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Capitolo 2 Il moto sismico

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

Il moto sismico

2.1-Parametri del moto

Il moto sismico può essere descritto in modo compatto e quantitativo attraverso alcuni parametri sintetici. I parametri fondamentali riguardano l’ampiezza, la durata e il contenuto in frequenza. Ciascuno di questi tre parametri ha un’influenza notevole sui danni che può provocare associato ad un evento sismico. In passato sono stati proposti molti parametri per caratterizzare l’ampiezza, il contenuto in frequenza e la durata di un terremoto ma, a causa della complessità di quest’ultimo, è pressoché impossibile identificare un singolo parametro in grado di descrivere in modo esaustivo le caratteristiche dell’evento sismico.

Il modo più comunemente usato di descrivere un’eccitazione sismica è quello di utilizzare una storia temporale in termini di accelerazione, velocità o spostamento.

È possibile ricavare spostamento o velocità da un’accelerogramma attraverso operazioni di integrazione. Più precisamente la storia temporale della velocità si ottiene tramite integrazione nel dominio delle frequenze da quella dell’accelerazione, tale integrazione produce un effetto di filtro delle frequenze, pertanto la storia, temporale degli spostamenti, che si ottiene tramite un ulteriore integrazione da quella delle velocità, è dominata dalle basse frequenze, mentre la time history delle accelerazioni è dominata da frequenze più elevate.

Accelerazione di picco orizzontale

La misura più comunemente usata per valutare l’ampiezza di una certa scossa sismica è l’Accelerazione di picco orizzontale (PHA, Peak Horizontal Acceleration). Tale valore, per una certa componente del moto è semplicemente il massimo (in valore assoluto) dell’accelerazione orizzontale ottenuto dall’accelerogramma per quella componente. Prendendo il vettore somma di due componenti ortogonali, è possibile ottenere il massimo valore risultante del PHA.

Le componenti orizzontali dell’accelerazione vengono comunemente utilizzate per descrivere le scosse sismiche a causa della relazione naturale che le lega alle forze di

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inerzia; per cui le forze dinamiche maggiori indotti in certe tipologie di strutture (ad esempio strutture ad elevata rigidezza), sono strettamente legate al PHA. Il PHA può anche essere messo in relazione con l’intensità del terremoto (Trifunac e Brady, 1975; Murphy e O’brien 1977, Krinitzsky e Chang, 1987). Sebbene queste relazioni non siano molto precise, possono essere molto utili nei casi in cui, di un certo evento sismico, è nota solamente l’intensità.

Le accelerazioni verticali, nella ingegneria sismica, solitamente, ricevono minori attenzioni di quelle orizzontali, prima di tutto perché le resistenze verso le azioni statiche verticali di cui sono dotati gli edifici o le strutture in genere, forniscono un margine di sicurezza accettabile anche per quanto riguarda le azioni dinamiche indotte dalle accelerazioni verticali durante i terremoti. A scopi ingegneristici, l’accelerazione di picco verticale (PVA) viene considerata pari ai 2/3 del PHA (Newmark e Hall, 1982). Tale frazione, comunque è piuttosto variabile e recentemente sono state individuate relazioni più precise, anche in funzione della distanza dall’ipocentro (Campbell, 1985; Abrahamson e Litehiser, 1989).

Scosse sismiche con accelerazioni di picco elevate sono, solitamente, più distruttive di scosse con PHA minori. Valori di accelerazione molto elevati, che durano solamente un brevissimo intervallo di tempo, possono causare piccoli danni a diverse tipologie di strutture, talvolta tali picchi, sebbene superino valori di 0,5g, si presentano a frequenze molto elevate e per intervalli di tempo molto ristretti, per cui non producono danni rilevanti alle strutture. Sebbene il PHA sia un parametro assai utile, non fornisce informazioni sul contenuto in frequenza o sulla durata del terremoto, quindi deve essere supportato da ulteriori informazioni che caratterizzino la scossa sismica accuratamente.

Velocità di picco orizzontale e spostamento di picco

La velocità di picco orizzontale (PHV) ed lo spostamento di picco sono altri due parametri interessanti e talvolta assai utili. Il PHV, essendo meno sensibile alle componenti con frequenze più alte, caratterizza meglio del PHA le scosse sismiche per campi di frequenza intermedi. Per edifici molto alti o ponti di grande luce che hanno periodi propri che ricadono in questo intervallo di frequenze, le velocità di picco orizzontali forniscono informazioni maggiori che non le accelerazioni di picco. I valori massimi degli spostamenti, che generalmente sono associati alle frequenze più basse delle scosse sismiche, sono più difficili da determinare accuratamente (Campbell, 1985; Joyner e Boore, 1988), sia a causa degli errori dovuti all’integrazione e alla filtrazione degli accelerogrammi, sia a causa dei disturbi alle basse frequenze.

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Parametri del contenuto in frequenza:

Da una semplice analisi dinamica è possibile dedurre che la risposta dinamica di un oggetto complesso (a più gradi di libertà), sia esso un edificio, un ponte o un deposito di terreno, è direttamente influenzata dal periodo proprio e da quello della sollecitazione. I terremoti producono complicati azioni di carico tramite componenti del moto che spaziano in un vasto campo di frequenze. Il contenuto in frequenza descrive come l’ampiezza di una scossa sismica sia distribuito tra diverse frequenze.

Spettro di Fourier

Qualsiasi funzione x(t) periodica può essere scritta utilizzando la serie di Fourier come la somma di una serie di funzioni armoniche di differente fase, frequenza e ampiezza:

∞ = + ⋅ + = 1 0 sin( ) ) ( n n n n t c c t x ω φ (2.1)

dove cn e •n sono, rispettivamente, l’ampiezza e l’angolo di fase dell’n-esima

funzione armonica della serie di Fourier. La serie di Fourier fornisce una descrizione completa del moto sismico dal momento in cui il moto può essere ricostruito interamente per mezzo della trasformata inversa di Fourier. È possibile tracciare un grafico che visualizza l’ampiezza di Fourier in funzione della frequenza oppure anche l’angolo di fase in funzione della frequenza perr una qualsiasi funzione. Il primo di questi si chiama Spettro delle ampiezze di Fourier e, applicato ad una eccitazione sismica, fornisce indicazioni circa la distribuzione delle ampiezze rispetto alle frequenze, attraverso uno spettro di Fourier, quindi, è possibile osservare molto chiaramente il contenuto in frequenza di una scossa sismica. Uno Spettro di Fourier ristretto implica che il moto ha una frequenza (o un periodo) dominante, uno spettro più esteso implica che il moto contiene una più grande varietà di frequenze e quindi produrrà storie temporali più frastagliate e irregolari.

Spettro di risposta

Lo spettro di risposta è molto utilizzato nella pratica dell’ingegneria sismica. Nella progettazione anti-sismica, difatti, non è necessario conoscere l’intera storia temporale delle risposte al suolo, piuttosto, tale progettazione può basarsi sul massimo valore di risposta ad una particolare eccitazione sismica alla base di una struttura. Ovviamente, tale

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risposta dipenderà dalla massa, dalla rigidezza e dalle caratteristiche di smorzamento della struttura e dalle proprietà del moto applicato.

Figura 2.1: spettro di risposta. Fonte: Kramer S. (1996).

Lo spettro di risposta descrive la risposta massima di un sistema ad un solo grado di libertà ad una particolare scossa in entrata, in funzione della frequenza propria (o del periodo proprio) e del rapporto di smorzamento del sistema. La risposta può essere espressa in termini di accelerazione, di velocità o di spostamento. I valori massimi di ciascuno di questi parametri dipendono solo dalla frequenza propria e dal rapporto di smorzamento del sistema ad un grado di libertà (per un particolare moto di input). I massimi valori di accelerazione, velocità e spostamento sono riferiti, rispettivamente, allo spettro dell’accelerazione (Sa), allo spettro della velocità (Sv) e a quello dello spostamento

(Sd). L’applicazione dell’integrale di Duhamel ad un sistema ad un grado di libertà

permette di ottenere le storie temporali di accelerazione, velocità e spostamento, che sono proporzionali (tramite un fattore •) a meno di una costante di fase. Poiché, tale costante non influenza significativamente i valori massimi di risposta, gli spettri di accelerazione, velocità e spostamento possono essere messi in relazione tramite le seguenti espressioni:

max u Sd = (2.2) PSV S u Sv = ≈ ωod = max & (2.3)

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PSA PSV S u Sa = ≈ ωo2⋅ d = ωo⋅ = max & & (2.4)

dove u e •o sono, rispettivamente lo spostamento e la frequenza propria del sistema

ad un grado di libertà, PSV è la pseudo velocità e PSA è la pseudo accelerazione. Sebbene, PSV e PSA non sono esattamente i valori massimi di velocità e accelerazione, in pratica si assume che essi lo siano, poiché, per registrazioni di scosse sismiche violente tali valori sono molto simili.

Durata

La durata di una violenta scossa sismica può avere una forte influenza sui danneggiamenti inflitti. Molti processi fisici, come la perdita di rigidezza di alcune tipologie di strutture o l’accumulo di pressione interstiziale in terreni saturi, sono molto sensibili al numero di cicli di carico e scarico che si verificano durante un terremoto. Una scossa sismica di breve durata, può non generare sufficienti inversioni di carico da produrre danni considerevoli, anche se l’ampiezza della scossa è notevole, mentre, una scossa di lunga durata con picchi di ampiezza ridotta può produrre ingenti danni se genera un gran numero di cicli di scarico e ricarico. La durata di una scossa sismica è strettamente in relazione con il tempo necessario per rilasciare l’energia di deformazione accumulata lungo la faglia. Se la lunghezza e/o l’area della faglia aumentano, anche la durata del terremoto sarà maggiore. Di conseguenza la durata del terremoto può essere messa in relazione con la magnitudo dello stesso, tale relazione è stata appoggiata da osservazioni empiriche per molti anni ed è anche stata supportata da una relazione empirica (Hanks e McGuire, 1981) che la vede proporzionale al cubo del momento sismico.

In passato la durata di un terremoto è stata definita in vari modi, generalmente la durata di un accelerogramma è data dall’intervallo di tempo che trascorre dal momento in cui inizia la scossa fino all’istante in cui il moto registrato non ritorna al livello del disturbo iniziale.La durata di un terremoto è stata pure espressa in termini di cicli

equivalenti ed il numero di cicli è stato messo in relazione con la magnitudo della scossa sismica.

Stile di fagliazione

All’origine di un terremoto c’è un fenomeno di frattura che avviene lungo una superficie di debolezza della crosta terrestre chiamata faglia. La frattura si origina in

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profondità (ipocentro del terremoto) e si propaga sul piano di faglia, talvolta fino a raggiungere la superficie terrestre. Con il progredire della frattura, si genera lo scorrimento dei suoi due lati, vale a dire che si origina la dislocazione (differenza tra lo spostamento di un lato della faglia rispetto all’altro). I terremoti di forte magnitudo (M>6.0) sono quelli che con maggiore probabilità generano fratture sulla superficie terrestre: in questi casi è possibile osservare direttamente in superficie la dislocazione della faglia.

Le onde elastiche sono emesse dal fronte di rottura che si propaga sul piano di faglia dall’ipocentro ai suoi bordi. In altre parole, la frattura si origina in un punto e si propaga con velocità che possono raggiungere valori prossimi a 3.2 km/s. Progressivamente il fronte di rottura può raggiungere porzioni diverse dal piano di faglia che a loro volta iniziano ad emettere onde sismiche. Il processo di frattura lungo una faglia di circa 36 km (come quella che si è mossa durante il terremoto dell’Irpinia) avviene in soli 10-12 secondi: un tempo brevissimo a dimostrazione del fatto che un terremoto è un evento istantaneo rispetto ai lunghissimi tempi di accumulo delle energie (dell’ordine delle decine o centinaia di anni).

Da queste considerazioni si capisce come una progettazione appropriata di strutture resistenti al sisma richieda una stima del livello di intensità del terremoto atteso ed uno studio atto a valutare la pericolosità sismica. Nei paragrafi seguenti verranno presentati i concetti che stanno alla base della stima della pericolosità sismica.

Legge di attenuazione

La maggior parte dell’energia rilasciata da una frattura lungo una faglia si trasforma in onde sismiche. Dal momento in cui la quantità di energia rilasciata durante un terremoto è strettamente legata alla sua magnitudo, anche le caratteristiche delle onde sismiche sono legate alla magnitudo. Quando le onde si allontanano dall’ipocentro, si separano e vengono parzialmente assorbite dal materiale che attraversano, di conseguenza l’energia specifica (energia per unità di volume) diminuisce all’aumentare della distanza dalla sorgente. Quindi dal momento in cui le proprietà delle onde sono fortemente connesse all’energia specifica è possibile risalire alla distanza dall’ipocentro attraverso le caratteristiche delle onde.

Le relazioni che stanno alla base della prevenzione di pericolosità sismica, solitamente, esprimono i parametri del terremoto in funzione della magnitudo, della distanza o di altri variabili. Tali relazioni sono state sviluppate attraverso analisi di regressione sui dati raccolti in occasione degli eventi sismici e, come tali, cambiano ogni

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qualvolta una nuova scossa sismica si aggiunge al database. Solitamente, queste relazioni sono basate sulle seguenti osservazioni:

• La Magnitudo di un terremoto è tipicamente definita come il logaritmo di un

parametro dell’ampiezza, pertanto se Y è un generico parametro del moto sismico, lnY potrebbe essere proporzionale alla Magnitudo.

• I valori di picco del moto sismico, solitamente hanno una distribuzione

logaritmica, pertanto le regressioni lineari vengono eseguite sul logaritmo di Y piuttosto che su Y.

• La dispersione delle onde di volume che si verifica quando queste si allontanano

dall’ipocentro, genera una diminuzione delle ampiezze direttamente proporzionale alla distanza percorsa R, mentre per le onde di superficie la diminuzione è proporzionale a •R.

• L’area nella quale si manifesta la frattura che genera la scossa sismica aumenta

all’aumentare della magnitudo, per questo motivo, alcune onde che producono una scossa sismica in un certo sito arrivano da una certa distanza R ed altre arrivano da una distanza maggiore.

Queste ed altre osservazioni sono state combinate per ottenere equazioni empiriche talvolta di forma piuttosto complessa, che mettono spesso in conto le caratteristiche del terreno (terreno alluvionale, roccia….) o della sorgente.

Relazioni di prevenzione che hanno come oggetto parametri che decrescono con l’aumentare della distanza (come accelerazione di picco e velocità di picco) sono le cosiddette leggi di attenuazione. Dal momento in cui l’accelerazione di picco è il parametro più comunemente utilizzato nel definire il moto sismico, negli anni, sono state sviluppate molte leggi di attenuazione a riguardo, e, tali relazioni, sono diventate più precise ogni volta che nuove registrazioni arricchivano il numero di dati su cui eseguire regressioni.

Nel 1981, Campbell mise in relazione dati raccolti su eventi sismici in ogni parte del mondo per giungere alla relazione:

] 0606 , 0 ln[ 09 , 1 868 , 0 141 , 4 ) ( ln PHA g = − + MR + (0,7M) (2.5) 37 , 0 lnPHA = σ (2.6)

dove M è la magnitudo locale e R è la distanza più vicina alla frattura che ha generato il sisma, in chilometri. Mentre •ln(y), in generale, rappresenta l’incertezza nel calcolare il

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parametro Y secondo tale relazione. In questa legge di attenuazione relativamente semplice, l’accelerazione di picco (PHA) viene calcolata solamente in funzione della

Magnitudo e della distanza, mentre •lnPHA viene considerato costante. Altre leggi di

attenuazione più complesse furono sviluppate in seguito, tra queste quella di Campbell e Bozorgnia (1994) e quella di Boore et al. (1993), le quali, oltre ai parametri di magnitudo e distanza mettono in conto anche le caratteristiche geologiche del sito e le caratteristiche della sorgente.

Alla luce di queste considerazioni e di quelle illustrate nel paragrafo precedente, si comprende quanto sia difficile compiere una stima della pericolosità sismica in una determinata area.

2.2-Approccio probabilistico

A causa delle conoscenze ancora molto limitate dei processi fisici alla base dei terremoti, nessun modello fisico è ancora riuscito a descrivere il ciclo sismico in maniera praticamente utilizzabile.

Il differente approccio sismologico con cui può essere realizzata la definizione della pericolosità sismica ha portato allo sviluppo di due metodi diversi e complementari: il metodo probabilistico e quello deterministico.

L’analisi probabilistica, facendo uso delle informazioni disponibili sulla storia sismica, determina il tasso di probabilità che, entro un intervallo di tempo fissato, il moto del suolo superi un certo livello. In tal modo si ottengono informazioni potenzialmente utili, e talvolta sufficientemente attendibili per caratterizzare la pericolosità sismica.

Per una zona fissata la stima del periodo di ritorno degli eventi sismici è basata sull’ipotesi che essi si succedano in modo indipendente nel tempo (ipotesi di Poisson) e le relative stime di probabilità sono ricavate da dati empirici. Questa procedura può introdurre errori rilevanti nella stima della pericolosità sismica di un dato sito, soprattutto in considerazione delle limitate osservazioni sismologiche e del modello “Multi-Scala” (MS) della sismicità. Secondo tale modello, quando si stima la pericolosità sismica seguendo il metodo probabilistico, la zonazione sismica deve essere effettuata a diverse scale, ossia le zone sismogenetiche devono essere sufficientemente grandi da garantire l’applicabilità, nell’intervallo di magnitudo considerato, della legge di Gutemberg-Richter (GR), che è stata enunciata per eventi di dimensioni trascurabili rispetto a quelli della zona in esame.

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La relazione fra la frequenza e la magnitudo degli eventi (legge di Gutenberg-Richter) risulta, di fatto, soddisfatta su scala globale. L’utilizzo di tale legge per la caratterizzazione dell’attività sismica in un volume spazio limitato risulta, tuttavia, molto problematico.

Su scala globale, il numero cumulativo N di terremoti con magnitudo superiore ad M può essere espresso dalla legge di Gutenberg-Richter (GR):

M b a N = − ⋅ 10 log (2.7)

dove a è il numero totale dei terremoti nella regione d'interesse e b è una costante che caratterizza la sismicità di una particolare regione. La pendenza della curva Gutenberg-Richter, data dal valore di b, è generalmente prossima all'unità. Le variazioni del valore di b che talvolta si sono osservate da regione a regione, possono dipendere dal catalogo della sismicità consultato, dal metodo di stima utilizzato o del range di magnitudo considerato.

Nel grafico sono riportati i terremoti avvenuti nel mondo nel 1995 con magnitudo M>4: la linea rossa rappresenta la legge di scala Gutenberg-Richter con b = 1.

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Leggi di questo tipo sono molto comuni in natura, la semplice relazione GR, tuttavia, può non valere se si considerano aree piccole ed intervalli di tempo brevi. Nell’originaria formulazione globale di Gutenberg e Richter tutti i terremoti possono essere considerati dei punti, sebbene le sorgenti sismiche (rappresentabili fisicamente come porzioni di faglia immerse nella litosfera) abbiano dimensioni finite, che possono raggiungere, per i terremoti più forti, le migliaia di chilometri. Secondo la legge empirica:

L

M = 5,1+1,2⋅log10 (2.8)

che lega la magnitudo M alla lunghezza L della sorgente sismica, per un terremoto di magnitudo M=9 la lunghezza L può raggiungere i 200 km. Quindi, in ogni caso, i terremoti hanno dimensioni trascurabili rispetto a quelle della Terra. Tuttavia se l’analisi della sismicità è effettuata entro un’area delimitata, non è detto che la GR sia applicabile nell’intervallo di magnitudo disponibile, perché gli eventi con magnitudo maggiori finiscono con l’avere dimensioni confrontabili con quelle dell’area studiata e, quindi, per essi non vale più l’approssimazione puntiforme.

In tal caso, la distribuzione frequenza-magnitudo presenta una buona linearità solo per le magnitudo inferiori, mentre spesso tale distribuzione mostra un aumento della pendenza al di sopra di una certa magnitudo.

2.3 Definizione di pericolosità e di rischio sismico

Negli ultimi decenni, in Italia, il rischio sismico e la sua riduzione sono diventati oggetto di numerosi studi, studi che comportano una pluralità di linee e temi di ricerca. È noto, infatti, che l’entità del rischio sismico dipenda da 3 fattori, legati rispettivamente alla natura, frequenza e livello degli eventi attesi, alla natura, qualità e quantità dei beni esposti, alla capacità dei beni esposti di resistere alle scosse sismiche.

Ovvero, mentre la pericolosità sismica di un area dipende dal livello dei terremoti che in essa possono avvenire, il rischio sismico dipende, oltre che dalla pericolosità sismica, anche dagli effetti che i terremoti suddetti possono produrre, in relazione alle attività che si svolgono nell’area suddetta ed alle caratteristiche delle strutture che vi si trovano.

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Possiamo quindi definire il rischio sismico caratterizzandolo attraverso l’interazione tra:

• la pericolosità sismica;

• la vulnerabilità dei manufatti;

• l’esposizione, inclusi gli effetti socio-economici.

La pericolosità sismica di un’area è la probabilità che, in un certo intervallo di tempo, essa sia interessata da forti terremoti che possono produrre danni.

La vulnerabilità sismica consiste nella valutazione della propensione di persone, beni o attività a subire danni al verificarsi dell'evento sismico. Essa misura da una parte la perdita o la riduzione di efficienza, dall'altra la capacità residua a svolgere e assicurare le funzioni che il sistema territoriale nel complesso normalmente esplica a regime. Nell'ottica di un analisi completa della vulnerabilità si pone il problema di individuare non solo i singoli elementi che possono collassare sotto l'impatto del sisma, ma di individuare e quantificare gli effetti che il loro collasso determina sul funzionamento del sistema territoriale. L’Italia ha una vulnerabilità delle costruzioni presenti sul territorio molto elevata poiché la maggior parte di queste è stata costruita senza criteri antisismici.

L’esposizione esprime il valore delle perdite causate dal terremoto: economiche, artistiche, culturali, morti, feriti e senzatetto. L’esposizione, si riferisce alla quantità e qualità dei beni esposti. Esso è quindi in qualche modo connesso al valore di quanto può essere distrutto dal terremoto. Tale fattore, pertanto, nel nostro Paese si attesta su valori altissimi, in considerazione dell’alta densità abitativa, della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo, etc. In questo senso è particolarmente significativo l’evento del 1997 in Umbria e Marche, che ha fortemente danneggiato circa 600 chiese ed, emblematicamente, la basilica di S. Francesco d’Assisi, mettendo in evidenza proprio il problema della particolare esposizione del patrimonio culturale del nostro paese.

Le informazioni sull’esposizione di un sito vengono raccolte in una fase preliminare dello studio di rischio sismico; così come la valutazione della vulnerabilità, la valutazione dell’esposizione viene effettuata tramite un censimento nell’area di interesse.

Nel caso di una campagna di rilievo di vulnerabilità, ai fini conoscitivi o di prevenzione sismica del patrimonio edilizio, la compilazione di una scheda di censimento costituisce un passaggio fondamentale per creare un database tramite il rilevamento dei dati. Tale scheda viene generalmente compilata per singoli edifici, e, oltre ai dati necessari di localizzazione dell’edificio, destinazione d’uso e informazioni metriche,

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contiene parametri specifici ai fini della valutazione di vulnerabilità, descrivendo le caratteristiche strutturali, la natura dei collegamenti, la regolarità dell’edificio, il tipo di fondazione, etc..

In passato la Regione Toscana e il GNDT (Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti) hanno stipulato una convenzione finalizzata alla valutazione della vulnerabilità sismica in alcune aree della Toscana.

Quando si effettuano stime di esposizione, occorre tenere presente che oggi, un evento sismico, può mettere in crisi l’assetto socio-economico anche di grandi aree, con possibili conseguenze sull’economia di tali aree e non solo, in considerazione della complessità delle società tecnologicamente avanzate, come anche quella italiana. Il terremoto che nel 1995 colpì Kobe (ove è situato uno dei porti più importanti del mondo), ad esempio, fu il primo caso storico di evento a colpire una concentrazione urbana industrializzata, producendo gravissimi danni al sistema edilizio, viario e, in particolare, produttivo.

Per definire invece la pericolosità sismica, in senso probabilistico, possiamo dire che questa è la probabilità che un valore prefissato di pericolosità, espresso da un parametro di moto del suolo (quale ad es. l’accelerazione massima PGA o il grado di intensità macrosismica), venga superato in un dato sito entro un fissato periodo di tempo che viene generalmente indicato come periodo di ritorno. Il tempo di ritorno è il tempo di attesa stimato tra un evento sismico ed il successivo con medesime caratteristiche in una determinata zona. Statisticamente, il tempo di ritorno è definito come l'inverso della probabilità di accadimento e può essere stabilito secondo la relazione seguente:

) 1 ln( L L R P T T − − = (2.9)

Dove TL indica la vita utile della struttura e PL la probabilità di superamento riferita all’evento in esame. Da questa relazione, infatti, è possibile osservare che ad un evento che abbia la probabilità del 10% di essere superato in 50 anni corrisponde un periodo di ritorno pari a 475 anni.

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Valutazione della pericolosità sismica attraverso un metodo probabilistico: zone sismogenetiche

In letteratura sono disponibili numerosi metodi per la determinazione della pericolosità sismica in un sito, metodi che tentano di ovviare in vari modi alla scarsità di dati dovuta al fatto che i terremoti in un singolo sito sono eventi fortunatamente abbastanza rari; i risultati che si ottengono possono, tuttavia, variare anche in modo significativo da metodo a metodo (Mayer-Rosa e Schenk, 1989). I metodi più diffusi si basano sulla individuazione di zone o strutture sismogenetiche “omogenee” all’interno delle quali si ipotizza una distribuzione spaziale uniforme delle sorgenti (Cornell, 1968; McGuire 1976); una volta caratterizzata la sismicità di tale zone, è possibile ricavare direttamente la distribuzione degli eventi al sito in termini di tempi di attesa e di intensità. È stato mostrato (Grandoni et al., 1991) che l’ipotesi di omogeneità, raramente verificata nella realtà, soprattutto nel caso di geologie complesse, può portare ad errori molto elevati nella stima della pericolosità al sito.

Nelle valutazioni di pericolosità sismica che utilizzano l'approccio Cornell ogni zona sorgente, rappresentata da un poligono, viene assunta come omogenea; all'interno di essa i terremoti possono verificarsi in ogni punto con la medesima probabilità e sono distribuiti casualmente ("spalmatura" degli eventi). E' bene sottolineare che le zone sismogenetiche concepite in questa prospettiva rappresentano una combinazione ragionata di elementi geologici e sismologici e non, viceversa, un profilo di elementi geologici nel quale si innesta, successivamente, un catalogo sismico. In altre parole, geometria delle zone e interessi di sismicità sono entrambi elementi costitutivi della zonazione.

Ora, l'assunzione che terremoti di magnitudo medio-alta possano verificarsi con la stessa probabilità in un punto qualsiasi di una certa zona rappresenta, ovviamente, una sovrasemplificazione. Ciascuna zona sismogenetica in Italia, infatti, è caratterizzata da un sistema di strutture sismogenetiche che è correlato, in termini di geometria e cinematica, con i sistemi attivi delle zone adiacenti. Ciascuna zona rappresenta in sostanza la proiezione in superficie di un segmento più o meno lungo di un sistema di faglie attive capaci di generare terremoti; essa contiene quindi uno o più segmenti di faglie maggiori, responsabili degli eventi di più alta energia, e numerose faglie minori associate, responsabili degli eventi di più bassa energia. In questo senso i valori di sismicità di ciascuna zona, comunque vengano calcolati, rappresentano valori che spesso mediano fra caratteristiche di rilascio dell'energia molto diverse fra loro.

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La sovrasemplificazione che è stata introdotta assumendo zone al loro interno omogenee ha rappresentato dunque un prezzo coscientemente pagato per procedere in tempi ragionevoli a valutazioni di pericolosità sismica relative all'intero territorio nazionale che tenessero conto in qualche modo delle informazioni disponibili.

Va infine osservato che, di fatto, il criterio di suddivisione in zone sismogenetiche adottato in Italia (ZS9) identifica 80 zone indipendenti ciascuna dall'altra e che il catalogo sismico, costruito in stretta connessione con la zonazione, può essere inteso come la somma di 80 sottocataloghi indipendenti. La figura seguente rappresenta la suddivisione del territorio nazionale in zone sismogenetiche:

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Le lettere, indicano le diverse placche di appartenenza, ovvero i differenti elementi strutturali e cinematici di ordine maggiore di cui le 80 zone sismogenetiche fanno parte, le aree rappresentate, infatti, appartengono a meccanismi cinematici differenti e, di conseguenza anche gli spostamenti attesi saranno diversi, così come vengono elencati di seguito e illustrati nella figura successiva come risultato di un’analisi sismotettonica:

a. zone legate alla convergenza Adria-Europa.

b. Zone di trasferimento Alpi-Appennino e Mar Ligure.

c. Zone legate allo sprofondamento passivo della litosfera adriatica sotto il sistema di catena nell'Arco Appenninico Settentrionale.

d. Zone legate alla disattivazione del sistema catena-avanfossa nell'Appennino e. Zone dell'Arco Calabro, verosimilmente legate alla subduzione passiva della

litosfera ionica, e Sicilia Settentrionale. f. Zone legate alla divergenza Africa-Adria.

g. Zone di avampaese, con diversi comportamenti cinematici. h. Zone in aree vulcaniche attive.

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Figura 2.4. Meccanismi cinematici. Fonte: INGV.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) si è posto l'obiettivo di tracciare una mappa di pericolosità sismica, a scala nazionale, in termini di probabilità di scuotimento al suolo, pertanto ha calcolato l’accelerazione al suolo attesa per un periodo di ritorno di 475 anni (probabilità di superamento del 10% in 50 anni) ai vertici di una maglia piana di passo 0,05°.

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Il risultato può essere espresso per mezzo di una mappa come quella in figura in cui è rappresentato il valore di accelerazione di picco al suolo (PGA) atteso per un tempo di ritorno pari a 475 anni:

Figura 2.5. Mappa di pericolosità del territorio nazionale. Fonte: INGV.

La carta, mostra i valori del picco di accelerazione atteso al suolo su sito rigido di riferimento (per definizione Vs>800 m/sec, suolo di categoria A, p.to 3.2.1 D.M

14/09/2005); gli intervalli (pari a 0.025g, circa 24.5 cm/s2) sono quelli previsti

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La figura seguente mostra la stessa mappa di pericolosità, costruita sui vertici di una maglia di passo 0,05°, riferita alla regione Toscana:

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Per riassumere i concetti appena descritti, possiamo dire che per ciascuna zona, è possibile, consultando il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI), definire una legge di ricorrenza del tipo di quella di Gutenberg-Richter, il che significa individuare i parametri a e b che legano la magnitudo dei terremoti al logaritmo della frequenza in una certa zona. Inoltre, deve essere nota anche la legge di distribuzione degli eventi di una certa intensità in funzione della distanza tra sito in esame e sorgente. Le ordinate di un diagramma di distribuzione degli eventi, normalizzato, rappresentano la probabilità che in un certo sito, un evento di una certa intensità, si verifichi ad una certa distanza.

Tramite le leggi di attenuazione, inoltre, è possibile conoscere il valore di un certo parametro del moto Y, per un terremoto che si verifica con una certa magnitudo, ad una certa distanza dal sito in esame.

A questo punto, la probabilità che un parametro del moto Y (che può essere, ad esempio la PHA) ecceda un certo valore Y* può essere calcolata per un terremoto di una certa magnitudo che si verifica ad una certa distanza dal sito in esame. Per far questo occorre combinare (attraverso, ad esempio, la relazione di Cornell), per il sito in esame, la probabilità che si verifichi un terremoto con quella specifica magnitudo con la probabilità che un terremoto si verifichi a quella data distanza. Il procedimento viene ripetuto per tutte le possibili magnitudo e per tutte le possibili locazioni di sorgenti, andando a considerare le probabilità di ciascun evento.

Le curve di rischio sismico, infine, possono essere combinate con il modello di Poisson per stimare la probabilità di superamento di un certo valore, in un intervallo di tempo finito, ovvero, è possibile scrivere la probabilità di superamento del valore Y* in un intervallo di tempo T nella forma:

T T Y e Y Y P( > *) =1− −λ *⋅ (2.10)

Tale relazione, è utilizzata più frequentemente nella forma inversa, quando cioè è necessario conoscere il valore di un parametro che ha una certa probabilità di eccedenza P nella via utile di una struttura TL, otteniamo quindi la relazione:

L T Y T Y Y P( )] 1 ln[ * * > − = λ (2.11)

(20)

Da questa relazione è possibile conoscere l’accelerazione di picco che ha una certa probabilità di superamento in un certo intervallo di tempo per ogni sito, quindi, tracciare le mappe di rischio sismico che stanno alla base della normativa.

Avendo una distribuzione degli eventi di tipo Gaussiano possiamo conoscere la probabilità di superamento di un evento in un certo sito in funzione della magnitudo o della distanza. In alcuni casi, comunque, può essere utile conoscere la magnitudo che si verifica più spesso o le distanze tra sito in esame ed epicentro più frequenti. Tramite questo procedimento di deaggregazione, si possono individuare coppie di valori

(magnitudo - distanza) che possono essere utilizzate per selezionare un terremoto

naturale che si è già verificato. Difatti, nelle scelta degli accelerogrammi utilizzati per le analisi di risposta sismica, come verrà illustrato in seguito, sono state utilizzate due differenti coppie di valori magnitudo-distanza (Mensi et al., 2004; Lai et al., 2005).

Figura

Figura 2.1: spettro di risposta. Fonte: Kramer S. (1996).
Figura 2.2. Relazione di Gutenberg-Richter
Figura 2.3. Mappa delle zone sismogenetiche in Italia. Fonte: INGV.
Figura 2.4. Meccanismi cinematici. Fonte: INGV.
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