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FORMULA DI TAYLOR

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRE Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

FORMULA DI TAYLOR

ed applicazioni

per il corso di Analisi Matematica B. Palumbo, gennaio 2010

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

1. Polinomi di Taylor

Sia f una funzione definita in un intorno I del punto a, e supponiamo che f sia derivabile n volte in I(1). Definiamo allora polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a il polinomio Pn(x) che verifica le seguenti condizioni:





=

= ′′

′′

= ′

=

).

( )

(

) ( ) (

) ( ) (

) ( ) (

) ( )

( a f a

P

a f a P

a f a P

a f a P

n n

n n n n

L

(1)

Si richiede quindi che il polinomio coincida con f per x = a, e lo stesso valga per tutte le derivate del polinomio fino all'ordine n. Volendo, le (1) si possono scrivere in modo più compatto nella forma

) ( )

( ( )

)

( a f a

Pnk = k per k = 0, 1, ..., n, (2)

dove per convenzione si è posto f(0)(x) = f(x) (cioè, la derivata "di ordine 0" di una funzione coincide con la funzione stessa).

Si osservi quanto segue:

La (1), ovvero la (2), è un'uguaglianza tra numeri e non tra funzioni: si richiede quindi che le condizioni indicate valgano per x = a, ma non necessariamente per altri x di I distinti da a;

Dovendo imporre sul polinomio Pn le n + 1 condizioni (1), occorre partire da un polinomio che presenti n + 1 coefficienti indeterminati; perciò cercheremo un polinomio di grado n. È

1 In realtà, per definire il polinomio di Taylor sarebbe sufficiente richiedere l'esistenza delle prime n derivate di f nel punto a; siccome però non è possibile derivare una funzione definita in un punto isolato, è evidente che l'esistenza della derivata n-esima in a implica l'esistenza della derivata di ordine n − 1 in un intorno di a (perciò l'ipotesi che f sia derivabile n volte in I non è particolarmente restrittiva).

(2)

possibile però che il grado effettivo del polinomio Pn sia inferiore ad n, perché ad esempio il termine di grado più elevato potrebbe avere coefficiente nullo.

Il calcolo effettivo di Pn si potrebbe effettuare scrivendo un polinomio di grado n con coefficienti indeterminati, diciamo

Pn(x) = c0 + c1x + ... + cn-1xn-1 + cnxn, (3) e calcolandone le derivate, per poi imporre le condizioni (1): si otterrebbe così un sistema lineare di n + 1 equazioni nelle incognite c0, c1, ..., cn. Questo procedimento però può essere molto lungo e scomodo. Vediamo invece che è possibile dare una formula esplicita per il polinomio Pn(x), che non richieda calcoli complicati (quando siano note le derivate della funzione calcolate nel punto a).

Invece di utilizzare la forma (3), scriviamo il polinomio Pn come segue:

Pn(x) = c0 + c1(x − a) + c2(x − a)2 + ... + cn-1(x − a)n-1 + cn(x − a)n =

=

n

k

k

k x a

c

0

)

( , (4)

dove naturalmente intendiamo il termine (x − a)0 comunque uguale ad 1(2).

Ora, se imponiamo la condizione Pn(a) = f(a), otteniamo c0 = f(a), visto che tutti i termini contenenti il fattore (x − a) (elevato ad un esponente positivo) si annullano. Per determinare il coefficiente c1 deriviamo la (4), ottenendo

1 2

3 2

1 2 ( ) 3 ( ) ( )

)

( = + − + − + + −

n n

n x c c x a c x a nc x a

P L .

Sostituendo x = a, osserviamo che anche in questo caso tutti i termini successivi al primo si annullano, per cui la condizione Pn′(a)= f′(a) dà c1 = f' (a).

Derivando ancora si trova

2 3

2 6 ( ) ( 1) ( )

2 )

( = + − + + − −

′′ n n

n x c c x a n n c x a

P L ,

uguaglianza che per x = a dà

2 ) (

2

a c f ′′

= . Lo stesso procedimento dà

6 ) (

3

a c f′′′

= ,

24 )

)(

4 ( 4

a c = f , e in

generale

! )

)(

(

k a c f

k

k = . Grazie a quanto abbiamo detto prima sul simbolo f(0)(x), e grazie alle note convenzioni sul fattoriale, possiamo dire che questa formula vale per ogni k compreso tra 0 ed n.

Il ragionamento fatto non solo ci consente di scrivere esplicitamente il polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a, ma ci dice anche che tale polinomio è unico. Possiamo riassumere i risultati ottenuti con il seguente teorema.

TEOREMA 1. Sia f una funzione derivabile n volte in un intorno I del punto a. Esiste allora un unico polinomio Pn(x), di grado non maggiore di n, per il quale risulta Pn(k)(a)= f(k)(a) per ogni k = 0, 1, ..., n. Esso è dato esplicitamente dalla formula

2 Il primo termine della sommatoria è uguale a (x − a)0; ora, a rigore, questo termine non avrebbe senso per x = a, perché dà luogo all'espressione 00, che è un'operazione priva di significato (si sa che il limite per x → a di una funzione f(x)g(x) dà luogo ad una forma indeterminata se le due funzioni f e g tendono contemporaneamente a 0). Però, in questo caso particolare, considerando che (x − a)0 assume il valore 1 per ogni x ≠ a, poniamo per convenzione (x − a)0 = 1 per qualunque x in I, anche per x = a.

(3)

=

=

= n

k

k k

n x a

k a x f

P

0 ) (

)

! ( ) ) (

(

n n

a n x

a a f

a x a f

a x a f

x a f a

f ( )

! ) ) (

! ( 3

) ) (

! ( 2

) ) (

)(

( ) (

) ( 3

2 ′′′ − + + −

+

′′ − +

′ − +

= L . (5)

ESEMPIO 1.1. Determinare il polinomio di Taylor nei seguenti casi:

(a) f(x) = ex, a = 0, per n = 3 e poi per un generico n;

(b) f(x) = log x, a = 1, per n = 2 e poi per un generico n;

(c) f(x) = sen x, a = 0, per un generico ordine dispari e poi per un generico ordine pari;

(d) f(x) = 4 x, a = 1 ed n = 3, poi a = 16 ed n = 3.

Soluzione. Nel caso (a), osserviamo che se f(x) = ex, allora tutte le derivate f(k)(x) sono uguali ad ex per ogni x reale, per cui è f(k)(0) = 1 per ogni k. Sostituendo nella (5) a = 0 ed f(k)(a) = 1, troviamo facilmente per n = 3 il polinomio

6 1 2

)

( 2 2

3

x x x

x

P = + + + ,

e per un generico n

!

! 3

! 1 2

! ) 1

(

3 2

0 n

x x

x x k x

x P

n n

k k

n =

= + + + + +

=

L .

Per quanto riguarda il caso (b), osserviamo che da f(x) = log x otteniamo facilmente x x

f 1

) ( =

ed 12

)

(x x

f ′′ =− , da cui f′( =1) 1 ed f ′′ x( )=−1. Considerando poi che log 1 = 0, l'applicazione della (5) dà:

2 ) 1 ) (

1 ( ) (

2 2

− −

= x

x x

P .

Per determinare il polinomio di Taylor di un generico ordine n, dobbiamo conoscere tutte le derivate di log x. Osserviamo a tale proposito che le formule dette sopra sono facilmente generalizzabili, in quanto risulta 23

) (x x

f′′′ = , (4) 64 )

(x x

f =− , e in generale k k k

x x k

f ( 1)!

) 1 ( )

( 1

)

(

= +

per ogni k ≥ 1(3). Si ha allora

= +

=

+

=

− =

=

− −

= −

=

n

k

k k

n

k

k n k

k

k k

n k

x x k

x k k x f

P

1 1 1

1

1 )

( ( 1)

) 1 ( )

1

! ( )!

1 ( ) 1 ) (

1

! ( ) 1 ) (

(

3 La presenza del termine (−1)k+1 è giustificata dal fatto che se l'ordine di derivazione è pari si ha nella derivata un segno negativo, mentre si ha il segno positivo se l'ordine è dispari (si può scrivere indifferentemente (−1)k−1, che dà ovviamente lo stesso risultato). Si osservi inoltre che la formula trovata ha un senso solo per k ≥ 1, mentre per k = 0 la funzione ha una diversa espressione (questo non provoca alcun problema nella scrittura del polinomio di Taylor, essendo log 1 = 0). A rigore, queste formule di derivazione "per un k generico" andrebbero dimostrate (per induzione), anche se nei casi più semplici di solito se ne fa a meno.

(4)

n x x

x x

n

n ( 1)

) 1 3 (

) 1 ( 2

) 1 ) (

1

( 1

3

2

− +

− −

− +

= L + .

Si osservi che si sarebbe potuto anche considerare la funzione f(x) = log(1 + x); con calcoli del tutto analoghi a quelli visti sopra, si trova k k k

x x k

f (1 )

)!

1 ) (

1 ( )

( 1

) (

+

− −

= + per k ≥ 1, e da ciò il polinomio di Taylor

n x x

x x k x x

P

n n n

k

k k n

3 1 2

1

1 ( 1)

3 ) 2

1 ( )

( +

=

+ = − + − + −

=

L : in effetti, lo stesso polinomio scritto

prima, ma con una traslazione (dato che x è stato sostituito con 1 + x).

Per risolvere il caso (c), si consideri che le derivate successive di f(x) = sen x danno f(x) = sen x; f'(x) = cos x; f''(x) = −sen x; f'''(x) = cos x;

f(4)(x) = sen x; f(5)(x) = cos x; f(6)(x) = −sen x; f(7)(x) = cos x, e così via. Di conseguenza, in a = 0 le derivate di ordine pari si annullano, mentre quelle di ordine dispari danno alternativamente 1 e − 1 (più esattamente, se l'ordine di derivazione è 2k + 1 la derivata di tale ordine calcolata in 0 vale (−1)k).

Perciò, il polinomio di Taylor di ordine 2n + 1 generato dalla funzione sen x in a = 0 comincia con il termine x, poi contiene i termini

! 3 x3

− ,

! 5

x , ecc., e finisce con il termine 5

)!

1 2 ) ( 1 (

1 2

− +

+

n x n

n ;

quindi si può scrivere

)!

1 2 ) ( 1

! ( 5

! 3 )!

1 2 ) ( 1 ( ) (

1 2 5

3

0

1 2 1

2 = − + − + − +

− +

=

+

=

+

+ x

xk x x x xn

P

n n n

k

k k

n L .

Osserviamo ora che per scrivere il polinomio di ordine pari immediatamente seguente, cioè P2n+2(x), dovremmo aggiungere a P2n+1(x) il termine 2 2

) 2 2 (

)!

2 2 (

) 0

( +

+

+

n n

n x

f ; ma siccome le derivate di ordine pari di sen x sono nulle in 0, tale termine aggiunto è nullo. Dunque il polinomio P2n+2(x) coincide con P2n+1(x).

Infine, per il caso (d), conviene scrivere 4

1

) (x x

f = , da cui otteniamo facilmente

4 3

4 ) 1

( =

x x

f , 4

7

16 ) 3

( =−

′′ x x

f e 4

11

64 ) 21

( =

′′

x x

f . Il calcolo in a = 1 dà f( =1) 1,

4 ) 1 ( =

′ x

f ,

16 ) 3 ( =−

′′ x

f e

64 ) 21 ( =

′ x′′

f , da cui possiamo scrivere il polinomio di Taylor

3 2

3 ( 1)

128 ) 7 1 32(

3 4 1 1 )

( − − − + −

+

= x x x

x

P .

Se effettuiamo un analogo calcolo in a = 16, troviamo f( =1) 2,

32 ) 1 ( =

′ x

f ,

2048 ) 3

( =−

′′ x f

e 131072

) 21 ( =

′ x′′

f , da cui il polinomio di Taylor

(5)

3 2

3 ( 16)

262144 7 4096

) 16 ( 32 2 16 )

( − + −

− − +

= x x x

x

P .

Anche negli ultimi due casi visti, è possibile scrivere il polinomio di Taylor come combinazione di potenze di x, semplicemente traslando la variabile x e poi scegliendo a = 0 (nei casi appena risolti si avrebbero rispettivamente le funzioni 4 x+1 e 4 x+16).

Osserviamo che per il polinomio di Taylor vale un'ovvia proprietà di linearità, che discende dalla linearità della derivata. Se f e g sono entrambe derivabili n volte in un intorno di a, la derivata k-esima della funzione f + g è data da f(k)(x) + g(k)(x); calcolando tali derivate in a, si ottiene per la funzione somma il polinomio di Taylor di ordine n

=

+ −

n

k

k k

k

a k x

a g a f

0

) ( )

(

)

! (

) ( )

( , che è uguale alla

somma dei due polinomi di Taylor di ordine n generati rispettivamente da f e da g nello stesso punto. Più in generale, se si considera una qualsiasi combinazione lineare delle due funzioni f e g, il polinomio di Taylor relativo a tale funzione è la combinazione lineare (con gli stessi coefficienti) dei due polinomi relativi ad f e a g.

Inoltre, noto il polinomio di Taylor di ordine n generato da una funzione f in un punto a è possibile ricavare altri polinomi di Taylor di funzioni in qualche modo collegate alla f tramite alcune manipolazioni. Le operazioni possibili sono raccolte nell'enunciato del seguente teorema.

TEOREMA 2. Sia f derivabile n volte in un intorno I del punto a, e sia Pn(x) il polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a, come definito sopra. Allora:

1) La derivata di Pn(x) coincide con il polinomio di Taylor di ordine n − 1 generato dalla funzione f'(x) nel punto a;

2) Il polinomio che si ottiene integrando Pn(t) tra a ed x coincide con il polinomio di Taylor generato dalla funzione =

x

a

dt t f x

A( ) () nel punto a;

3) Fissata una costante reale c, si definisca g(x) = f(cx), naturalmente con l'ipotesi che cx appartenga all'intorno I; allora il polinomio di Taylor di ordine n generato da g nel punto a coincide con il polinomio di Taylor generato da f nel punto ca, nel quale occorre sostituire x con cx; in particolare, se a = 0, allora il polinomio di Taylor di ordine n di f(cx) si ottiene sostituendo x con cx nel polinomio Pn(x).

Dimostrazione. La parte 1) è molto semplice, in quanto, posto g(x) = f'(x), si ha per ogni k g(k)(x) = f(k+1)(x); allora il polinomio di Taylor di ordine n − 1 generato da g nel punto a è uguale a

=

+

=

=

1

0 ) 1 1 (

0 ) (

)

! ( ) ) (

! ( )

( n

k

k n k

k

k k

a k x

a a f

k x a

g . Traslando l'indice, questo polinomio diventa

=

n

k

k k

a k x

a f

1 ) 1 (

) )!( 1 (

)

( , che è proprio la derivata del polinomio Pn(x) definito nella (5).

La parte 2) si può dimostrare in modo del tutto analogo, scrivendo esplicitamente le prime n + 1 derivate della funzione A; possiamo però anche procedere applicando la parte 1), con A al posto di f e quindi f al posto di g (dato che la derivata di A coincide con f). Supponendo di conoscere il polinomio di Taylor di ordine n + 1 generato dalla funzione A nel punto a, grazie alla parte 1) la sua derivata coincide col polinomio di ordine n generato da f nello stesso punto, il che è come dire che il primo polinomio è una primitiva del secondo. In realtà, esso non è una primitiva qualsiasi, bensì è univocamente determinato dalla condizione A(a) = 0.

Infine, per dimostrare la parte 3), si consideri che g'(x) è uguale a cf'(cx), g''(x) è c2f''(cx), e in generale g(k)(x) = ckf(k)(cx). Pertanto, si ha g(k)(a) = ckf(k)(ca), allora, il polinomio di Taylor

(6)

generato da g nel punto a è dato dalla formula

− =

− =

=

=

n

k

k k

n k

k

k k

k

a x k c

ca a f

k x ca f c

0 ) (

0 ) (

)

! ( ) ) (

! ( )

(

=

=

n

k

k k

ca k cx

ca f

0 ) (

)

! ( )

( . Ma questo è esattamente Pn, generato da f nel punto ca, dove x è sostituito da cx. Il caso particolare a = 0 segue immediatamente. 

Come esempi di applicazione del teorema appena dimostrato, osserviamo quanto segue. Il polinomio di Taylor di ordine 2n generato dalla funzione cos x in a = 0 può essere trovato scrivendo esplicitamente le derivate, in modo simile a quanto fatto nell'esempio 1 per il seno, oppure anche derivando il polinomio di ordine 2n + 1 relativo a sen x. Si ha allora

=

=

=

+

=

− + =

− + + =

n

k

k k n

k

k k

n

k

k k

k x k

x k k

x dx

d

0

2

0

2

0

1 2

)!

2 ) ( 1 )! (

1 2 (

) 1 2 ) ( 1 )! (

1 2 ) ( 1 (

)!

2 ) ( 1

! ( 4

! 1 2

2 4

2

n x x

x n n

− +

− +

= L .

Anche per quanto riguarda le funzioni seno iperbolico e coseno iperbolico è possibile determinare il polinomio di Taylor di un generico ordine n scrivendo esplicitamente le derivate; in alternativa, si consideri che, come visto nell'esempio 1.1, il polinomio di ordine 2n generato da ex in a = 0 è

)!

2 ( )!

1 2 (

! 3

! 1 2

2 1

2 3

2

n x n

x x

x x

n n

− + + + + + +

L . Grazie alla parte 3) del teor. 2, vediamo subito che l'analogo polinomio generato da e−x nello stesso punto è

)!

2 ( )!

1 2 (

! 3

! 1 2

2 1

2 3

2

n x n

x x

x x

n n

− +

− +

− +

L .

Sommando questi polinomi e dividendo per 2, vediamo che il polinomio di Taylor di ordine 2n generato dalla funzione cosh x in a = 0 è

)!

2 (

! 4

! 1 2

2 4

2

n x x

x n

+ + +

+ L ; visto che questo polinomio contiene solo le potenze pari di x, è chiaro che esso coincide con P2n+1(x). Per il seno iperbolico si può fare un ragionamento analogo, ma è conveniente prima riscrivere i polinomi già visti sopra per ex e per e−x, arrivando stavolta al termine x2n+1; sottraendo i due polinomi e dividendo per 2, si trova che il polinomio di Taylor di ordine 2n + 1 generato dalla funzione senh x nel punto 0 è

)!

1 2 (

! 5

! 3

1 2 5

3

+ + + + +

+

n x x

x x

n

L .

In alcuni casi è possibile determinare facilmente i polinomi di Taylor relativi a funzioni integrali non elementarmente calcolabili. Ad esempio, dal fatto che il polinomio di Taylor di ordine n generato da e−x in a = 0 è

) ! 1

! ( 3

! 1 2

3 2

n x x

x x

n

n

+ +

− +

− L , si può vedere che il polinomio di ordine

2n relativo ad ex2 è

) ! 1

! ( 3

! 1 2

2 6

2 4

n x x

x x

n

n

+ +

− +

− L (4); Integrando, si trova che il polinomio di ordine 2n + 1 generato in a = 0 dalla funzione G x =

xet dt

0

) 2

( è dato dalla formula +

+ ⋅

− ⋅

! 2 5

! 1 3

5

3 x

x x

=

+ +

− + + =

− +

⋅ +

n

k

k k n

n

n k x n

n x x

0

1 2 1

2 7

! ) 1 2 ) ( 1

! ( ) 1 2 ) ( 1

! ( 3

7 L .

4 Questa operazione, cioè la sostituzione di x con una potenza di x, non è un caso considerato nel teor. 2, ma in seguito si vedrà come si giustifica.

(7)

2. Resto nella formula di Taylor

Se si confronta una funzione con un suo polinomio di Taylor di un certo ordine n, si può osservare che almeno per valori di x "abbastanza vicini" ad a, i valori del polinomio sembrano approssimare bene i valori della funzione, tanto che i due grafici diventano indistinguibili. Si osservi ad esempio la figura seguente, nella quale viene riportata la funzione sen x insieme con i suoi polinomi di Taylor (con a = 0) rispettivamente di ordini 3 e 5:

Un'ulteriore esempio è dato dalla seguente figura, in cui sono riportati i grafici della funzione log(1 + x) e dei polinomi di Taylor P2(x) e P3(x) (generati dalla funzione nel punto a = 0). Anche qui si osserva che per x sufficientemente vicino a 0 i polinomi approssimano abbastanza bene la funzione, mentre questo "scostamento" cresce per x che si allontana da 0.

Ora, se desideriamo in un calcolo pratico approssimare una funzione con un suo polinomio di Taylor, abbiamo bisogno di "quantificare" questo scostamento, cioè dobbiamo conoscere una valutazione dell'errore commesso. Per meglio dire, non è possibile conoscere in maniera esatta l'errore (se sapessimo esattamente quanto vale l'errore allora conosceremmo anche il valore esatto

In rosso: sen x; in verde P3(x); in blu P5(x).

In rosso log(1 + x), in verde P2(x), in blu P3(x). Si osservi che per x < 0 i polinomi di Taylor danno sempre un'approssimazione per eccesso della f, mentre per x > 0 i polinomi di grado pari danno un'approssimazione per difetto, quelli di grado dispari per eccesso.

(8)

della funzione); l'obiettivo in realtà è dare una maggiorazione dell'errore, cioè sapere "al massimo"

di quanto si può sbagliare sostituendo f(x) con Pn(x).

Diamo allora la seguente definizione: si definisce resto (o errore) di ordine n la differenza tra f(x) e Pn(x), cioè:

Rn(x) = f(x) − Pn(x). (6)

Dalla (6) segue che possiamo scrivere f(x) = Pn(x) + Rn(x) (5). Abbiamo pertanto l'identità

f(x) = Pn(x) + Rn(x) = ( ) ( )

! ) (

0 ) (

x R a k x

a f

n n

k

k k

+

=

, (7)

che è appunto la formula di Taylor di ordine n per la funzione f nel punto x = a.

Ovviamente la (7) non ci è utile finché non abbiamo un'espressione esplicita del resto. I prossimi teoremi ci forniscono una possibile espressione del resto, purché aggiungiamo un'ipotesi.

Abbiamo visto che per scrivere il polinomio Pn(x) è sufficiente che f sia derivabile n volte in a; ma, per poter esprimere Rn(x) occorre che esista anche la derivata di ordine n + 1 della f, e che tale derivata sia continua in I.

TEOREMA 3 (espressione integrale del resto nella formula di Taylor nel caso n = 1). Sia f derivabile due volte con continuità un intorno I del punto a, e sia P1(x) il polinomio di Taylor di ordine 1 generato da f nel punto a, cioè P1(x) = f(a) + f'(a)(x − a). Allora il resto di ordine 1, cioè l'errore che si commette sostituendo f(x) con P1(x), si può esprimere come segue:

′′

=

x

a

dt t x t f x

R1( ) ( )( ) . (8)

Dimostrazione. Dalla (6) sappiamo che R1(x) è uguale a f(x) − P1(x), cioè

R1(x) = f(x) − f(a) − f'(a)(x − a). (9)

Possiamo trasformare la (9) osservando che x − a si scrive come

x

a

dt, mentre f(x) − f(a) è uguale a

x

a

dt t

f ( ) . Di conseguenza la (9) si può scrivere

( )

=

=

x

a x

a x

a

dt a f t f dt a f dt t f x

R1( ) () ( ) ( ) ( ) . (10)

Ora, l'integrale nella (10) si può calcolare per parti come segue: si scelga come primo fattore f'(t) − f'(a), la cui derivata è f''(t) (il che è lecito appunto per l'ipotesi di esistenza e continuità di f''(t)), e come secondo fattore 1; però, invece di scrivere come primitiva semplicemente t, scegliamo invece t − x. Allora, la formula di integrazione per parti, applicata all'integrale definito che appare nella (10), dà:

5 Questa è la notazione più comune per il resto nella formula di Taylor; occorre però osservare che alcuni autori preferiscono indicare con R(x) il resto relativo al polinomio Pn−1(x).

(9)

( )

[

]

+

′′

=

x

a x

a f t x t dt

t x a f t f x

R1( ) () ( )( ) ()( ) . (11)

Poiché il primo addendo vale 0 (in quanto per t = x si annulla il secondo fattore, mentre per t = a si annulla il primo), rimane soltanto l'integrale, da cui la (8). 

Prima di proseguire con la generalizzazione del teorema 3 al caso di un generico ordine n, osserviamo la particolare forma dell'integrale che esprime il resto di ordine 1. Apparentemente, l'integrale

x ′′

a

dt t x t

f ()( ) si potrebbe intendere come una comune funzione integrale, visto che una certa funzione viene integrata rispetto alla variabile t in un intervallo avente primo estremo fisso e secondo estremo dipendente da x. In realtà, l'integrale che stiamo considerando non è esattamente una funzione integrale, perché la funzione integranda dipende non solo da t ma anche da x.

Ovviamente questo non costituirebbe un problema qualora si dovesse calcolare l'integrale per un fissato x, perché in tal caso si avrebbe un ordinario integrale di una funzione di t da calcolare su un certo intervallo fissato.

TEOREMA 4 (espressione integrale del resto nella formula di Taylor per un generico ordine n). Sia f derivabile n + 1 volte con continuità un intorno I del punto a, e sia Pn(x) il polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a, come definito dalla (5). Allora il resto di ordine n, cioè l'errore che si commette sostituendo f(x) con Pn(x), si può esprimere come segue:

= +

x

a

n n

n f t x t dt

x n

R ()( )

! ) 1

( ( 1) . (12)

Dimostrazione. Si può ottenere la (12) procedendo per induzione. Il caso iniziale n = 1 è già stato dimostrato nel teorema 3, perciò manca solo il passaggio induttivo. Supponiamo allora per ipotesi induttiva che se f(n+1)(x) è continua in I il resto Rn(x) si esprima con la formula (12), e facciamo vedere che, supponendo f(n+2)(x) continua in I, il resto Rn+1(x) è dato dalla stessa formula con n + 1 al posto di n.

Osserviamo in primo luogo che la (7), applicata dapprima al caso n + 1 e poi al caso n, dà luogo alle formule

f(x) = Pn+1(x) + Rn+1(x) = ( ) ( )

! ) (

1 1

0 ) (

x R a k x

a f

n n

k

k k

+ +

=

+

;

f(x) = Pn(x) + Rn(x) = ( ) ( )

! ) (

0 ) (

x R a k x

a f

n n

k

k k

+

=

.

Sottraendo membro a membro, troviamo 0 = Pn+1(x) − Pn(x) + Rn+1(x) − Rn(x), cioè )

( ) ( )

! ( ) ) (

! ( )

0 ( 1

0 ) 1 (

0 ) (

x R x R a k x

a a f

k x a f

n n

n

k

k n k

k

k k

− +

= +

= +

=

. Poiché la differenza tra le due

sommatorie è 1

) 1 (

) )! (

1 (

)

( +

+

+ −

n n

a n x

a

f , possiamo esprimere Rn+1(x) come segue:

1 )

1 (

1 ( )

)!

1 (

) ) (

( )

( +

+

+

− +

= n

n n

n x a

n a x f

R x

R . (13)

(10)

A questo punto il ragionamento è simile a quello del teor. 3, nel senso che si procede trasformando opportunamente la (13) per poi integrare per parti. Per l'ipotesi induttiva, Rn(x) è uguale a

x +

a

n

n t x t dt

n f ()( )

! 1 ( 1)

. Si osservi inoltre che

x

a

ndt t x )

( è uguale a

x

a n

n t

x

 

+

− −

+

1 )

( 1

=

= 1

)

( 1

+

+

n a

x n

; grazie a queste osservazioni, la (13) si può scrivere nella forma

( )

=

= + +

+ +

+

x

a

n n

n x

a

n x n

a

n n

n f t f a x t dt

dt n t n x

a dt f

t x t n f

x

R () ( )( )

! ) 1

! ( ) ) (

)(

! ( ) 1

( ( 1) ( 1)

) 1 ) (

1 (

1 . (14)

Ora integriamo per parti, analogamente a quanto fatto nella dimostrazione precedente.

Scegliamo come primo fattore f(n+1)(t)− f(n+1)(a), la cui derivata è f(n+2)(t) (si ricordi che tale derivata è stata supposta continua in I), e come secondo fattore (x − t)n, una primitiva del quale è

1 )

( 1

+

− −

+

n t

x n

. Allora la (14) diventa:

( )

=









+ + −



 

+

− −

= + + +

+ +

+

x

a

n n

x

a n n

n

n dt

n t t x n f

t a x

f t n f

x

R 1

) )( 1 (

) ) (

( )

! ( ) 1

( ( 1) ( 1) 1 ( 2) 1

1

+ +

= +

x

a

n

n t x t dt

n f

1 )

2

( ()( )

)!

1 (

1 , (15)

in quanto la parentesi quadra dà un contributo nullo (visto che, come nel teor. precedente, il primo fattore si annulla per t = a ed il secondo per t = x). Ciò dimostra il passaggio induttivo, e di conseguenza vale la (12) per un qualsiasi n. 

Ora, si può osservare che la rappresentazione integrale dell'errore Rn(x) non è molto utile "a livello pratico", cioè non ci consente di avere una maggiorazione dell'errore stesso. In effetti, se ad esempio desideriamo calcolare un valore approssimato di 2

1

e

e = tramite un polinomio di Taylor, possiamo fissare n = 2 (oltre che ovviamente a = 0) e scrivere per la funzione ex il polinomio

P2(x) = 1 2

x2

+x + , che calcolato per 2

=1

x dà 1,625

8 13 2

2 1 2 1 1

2

=

=



 

 +

+ . Applicando la (12),

abbiamo =

2 ′′

1

0

2

2 2

) 1

! ( 2 1 2

1 f t t dt

R , che è uguale a

2 +

1

0

2) 4 4 1 8 (

1 et t t dt, essendo uguali ad et

tutte le derivate della funzione. Se però calcoliamo esplicitamente questo integrale, otteniamo

+ 2

1

0 2 2

1

0 2

1

0 2

1 2

1 8

1 etdt tetdt t etdt =

[ ]

10/2

[ ]

10/2

[

( 2 2 2)

]

10/2

2 ) 1

1 2 ( 1 8

1 t t t

e t t e

t

e − − + − + =

8

−13

e . Questo conferma il fatto che la (12) fornisce il resto, ma non ci dà un modo per valutare il resto stesso. È necessario quindi determinare altre formule più utili in questo senso. In effetti, la formula integrale del resto è utile proprio perché da essa è possibile ricavare altre formule più "maneggevoli" a scopo numerico. Vediamo nel prossimo teorema una di queste formule.

(11)

TEOREMA 5 (formula di Lagrange per il resto nella formula di Taylor). Sia f derivabile n + 1 volte con continuità un intorno I del punto a, sia Pn(x) il polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a, e sia Rn(x) l'errore. Allora vale per Rn(x) la formula

1 )

1 (

) )! (

1 (

) ) (

( +

+

+ −

= n

n

n x a

n c x f

R , (16)

dove c appartiene all'intervallo chiuso di estremi a ed x(6).

Dimostrazione. Per ottenere la formula (16), è sufficiente partire dalla (12) ed applicare il teorema della media pesata all'integrale

x +

a

n

n t x t dt

f( 1)()( ) . Si osservi che le due funzioni che appaiono nell'integrale sono entrambe continue; per quanto riguarda il segno, mentre non abbiamo informazioni sul segno di f(n+1)(x), possiamo dire che l'altro fattore ha un segno costante tra a ed x.

Infatti, se supponiamo dapprima x > a, risulta a ≤ t ≤ x, e di conseguenza (x − t) è sempre non negativo, e lo stesso vale per (x − t)n; se invece è a < x, allora risulta x ≤ t ≤ a, per cui x − t è minore o uguale a 0: di conseguenza (x − t)n è sempre non negativo se n è pari, e non positivo se n è dispari, e in ogni caso il suo segno è costante. Applicando allora il teorema della media pesata, possiamo scrivere

) 1 1 ( 1

) 1 ) (

1

( ( )

)!

1 (

) ( 1

) (

! ) ) (

( )

! ( ) 1

( +

+ +

+

+

= +



 

+

− −

=

=

n n

x

a n n

x

a

n n

n x a

n c f n

t x n

c dt f

t x c n f

x

R , (17)

dove c appartiene all'intervallo [a , x] (se x > a) ovvero all'intervallo [x , a] (se x < a).  Grazie a questo teorema, la formula di Taylor con il resto può essere scritta nella forma

= +

= +

=

=

) ( )

! ( ) ) (

( ) ( ) (

0 ) (

x R a k x

a x f

R x P x

f n

n

k

k k

n n

) 1 1 ( )

3 (

2 ( )

)!

1 (

) ) (

! ( ) ) (

! ( 3

) ) (

! ( 2

) ) (

)(

( )

( +

+

+ − +

− +

+

′′ − + ′

′′ − +

′ − +

= n

n n n

a n x

c a f

n x a a f

a x a f

a x a f

x a f a

f L .(18)

Come si vede, il resto si può scrivere in una forma molto simile a quella degli altri termini, con la differenza che la derivata di ordine n + 1 è calcolata in un punto c incognito anziché in a.

Ora, possiamo ottenere un'utile maggiorazione dell'errore ragionando come segue: se tra a ed x vale per la derivata di ordine n + 1 la maggiorazione |f(n+1)(t)| ≤ M, allora possiamo scrivere

1 ) 1

1 (

| )!|

1 ) (

)! ( 1 (

) ) (

( + +

+

+ −

≤ + −

= n n

n

n x a

n a M

n x c x f

R . (19)

Come vedremo tra poco, questa formula consente in molti casi di ottenere ottime approssimazioni di particolari valori di funzioni altrimenti non calcolabili.

Di solito una limitazione come la (19) va benissimo a scopo pratico, nel senso che consente di determinare un intorno circolare di Pn(x) (avente come raggio il valore trovato che maggiora

6 È conveniente dire "intervallo chiuso di estremi a ed x" perché potrebbe essere indifferentemente x > a oppure x < a.

(12)

l'errore), in cui deve giacere f(x). È possibile però ricavare dalla (16) anche altre limitazioni per l'errore, che possono essere utili in casi particolari. Ad esempio, si supponga x > a, e siano M ed m un maggiorante ed un minorante di f (n+1)(t)(7); in tal caso possiamo dare per l'errore la doppia limitazione

1

1 ( )

)!

1 ) (

( )

)!( 1 (

+

+

≤ +

≤ + −

n n

n x a

n x M R a

n x

m . (20)

ESEMPIO 2.1. Calcolare un valore approssimato di 3 e, utilizzando il polinomio di Taylor del 4° ordine, e maggiorare l'errore commesso.

Soluzione. Il polinomio P4(x) in questo caso è

24 6 1 2

!

4 3 4 2

0

x x x x

k x

k k

+ + + +

=

=

, che per 3

=1 x

assume il valore

1944 2713 1944

1 162

1 18

1 3

1+1+ + + = . Ora, dalla (17) sappiamo che il resto R4(x) si

esprime nella forma 5 5

) 5 (

120

! 5

)

( e x

c x

f c

= ; per

3

=1

x abbiamo

29160 3

1 120 3

1 5

4

c

c e

R e  =

 

= 



 

, dove c è

un numero compreso tra 0 e 3 1.

Poiché la funzione esponenziale è crescente, da

3

0< c<1 deduciamo 1<ec <e1/3, per cui

l'errore si maggiora con 29160

3 e

; ciò significa che per maggiorare l'errore dovremmo conoscere 3 e, che è proprio il numero per il quale stiamo cercando un valore approssimato. In simili casi (per altro abbastanza frequenti nelle applicazioni), è sufficiente conoscere un'approssimazione per eccesso (anche non particolarmente "precisa") del numero in questione. Nel nostro caso possiamo tranquillamente scrivere 3 e <2 (il che è senz'altro vero, visto che equivale ad e < 8), e di conseguenza otteniamo per l'errore la maggiorazione

14580 1 3

1

4  <

 

R  .

Dai calcoli effettuati deduciamo che vale per 3 e la doppia disuguaglianza 14580

1 1944

2713 14580

1 1944

2713 3

+

<

<

e , cioè

29160 40697 29160

40693 3

< e< .

Se ora determiniamo con la calcolatrice i valori approssimati di queste due frazioni, troviamo per la prima di esse 1,395507545, e per l'altra 1,395644719. La conclusione è che le cifre 1,395 sono esatte, mentre sulla quarta cifra c'è un'incertezza (essa può essere 5 oppure 6).

ESEMPIO 2.2. Calcolare un valore approssimato di 5

sen con errore minore di 101 −5.

7 I due numeri m ed M possono essere indifferentemente positivi o negativi. Se si intende l'intorno I chiuso e limitato, si possono scegliere come maggiorante e minorante rispettivamente il massimo e il minimo di f(n+1)(x), la cui esistenza è garantita dal teorema di Weierstrass.

(13)

Soluzione. In questo caso non è noto a priori l'ordine del polinomio di Taylor da utilizzare:

esso va determinato tenendo conto della limitazione per l'errore (limitazione che va intesa per il valore assoluto dell'errore).

Procediamo allora come segue. Abbiamo osservato prima che per la funzione sen x conviene direttamente considerare il polinomio di Taylor di un ordine dispari, diciamo P2n+1(x); esso è dato

dalla formula

=

+

+ =

− +

=

n

k

k k

n k

x x P

0

1 2 1

2 ( ) ( 1) (2 1)! . Ora, il resto di ordine 2n + 1 si scrive nella forma

2 2 ) 2 2 ( 1

2 (2 2)!

) ) (

( +

+

+ = + n

n

n x

n c x f

R ; la derivata di ordine 2n + 2 è uguale a sen x oppure a −sen x, a seconda della parità di n. Ne segue che il resto

 

+ 5

1

1

R2n può essere

2 2

5 1 )!

2 2 (

sen +



 

 +

n

n

c oppure

2 2

5 1 )!

2 2 (

sen +



 

− +

n

n

c , dove c è in ogni caso un numero compreso tra 0 e 5

1. Siccome però ci interessa

maggiorare l'errore in modulo, possiamo senz'altro scrivere

)!

2 2 ( 5

sen 5

1

2 1 2

2  = +

 

+ +

n

R n n c . Per

maggiorare questo errore, possiamo scegliere la strada più semplice, che consiste nel maggiorare

|sen c| con 1, oppure considerare che per ogni c reale vale sempre la maggiorazione |sen c| |c| (disuguaglianza utile soprattutto per |c| piccolo), il che nel nostro caso implica

5

sen ≤c 1. Se ci accontentiamo della disuguaglianza più semplice, troviamo

)!

2 2 ( 5

1 5

1

2 1 2

2  ≤ +

 

+ +

R n n n , (21)

mentre con l'altra disuguaglianza otteniamo la maggiorazione più precisa

)!

2 2 ( 5

1 )!

2 2 ( 5

5 1 5

1

3 2 2

1 2

2 = +

≤ +



 

+ + +

n

R n n n n . (22)

Ora, per risolvere il problema dobbiamo determinare il più piccolo n per il quale il resto è sicuramente più piccolo di 10−5; ammettendo per semplicità di aver ottenuto la maggiorazione (21), si tratta di determinare un n per il quale sia 2 2 5

10 1 )!

2 2 ( 5

1 <

+ +

n n , cioè 52n+2(2n + 2)! > 100000.

Simili disequazioni contenenti contemporaneamente esponenziali e fattoriali non sono elementarmente risolubili; siccome però si tratta di determinare il minimo n che soddisfa la disequazione in questione, è sufficiente procedere per tentativi.

Per n = 1 il primo membro della disequazione è 54 4! = 15000, mentre per n = 2 esso diventa 56 ⋅ 6! = 11250000, che è abbondantemente al disopra di 100000. Perciò, per ottenere un errore minore del limite stabilito, basta calcolare 

 

 5 1

P5 . Essendo

( )

! 5

! 3

5 3 5

x x x

x

P = − + , si trova

375000 74501 120

5 1 6 5 1 5 1 5 1

5 3

5 =



 

 +



 

=

 

P . Per quanto osservato sopra, l'errore è certamente minore di

100000

1 : perciò, considerando che la frazione

375000 74501

vale 0,1986693, possiamo affermare che

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