CRONACHE
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A DI TORINO F
N 5 9
5 G i u g n o 1949
CRONACHE
ECONOMICHE
C O N S I G L I O D I R E D A Z I O N E
d o t t . A U G U S T O B A R G O N I
p r o f . d o t t . A R R I G O B O R D I N
prof. avv. A N T O N I O C A L A N D R A
d o t t . G I A C O M O F R I S E T T I
p r o f . d o t t . S I L V I O G O L Z I O
p r o f . d o t t . F R A N C E S C O
P A L A Z Z I - T R I V E L L I
d o t t . A U G U S T O B A R G O N I D i r e t t o r e r e s p o n s a b i l eQUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO
LA DESTINAZIONE DEI SALDI ATTIVI DI RIVALUTAZIONE
S i ' c v n d i ì l a U t j i f i 1« a p r i l e 19*19, t t . 9 1
I] mondo delle società per azioni è stato messo
in orgasmo dalla notizia, per ora soltanto ufficiosa
ma avvalorata da una circolare a stampa della
Associazione fra le Società Italiane per azioni
(n. 101 del 9 aprile 1949), della tortuosa
interpre-tazione che l'Amministrazione finanziaria vorrebbe
dare all'articolo 2 della legge 1" aprile 1949, n. 94,
sulle rivalutazioni di bilancio per conguaglio
mo-netario. Il testo della richiamata disposizione
do-vrebbe essere conosciuto da tutti, tanto è il lavoro
che ha dato alla macchina parlamentare e tanto
è il parlare che se n'è fatto. Non è inopportuno,
tuttavia, rileggerlo ancora una volta per indagarne,
sotto il velo non proprio trasparente della sua
di-zione, il significato e gli intendimenti. Esso si
esprime in questi precisi termini:
ART. 2. — « I saldi attivi di rivalutazione
mone-taria eccedenti l'ammontare del capitale sociale e
delle riserve, ordinarie e straordinarie, risultanti
dal bilancio, escluse quelle costituite per la
coper-tura di specifici oneri e passività a favore di terzi,
concorrono, qualunque ne sia stata la destinazione,
a formare il reddito di ricchezza mobile,
Catego-ria B, nell'esercizio in cui siano trasferiti a
capi-tale, o comunque realizzati».
Per chiarire i termini della questione, valga
l'e-sempio di una società che effettui la rivalutazione
degli immobilizzi al 31 dicembre 1948, e alla stessa
data, soprassedendo agli ammortamenti di
com-petenza dell'esercizio, chiuda il proprio bilancio con
le seguenti risultanze:
Attivo: Immobilizzazioni; Valori di costo 20;
Plus-valore di riv. 48 = 68; Magazzino 1; Valori
nu-merari e assimilati 2; totale 71.
Passivo: Capitale, riserve, utili 2; Debiti
estan-ziamenti 17; Pondo ammortamenti: Valori
origi-nari 4; Plusvalore di riv. 23 = 27; Saldo attivo di
rivai. (48 — 23) 25; totale 71.
Rivalutazione capitale e riserve: 15.
Prima che fosse emanata la legge 1° aprile 1949,
anzi prima che l'Amministrazione
Finanziaria prospettasse la sua
interpretazione dell'articolo di
legge in esame, si riteneva da
tutti pacifico che la società
ipo-tizzata avesse diritto non solo di
applicare le normali quote di
ammortamento, in esenzione da
imposta, sull'importo rivalutato
delle immobilizzazioni e fino alla
concorrenza del residuo da
am-mortizzare, cioè di 68 — 27 = 41;
ma anche di alienare le proprie
immobilizzazioni senza pagare la
imposta di ricchezza mobile sul
prezzo di realizzo, fino al limite della differenza
pre-detta. In altro dire, tutti erano convinti che il
li-mite di esenzione dall'imposta di ricchezza mobile
fosse indicato, tanto per il realizzo quanto per gli
ammortamenti delle attività rivalutate, dal valore
originario delle attività stesse, diminuito dei relativi
ammortamenti e maggiorato del saldo attivo di
ri-valutazione: quindi, nell'esempio addotto, da
20 — 4 + 25 = 41.
Assai diversa è la tesi prospettata
dall'Ammini-strazione finanziaria, la quale, stando alla
richia-mata comunicazione della Associazione fra le
So-cietà Italiane per azioni, pretenderebbe che il
li-mite di esenzione stabilito dall'articolo di legge in
esam
efosse determinato dal valore originario delle
attività rivalutate, depurato dei precostituiti
am-mortamenti e maggiorato della rivalutazione del
capitale e delle riserve: nel solito esempio dunque
dalla quantità 20 — 4 -f 1 5
=3 1 .
Quale delle due tesi è più attendibile, quale
inter-preta più correttamente lo spirito della legge e il
pensiero del legislatore?
Tutti i provvedimenti legislativi emanati in
te-ma di rivalutazione dei bilanci societari dal 1937
al 1948 distinguono nettamente il momento a) della
rivalutazione dei «cespitil» patrimoniali ai fini
del computo degli ammortamenti e
dell'accer-tamento dei redditi derivati dal realizzo di attività
determinate, da quello, successivo e indipendente,
f » della destinazione dei saldi attivi di rivalutazione.
Torna quindi opportuno ricordare distintamente le
norme dettate dalle varie disposizioni legislative
pel-le due distinte fasi del processo di rivalutazione.
Sul primo punto, il regio decreto-legge 4
feb-braio 1937, n. 163, stabiliva: « L e rivalutazioni per
conguagli monetari degli enti patrimoniali delle
società od enti di cui all'art. 1 del regio
decreto-La destinazione dei saldi
at-tivi di rivalutazione (G.
Ca-stellino) pag 1
Contadini senza terra (F. Saja-) pag. 5
Lo sviluppo degli scambi
italo-argentini (G. Cosmo) . . . pag. 7
Organizzazione del servizio di
assistenza tecnica agli
agri-coltori (G. Braga) . . . pag. 9
Borsa valori pag. 12
8 O M M A It I O
Borsa compensazioni . . . . pag. 13
Merc6 ti pag 14
Notiziario estero pag. 17
Offerte, richieste e
rappresen-tanze pag. 19
Diamo inizio al Piano
legge 5 ottobre 1936, n. 1744, possono essere
effet-tuate soltanto al fine di una più adeguata
deter-minazione delle quote di deperimento e di
con-s u m o » . In con-sencon-so analogo con-si pronunciava il regio
decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436,
consen-tendo, all'art. 9, Che le quote di ammortamento
ammesse in detrazione dal reddito lordo ai fini
del-l'accertamento dell'imposta di ricchezza mobile e
dell'imposta straordinaria sui profitti di guerra
fos-sero calcolate, con effetto dall'anno 1944,
appli-cando ai valori determinati in base al regio
de-creto 5 ottobre 1936, n. 1745, convertito nella legge
4 gennaio 1937, n. 40, i seguenti coefficienti
mo-netari :
5 per i capitali investiti nel 1937 e 1938;
4,35 per i capitali investiti nel 1939;
3,75 per i capitali investiti nel 1940;
3,15 per i capitali investiti nel 1941 e 1942;
2,50 per i capitali investiti nel 1943;
1.25 per i capitali investiti nel 1944.
Tali nuove disposizioni erano dichiarate
appli-cabili, dallo stesso articolo 9, anche ai fini del
con-guaglio monetario per l'accertamento dei redditi o
delle perdite derivanti dal realizzo o dalla perdita,
totale o parziale, di attività determinate. Esse
veni-vano poi confermate integralmente dall'art. 1 del
decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 49, che
con-cedeva di moltiplicare per 3,60 i coefficienti di
rivalutazione previsti dal precedente decreto,
fis-sando in 3,60 il coefficiente applicabile ai capitali
investiti nel 1945. Nessun altro limite, al di fuori
di quello prospettato dalla misura dei coefficienti,
trova nelle richiamate disposizioni la facoltà di
rivalutare i « cespiti » patrimoniali ai fini del loro
ammortamento o del loro realizzo in esenzione da
imposta. Nè si pronuncia, sulla questione, la
suc-cessiva legge 1" aprile 1949, n. 94.
Vediamo, quindi, le norme dettate dalle varie
leggi per l'utilizzo dei saldi attivi di rivalutazione,
cioè della quota ideale di capitale posta in evidenza
dall'adeguamento monetario dei valori patrimoniali.
L'art. 1 del regio decreto-legge 5 ottobre 1936,
n. 1744, disponeva al riguardo: « I saldi attivi
risul-tanti dalla rivalutazione suddetta non possono, in
tutto o in parte, essere distribuiti in qualsiasi
for-ma, nè passati ad aumento di capitale, e neppure
possono essere computati fra le riserve per
l'ap-plicazione dell'art. 1 del citato regio decreto-legge
5 ottobre 1936, n. 1744». Scopo del divieto, come si
intende facilmente, era quello di evitare che la
rivalutazione delle immobilizzazioni fornisse alle
imprese societarie, attraverso la costituzione di saldi
attivi, lo strumento legale per erogare, a titolo di
capitale o di utili, i mezzi finanziari che il
prov-vedimento mirava invece a vincolare alla loro
ge-stione.
In senso più liberale si è pronunciato, al
ri-guardo, il decreto 27 maggio 1946, n. 436, il quale,
all'art. 11, si è limitato a disporre che « I saldi
attivi di rivalutazione monetaria non possono
es-sere distribuiti prima del realizzo effettivo dei cespiti,
ma possono essere destinati a copertura di perdite o
portati ad aumento di capitale ». Ma col successivo
decr. 14 febbraio 1948, n. 49, la facoltà di utilizzare i
saldi attivi di rivalutazione è stata sottoposta a
nuove limitazioni, tra cui quella, prevista dal
se-condo comma dell'art. 4. per la quale « i saldi
attivi di rivalutazione portati ad aumento di
capi-tale non possono eccedere... l'ammontare della
riva-lutazione effettuata con l'applicazione dei
coeffi-cienti indicati nell'art. 1 del capitale versato e
delle riserve, ordinarie e straordinarie, risultanti
dal bilancio, escluse quelle costituite per la
coper-tura di specifici oneri e passività od a favore di
terzi ».
Codesta limitazione è sostanzialmente
confer-mata dall'art. 2 della legge 1° aprile 1949, n. 94,
la quale per un verso ne aggrava i termini,
ren-dendola applicabile, oltre che al caso di
trasferi-mento a capitale, anche agli altri modi di utilizzo
dei saldi attivi di rivalutazione (qualunque ne sia
stata la destinazione), e per altro verso ne
am-mette il superamento, stabilendo però che l'importo
dei saldi attivi trasferiti a capitale, o comunque
destinati in eccedenza sul limite predetto, debbono
concorrere a formare il reddito di ricchezza
mo-bile, categoria B, dell'esercizio in cui siano
trasfe-riti a capitale, o comunque realizzati.
Qui sta il nocciolo della questione, nel senso
della frase «comunque realizzati», Che,
richia-mando l'idea del realizzo dei « cespiti » rivalutati,
e con essa quella del loro ammortamento, ohe la
prassi fiscale assimila al realizzo per alienazione,
sembra legittimare la tesi prospettata
dall'Ammi-nistrazione finanziaria: la tesi, in sostanza, che
ai realizzi
ed agli ammortamenti imputabili al
plus-valore risultante dalla rivalutazione per
congua-glio monetario compete l'esenzione dall'imposta di
ricchezza mobile entro e non oltre il limite
deter-minato dalla rivalutazione del capitale e delle
ri-serve.
* * *
Chiarito il « punctum crucis » della divergenza
tra l'opinione corrente e quella attribuita
all'Ammi-nistrazione finanziaria, senza chiamare in causa
le ragioni di opportunità economica alle quali si
deve tutta la legislazione in materia di
rivaluta-Hutten
ò ' J t m e r i r a
e ftìttntiu
S O C I E T À PER A Z I O N I - Capitale versato e riserve Lit. 400.000.000
S E D E C E N T R A L E - M I L A N O
PRESIDENTE ONORARIO
A . P . G I A N N I N I
Presidente fondatore della
i B a n k n î A m e r t r a
N A T I O N A L ¡ " V T N Ó S A S S O C I A T I O N S I N F R A N C I S C O , C A L I F O R N I A
T U T T E I E O P E R A Z I O N I D I B A ^ T A
r j . Sede: Via Arcivescovado n. 7
zione. essenzialmente ispirata, come è noto, allo
scopo di consentire alle imprese societarie, in
esen-z'one da imposta, il reintegro dei valori
immobi-lizzati attraverso il processo dell'ammortamento,
basta ricorrere all'analisi logica per individuare, tra
le due soluzioni rivali, quella più aderente alle
intenzioni del legislatore.
L'articolo in discussione ha per oggetto la voce
< saldi attivi di rivalutazione » la quale, non potendo
aver qui significato diverso da quello che le
attri-buisce tutta la legislazione in materia, deve
inten-dersi nel senso di quota ideale di capitale,
rappre-sentativa del valore non già di questa o quella
atti-vità ma, con le altre quote in cui si esprime il
capi-tale netto, di tutto il patrimonio sociale. A capi-tale
quota può non essere data alcuna specifica
desti-nazione: manca allora la condizione, espressa dalla
frase «qualunque ne sia stata la destinazione»,
alla quale è subordinata la tassabilità in ricchezza
mobile, categoria B. I saldi attivi di rivalutazione
possono invece avere avuto una delle destinazioni
previste dalla legge (distribuzione ai soci,
coper-tura di perdite, trasferimento a capitale,
costitu-zione del fondo di anzianità al personale), ed altra
qualunque: essi allora devono concorrere, per la
frazione eccedente l'ammontare della rivalutazione
del capitale e delle riserve, a formare il reddito
di ricchezza mobile categoria B. Questo, appunto, è
il concetto messo a fuoco dalla proposizione
prin-cipale dell'articolo in esame.
All'esplicito significato della proposizione
prin-cipale non contrasta il detto della proposizione
relativa confidata alla frase « nell'esercizio in cui
siano trasferiti a capitale o comunque realizzati »,
la quale ha il solo ufficio di collocare nel tempo
l'azione del predicato « c o n c o r r o n o » . Qui. infatti,
l'accento va messo sulle parole «nell'esercizio»,
poiché le seguenti non sono che una ripetizione
del concetto « qualunque ne sia stata la
destina-z i o n e » . L'unica riserva possibile nasce dalla
pa-rola « realizzati » che, ripetesi, dà l'idea del realizzo
per alienazione, e quindi anche per ammortamento.
Ma anche questa riserva deve cadere ove si
ri-fletta che i saldi attivi di rivalutazione non si
pos-sono alienare nè ammortizzare, come non si può
alienare nè ammortizzare ogni altra quota ideale
di capitale. Il participio « r e a l i z z a t i » , d'altronde,
v uoi solo significare, in barbaro linguaggio, « resi
r e a l i » , «tradotti in r e a l e » : il che può dirsi, sia
pure con poco rispetto per la filologia, per la
di-stribuzione dei saldi attivi di rivalutazione, non
meno che per la vendita o l'ammortamento delle
attività rivalutate'.
* * #
Un ulteriore motivo per disattendere nettamente
la tesi, che si dice prospettata dall'Amministrazione
finanziaria, è offerto dall'art. 3 della stessa legge
1" aprile 1949, n. 94. Eccone il testo:
« Nei bilanci dei primi esercizi chiusi a partire
dal 31 dicembre 1948 in poi, può essere
accanto-nato, anche in deroga alle disposizioni statutarie,
in aggiunta alle normali quote di ammortamento,
un fondo speciale per l'ammortamento
costi-tuito mediante quote annuali pari a quelle
del-l'ammortamento ammesso ai fini fiscali, sui cespiti
rivalutati per conguaglio monetario, da destinare
alla rinnovazione e modernizzazione degli impianti.
« Gli accantonamenti previsti nel comma
prece-dente sono ammessi in detrazione del reddito di
ricchezza mobile; la detrazione viene peraltro meno
se non siano effettivamente impiegati nella
rinno-vazione o modernizzazione degli impianti entro i
du
eanni successivi a quello dell'esercizio in cui
sono stati costituiti » .
Con questa disposizione, in sostanza, il
legisla-tore autorizza le imprese societarie a conteggiare
per cinque anni, fra l
espese di esercizio ammesse
in detrazione del reddito di ricchezza mobile, una
seconda quota di ammortamento, pari a quella
nor-male sull'importo delle immobilizzazioni rivalutate
per conguaglio monetario, a condizione però che
il controvalore di tale quota supplementare sia
destinato alla rinnovazione e alla modernizzazione
degli impianti. Lo scopo della disposizione è
mani-festamente quello di esonerare dall'imposta di
ric-cliezza mobile, entro un certo limite, gli utili di
esercizio destinati ad investimenti di carattere
duraturo. Ma se è vero che l'ammortamento va
considerato come realizzo di saldi attivi, e questo
non deve godere dell'esenzione dall'imposta
mobi-liare s
enon per l'ammontare della rivalutazione
del capitale e delle riserve, la facoltà consentita
dall'art. 3 della legge 1" aprile 1949 non dischiude
altro vantaggio che quello di poter affrettare il
corso degli ammortamenti esenti da imposta: un
vantaggio, dunque, irrisorio, anzi derisorio, la
pro-spettiva del quale non basterebbe certo a
indiriz-zale le imprese sulla via oggi rischiosa e onerosa
della rinnovazione e modernizzazione degli impianti
industriali.
» * #
Quanto più si pondera la legge del 1" aprile 1949,
n. 94, alla luce degli intenti che esplicitamente
' hanno ispirata e dei provvedimenti che l'hanno
preceduta, tanto più si dimostra inaccettabile
l'in-terpretazione ch
esi dice voglia darne
l'Ammini-strazione finanziaria. Questa, peraltro, continua a
tacere, sì da far credere che il suo pensiero
corri-sponda effettivamente a quello che le viene
uffi-ciosamente attribuito. Ma se così non è, come i
suggerimenti della ragione indurrebbero a ritenere,
sarebbe, più che opportuna, necessaria una
dichia-razione ufficiale intesa ad assicurare quanti vi
hanno interesse ohe la legislazione sulla
rivaluta-zione dei bilanci societari, già palesemente
inade-guata alla realtà economica, non ha soltanto
vo-luto irretire di nuovi tentacoli la difficile e
tor-mentata esistenza delle società per azioni.
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C O N T A D I N I S E N Z A TERRA
L'annuncio che la riforma fondiaria sta per
entrare nella fase delle concrete realizzazioni ha
riacceso nelle moltitudini di contadini la speranza
di poter finalmente venire in possesso di un po' di
terra o di arrotondare il minuscolo podere
insuffi-ciente a fornire il pane alla famiglia
eccessiva-mente numerosa. Ma le famiglie degli italiani sono
tutte troppo numerose e la terra è scarsa perchè
si possano appagare i desideri esasperati spesso
dal-l'irresponsabile propaganda politica. Non conviene
illuderci e soprattutto illudere chi troppo
facil-mente è indotto a credere che, con la riforma
fon-diaria, siano risolti gli infiniti problemi della gente
dei campi e della nostra agricoltura. Per unanime
consenso questa soffre di un eccessivo peso
demo-grafico rispetto alle possibilità produttive ed è
opinione dei maggiori economisti che i complessi
problemi della nostra agricoltura potranno essere
risolti se parte della popolazione campagnola
tro-verà la fonte di vita in altre attività. La riforma
fondiaria è forse destinata quindi a lasciare
inso-luti i più gravi problemi che incombono sulla
nostra economia agricola. Non vuole la nostra
affermazione significare opposizione alla riforma
fondiaria, ma solo porre in rilievo che i mali
del-l'economia agraria sono dovuti a complessi
feno-meni demografici ed economici e non
semplice-mente e purasemplice-mente ad una cattiva ripartizione
della proprietà terriera.
La radicale riforma annunciata dal capo del
governo, il cui fondamento è la limitazione della
proprietà, dimostra a sufficienza ohe il problema
centrale della nostra economia non è la cattiva
ripartizione della proprietà, tanto è vero che
po-nendo un draconiano limite alla medesima, terra
da ripartire ne viene fuori poca, molto poca. Ma
procediamo con ordine; il limite massimo della
proprietà sembra debba essere fissato in una
por-zione di reddito dominicale riferito all'epoca
cen-suaría 1937-39 di 60.000 lire per le zone a coltura
intensiva e 50.000 per quelle a coltura
estensi-va a cui corrisponde, grosso modo, una superficie
di 50-100 ettari nel primo caso e 100-200 nel
se-condo. Le proprietà con superficie superiore ai 100
ettari sono nel nostro paese 12.900 circa, con una
superficie totale di 1.782.112 ettari e con una
ecce-denza rispetto al limite di 500 mila ettari circa,
che espropriati nella misura del 20 % riducono la
parte disponibile a 100 mila ettari. Le proprietà
con superficie compresa tra i 200 e i 500 ettari
sono 6.536 con una superficie totale di 1.946.595,
la cui eccedenza si può valutare intorno a 1.200.000
che espropriata nella misura del 30 consente
una disponibilità di 400 mila ettari circa. Vi sono
poi le proprietà aventi una superficie superiore a
500 ettari le quali sono 1.942 e raggiungono
com-plessivamente 1.840.000 ettari la cui eccedenza
può ritenersi sia 1.600.000 ettari che, espropriati
nella misura del 50 %, rendono disponibili circa
800 mila ettari di terra. Le annunciate
limita-zioni alla proprietà rendono teoricamente
dispo-nibili 1.300.000 ettari di terra; praticamente però
sarà impossibile avere la disponibilità di cui si è
fatto cenno. Parte dei terreni che si renderanno
disponibili seno posti in montagna, formati da
boschi e più spesso da incolti produttivi non
su-scettibili di messa a coltura e perciò debbono
ri-tenersi perduti per la riforma. Parte poi formano
unità aziendali organiche che sarà impossibile
stralciare senza compromettere gravemente la vita
dell'azienda. Si può ritenere quindi che la
limita-zione alla proprietà renderà disponibile al
mas-simo un milione o un milione e duecentomila
et-tari di terra.
Posto che l'operazione di complessità senza
esem-pi possa essere completata in condizioni ideali
che in pratica non si verificano mai, sarà
possi-bile sistemare forse 100-150 mila famiglie.
Le famiglie contadine ohe il censimento
quali-fica con una posizione diversa da quella di
pro-prietario e cioè fittavoli, mezzadri, braccianti ecc.
sono due milioni e trecentomila a cui bisognerebbe
aggiungere quelle dei proprietari che posseggono
meno di un ettaro di terra che sono circa un
mi-lione. Trascuriamo questi ultimi e supponiamo di
dover ripartire la terra disponibile solo tra i
nulla-tenenti. Si tratta di ripartire poco più di un
mi-lione di ettari di terra tra 2.300.000 famiglie. E'
ovvio che le nuove proprietà dovranno avere una
certa superficie affinchè l'agricoltura possa
con-venientemente esercitarsi. Se la superficie dovesse
tendere verso l'ottimo probabilmente sarebbe
mu-tile fare la riforma, ma anche se l'ottimo verrà
abbandonato bisogna dare alle nuove proprietà ur.a
estensione al disotto della quale sarebbe
pregiu-dicata la loro vita. L'estensione minima potrà
es-sere di 4-.5 ettari nelle zone ad intenso sviluppo
agricolo, dovrà salire a 20-30 nelle zone povere o
ad economia latifondista. In tal caso, tenuto conto
che la maggior parte della terra disponibile è
con-finata nelle zone ad economia estensiva, sarà
possi-bile la formazione di 100-150 mila nuove proprietà
e perciò egual numero di famiglie potrà con la
riforma avere una sistemazione diversa dall'attuale.
Magro risultato dunque, poiché per ogni famiglia
a cui è stato possibile assegnare uno scarso lembo
di terra, venti ve ne saranno a cui la delusa
spe-ranza maggiormente inasprirà il cuore.
La riforma fondiaria non può dunque risolvere
i gravi problemi della nostra agricoltura, essa
la-scia immodificata l'intima attuale struttura sociale
senaa apportare un sollievo alle categorie contadine
e concreti benefici all'economia del paese. E ciò
non perchè la riforma di cui sono stati annunciati
i fondamenti sia insufficientemente radicale, ma
unicamente perchè essa vuole risolvere problemi
che non esistono. Se il problema nostro fosse
do-vuto alla cattava ripartizione della proprietà, con
la riforma dovrebbero rendersi disponibili non un
milione o poco più di ettari di terra, ma almeno
10 milioni per dare ai contadini la terra che non
hanno, e che non avranno, nonostante qualsiasi
riforma. Il problema va ricercato nella
spropor-zione tra terra e contadini; finché in campagna
saranno 18 milioni di persone a coltivare 18
mi-lioni di ettari di terra, nessuna riforma potrà
mo-dificare il basso tenore di vita del nostro paese.
E allora? Pensiamo che l'intervento dello stato
nel-l'agricoltura non possa a priori negarsi, esso può
rivelarsi fecondo di risultati se all'impostazione
politica dei problemi sostituirà quella tecnica ed
economica. Si vuole limitare la proprietà e sta
bene, ma occorre dare alla limitazione una
giusti-ficazione logioa per il raggiungimento di un fine
concreto e perseguibile per non creare inutili
e dannose illusioni. Si dica che nessuno può
pos-sedere più di 20-30 ettari di terra, pena
l'espro-prio, se il proprietario non dimostra di avere la
capacità e la volontà di compiere le necessarie
opere per il migliore sfruttamento del suolo e il
maggiore benessere dei lavoratori. Si esproprii la
terra il cui proprietario non si uniforma alle
ne-cessarie disposizioni: in breve tempo è probabile
che la nostra agricoltura, senza burocratici enti,
senza spese valutate a molti miliardi, compia un
notevole e vantaggioso progresso. I miliardi se ci
sono, prima di spenderli nella riforma, conviene
esaminare quale utilità possono dare e vedere se
non convenga forse destinarli ad altro più proficuo
uso.
CAPAMIANTO
S O C I E T À P E R A Z I O N I
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SOCIETÀ TRASPORTI GERARDO
G A L L E R I A S U B A L P I N A - T O R I N O
TRASPORTI INTERNAZIONALI, TERRESTRI E
MARITTIMA* SDOGANAMENTI - CARREGGI
TRAFFICI REGOLARI SETTIMANALI DA E
PER IL NORD EUROPA - VIA CHIASSO
AGENZIE E CORRISPONDENTI:
C H I A S S O - D O M O D O S S O L A - M O D A N E G E N O V A - V E N E Z I A E NELLE P R I N C I P A L I CITTÀ DEL NORD EUROPA E DELLA TRIZONA
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"lim.ANlHI ASSICIIKA/.IIINI
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c o l l i m i l i : c o n s u l e n z a l i g i iiiiazionk danni
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ASSICIIII fl/IIINI l'Ili SI'IMITI
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(¿oliatamente lite/li alfiewratioi pres'i'o taf le le ('oinpiiqitie * cimiuinistrazione polizze per eonto afviearati * <7fKieio eotrii'poadenfe in ew 'Ilorli ed in ogni eitlù italiana
T O R I N O * CO I I S O M A T T E O T T I 12 * T K L E F . I « . » 8 1 - 4 » . 1 I 7
F A R B R I C A I T A L I A N A L I M E DI P R E C I S I O N E
Lime di tutti i tipi e per tutti gli usi * Utensileria in genere per meccanici e
falegnami * Lame di ogni tipo e dimensione per metalli, legno, carta, cuoio,
tabacchi e per qualsiasi altro uso * Chiavi fisse, chiavi a bussola e poligonali,
LO SVILUPPO DEGLI SCAMBI ITALO-ARGENTINI
L'analisi delle risultanze degli scambi
interna-zionali dell'Italia nel 1948 dimostra ohe nella
ripar-tizione geografica degli stessi sono intervenute
pro-fonde deviazioni rispetto agli sviluppi tradizionali:
basti ricordare la caduta dei traffici con la
Ger-mania e la paralisi degli scambi con i Paesi
del-l'Europa Orientale per rendersi conto che un
ri-torno alla normalità richiede ancora notevoli passi
e sforzi.
Tuttavia deve essere argomento di soddisfazione
la capacità di adattamento che il nostro Paese ha
saputo dimostrare nell'adeguarsi alle condizioni
mutate, nella ricerca talvolta anche affannosa di
nuovi mercati di sbocco e di rifornimento.
Parti-colare significato assumono al riguardo gli sviluppi
dei nostri traffici con i Paesi dell'America Latina
in particolare con la Repubblica Argentina.
Il presi amma italiano a lunga scadenza
presen-tato aH'O.E.C.E. sottolinea che, a fine
dell'esecu-zione all'È.R.P., «l'aumentata produdell'esecu-zione italiana
dovrebbe avere una ripercussione notevole
nell'an-damento degli scambi con il Sud-America. I
pro-grammi di industrializzazione di questi Paesi
dovrebbero provocare una notevole richiesta di
equipment in Italia mentre la mano d'opera ohe si
prevede emigrerà, potrà consumare largamente
pro-dotti italiani almeno nei primi anni di
acclimata-mento. D'altra parte l'Italia intende acquistare in
quest'area molti prodotti essenziali per la sua
eco-nomia e specialmente quelli alimentari. La
com-plementarietà esistente fra l'economia del
Sud-America e l'Italia influisce certamente sugli scambi
italiani verso quest'area portandola a livelli molto
elevati ».
P R E V I S I O N E S C A M B I I T A L I A N I 1952-1953 M i l i o n i d i d o l i . % sul t o t a l e I m p o r t a z i o n i t o t a l i 1.773.7 100.0 d i c u i d a l S u d - A m e r i c a 326.0 18.4 E s p o r t a z i o n i t o t a l i 1.480.1 100 0 di cui v e r s o S u d i A m e r i e a 240.6 16.2Parte notevole di questi traffici dovrebbe
svol-gersi con l'Argentina. Tuttavia allo stato attuale
- a causa della crisi grave che questo importante
mercato attraversa e che si è andata negli ultimi
mesi progressivamente accentuando — sono sorte
notevoli difficoltà nei traffici ch
el'Italia
intrat-teneva con questo importante mercato. Cosi ad
esempio da un rapporto estremamente obbiettivo
presentato all'« International Monetary Fund » in
data 4 marzo 1949 sulla situazione finanziaria
ita-liana, si annette sì particolare importanza
all'ec-cezionale volume di esportazioni avutesi verso
l'Ar-gentina nel 1948. ma lo si considera di natura
e particolarmente vulnerabile ».
1938 1948 m i l . d i L,. m i l . d i L . m i l . di doli. I m p o r t , i t a l i a n e c o m p i . 111.273 821.415 1.498.9 I m p o r t a z . d a l l ' A r g e n t i n a 274 103.211 180.0 ' , A r g e n t i n a sul t o t a l e 2.5 12.9 Esport i t a l i a n e c o m p i . 10.497 570.734 1 067.6 Esportaz. in A r g e n t i n a 405 90.210 157.0 % A r g e n t i n a sul t o t a l e 4.0 16.0Dall'analisi dei rapporti percentuali risulta che
la partecipazione dell'Argentina agli scambi
del-l'Italia è molto aumentata: lo sviluppo delle
espor-tazioni italiane verso quella Repubblica fu
partico-larmente accentuato nel secondo semestre del 1948.
La punta massima delle nostre esportazioni in tale
anno fu appunto raggiunta nel novembre con 15,2
miliardi di vendite.
E' noto che questi sviluppi furono facilitati da
una serie di speciali accordi intervenuti in questo
dopoguerra la cui situazione si poteva così
prospet-tare all'inizio del 1949:
1. . conto prestito, dell'importo di 350 milioni
di pesos ammortizzatale in 25 anni, con pagamento
di un interesse del 3,75 per cento; tale conto è
aperto presso il Banco Centrale della Repubblica
Argentina ed ha servito per l'acquistò di prodotti
argentini specialmente alimentari: risulta
consu-mato per circa 320 milioni di pesos;
2. . credito così detto rotativo, anch'esso
del-l'importo di 350 milioni di pesos, ad un interesse
del 2,75% e per la durata di tre anni. Aperto
an-ch'esso presso il Banco Centrale, è stato in un
primo tempo completamente utilizzato per il
rego-lamento di certe partite, ma venne poi rimborsato :
attualmente risulta in pareggio;
3. - conto conventi) : in fondo questo è il vero
e proprio conto di clearing, nel quale vengono
ac-creditati i versamenti correnti eseguiti in
Argen-tina a favore dell'Italia e di cui nello stesso tempo
il Cambital dispone Per i pagamenti correnti
do-vuti dai debitori italiani. Questo conto presentava
a fine marzo un saldo attivo dell'ordine di 300
mi-lioni di pesos. Tale importo però dovrebbe servire
ai pagamento delle 500.000 tonnellate di grano che
in seguito agli accordi intervenuti nei primi mesi
del 1949 l'Alto Commissariato par l'Alimentazione
ha deciso di acquistare in Argentina, per un valore
complessivo di 190 milioni di pesos.
Data la politica commerciale spuntata
dall'Ar-gentina in un periodo di carestia mondiale dei suoi
prodotti fino a poco tempo fa si prospettava
nel-l'intercambio la situazione seguente:
completata, la somma di 500 miliardi sarà
larga-mente superata. Anche nel caso in cui la somma
dovesse bastare, significa che per ogni famiglia a
cui la riforma darà ima nuova sistemazione, si
spenderanno 5 milioni, n costo a nostro avviso è
eccessivo e riteniamo che, con minore spesa, possa
essere possibile per i lavoratori agricoli una
mi-gliore e più redditizia sistemazione che offre il
vantaggio di sottrarli all'agricoltura ove la loro
permanenza invece concorre a rendere più ardui
i problemi che alla medesima sono connessa.
Vo-gliamo dire che i contadini senza terra più
util-mente possono essere impiegati nell'industria. Può
sembrare fuori luogo parlare d'impiego
nell'indu-stria con il notevole numero di disoccupati che vi
sono. Ma non è del tutto così; intanto i
disoccu-pati dell'industria per la maggior parte sono
do-vuti all'inattività dell'industria edile e a quelle
annesse e poi alla deficenza di capitajli.
All'indu-stria italiana mancano gran parte delle nuove
atti-vità che da sòie, in altri paesi più progrediti,
con-tribuiscono a formare un buon terzo della
produ-zione. E' soprattutto ned campo dell'industria
leg-gera che vi è molto da fare, in quella tessile,
chi-mica, alimentare e poi nel campo della
chemiur-gia che va schiudendo vasti orizzonti
all'agricol-tura e all'industria. Se i 500 miliardi necessari
alla riforma agraria venissero destinati all'attività
industriale, sarebbe possibile creare l'attrezzatura
aziendale sufficiente a dare lavoro a 250 mila
la-voratori. Vorremmo che i competenti di problemi
economici non si limitassero ad esaminare la
ri-forma fondiaria come problema isolato, ma nel
complesso dell'economia nazionale, onde stabilire se
non sia più conveniente spendere miliardi per
tia-sformare alcune decine di migliaia di braccianti in
contadini poveri o non piuttosto in operai
dell'in-dustria e commercio.
a) le esportazioni italiane sono effettuate dai
privati ;
b) le importazioni italiane a prezzi più cari
del mercato mondiale sono effettuate dallo Stato.
Ne consegue ohe, mentre i prezzi cari
all'espor-tazione sono a vantaggio dei privati, quelli cari
all'importazione gravano in definitiva sullo Stato
o comunità nazionale che dir si veglia. Ora si sta
provvedendo ad una revisione di questa politica
subita dall'Italia. Sono stati infatti affidate al
com-mercio privato le importazioni di molti prodotti
essenziali, prima importati dallo Stato il quale d'ora
innanzi dovrebbe occuparsi soltanto delle
importa-zioni dall'Argentina del frumento, laddove gli
ac-quisti di carne, olii vegetali, lane, pelli sono ora
demandati agli importatori privati.
Attualmente la situazione di casse
italo-argen-tine presenta un notevole scompenso a favore
del-l'Italia. Questo scompenso — come è noto — non
è una caratteristica peculiare dell'andamento degli
scambi commerciali con l'Argentina, dato lo
squi-librio che i « clearings » indistintamente segnano a
credito dell'Italia. Ma per il mercato argentino, la
situazione del « clearing >> preoccupa in modo
par-ticolare perchè se si fosse costretti ad interdire
ad un certo punto le esportazioni italiane verso
l'Argentina, la produzione nazionale ne avrebbe
a soffrire notevolmente, perdendo nell'Argentina
uno dei suoi più importanti mercati di sbocco.
Principali importazioni italiane dall'Argentina nel 1948
P r o d o t t o Q u a n t i t à V a l o r e t o n n . m i l i a r d i d i L. F r u m e n t o 723.945 83.7 S e g a l a , o r z o , a v e n a 102.816 8.9 G r a n o t u r c o 59.US 4.4' C a r n i 8.020 2.5 L a n a 1.537 0.8 P e l l i 2.052 0.7
principali esportazioni italiane in Argentina nel 194«
P r o d o t t o M a c c h i n e e a p p a r e c c h i T e s s u t i e meriuf-atti di c o t o n e F i l a t i di c o t o n e A u t o v e i c o l i (n.) M e t a l l i c o m u n i l a v o r a t i F i l a t i d i l a n a A c c i a i o , f e r r o e g h i s a M o t o c i c l i e v e l o c i p e d i (n.) F i b r e a r t i f i c i a l i e c a s c a m i
L'industria meccanica italiana sarebbe la più
gravemente colpita dalla cessazione delle
esporta-zioni verso quell'importante mercato, e l'andamento
nel primo trimestre del 1949 fu tutt'altro che
sod-disfacente. Infatti le nostre vendite in Argentina
erano costituite nel 1948 in gran parte' da prodotti
dell'industria meccanica: complessivamente i
pro-dotti colà venduti ammontarono a circa 42
mi-liardi di lire, pari al 47,7 % del totale avutosi in
quell'anno delle nostre spedizioni in Argentina.
In modo particolare per l'economia industriale di
Torino, l'importanza di detto mercato risulta
evi-dente dal forte assorbimento di autoveicoli
na-zionali avutosi nel 1948, e come tutti sanno
l'espor-tazione italiana di autoveicoli è in assoluta
preva-lenza costituita da prodotti usciti dalle officine
torinesi.
Valga al riguardo il seguente raffronto
compa-rativo, in cui è però opportuno osservare che nel
1948 compaiono nelle esportazioni italiane certe
spedizioni di autocarri usati di proprietà delle ditte
italiane trasferitesi in quel lontano paese:
E s p o r t a z i o n i i t a l i a n e a u t o v e i c o l i 1938 n. 1948 n. c o m p l e s s i v e 20.433 20.290 in A r g e n t i n a s o l a 810 2.514 % A r g e n t i n a sul t o t a l e 4.5% U2.5%
Si sperava, dato che il mercato argentino
pre-sentava notevoli possibilità di assorbimento dei
pro-dotti italiani finiti — specialmente' quelli
dell'in-dustria meccanica — in un incremento delle
espor-tazioni nel corso del 1949. Purtroppo tale sviluppo
incontra era gravi ostacoli data la situazione dei
conti che non presentano disponibilità per il
pa-gamento delle esportazioni italiane.
Se si fosse mantenuto il ritmo degli ultimi mesi
1948, le esportazioni italiane in Argentina
avreb-bero dovuto raggiungere nel corrente anno
l'im-porto di 1.050 milioni di pescs. Purtroppo i
prov-vedimenti recentemente adottati da quel governo
in materia di importazioni si sono tradotti in un
arresto delle vendite nostre, come d'altronde di
altri paesi esportatori, di prodotti industriali finiti.
Si segnala sul mercato argentino una notevole
de-ficienza ora non solo di beni strumentali, ma
an-che di materie prime e semilavorate necessarie per
le industrie colà sviluppatesi in questi ultimi anni.
Ma si prospettano le seguenti difficoltà allo
svi-luppo dell'intercambio italo-argentino:
a) da parte argentina si nota un
rallenta-mento nel processo di industrializzazione,
rallen-tamento da cui deriva una minore richiesta di
beni strumentali;
b) da parte italiana si verifica la situazione
piuttosto paradossale che il nostro paese pur non
avendo ancora raggiunto la stabilizzazione
mone-taria è finito — come si è già detto — col
diven-tare paese creditore verso tutti gli Stati nel piano
degli scambi commerciali. Si ritiene da molti che
gli scambi coH'Argentina abbiano ora assunto un
carattere fra anormale e patologico e si temono
le spinte inflazionistiche che l'erogazione di un tale
credito potrebbe avere.
Si è pensato anche per risolvere questa
strozza-tura, che vivamente ci auguriamo sia temporanea,
alla erogazione da parte dell'Italia di un credito
rimborsabile che sia a pari condizioni di tasso e
di cambio coi crediti a lunga scadenza concessi
negli anni precedenti da quel Paese all'Italia. Ciò
urta però contro le difficoltà che si sono poco prima
ricordate, ma d'altro canto rappresenterebbe una
possibilità di creazione di lavoro nel nostro Paese.
Ad ogni medo, ove si consideri che le
importa-zioni italiane in Argentina sono in prevalenza
co-stituite da cereali (96.7 miliardi di lire n;l 1948,
pari al 95 % delle importazioni complessive), ove
si ricordi che l'Italia ha un permanente bisogno
di cereali date le condizioni di sovraffollamento
che in essa vivamente si deplorano, rimangono pur
sempre condizioni permanenti di complementarietà
fra i due Paesi. Tanto più ove anche si ricordi che
in seguito alle ultime direttive, pare che la politica
economica dell'Argentina intenda riprendere lungo
i binari tradizionali, potenziando cioè l'agricoltura
e la zootecnia e rinunciando a quel piano
quin-quennale di industrializzazione di troppo costosa
attuazione.
Certo è che l'Italia ha capacità di assorbire
an-che un volume di circa 10 milioni di q.li di grano
dall'Argentina all'anno. Tuttavia la convenienza
sussiste solo ove l'Argentina offra prezzi
analo-ghi a quelli del marcato internazionale. Il prezzo
di 40 pescs al quintale che rappresentava già una
riduzione rispetto a quello di 60 pesos richiesto nel
1948, raggiunto nel recente accordo italo-argentino,
rimane pure sempre superiore, fatti i debiti
rag-guagli, del 49,4 % al prezzo di 2,15 cents di
dol-laro al bushell praticato a fine marzo sul mercato
d; Chicago. Tale prezzo, con la entrata in vigore
al primo agosto 1949 dell'accordo internazionale
sul grano stipulato recentemente alla conferenza
di Washington, sarebbe superiore addirittura del
78,3 %, in quanto si è convenuto che il prezzo
all'esportazione sia al massimo di 180 cents di
dol-laro per bushell.
Lo sviluppo dell'agricoltura in Argentina deve
essere ottenuto attraverso una meccanizzazione
cre-scente della stessa: ciò significa possibilità di
no-tevole riduzione del costo dei cereali esportabili e
d'altro canto significa pure apertura di un
impor-tante mercato di sbocco alla produzione
trattori-stica italiana che va gradualmente affermandosi
su tutti i principali mercati.
O R G A N I Z Z A Z I O N E D E L S E R V I Z I O D I
ASSISTENZA T E C N I C A A G L I A G R I C O L T O R I
K ( ' ( l | l » l i d i o V i n t i l o .
Subito dopo la liberazione si parlò
frequente-mente dell'istituzione di agronomi condotti presso
Comuni o Consorzi di Comuni. Tale idea riscosse
non pochi consensi in quanto veniva incontro a
una delle più sentite necessità di una agricoltura
che, specie nella valle padana, va orientandosi
verso tecniche sempre più complesse. L'idea ebbe
particolari consensi in Piemonte ove il
fraziona-mento della proprietà terriera rende meno aspre
le questioni sociali, ma pene il problema del come
il medio proprietario conduttore ed il coltivatore
diretto possano attingere ai lumi della tecnica
senza eccessivi oneri finanziari.
In pratica gli agronomi condotti furono ben
raramente sperimentati, inquantochè gli stessi
con-siglieri comunali dei comuni agricoli, anche quando
si rendevano conto di quanta utilità si sarebbe
po-tuta trarre dalla nuova istituzione, non si
senti-vano appoggiati da un'opinione pubblica
sufficien-temente maturatasi al riguardo. Vi era inoltre una
certa qual ritrosia ad un tale esperimento fra gli
stessi tecnici, i quali temevano interferenze di
pra-tici dell'agricoltura, rivestiti di cariche locali.
Se 1'istituzicne dell'agronomo condotto non può
considerarci che una « meta ncn ancora
prossi-ma », è necessario vedere come sia possibile
ve-nire incontro alle esigenze cui l'istituto avrebbe
dovuto rispondere, appoggiandosi all'attuale
orga-nizzazione periferica del Ministero dell'agricoltura
e delle foreste e chiedendo un valido appoggio a
quell'ente Regione che sta per nascere, il quale
nell'estrema diversità delle agricolture regionali
trova uno dei suoi più profondi motivi di essere e
che avrà, proprio nell'agricoltura, un campo
d'azio-ne particolarmente vasto.
Si tratta anche di stabilire quajle consistenza
do-vrebbe avere un'organizzazione di tecnici agricoli,
al fine di evitare l'attuale inconveniente per cui
gli Ispettorati Agrari, disponendo di un numero
in-sufficiente di uffici staccati, una quantità di
per-sonale inferiore agli organici, nessun mezzo
mo-derno di trasporto a disposizione, non riescono a
mantenere il contatto con le minute necessità della
popolazione agricola. Si può quasi paragonare
i'at-tuale organizzazione in tecnici sotto l'aspetto
eco-nomico a quello di una grande azienda, in cui il
personale direttivo sia molto numeroso ed
insuffi-ciente quello esecutivo; cosicché grandi sono le
spese generali rapportate a quelle che direttamente
influiscono sulla produzione. La tecnica agricola è,
fra i moltiplicatori di ricchezza, uno dei meno
co-stosi ed è quello a più alto rendimento, purché
soddisfi alla condizione sopra posta di un reale
contatto ina la rete di assistenza tecnica e gli
agricoltori. Si può dire che in una tale
organizza-zione o si agisce in profondità, eppure ci si illude
soltanto di agire. L'agire in profondità comporta
d'altra parte un impegno finanziario che bisogna
a priori valutare, almeno in ordine di grandezza,
onde rendersi conto se sia effettivamente
conve-niente spingersi in tale direzione, o non convenga
invece alleggerire le imposizioni nel campo agricolo.
Stabilire cioè un bilancio fra servizio sociale e
carico fiscale conseguente.
C o m p e t e n z e i n i i i i v l v r i a l i e r e g i o n a l i .
La materia è di estrema delicatezza in un
mo-mento in cui la Regione è in corso di costituzione.
Il problema non può essere risolto esaminando solo
la necessità di una certa regione. Lo stesso disegno
di legge sull'ordinamento regionale, all'art. 38, si
premunisce contro possìbili eccessi nelle autonomie
regionali, stabilendo che per tutte le materie in
cui la regione ha potere di stabilire norme
legisla-tive (art. 117 della costituzione), qualsiasi legge
nazionale che stabilisce principi generali obbliga
ad un immediato ed effettivo adattamento di tutte
le leggi regionali, anche già esistenti.
Quindi più che prendere un atteggiamento è
me-glio prospettare le possibili diverse soluzioni:
1) Seduzione statalista.
L'organizzazione resta quella attuale alle
dipen-denze del Ministero. La Regione si preoccupa
sola-mente d'integrarla con un certo numero di uffici
periferici, i quali agiscono sotto le direttive degli
Ispettorati Agrari. D'altra parte a fianco
dell'Ispet-torato Agrario dovrebbe ricostituirsi qualche cosa
di analogo ai vecchi comizi agrari : una Camera
Regionale dell'Agricoltura, la quale fosse
presie-duta dall'assessore regionale all'agricoltura e
com-prendesse i rappresentanti dei vari interessi
colle-gati alPagrricol'tura 'rappresentanti nominati su
designazione delle organizzazioni di fatto da parte
della Giunta Regionale o, meglio, qualora fosse
at-tuata un'anagrafe professionale, per elezione da
parte delle categorie). Si tratterebbe cioè di
affian-care all'organizzazione statale un organismo «
sti-molatore » regionale e di porre a carico della
re-gione stessa quei tecnici ohe devono vivere più
a contatto dei contadini e che devono quindi
di-sporre ancora più che di schemi generali, di
cono-scenze ambientali. Il sistema così prospettato si
presenta indubbiamente come poco organico.
2» Soluzione regionalista.
L'intera organizzazione passa alla regione, la
quale la gestisce con personale proprio, anche se
inizialmente « comandato » dal Ministero
dell'Agri-coltura. L'Assessorato all'Agricoltura traduce le
proprie direttive per mezzo di una direzione
regio-nale dell'agricoltura. Alle dipendenze di questa: gli
Ispettorati Provinciali o di comprensorio, gli Uffici
periferici.
Il controllo statale dovrebbe essere accentrato
in un Ufficio di dimensioni minime: Ispettorato
Compartimentale. Ispettorato ohe avrebbe la
re-sponsabilità degli accertamenti previsti per la
con-cessione di sussidi statali.
V E R M U T - L I Q U O R I
T O R I N I )
R E G I N A M A R G H E R I T A • T e l . 79.034
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fonirollate il marchio
R E G I N ACatella du&ucUO'
FABBRICA ITALIANA DI VALVOLE PER PNEUMATICI
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STABILIMENTO
IN SUSA
e di qualità - Biette in omogeneo e di3) Soluzione della doppia dipendenza.
Tale sistema, già in atto in Sicilia, suppone che
gli Ispettorati Agrari dipendano per questioni
or-ganiche e tecniche dal Ministero, per l'impiego
dell'Assessorato Regionale. Tale sistema presenta
gli inconvenienti conseguenti ad una duplice
di-pendenza. E' però il più semplice e sarebbe sciocco
rifiutarsi a priori di sperimentarlo. Sarà poi
l'espe-rienza che ammaestrerà sulla convenienza o meno
di insistere in esso.
Nel calcolo del costo complessivo di una
orga-nizzazione di tecnici agrari, noi considereremo
questa ultima ipotesi. Nel caso fosse preferita una
fra le altre due, le variazioni in personale sono
minime: la prima ipotesi permette forse qualche
economia, la seconda vuole un organico un poco
più pesante.
• » p e t t o r a l i p r o v i n c i a l i » «li c o m p r e n s o r i » .
Altra questione che si affaccia è quella del
rag-gruppamento degli organi periferici. Tale
raggrup-pamento dovrà essere, ccme attualmente, su base
provinciale e dovrà estendersi invece a grandi zone
economiche agrarie omogenee o gruppi di esse? A
favore della prima ipotesi sta quanto è sancito
dalla costituzione, per cui la circoscrizione
provin-ciale è normalmente quella secondo cui deve
avve-nire il decentramento all'interno della stessa
regione.
A favore dolla seconda ipotesi sta il fatto che vi
sono delle zone economiche agrarie le quali hanno
una loro inconfondibile unità e che sono oggi
sud-divise fra le Provincie, ad esempio la zona a
spe-cializzazione vitivinicola, suddivisa fra le Provincie
di Asti, Alessandria, Cuneo e Torino. Nello stabilire
il costo complessivo della organizzazione ci si varrà
sempre della ipotesi del decentramento provinciale.
Ciò perché essa è già in atto e non appare
oppor-tuno che le prime spese vadano ad incrementare
organi intermedi a scapito degli Uffici periferici.
A parte, si è studiata una rete indicativa di uffici
periferici, secondo il criterio che il raggio d'azione
di ciascun ufficio oscillasse (in pianura o collina)
fra i 5-12 chilometri a seconda dell'attrezzatura
di ciascun ufficio.
Stabilendo nel me do seguente il personale di
cgni categoria:
I. 2 laureati 1 diplomato dattilografa
-un'autovettura 500
II. 1 laureato 1 diplomato dattilografa
-un'autovettura 500.
III. - 1 laureato - una motocicletta.
IV. - 1 diplomato - una motocicletta.
La rete di assistenza tecnica agili agricoltori
ver-rebbe così a comprendere:
— 1 Ispettorato regionale;
— 6 Ispettorati provinciali;
— 5 Uffici di I.;
— 15 Uffici di IL;
— 19 Uffici di in.;
— 26 Uffici di IV. - In totale 65 uffici periferici in
luogo dei 22 attuali.
l ' r r i r l U i v o « l ' i m p i a n t o e « l i u « - s t i o n « - .
Si è fatta, a parte, l'enalisi dettagliata dei
pre-ventivi rispettivamente per gli Ispettorati e per la
rete periferica.
Qui di seguito si riassumono i risultati:
Spese di gestionea) - Ispettorato Regionale . . . L. 20.000.000
b) - 6 Ispettorati Provinciali . . . » 80.000.000
c) - 65 uffici periferici » 120.000.000
Totale L. 220.000.000
Spesa totale pari a tre volte circa gli attuali
stanziamenti ministeriali. La spesa di gestione deve
essere posta in rapporto al valore dei prodotti
agrari della regione, il quale, secondo i dati forniti
dalle analisi statistiche, si calcola in 200 miliardi
circa. Le spese di gestione risulterebbero quindi
pari all'I per mille della produzione agraria
regio-nale, cifra assai modesta.
Nel campo della tecnica agricola non ci si deve
però attendere dei miracoli e quindi neppure uno
sbalzo immediato della produzione, che sarebbe
pos-sibile scio se si disponesse fin dall'inizio di esperti
non solo teoricamente ben preparati, ma anche di
una fiducia completa degli agricoltori.
Questa considerazione consiglia una certa
gra-dualità nell'attuazione ncn solo nell'impianto
de-gli uffici periferici ma anche nell'importanza
(cate-goria) a cui elevarli; ma neppure un eccessivo
tem-poreggiare, poiché è prevedibile una crisi delle
aziende agricole a non lunga scadenza.
La rete di assistenza tecnica agli agricoltori
po-trebbe svilupparsi, come un qualcosa di organico,
entro un periodo di quattro anni al sopra indicalo
grado di efficienza, che è indispensabile a ciò che
la sempre più ingente spinta verso forme di
col-tivazione diretta non segni un regresso tecnico,
aniche momentaneo.
Il rafforzamento del servizio — il qua!« va
in-quadrato in una maggiore assistenza agli istituti
di ricerca e sperimentazione, all'istruzione
profes-sionale, alla difesa montana, ecc. — può recare
un incremento nel ricavo della produzione molte
volte superiore al suo costo. Un 10 per cento di
aumento della produzione agricola porterebbe un
incremento di produzione di 20 miliardi, in valore
assoluto, e, cioè, molte decine di volte le somme
dedicate al progresso dell'agricoltura.
Il provvedimento non solo corrisponde ad un fine
sociale, ma è pure un « ottimo affare » economico.
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