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Circolazione europea della conciliazione-titolo esecutivo - Judicium

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Academic year: 2022

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Mauro Bove

Circolazione europea della conciliazione-titolo esecutivo 1. Premessa

La conciliazione raggiunta in via stragiudiziale ai sensi del d.lgs. n. 28 del 2010, oltre a rappresentare un contratto che fissa una norma concreta di superamento della controversia giuridica, può anche, come è noto, diventare titolo esecutivo, nel momento in cui il detto contratto è documentato in un certo modo. La via “maestra” per giungere alla formazione di un titolo esecutivo è quella tracciata dall’art. 12 del medesimo d.lgs., seguendo la quale si può ottenere un titolo esecutivo, per così dire, a tutto tondo, in quanto il verbale omologato dal presidente del tribunale competente può fondare qualsiasi tipo di esecuzione forzata, sia essa per espropriazione sia essa in forma specifica, nei due moduli dell’esecuzione per consegna o rilascio e dell’esecuzione per obblighi di fare. Ma è anche possibile che il titolo esecutivo si raggiunga per altra via, affidandosi ad un notaio, così versando le parti il loro accordo conciliativo in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata. Nel primo caso esse avranno un titolo esecutivo che può fondare un’esecuzione per espropriazione ed un’esecuzione per consegna o rilascio. Nel secondo caso, invece, sarà perfezionato un titolo esecutivo che può fondare solo un’esecuzione per espropriazione.

Senza voler ulteriormente approfondire le questioni che suscitano la lettura degli articoli 11 e 12 del d.lgs. n. 28 del 20101, la domanda a cui vorremmo rispondere qui è: può un verbale di conciliazione siglato in Italia o in altro Paese dell’Unione europea circolare negli altri Stati dell’Unione? E, se la risposta è positiva, eventualmente secondo quali strumenti giuridici?

È di tutta evidenza quanto, trattandosi in questo ambito di controversie sia civili sia commerciali, rispondere alle dette domande possa essere nella pratica assai importante sia per le relazioni tra persone fisiche che non operino come professionisti sia nelle relazioni tra imprenditori, assumano essi la forma societaria o meno.

Per rispondere a queste domande, occupandoci sia delle conciliazioni “interne” sia di quelle

“transfrontaliere”, ossia di quelle siglate tra parti domiciliate in Stati europei diversi2, bisogna distinguere a seconda del tipo di documentazione dell’accordo conciliativo ed anche a seconda del tipo di obbligo da attuare esecutivamente.

2. Scrittura privata autenticata e atto pubblico

Molto rapido è il discorso ove l’accordo conciliativo sia versato in una scrittura privata autenticata. Invero questo documento, che è titolo esecutivo in Italia relativamente alle somme di denaro in essa contenute (art. 474, 2° comma, n. 2, c.p.c.) non può circolare nello spazio europeo né ai sensi dell’art. 25 del reg. n. 805 del 2004 né ai sensi dell’art. 57 del reg. n. 44 del 2001, perché in entrambe queste disposizioni ci si riferisce propriamente ad un atto pubblico3.

Se, invece, l’accordo è versato in un atto pubblico, esso, nei limiti in cui è titolo esecutivo nel suo Stato d’origine, circola nello spazio europeo diversamente a seconda che si riferisca al pagamento di una somma di denaro ovvero alla pretesa di consegnare una cosa mobile o rilasciare

1 Sulle quali vedi, tra gli altri, LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano 2011, 46 ss.; TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Torino 2011, 251 ss.; CAPPONI, Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione, in Riv. esec. forz. 2011, 1 ss.; SANTI, Sub art. 11, in M. Bove (a cura di), La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Padova 2011, 272 ss.; MINELLI, Sub art. 12, ivi, 289 ss.;

CENNI, FABIANI, LEO, Manuale della mediazione civile e commerciale, Napoli 2012, 253 ss.; se vuoi, BOVE, L’accordo conciliativo, in Le Società 2012, 82 ss.

2 Cfr. la definizione che si trova nell’art. 2 della Direttiva Ce n. 52/08. In questo scritto si assume, così, la stessa prospettiva metodologica già scelta da D’ALESSANDRO, Il conferimento dell’esecutività al verbale di conciliazione stragiudiziale e la sua circolazione all’interno dello spazio giudiziario europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2011, 1157 ss. 3 Cfr. D’ALESSANDRO, 1160 nt. 7.

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un bene immobile. In riferimento al primo tipo di obbligazione soccorre l’art. 25 del reg. n. 805 del 2004, mentre in riferimento al secondo tipo di pretesa la circolazione è assicurata dall’art. 57 del reg.

n. 44 del 2001. Nel primo caso si ha la formazione di un titolo esecutivo europeo che, una volta costituitosi come tale nello Stato di origine, circola in ogni altro stato dell’Unione (con la nota eccezione della Danimarca, che non ha partecipato all’adozione del reg. n. 805/2004). Nel secondo caso, invece, l’atto pubblico avente efficacia esecutiva nello Stato di origine acquista la stessa efficacia solo nello Stato in cui viene invocata l’applicazione del detto art. 57 reg. n. 44 del 2001.

3. Verbale di conciliazione omologato su liti “interne”

Immaginando che l’accordo conciliativo riguardi un affare che non abbia i caratteri della transnazionalità, come definiti dall’art. 2 della Dir. Ce n. 52/08, e che, raggiunto in uno Stato membro dell’Unione, venga omologato, ossia munito di exequatur, secondo le sue leggi, ci si chiede se ed eventualmente attraverso quali vie esso possa fondare un’esecuzione forzata da svolgersi in uno Stato dell’Unione diverso da quello di origine.

Per trovare una soluzione bisogna distinguere a seconda che venga in gioco l’obbligo di pagare una somma di denaro ovvero l’obbligo di consegnare una cosa o rilasciare un immobile o anche l’obbligo di fare.

Nel primo caso soccorre ancora il reg. n. 805 del 2004, precisamente nel suo art. 24. Ciò significa che varranno tutti i principi che sono enucleabili da questo regolamento4. In particolare il principio per cui, una volta formatosi il TTE nel suo Stato di origine, questo circola in tutti gli altri Stati dell’Unione (a parte la Danimarca), fermo restando che in ognuno di questi l’esecuzione forzata si svolgerà diversamente a seconda delle diverse leggi processuali. Peraltro, il fatto che, mentre in gran parte degli Stati europei la concedibilità dell’exequatur è condizionata al consenso di entrambe le parti5, in Italia al contrario basta l’istanza dell’interessato, non consente, ad esempio, di proporre un’opposizione all’esecuzione in Germania avverso un accordo conciliativo omologato in Italia, perché, come da altri è stato giustamente rilevato, «L’art. 24 reg. Ce n. 805 del 2004, ai fini della circolazione, reputa sufficiente che il verbale di conciliazione sia esecutivo nello Stato membro di origine, lasciando a quest’ultimo ordinamento la libertà di individuare a proprio piacimento i requisiti a cui subordinare il conferimento dell’efficacia esecutiva»6.

Ove, invece, il verbale omologato riguardi una pretesa alla consegna o al rilascio o anche un’obbligazione di fare si ha solo la certezza in negativo dell’inutilizzabilità, quale strumento per la sua circolazione, del citato art. 24 del reg. n. 805 del 2004, appunto perché questo si applica solo quando sono in gioco somme di denaro. L’unico appiglio, allora, per poter immaginare una circolazione nello spazio europeo di un simile atto sta nell’art. 58 del reg. n. 44 del 2001, ai sensi del quale «Le transazioni concluse davanti al giudice nel corso di un processo ed aventi efficacia

4 Non è questo il luogo per soffermarvisi. Ma si ricordi come il detto regolamento rappresenti una fondamentale tappa verso l’abolizione dell’exequatur, al fine di far circolare prodotti giudiziari nello spazio europeo senza neanche quel minimo di controllo che pur il reg. n. 44 del 2001 ancora prevede nello Stato ricevente. Inoltre, per mezzo dell’applicazione del reg. n. 805 del 2004 emerge un vero e proprio TTE, per cui lo stesso atto non può, in ipotesi, essere titolo esecutivo in uno Stato e non anche in altri Stati dell’Unione. Sulle varie problematiche vedi, fra gli altri, DE CRISTOFARO, La crisi del monopolio statale dell’imperium all’esordio del titolo esecutivo europeo, in Int’l Lis 2004, 141 ss.; CONSALVI, Il titolo esecutivo europeo in materia di crediti non contestati, in Riv. esec. forz. 2004, 647 ss.; CARPI, Dal riconoscimento delle decisioni all’esecuzione automatica, in Riv. dir. proc. 2005, 1127 ss.; DE CESARI, Decisioni giudiziarie certificabili quali titoli esecutivi europei nell’ordinamento italiano, in Foro it. 2006, V, 103 ss.; OLIVIERI, Il titolo esecutivo europeo e la sua attuazione nell’ordinamento italiano, in Riv. esec. forz. 2002, 62 ss.; FUMAGALLI, Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati nel regolamento comunitario n. 805/2004, in Riv. internaz. Priv. E proc. 2006, 25 ss.; DE STEFANO, L’insindacabilità del titolo esecutivo europeo nell’ordinamento italiano, in Riv. esec. forz. 2009, 52 ss.

5 Vedi la panoramica di BESSO, L’attuazione della direttiva europea n. 52/2008: uno sguardo comparativo, in corso di pubblicazione in Riv. trim. dir. proc. civ., § 4.5.

6 D’ALESSANDRO, op. cit., 1169.

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esecutiva nello Stato membro d’origine hanno efficacia esecutiva nello Stato membro richiesto alle stesse condizioni previste per gli atti pubblici».

La lettera della citata disposizione sembra non aiutare. Ed, infatti, proprio fondandosi su quella lettera, c’è stato chi ha negato qui l’applicabilità della disposizione in oggetto, affermando che essa si riferisce appunto solo alle conciliazioni giudiziali7. Ma francamente a me sembra che si possa fare uno sforzo interpretativo e ritenere che l’art. 58 del reg. n. 44 del 2001 si riferisca, non solo alle conciliazioni raggiunte di fronte al giudice del processo dichiarativo, ma anche a quelle che, pur concludendosi stragiudizialmente, vengano poi fatte proprie del giudice con l’omologazione8. Questa conclusione potrebbe essere supportata da due argomenti.

Il primo di ordine “interno”. Invero, quando nell’art. 474, 2° comma, n. 1) è stata inserita la categoria dei c.d. “altri atti”, è evidente come il legislatore abbia voluto far rientrare in generale nella stessa categoria di titoli giudiziali tutti gli atti che si pongono in essere in cooperazione tra i privati ed il giudice, in ciò tracciando un forte parallelo tra le conciliazioni giudiziali e quelle che, pur essendo perfezionate in via stragiudiziale, assurgono tuttavia a titoli esecutivi giudiziali con l’omologazione concessa da un giudice dello Stato9.

Il secondo di ordine comunitario dovrebbe essere tratto dal Considerando (20) della Dir. n.

52/0810, ai sensi del quale «Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione reso esecutivo in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli altri Stati membri in conformità della normativa comunitaria o nazionale applicabile, ad esempio in base al regolamento (CE) n. 44/2001 (…)». Ebbene, a quali strumenti tratti dal reg. n. 44 del 2001 si dovrebbe pensare se non proprio all’art. 58? Se si escludesse questo riferimento, rimarrebbe solo la richiamabilità dell’art. 57, che, però, si riferisce ad un caso, diciamo così, anomalo, ossia il caso in cui la conciliazione stragiudiziale, piuttosto che essere versata in un verbale poi omologato secondo le norme sulla mediazione, sia invece versato in un atto di fronte al notaio, cosa che può accadere per qualsiasi contratto, al di fuori del contesto normativo peculiare della mediazione rivolta alla conciliazione.

4. Conciliazioni transfrontaliere

Un discorso a parte meritano le conciliazioni concluse tra parti domiciliate in Stati diversi dell’Unione, per le quali ovvio punto di partenza è il già citato Considerando (20) della Dir. n.

52/08, che auspica la circolazione delle conciliazioni riuscite nello spazio europeo, facendo uso sia di strumenti comunitari, come il reg. n. 44 del 2001, che è citato nello stesso Considerando, sia di strumenti nazionali.

Il richiamo alla normativa nazionale di ogni Stato membro sembra dover far ritenere che ogni conciliazione transfrontaliera conclusa in uno Stato possa poi essere munita di exequatur in altro Stato dell’Unione, ovviamente secondo la legge dello Stato ricevente. Quindi, sembra che l’interessato possa evitare il doppio exequatur, cercando di ottenerlo solo nel Paese in cui vuole svolgere l’esecuzione forzata. Ciò ovviamente sempre che la legislazione dello Stato ricevente consenta o quantomeno non vieti una simile via11.

Ma la questione può complicarsi e, per vederne i vari aspetti, è bene distinguere a seconda che si tratti di una conciliazione siglata in Italia che si voglia portare in esecuzione in altro Stato

7 Così LUISO, op. cit., 54.

8 Mi sembra nella giusta linea D’ALESSANDRO, op. cit., 1171.

9 Sulla questione vedi, se vuoi, BOVE, Il titolo esecutivo, in BALENA, BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, 117 ss., spec. 122.

10 Anche se questo Considerando, come del resto la Direttiva in cui esso è inserito, si riferisce alle controversie transfrontaliere, mentre nel testo si sta parlando di verbali di conciliazioni relativi a controversie interne.

11 Cfr. D’ALESSANDRO, op. cit., 1174.

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dell’Unione ovvero, al contrario, di una conciliazione che sia conclusa in altro Paese europeo e che su di essa si voglia intraprendere un processo esecutivo in Italia.

Se l’interessato vuole spendere un verbale di conciliazione “italiano” come titolo esecutivo in altro Paese europeo, egli può, abbiamo detto, tentare di ottenere l’exequatur direttamente in quello Stato, secondo la sua legge. Ma, come pur abbiamo rilevato, in gran parte degli Stati europei l’omologazione della conciliazione è possibile solo in base a meccanismi che si fondano sul consenso di entrambe le parti, con ciò essendosi i legislatori nazionali attenuti alla disposizione

“minimale” contenuta nell’art. 6 della Dir. n. 52/08, ai sensi della quale «Gli Stati membri assicurano che le parti, o una di esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo. Il contenuto di tale accordo è reso esecutivo salvo se, nel caso in questione, il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività». Ed, allora, posto che, invece, in Italia il legislatore è andato oltre quella disposizione “minimale”, prevedendo che l’exequatur del verbale di conciliazione sia richiedibile sulla sola istanza unilaterale dell’interessato, c’è stato chi ha proposto per le conciliazioni “italiane” che si vogliano esportare l’utilizzabilità di una via più indiretta: prima, si è detto, l’interessato può chiedere l’omologazione al giudice italiano ai sensi dell’art. 12 del d.lgs.

n. 28 del 2010 e poi egli può esportarlo per mezzo dello strumento offerto dall’art. 24 del reg. n.

805 del 2004, se si tratta di attuare un’obbligazione pecuniaria, ovvero seguendo la via tracciata dall’art. 58 del reg. n. 44 del 2001, se trattasi di una pretesa alla consegna di una cosa o al rilascio di un immobile o ancora di un obbligo di fare12. In tal modo le conciliazioni “italiane” sarebbero trattate tutte alla stessa maniera, siano esse relative ad affari interni siano esse relative ad affari transnazionali.

Ora, questa proposta può essere accolta, ma solo a condizione che non sorgano difficoltà dallo stesso tenore del citato art. 12 del d.lgs. n. 28/2010. In questo, fissata la competenza funzionale a concedere l’exequatur in capo al presidente del tribunale, si prevedono poi due diverse regole di competenza per territorio, a seconda che trattasi di un verbale relativo ad una controversia interna ovvero di un verbale relativo ad una controversia transnazionale. Nel primo caso ci si ancora al luogo in cui ha sede l’organismo che ha gestito la mediazione, facendo, quindi, intendere che le conciliazioni interne sono omologabili in Italia solo a condizione che esse siano state gestite da organismi italiani, ossia accreditati in base allo stesso d.lgs. n. 28/2010. Nel secondo caso, invece, è indicata la competenza del presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione, facendo così intendere, o almeno questo a me pare ragionevole, che sia omologabile in Italia un accordo che abbia risolto una controversia transnazionale a prescindere dall’organismo che lo abbia gestito, o meglio a prescindere dal fatto che esso sia istituito secondo la legge italiana ovvero secondo la legge di altro Stato della Unione.

Se questo è il quadro di riferimento, allora una conciliazione che abbia risolto una lite transnazionale, quand’anche gestita da un organismo italiano, può ottenere l’omologazione solo presso il tribunale nel cui circondario esso deve trovare attuazione e mai, invece, presso il tribunale in cui risiede quel certo organismo. Ma, allora, per accogliere l’idea sopra indicata è necessario che nel caso concreto ci sia, non solo un luogo di esecuzione all’estero, che rappresenta il presupposto che fonda l’interesse ad esportare l’accordo conciliativo, ma anche un luogo di esecuzione in Italia, perché, se così non fosse, non si avrebbe un giudice in Italia a cui chiedere l’exequatur. Ciò significa che, in realtà, quella via indiretta è in concreto immaginabile solo per le obbligazioni pecuniarie e solo con l’intendere il “deve” avere esecuzione, di cui parla l’ultimo inciso dell’art. 12 del d.lgs. n. 28/2010 come un “può” avere esecuzione.

12 Così D’ALESSANDRO, op. cit., 1174.

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Insomma, qui rileva la distinzione tra esecuzione per espropriazione ed esecuzione in forma specifica. La prima è caratterizzata dal fatto che l’oggetto dell’aggressione non coincide col bene dovuto, dovendo quello essere individuato nel processo esecutivo al fine di ottenere questo. La seconda, al contrario, è caratterizzata dal fatto che il bene oggetto dell’aggressione coincide col bene dovuto ed entrambi sono, non già individuati per mezzo del processo esecutivo, bensì, già nell’atto costituente titolo esecutivo. Ora, se si guarda alle norme sulla competenza per territorio che presiedono all’attività esecutiva, emerge che questa è da ancorare essenzialmente al luogo in cui si trovano i beni sui quali portare l’aggressione esecutiva, scelta direi naturale di un legislatore che si occupa di disciplinare un’attività aggressiva dello Stato. Ed, allora, tornando al nostro problema, è evidente che intanto è possibile chiedere ad un giudice italiano l’omologazione di una conciliazione transnazionale in quanto in un luogo italiano deve/può essere attuata l’esecuzione. Ma, se trattasi della pretesa alla consegna di una cosa o al rilascio di un bene immobile, delle due l’una: o il bene si trova in Italia, ed allora si chiederà l’exequatur in Italia senza che ci sia bisogna di attuare la conciliazione all’estero, oppure quel bene si troverà all’estero, ma allora non sarà richiedibile l’omologazione in Italia, perché l’art. 12 del d.lgs. n. 28/2010 non lo consente. Se, invece, trattasi di un’obbligazione pecuniaria, allora il creditore potrà chiedere l’exequatur ad un giudice italiano se in un luogo italiano ci saranno beni da pignorare o terzi che siano debitori del debitore contro cui procedere ad esecuzione. Ottenuta l’omologazione, poi l’interessato potrà anche munirsi di un TEE ai sensi dell’art. 24 del reg. n. 805 del 2004, al fine di spenderlo in altro Stato europeo, ove il suo debitore abbia colà altri beni.

Veniamo ora al caso in cui la conciliazione transnazionale sia siglata in altro Stato dell’Unione europea e l’interessato voglia attuarla in Italia. Qui, credo, i problemi dovrebbero essere minori, perché in effetti l’interessato potrà ben chiedere l’omologazione in Italia rivolgendosi al giudice nel cui circondario deve essere svolta l’esecuzione forzata. Ciò, ovviamente, si può affermare ove si intenda l’art. 12 del d.lgs. n. 28/2010 nel senso sopra visto, ossia nel senso che la peculiare regola di competenza per territorio dettata in riferimento alla concessione dell’exequatur alle conciliazioni transnazionali implichi l’idea che sia indifferente la sua provenienza nazionale:

può trattarsi di un accordo assistito da un organismo costituito secondo la legge italiana oppure da un organismo costituito secondo la legge straniera.

Se si aderisce a questa prospettiva, si deve anche accettare l’idea che è del tutto legittimo che gli Stati vadano oltre quella disposizione “minimale” prevista nell’art. 6 della Dir. n. 52/08, per cui ben è possibile che, essendo un accordo siglato in Germania, una parte venga, per così dire, sorpresa dall’altra, la quale unilateralmente chiede l’omologazione in Italia, saltando ogni necessario consenso reciproco, che invece sarebbe stato appunto necessario in Germania. Ed ancora si deve accettare l’idea che il giudice italiano, quando gli è chiesta l’omologazione di un accordo

“straniero”, può omologarlo anche se esso è stato assistito da un organismo che non è accreditato secondo la legge italiana.

Negare la detta prospettiva significherebbe depotenziare alquanto la previsione dell’art. 12 del d.lgs. n. 28/2010 in riferimento alla diversa competenza territoriale per l’omologazione delle conciliazioni transfrontaliere, confinandone l’applicabilità alle sole conciliazioni gestite da organismi italiani che siano state siglate tra soggetti domiciliati in Paesi diversi. Con la conseguenza che accordi raggiunti in altri Stati europei potrebbero essere “importati” in Italia solo per mezzo di un doppio passaggio: prima quello dell’omologazione nello Stato di origine e poi, a seconda del tipo di obbligazione in gioco, quello tracciato dall’art. 24 del reg. n. 805 del 2004 ovvero quello tracciato dall’art. 58 del reg. n. 44 del 2001.

Mi rendo conto che la questione è aperta. Ma non nascondo la mia propensione per la prima soluzione.

5. Accordo conciliativo e misure coercitive

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Se l’accordo conciliativo prevede obbligazioni infungibili e l’obbligato non coopera, l’avente diritto che voglia attuare la sua pretesa ha bisogno della previsione di misure coercitive. Come è noto in Italia è prevista una misura coercitiva di carattere generale nell’art. 614-bis c.p.c., la quale, come è altresì noto, consiste nella condanna a pagare una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva, con la quale il giudice del processo dichiarativo rafforza la condanna all’obbligazione infungibile13. Di conseguenza, a fronte di un verbale di conciliazione una misura coercitiva ai sensi di quella disposizione non è concedibile: non dal giudice dell’esecuzione, perché la legge ha attribuito il relativo potere solo al giudice della cognizione; non dal giudice dell’omologazione, perché è evidente come alla luce dell’art. 12 del d.lgs. n. 28/2010 questi non possa svolgere le valutazioni di cui tratta l’art. 614-bis c.p.c.; non da un ulteriore giudice della cognizione, perché non è pensabile che l’interessato possa instaurare un processo dichiarativo che abbia ad oggetto principale una sorta di diritto alla misura coercitiva, essendo questa solo una misura esecutiva.

Tuttavia nell’ultimo inciso del terzo comma dell’art. 11 del d.lgs. n. 28 del 2010 si legge:

«L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento».

Ora, se, come molti interpreti ritengono14, qui siamo di fronte semplicemente ad una clausola penale con funzione risarcitoria e non sanzionatoria (art. 1382 c.c.), il discorso in questa sede finisce qui. Ma, se, invece, si è disposti a ritenere che nella previsione in parola vi sia l’attribuzione alle parti del potere di prevedere una misura esecutiva di carattere convenzionale, sul tipo di quella di cui al citato art. 614-bis c.p.c., che diventa operativa a seguito dell’omologazione15, allora il discorso si apre e si pone la domanda: può una simile conciliazione, una volta che sia stata omologata in Italia, circolare nello spazio europeo per la via dell’art. 49 del reg. n. 44 del 2001?

Con questa disposizione, nel prevedere che «Le decisioni straniere che applicano una penalità sono esecutive nello stato membro richiesto solo se la misura di quest’ultima è stata definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro di origine», si è voluto escludere la circolazione di misure stabilite solo in astratto e non ancora in concreto, magari dopo la verifica del successivo inadempimento.

Nel caso che ci occupa, si ripete partendo dall’idea che qui si abbia a che fare con una misura coercitiva convenzionale resa esecutiva dal giudice statale con la concessione dell’exequatur, ci troviamo di fronte ad una “penalità”, per usare la parola contenuta dell’art. 49 del reg. n. 44/2001, che è certamente “definitivamente fissata”, ma allo stesso tempo essa non è fissata da un giudice.

Ma, se si ritiene che in realtà il primo elemento sia preponderante, non credo che sarebbe assurdo ritenere che il secondo presupposto sia integrato, non solo quando la misura coercitiva è fissata dal giudice, come accade da noi in applicazione dell’art. 614-bis c.p.c., ma anche quando essa, pur fissata convenzionalmente dalle parti, sia fatta propria dal giudice appunto attraverso l’omologazione.

13 Sul tema vedi, fra gli altri, LUISO, op. cit., III, 232 ss.; CHIZZINI, in BALENA-CAPONI-CHIZZINI-MENCHINI, La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino 2009, sub art. 614-bis, 138 ss.; MERLIN, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, in Riv. dir. proc. 2009, 1546 ss.; GAMBINERI, Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, in Foro it. 2009, V, 230 ss.; se vuoi, BOVE, La misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ. 2010, 781 ss.

14 Vedi, per tutti, TISCINI, op. cit., 264 ed ivi ulteriori citazioni.

15 Vedi PAGNI, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti, in Le Società 2010, 619 ss., spec. 624 ss. e BOVE, L’accordo conciliativo cit., 88.

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