bero avuta maggior libertà di conclusione fra gli

enti locali interessati e maggior elasticità d'azione

secondo le esigenze che potevano di volta in volta

presentarsi.

Il secondo inconveniente dell'organizzazione

re-gionale è la sua rigidità. Allorché si costituirono

le attuali diciannove Regioni, si .ebbero proteste

da ogni parte circa il frazionamento regionale che

era stato compiuto; alcune Provincie, aggregate ad

una Regione, sostenevano di aver maggior interesse

ad essere annesse ad altre o ad essere eratte in

Regione autonoma.

E' facile prevedere che col funzionamento delle

Regioni, queste lagnanze si acuiranno; il

capo-luogo della Regione eserciterà una notevole forza

di attrazione sulla periferia; i problemi economici

che i Consigli regionali affronteranno saranno visti

e risolti con maggior propensione verso gli

inte-ressi del capoluogo e delle Provincie centrali; vi

saranno popolazioni periferiche, che, a ragione o a

torto, crederanno di essere sacrificate dalla

buro-crazia regionale ed aneleranno a sottrarvisi.

Poiché la Costituzione contempla dei

procedi-menti di separazione, statuendo all'uopo lunghe

pratiche (con deliberazione di vari enti locali,

re-ferendum e leggi statali), è facile prevedere

con-trasti e discussioni senza fine nel seno di una

stessa Regione, con inceppamento

dell'ammmistia-zione che i costituenti avrebbero voluto fosse la

unica cura dei governanti locali.

Terza e più grave incognita rimane la potestà

legislativa affidata ai Consigli regionali, i quali

possono deliberare vere e proprie leggi, di efficacia

pari a quelle approvate dal Parlamento. Si è detto

per sminuire la portata di questa innovazione, che

si tratta di un semplice attributo formale e che le

leggi regionali sono soltanto dei regolamenti di

esecuzione delle leggi statali.

Non mi pare, però, che la giustificazione sia

esatta. E' vero che l'art. 117 della Costituzione

elenca tassativamente le materie nelle quali si può

estrinsecare la potestà legislativa della Regione;

che queste materie riflettono unicamente affari di

cettes. Ainsi l'impôt sur le chiffre d'affaires qui

représente 45 p. cent des recettes fiscales (400

mil-liard en 1948 su 870 mimil-liards d'impôts proprement

dits) est particulièrement sensible à la diminution

des prix et risque de ce chef de subir de sensibles

moins-values. Heureusement que l'excédent sur les

prévisions du produit de l'emprunt permettra de

constituer une réserve susceptible de compenser

dans une certaine mesure la moindre productivité

des impôts indirects. Encore faut-il que le

Gou-vernement soit assez sage pour ne pas engager à

la légère cette réserve.

Tout compte fait, les éléments favorables

l'em-portent, dans le bilan de l'économie française, sur

les éléments contraires. Candidat à une union

économique avec sa grande voisine, l'Italie ne

peut que se réjouir des progres réalisés en France

au moment même où elle vient de tourner à son

tour le cap de ses principales difficultés.

(8)

interesse regionale; che la legge regionale non

po-trebbe disporre in contrasto con i princìpi

fonda-mentali. stabiliti dalle leggi statali e in

opposi-zione all'interesse nazionale e di altre Regioni; ma

tutti questi limiti e garanzie presuppongono

sem-pre, per la loro osservanza, che i legislatori

re-gionali vogliano ottemperarvi e non abbiano,

in-vece, la precisa intenzione di causare fastidi ed

inciampi al Governo centrale e al partito

domi-nante nel Parlamento o nelle Regioni limitrofe.

Per es., in base all'art. 117 della Costituzione,

rientrano nella competenza legislativa regionale

l'agricoltura e le foreste; i Consigli regionali

po-tranno, così, legiferare in materia di contratti agrari

e in ordine alla produzione agrìcola e forestale,

emanando norme che interferiranno largamente

negli interessi dei privati. Orbene: quando si

po-trà affermare con sicurezza che questa

legisla-zione regionale non contrasta con i princìpi

fon-damentali della legislazione statale? Quando si

potrà essere sicuri, data l'interferenza di interessi

fra le Regioni, che ima determinata legislazione

re-gionale non avrà ripercussioni dannose sulle

per-sone e sui beni esistenti in altre Regioni?

La genericità dell'art. 117 della Costituzione pare

fatto apposta per favorire i contrasti, in sede

legi-slativa, fra Regioni e fra Regioni e Stato.

Qualora le leggi regionali non rimangano nei

limiti fìssati dalla Costituzione, non pare che i

procedimenti escogitati per eliminare

l'inconve-niente possano sempre raggiungere lo scopo.

II Governo non può, infatti, annullare la legge

regionale illegittima o inopportuna; può

unica-mente impugnarla per illegittimità davanti alla

Corte Costituzionale o per vizio di merito davanti

al Parlamento; quindi, ove si inasprisse il

con-trasto politico fra una pluralità di Regioni e il

Go-verno o fra più Regioni tra di loro, il Parlamento e

la Corte Costituzionale si troverebbero sommersi da

innumerevoli impugnazioni di leggi regionali,

men-tre l'amministrazione locale sarebbe totalmente

paralizzata e in uno stato di anarchia.

Si deve tener conto anche di un'altra

circo-stanza; i termini di impugnazione di cui

all'arti-colo 127 della Costituzione sono assai ristretti;

non sempre può essere possibile per i funzionari

governativi di accertare, con una rapida scorsa

del testo legislativo approvato da un Consiglio

re-gionale, se questo testo si adegui o meno ai

princìpi dell'ordinamento giuridico statale o non

contrasti con gli interessi della Nazione o di altre

Regioni; il più delle volte l'illegittimità o

l'inop-portunità si faranno palesi quando già la legge

regionale è entrata in vigore ed è stata applicata.

La Costituzione non ha previsto questa ipotesi che,

a mio giudizio, darà luogo a contrasti più accesi

e genererà le più deprecabili conseguenze.

Altra disposizione assai inopportuna è quella

dell'art. 125 della Costituzione che esclude ogni

controllo di merito per parte del Governo centrale

sugli .atti amministrativi emessi dalle Regioni.

Da-ta la grande massa di mesti atti e la loro

rile-vanza sugli interessi, specialmente economici, dei

cittadini, rappresenta un grave pericolo il non

avere predisposto un controllo efficace

sull'oppor-tunità intrinseca dell'atto, specialmente in ordine

alle spese che ne possono derivare all'ente e quindi

agli amministrati.

Per terminare questa breve rassegna, accennerò

ancora alla autonomia finanziaria e alla

burocra-zia regionale.

I n oggetto alla .prima parrebbe, in base

all'arti-colo 119 della Costituzione, che le finanze

regio-nali, specialmente per quanto riflette la

determi-nazione dei tributi e la loro riscossione, siano

strettamente imbrigliate dalle leggi statali;

tut-tavia vi sarà una complessa finanza regionale,

tributi proprii delle Regioni e percentuali detratte

dai tributi erariali; è perciò inevitabile un forte

aggravio fiscale.

I n secondo luogo le Regioni — come già se ne

sono avuti esempi in Sicilia, in Sardegna, in Val

d'Aosta, ecc. — avranno la tendenza ad

acca-parrarsi tutti gli introiti fiscali prodotti nella

cir-coscrizione regionale, privandone lo Stato e

ri-chiedendo, invece, al medesimo dei contributi.

Se tutte le Regioni italiane manifesteranno

que-sta tendenza, non si vede da quali cespiti le

finan-ze dello Stato potranno essere alimentate.

Altro pericolo, sempre nel campo finanziario ed

economico, riflette l'eventualità che le Regioni

isti-tuiscano dazi od altri aggravi fiscali diretti sia ad

aumentare le entrate di bilancio, sia ad ostacolare

il passaggio dei prodotti da una Regione all'altra;

questa possibilità è stata tenuta presente dai

Co-stituenti, tant'è che essi l'hanno espressamente

di-vietata nell'art. 120 della Costituzione, giungendo

ad enunciare il principio che la Regione non può

adottare provvedimenti ohe ostacolino in qualsiasi

modo la lìbera circolazione delle persone e delle

cose fra le Regioni.

Senonchè è eccessivamente ottimistico' supporre

che per i governanti regionali la semplice

enuncia-zione del divieto legislativo sia sufficiente garanzia

alla sua osservanza; anche su questo punto

po-tranno verificarsi contrasti fra Regione e Regione

e fra Regioni e Governo centrale, nè il macchinoso

procedimento sul controllo delle leggi e degli atti

amministrativi regionali potrà dare buoni rimedi

ed in ogni caso di rapida e completa attuazione.

Un ultimo punto .credo sia utile rilevare e cioè

l'enorme spesa di gestione che l'organizzazione

del-le Regioni comporterà.

Non soltanto sarà costoso l'impianto- iniziale (per

esempio, l'allestimento di tanti uffici), ma

occor-rerà por mente al costo della burocrazia

regio-nale. I fautori dell'ente-Regione hanno* sostenuto

che la burocrazia regionale potrà essere, quasi

esclusivamente, tratta dalla burocrazia statale, in

quanto col trasferimento di molte funzioni

ammi-nistrative dallo Stato alle Regioni, gran parte degli

impiegati statali sarebbe rimasta inutilizzata.

ISenonchè è lecito dubitare della realizzazione

di un tale progetto; il ceto impiegatizio romano

non avrà alcun interesse ad abbandonare la

capi-tale, dove ormai ha il suo centro di vita,

l'al-loggio, le amicizie, ecc.; non credo, perciò, che

questo passaggio possa essere volontario, nè la

co-strizione, a cui si volesse giungere, potrà essere

facilmente attuata per le difficoltà di vario ordine

che, comunque, si profilerebbero.

In secondo luogo, sarà facile alla burocrazia

centrale sostenere la sua necessità. Gli impiegati

della capitale allegheranno di dover pur sempre

esercitare opera di direzione, di coordinazione e

di controllo anche in quelle materie i cui dettagli

di attuazione locale sono affidati alle Regioni; in

definitiva — ed è fatale che così avvenga •— una

nuova burocrazia sorgerà nella Regione,

burocra-zià che sì aggiungerà a quella dello Stato (centrale

e periferica) delle Provincie, dei Comuni, degli enti

pubblici di vario genere. La costituzione delle

Re-gioni genererà, quindi, ulteriori e sensibili aggravi

fiscali e nuove spese.

I lati negativi della riforma regionale non si

li-mitano a quelli testé descritti; altri potrebbero

essere elencati. I difetti e le incognite del sistema

sono anche maggiormente accentuati ove l'esame

si porti su quelle Regioni che godono di

un'auto-nomia più ampia di quella normale, quali le

Re-gioni Siciliana, Sarda, Valdostana, Trentina e

Giu-liana. I recenti .contrasti, specialmente in materia

di legislazione regionale, di imposte e di finanza

locale, fra la Sicilia e lo Stato e le avvisaglie di

intolleranza campanilistica e linguistica e di

au-tarchia economica che si sono manifestate in Vai

d'Aosta e in Alto Adige non fanno certo presagire

una convivenza pacifica fra Governo centrale e

Regioni a più ampia autonomia.

(9)

IL PROBLEMA DELL'EMIGRAZIONE

\<!C('ssilà di ( ' m i g r a l e

Il tema del recente congresso di Bologna

l'emigrazione — parve ai convenuti null'altro che

il naturale completamento del tema discusso a

Napoli: la disoccupazione, tanto ohe

argomenta-zioni e controversie colà iniziate furono riprese e

continuate di tacito accordo. Tutti si

dimostra-rono convinti che, senza ricorrere all'emigrazione,

non può trovarsi, nell'attuale rigidità di mercato

e dato l'attuale rapporto fra incremento

demo-grafico e aumento del risparmio, rimedio valido

e sufficiente alla disoccupazione.

Circa la convenienza, anzi la inderogabile

neces-sità di emigrare, solo una voce fu discorde, quella

dei rappresentanti locali e nazionali dei lavoratori.

Se mal non ho inteso, gli esponenti qualificati

degli interessi dei lavoratori temono che il ricorso

alla emigrazione allontani la realizzazione delle

« riforme di struttura ».

Ora, questo argomentare mi pare bizzarro. O

le riforme di struttura sono benefiche ed

oppor-tune, e vanno fatte, e al più presto, e si faranno

pur contemporaneamente alla ripresa del moto

mi-gratorio. O quelle vantate riforme opportune e

vantaggiose non sono, ed esse non debbono farsi

in nessun caso, quale si sia il moto migratorio e

la pressione demografica in Italia. Che Se si

ra-gionasse diversamente, se si volesse ostacolare

l'im-pulso del disoccupato a cercarsi lavoro sotto altri

cieli, pur di avvicinare l'attuazione delle famose

riforme, si agirebbe come quel medico che

provo-cava terribili malanni per sperimentare

gloriosa-mente i suoi originali rimedi.

Talmente pacifica si mostrò la convinzione della

indispensabilità dell'emigrazione, ohe non venne

neppure ripresa al Congresso la controversia,

an-nosa in politica e in dottrina, fra benefici e danni

dell'emigrazione. Solo dall'emigrazione possono

trovare sollievo le plebi meridionali avide di lavoro

ma prive di terra, di strumenti, di risparmio e di

credito; generose, sobrie e tenaci ma incolte.

Col-l'emigrazione si eleva ad un tempo la condizione

economica e umana di chi trasmigra in terre più

ricche e in mercati meno affollati; delle famiglie

I '¡III

che tosto o tardi ricevono sussidi e rimesse

dal-l'emigrato e comunque spesso si sono liberate dal

peso di un membro disoccupato; dei rimasti che

nella ricerca del lavoro, dell'impiego, dello

smer-cio, o della terra, sono constrastati da una meno

severa concorrenza. Il costo dell'allevamento e

del-l'addestramento dell'emigrante, per l

a

collettività

e per la famiglia, e ben minore del vantaggio delle

rimesse — senza la ripresa delle quali è vano

sperare in un equilibrio della bilancia dei

paga-menti — e dell'apertura alle nostre esportazioni

tipiche di vasti mercati di concittadini emigrati.

I danni e i lutti recenti hanno talmente

inde-bolito u mito della conquista, della potenza, e

della gloria militare; la tecnica dell'armamento

pesante ha talmente dominato nell'ultimo

con-flitto, che nessuno oserebbe più contrastare

l'emi-grazione nell'intento, o col pretesto, di rafforzare

la potenza militare.

Accanto ai benefici economici dell'emigrazione,

altri di altra sorta vanno oggi posti in luce: una

conveniente collocazione all'estero dell'esuberanza

di popolazione rinsalderà la nostra incerta

strut-tura sociale, lenirà lo scontento dei ceti meno

for-tunati, colmerà il divario, nel tenore economico e

nelle consuetudini di vita, tra le diverse regioni

italiane. In questa fase della congiuntura

mon-diale di ricostruzione, di riconversione e —

ahi-mè — di riarmo, la nostra mano d'opera è una

forza internazionale assai richiesta, che può

es-sere vantaggiosamente oggetto e argomento di

con-trattazioni interstatali. L'italiano all'estero, infine,

non è solo produttore di ricchezza, consumatore

di prodotti naz.onali, risparmiatore nell'interesse

dei lontani famigliari; egli è naturalmente un

por-tatore di italianità, un difensore dei nostri diritti

e dei nostri interessi in seno all'opinione pubblica

di altri Stati. L'emigrante stagionale o

tempora-neo, al suo ritorno, apporta al natio, e spesso

in-sufficientemente progredito villaggio i frutti di un

risparmio che non è solo fatto di 'denaro, ma di

esperienza tecnica e umana, di educazione civile.

Non a caso nel decennio idi maggiore benessere

economico, di più rapido progresso tecnico, di più

# # *

Di fronte ai difetti dell'organizzazione regionale

e specialmente ai pericoli che se ne prevedono, si

è ora proposto un rimedio radicale e cioè

l'abro-gazione delle nonne costituzionali in materia. Non

condivido questa soluzione.

Anzitutto la possibilità di richiedere un

refe-rendum sull'abrogazione del sistema regionale, in

base all'art. 75 della Costituzione, non è pacifica

in dottrina; in secondo luogo* il referendum

sa-rebbe dispendioso e di dubbio risultato. Vi sono poi

considerazioni di opportunità politica che non

con-sigliano l'adozione di un tale provvedimento. Come

è possibile, infatti, attribuire carattere di stabilità

e di serietà ad una Costituzione che, appena

ap-provata, viene già abrogata in una delle sue parti

essenziali? Come è possibile giustificare, al lume

della logica, tìhe molte norme costituzionali,

ap-pena approvate, devono -già essere abrogate, prima

ancora della loro applicazione? O queste norme

erano ritenute inadatte e inopportune ed allora

non dovevano essere approvate dall'Assemblea

Co-stituente o erano state allora trovate saggie e

ri-spondenti ai bisogni del popolo italiano, ed allora

bisognerà, quanto meno, attuarle per vedere se

corrispondono o meno a quelle finalità per le quali

erano state adottate.

Si deve anche tenere conto di un'altra

circo-stanza ; le più ampie autonomie concesse ad alcune

Regioni di confine (Sicilia, Sardegna, eoe.) sono

già state applicate, nè potrebbero essere

attual-mente abrogate; quindi il rifiuto di concedere un

certo grado di autonomia anche alle altre Regioni

italiane, tanto più dopo che questa autonomia è

stata promessa da partiti politici con largo seguito

e da molti cittadini è reputata necessaria

all'attua-zione dell'auspicato decentramento amministrativo,

costituirebbe una mossa impolitica ed apparirebbe

come un'ingiustizia e un mancamento di parola.

Mi pare — tutto ben considerato— che si

potreb-be ottenere un risultato migliore percorrendo altra

via e cioè costituire le Regioni secondo le

disposi-zioni costituzionali vigenti e, in un secondo tempo,

allorché i difetti del sistema si saranno palesati

in concreto, promuovere le necessarie leggi di

revi-sione costituzionale per togliere dì mezzo i più

gravi difetti. Così — per es., — se l'attuale

si-stema di impugnazione delle leggi regionali si

ri-leverà poco adatto allo scopo., il Governo potrà

presentare al Parlamento un progetto di revisione

costituzionale proponente un diverso procedimento;

gli inconvenienti verificatisi e il consenso

dell'opi-nione pubblica sulla necessità della riforma

ren-deranno, anzi, più facile il voto parlamentare sul

progetto presentato.

Credo che questa soluzione sìa la più

raccoman-dabile nell'attuale momento politico.

(10)

ordinata convivenza civile per la nostra Italia, si

segnano le più alte quote di emigrazione.

Oggi come non mai l'emigrazione è il sovrano

rimedio; le devastazioni della guerra, l'insufficienza

nella formazione del risparmio, la perdita delle

co-lonie, l'incremento della popolazione — e la

dimi-nuzione del tasso di mortalità continuerà nel

pros-simo avvenire — l'invecchiamento degli impianti,

la lentezza e gli errori nella riconversione e nella

ricostruzione, la rigidità del sistema economico

se-mi-diretto, il disordine monetario e valutario hanno

infatti aggravato il fondamentale problema

del-l'Italia : esuberanza di uomini, di fronte a scarsità

di capitale e risorse minerarie, e inesistenza di terre

incolte e coltivabili.

Per dirla in tutte lettere, senza il ricorso

all'emi-grazione non si risolve nè il problema del

mezzo-giorno, nè quello della massima occupazione, né

quello dell'elevazione del tenore di vita e alimentare

italiano, nè forse quello stesso della sopravvivenza

dell'Italia come nazione indipendente unitaria e

socialmente ordinata.

Ostacoli i n s u p e r a b i l i

Ma, di fronte alla gravità e urgenza di questa

esigenza, stanno ostacoli svariati e nel loro

as-sieme pressoché insuperabili.

V'hanno ostacoli contingenti come la scarsità di

tonnellaggio marittimo, e la concorrenza dei

ri-fugiati politici iDisplaoed persons) la cui

emigra-zione è finanziata, organizzata e assicurata da

or-ganismi internazionali potentissimi (I.R.O.).

Pos-sono disporsi provvedimenti adeguati: la

costru-zione o l'adattamento di navi pel trasporto

emi-granti, e la richiesta, da girare ad organizzazioni

internazionali, di non sacrificare sempre i nostri

emigranti ai rifugiati politici.

Altri più generici motivi di rallentamento del

flusso migratorio sono difficilmente appuratoli, e

ancor più diffìcilmente neutralizzabili : lo spirito

di avventura tipico dell'emigrante ottocentesco si

è indebolito, ed ha fatto luogo ad una esigenza di

sicurezza e ' di stabilità che mal si concilia coi

rìschi dell'emigrazione; l'interruzione o il

soffo-camento delle correnti migratorie in alcuni mercati

importantissimi ha spezzato o allentato i vincoli

dì informazioni di interessi e di affetti che

lega-vano gli emigrati di recente data con i rimasti; si

emigra volentieri là dove si è certi di essere

ac-colti da una più antica colonia di connazionali.

V'ha ancora chi attribuisce la minor

emigra-zione al timore di affrontare ostilità e

rappresa-glie presso popoli già nemici, o a ciò che il tenor

di vita in alcune regioni italiane si è innalzato

finalmente da quel penoso livello minimo, che solo

sforza il lavoratore a abbandonare famigliari, casa,

chiesa, villaggio. E tanto ci addolorerebbe il primo

motivo, quanto ci rallegrerebbe, se confermato, il

secondo.

Certo è che, in vari continenti, le zone a clima

temperato non offrono più le possibilità del secolo

scorso; le terre incolte abbondano ormai

soprat-tutto sotto i climi tropicali ed equatoriali, nelle

foreste e nelle savane, lontani dalle grandi vie di

comunicazione.

Ma all'emigrazione si oppongono soprattutto i

governi dei paesi (di immigrazione. Talora

ispiran-dosi a pregiudizii razziali o nazionalistici

impedi-scono che le caratteristiche politiche e civili del

loro aggregato nazionale siano « inquinate » dai

nuovi venuti; talora, facendosi strumento

dell'egoi-smo dei lavoratori indìgeni, ne tutelano il benessere

e la sicurezza salariale e sociale aggravando la

miseria e l'insicurezza dello spregiato straniero.

Spontaneo sospetto e dispregio verso chi palesa

lingua, costumi, religione e cultura inusitate, si

al-leano, allo stesso ingiusto fine, con il risentimento

verso il conquistatore dell'altroieri, o il vinto di

ieri. Tutti gli argomenti sono addotti, tutti gli

stru-menti sono usati, per sostenere ed attuare questa

politica di restrizione. Si richieda l'esame

profes-sionale e sanitario, la chiamata all'impiego o la

cauzione, si imponga un contingente che non

al-teri la proporzione fra le diverse stirpi, si

addu-cano timori di perturbamenti politici o di aumento

nella disoccupazione, o di insufficienza di alloggi,

una è la conseguenza, uno è il fine più o meno

co-scientemente inteso: la difesa del proprio tenore

di vita a danno altrui.

Ed anche là ove i divieti statali mancano o sono

meno gravi, l'ostilità « in loco » delle

organizza-zioni operaie indigene raggiunge per mille vie lo

stesso risultato.

D'altronde non possono colonizzarsi o bonificarsi

terre incolte, nè industrializzarsi contrade agricole,

col solo apporto di nuovo lavoro. Ai tipici paesi

di immigrazione, e specialmente in questa ansia di

indipendenza economica e di industrializzazione

che tutti li pervade, al Brasile, all'Argentina, al

Venezuela, al Cile, all'Australia, fa d'uopo

capi-tale al pari di lavoro. La libertà di circolazione

dell'un fattore non può aversi senza la libera

cir-colazione dell'altro. Le savane argentine, le foreste

venezuelane, non accoglieranno lavoratori italiani

che in scarsa misura finché controlli valutari,

ar-tificiosità di camlbi, doppie imposizioni fiscali,

ti-mori di nazionalizzazioni e socializzazioni,

nazio-nalismi economici ostacoleranno l'investimento di

capitali nordamericani inglesi o francesi. Ancora

una volta l'analisi approfondita dei nostri mali a

questo ci conduce: che tutte le libertà economiche

si connettono e si presuppongono a vicenda, che

senza la libertà completa dei fattori produttivi non

v'ha duraturo rimedio all'attuale disorganizzazione

e marasma.

H i i n e d i

A poco gioveranno i provvedimenti proposti da

alcuni congressisti, di fornire capitale o credito

agli emigranti colonizzatori, o di fornire loro, ciò

che equivale, istruzione tecnica specializzata; e

na-turalmente tutto a spese dirette o indirette

del-l'onnipresente ©tato a cui si chiede di redistribuire

continuamente la miseria esistente senza per

que-sto poterla mutare! Se in Italia fossero disponibili,

come sussidio di Stato o come crediti bancari i

proposti milioni per emigrante, il problema non si

porrebbe neppure. Del resto questi colossali

pro-grammi di credito di favore agricolo o artigiano,

di viaggio gratuito, di assistenza alle famiglie degli

i-migrati, non contrastano forse con la conclamata

esigenza di aumentare il capitale disponibile in

Italia, e con i divieti alla sua esportazione? Non

consistono essi forse in un maggior costo

dell'emi-grazione, sopportato dal solito contribuente, a

fa-vore degli emigranti e in definitiva delle economie

straniere?

A tanto si giunge nella ormai radicata e

indi-scussa convinzione che per ogni problema non v'ha

che una sorta di soluzione: il sussidio statale, la

esenzione fiscale, la protezione, il privilegio!

Più opportuni — ma quanto attuabili? — gli

citamenti al Governo di non trascurare alcun

in-contro internazionale, senza esporre la nostra

fon-damentale esigenza, emigrare, di non tralasciare

in alcuna trattativa di inserire le nostre pretese di

adeguati sbooohi.

(11)

Anche í Governi dei paesi di immigrazione si

piccano di interferire nell'emigrazione, e

nell'in-tento di tutelare e assistere il lavoratore e in quello

di pianificare e regolare ogni moto delle forze

eco-nomiche. Pure il Governo italiano segue il

feno-meno migratorio, anche per impegni verso i

go-verni dei paesi di immigrazione, e anche ad

evi-tare che incauti aspiranti all'emigrazione,

abban-donati casa e lavoro e sopportate le spese, siano

respinti alla frontiera. Certo è auspicabile che

l'emigrante sia tutelato contro i rischi del lavoro

pur in terra straniera, ma troppo rigide pretese

in materia fanno fallire le trattative collettive o

le rendono inoperanti in sede di esecuzione. Certo

è lodevole il proposito di assistere i lavoratori

mi-granti durante il viaggio e la prima collocazione

in terra straniera, ma occorre che ciò non sia

pre-testo a prolificazioni di commissioni, di enti, di

uffici costosi e sovrabbondanti, non sia

d'impac-cio al proposito individuale 'di emigrare.

Ufficial-mente si ammette — ed è ben significativo — che

l'emigrazione cosidetta di massa, cioè

collettiva-mente arruolata assistita e diretta, è ben minore

della più agile ed elastica emigrazione individuale,

nonostante ogni contrario impaccio e divieto; e

ciò ammettendo non si tien conto della

emigra-zione clandestina, non rilevata ma elevatissima. Si

narra anche di contadini meridionali indotti,

dal-l'eccesso di pratiche e di controlli predisposti a

loro vantaggio, a tentare clandestinamente

quel-l'espatrio in Francia cui avevano diritto per le più

lunghe costose e penose vie legali, e in tale

ten-tativo periti sulle Alpi.

P r o s p e t t i v e i m m e d i a t e

Considerati questi ostacoli ed impacci, non

stu-pisce che le prospettive immediate alla nostra

emigrazione siano ristrettissime eid incerte.

Verso la Francia il constatato insuccesso dei due

primi accordi di lavoro lascia sperare in un

ri-torno all'emigrazione non collettiva, ma

nomina-tiva e individuale. In Argentina la crisi economica

e politica in cui va sboccando il piano Perón rende

da mesi poco conveniente l'emigrazione industriale,

mentre quella agricola rivolta alle terre incolte

richiede lavori pubblici, capitali di investimento e

di esercizio. L'emigrazione verso il Venezuela è

stata recentemente sconsigliata dal nostro

Gover-no. In Uruguay sono aperte possibilità agli

acqui-renti d. terreni, cioè a coloro che dispongono

me-diamente di 25-30.000 pesos (8-10 milioni di lire);

nel Brasile esistono giganteschi programmi di

co-lonizzazione dell'interno, ma il Ministro La

Torn-ila rivelato la loro inattuabilità per deficienza di

capitale; sono comunque desiderati in ordine di

preferenza portoghesi, spagnoli e italiani. Nel

Perù la Società Italo-Peruviana ha intrapreso la

bonifica di 15.000 ettari di terreno, ma ragioni

sa-nitarie sconsigliano più larghe emigrazioni Nel

settembre 1947 il Ministro Calwell dichiarò a

Pa-rigi che 200.000 persone avrebbero potuto trovare

lavoro in Australia, ma che sarebbe stata

consen-tita una immigrazione annua di 70.000 persone:

di fronte a questa possibilità 40.000 britannici e

15.000 francesi si sono già prenotati. In Cile una

recente disposizione del Codice Cileno del lavoro

prescrive ohe l'80 % dei lavoratori di ogni azienda

debbano essere indigeni. In Sud Africa le

proba-bilità di emigrazione sono quasi nulle, data la

con-correnza degli ex prigionieri di guerra, e il basso

costo della mano d'opera indìgena. Il Governo del

Canada si è impegnato ad accogliere larghe

ali-quote di Displaced persons, e si aprono

prospet-tive solo agli emigrati agricoltori muniti del

ne-cessario capitale di esercizio.

In conclusione è assai difficile che nei prossimi

anni l'emigrazione superi le cifre del 1948: 150.000

partenze transoceaniche e 100.000 pel continente,

mentre il piano Saraceno ne prevede 640.000 nel

quadriennio ERP, e per contro bilanciare l'annuo

afflusso di giovani al mercato del lavoro ne

oc-corrono 300.000 al minimo.

P r o b l e m i m i n o r i

Preso atto di questi dati, molti singoli problemi

esaminati al Congresso di Bologna perdono peso.

Al fine di coadiuvare l'azione del Ministero del

Lavoro e del Ministero degli Esteri in materia di

emigrazione e di dirimere i conflitti di competenza,

è opportuno ripristinare il già benemerito

Com-missariato per l'Emigrazione con suoi organi

pe-riferici all'interno e all'estero, o — come

preferi-sce il Ministro Panfani — istituire una

Commis-sione interministeriale consultiva e di collegamento?

Come provvedere all'assistenza dei familiari degli

emigrati specie nel primo periodo dalla partenza?

Come rendere automaticamente operante all'estero

la tutela sociale previdenziale assistenziale del

la-voratore emigrato? Come impartirgli, senza costo

eccessivo, la cultura generale e professionale e la

conoscenza elementare dell'ambiente geografico e

sociale in cui si reca? Al fine di stimolare le

ri-messe: è opportuno applicare un cambio di favore,

deve essere resa più efficiente la rete degli Istituti

di credito raccoglitori?

Tuifrti problemi interessanti ma. marginali, di

fronte al punto centrale: a nessuno, Stato od

or-ganizzazione, è lecito vietare o ostacolare la libera

decisione dell'uomo di cercarsi lavoro là ove è più

conveniente; di fissare la sua dimora, di vivere la

sua vita nell'ambiente ohe meglio gli si addice.

E' superfluo elencare e confrontare benefici e

oneri dell'emigrazione dal punto di vista del paese

di partenza o di immigrazione, giacché è

incontro-vertibile che l'umanità progredisce economicamente

e civilmente con lo sfruttamento delle risorse

na-turali incoltivate; è incontrovertibile che l'equa

di-stribuzione del lavoro e del capitale fra le varie

re-gioni del globo, ed in proporzione alle loro risorse, è

garanzia di pace e di ordine, è obbiettivo di

giu-stizia. L'umanità, e l'individuo, dal libero

movi-mento dei lavoratori beneficiano anche in un più

lato ordine di idee: nell'incontro dei popoli, i

pre-giudizi crollano, le concezioni più elevate e i

co-stumi più benigni prevalgono, nella fusione delle

stirpi si migliora la specie.

A che vale cianciare di libertà politiche, di

culto o d'opinione, se si impedisce questa libertà

di scegliersi il clima, l'ambiente, la civiltà, il suolo

ove si preferisce vivere e lavorare? A che vale

de-nunciare gli abusi idei monopoli se si mantiene

questo odiosissimo fra i monopoli, quello del lavoro,

fondato sull'ignoranza e sul pregiudizio, armato

della legge e del dispregio xenofobo, ammantato

(3ei pretesti più incredibili e ipocriti, sfruttatore

egoista e privilegiato di ricchezze donate dalla

na-tura? Ed è ben doloroso che questi privilegi, questi

divieti, siano introdotti da quegli Stati che in altri

campi sono tutori di libertà, da quei popoli ohe

de-vono le loro virtù alla fusione di immigrati delle

più varie e lontane stirpi.

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