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Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie previdenziali: l’occasione mancata per l’ottenimento rapido di un titolo esecutivo? - Judicium

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PAOLA LICCI

Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie previdenziali:

l’occasione mancata per l’ottenimento rapido di un titolo esecutivo?

Sommario: 1.Premessa. – 2. L’ambito di applicazione dell’istituto. – 3. Il contenuto della domanda. – 4. La condizione di procedibilità e i suoi rapporti con il giudizio di merito. - 5. Effetti sostanziali della domanda di atp. - 6. Il procedimento. – 7. L’omologazione. - 8. La dubbia natura di titolo esecutivo del decreto di omologa.

– 9. L’opposizione e il giudizio di merito.

1. Premessa.

L’art. 38 d.l. 98/2011, convertito con l. 111/2011, modificato dalla l. 183/2011, ha introdotto nel processo assistenziale l’art. 445 bis c.p.c. disciplinante l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio. Il nuovo istituto, definitivamente entrato in vigore il 1° gennaio 2012, si inserisce in una serie di disposizioni finalizzate ad accelerare e ridurre il contenzioso in materia previdenziale1 e introduce un filtro preliminare alla proposizione dei ricorsi in materia di invalidità civile, imponendo l’obbligo di promuovere un accertamento tecnico preventivo delle condizioni sanitarie costituenti presupposto della pretesa che si intende fare valere.

Il comma 1 dell’art. 445 bis c.p.c. stabilisce che “nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell'articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l'attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell'articolo 696-bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all'accertamento peritale di cui all'articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all'articolo 195”.

La ratio dell’istituto è comune a quella della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c.

(cui il nuovo art. 445 bis c.p.c. rinvia, in quanto compatibile con la nuova disciplina) 2 ossia quella di consentire che le liti, il cui unico punto controverso è costituito da un elemento di fatto che può essere accertato solo attraverso consulenza tecnica, siano risolte preventivamente evitando l’instaurazione di un contenzioso 3. In altre parole, quando il processo a cognizione piena è

1 Così la Relazione illustrativa all’art. 38 d. l. 98/2011. Unitamente all’accertamento tecnico preventivo obbligatorio, la c.d. manovra finanziaria dell’estate 2011 ha previsto l’estinzione di diritto dei processi in cui sia parte l’Inps, pendenti alla data del 31 dicembre 2010 e di valore inferiore ai 500 euro; l’obbligo di indicazione del valore dedotto in giudizio con la proposizione del ricorso, allo scopo di commisurare a tale valore il limite massimo di liquidazione delle spese processuali; nuove regole in tema di decadenza dall’azione giudiziale. Sulle novità in tema di processo previdenziale v. SFERRAZZA, Le novità della Manovra economica 2011 sul contenzioso in materia di previdenza ed assistenza, in LG, 2011, 995 ss.; DALFINO, La nuova giustizia del lavoro, Bari, 2011; FRABASILE, Osservazioni a margine delle modifiche e novità introdotte dalla c.d. “manovra finanziaria” dell’estate 2011 nel contenzioso assistenziale e previdenziale, in www.judicium.it; MONTELEONE,Il nuovo processo previdenziale alla luce dell’art. 445 bis c.p.c., in www.judicium.it.

2 V. infra per la compatibilità tra l’art. 696 bis c.p.c. e l’art. 445 bis c.p.c.

3 Nonostante il nomen attribuito all’istituto disciplinato dall’art. 445 bis c.p.c., il nuovo accertamento tecnico preventivo è lontano dall’omonimo procedimento ex artt. 692 ss. c.p.c. atteso che il primo non ha la natura cautelare che invece caratterizza il secondo. D’altronde, l’art. 445 bis c.p.c. richiama per l’individuazione del suo iter procedurale la consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi che, ai sensi del comma 1° dell’art. 696 bis c.p.c. può essere richiesta al di fuori delle condizioni dell’art. 696 c.p.c. (istituto questo ben lontano da quello regolato dagli artt. 692 ss. c.p.c.) Sulla

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finalizzato unicamente all’espletamento della consulenza medico-legale, l’accertamento tecnico preventivo mira ad anticipare l’esito del giudizio di merito, consentendo altresì alle parti in conflitto di formulare una prognosi sulle chances di successo in sede di cognizione ordinaria, eventualmente dissuadendole dall’instaurarla4.

Tuttavia, pur essendo questo il disegno ispiratore della riforma, va detto che in materia di invalidità civile il requisito sanitario non costituisce sempre l’unico elemento oggetto di accertamento, sicché non è sicuro che l’espletamento della consulenza medico-legale basti per determinare il probabile esito della causa di merito5.

2. L’ambito di applicazione dell’istituto.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 445 bis c.p.c. il nuovo accertamento tecnico preventivo deve essere espletato, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, ovvero relative alla pensione di inabilità e all’assegno di invalidità disciplinati dalla l. 222/1984.

Si tratta, in tutti i casi, di materie riconducibili a prestazioni erogate dall’Inps, unico legittimato passivo 6. Restano escluse le prestazioni che, pur presupponendo l’accertamento di requisiti sanitari, rientrano nella competenza dell’Inail o nella competenza di altre Amministrazioni pubbliche 7.

Le materie indicate nel comma 1 dell’art. 445 bis c.p.c. (per cui l’accertamento tecnico è obbligatorio) sono riconducibili a due categorie: l’invalidità civile e l’invalidità ordinaria ex l.

222/1984. L’una tesa al riconoscimento di uno stato invalidante indipendente dal lavoro e che ha natura puramente assistenziale; l’altra, di natura previdenziale, volta a tutelare la posizione dei lavoratori che, in forza di una disabilità, perdano totalmente o parzialmente la capacità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.

In entrambi i casi, per il riconoscimento dei diritti da parte dell’Inps occorre l’accertamento medico-legale dello stato invalidante. Il requisito sanitario non rappresenta tuttavia l’unico presupposto per l’erogazione delle prestazioni da parte dell’Ente di previdenza: in ragione della tipologia di diritto che si intende richiedere, è necessario che l’invalido non superi dei limiti di reddito fissati dalla legge, rientri nei limiti di età stabiliti per le singole prestazioni, ovvero sia

natura e funzione non cautelare dell’art. 696 bis c.p.c., vd. PANZAROLA, Commento sub art. 696 bis c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di BRIGUGLIO,CAPPONI, Padova, 2007, 280, il quale afferma che la consulenza tecnica preventiva dell’art. 696 bis c.p.c. non è condizionata “dal requisito della urgenza del provvedere.

Dal requisito, cioè, dal quale si è soliti indurre funzione e natura cautelari delle misure di istruzione preventiva in generale e dell’accertamento tecnico in particolare”. Per l’A., la funzione della consulenza tecnica preventiva non è quella di porre rimedio al rischio di dispersione della prova bensì quello di “deflazionare il contenzioso di fronte al giudice o, per dirla ellitticamente, di economia dei giudizi. Sulla natura non cautelare dell’art. 696 bis c.p.c. vd. anche, BALENA, L’istruzione preventiva, in BALENA,BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 370 s.;

CUOMO ULLOA, voce Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Digesto civ., Torino, agg.

2007, II, 274; MENCHINI, Le modifiche al procedimento cautelare uniforme e ai procedimenti possessori, in CONSOLO, LUISO,MENCHINI,SALVANESCHI, Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 72 s.; NARDO, La nuova funzione conciliativa dell’accertamento tecnico preventivo alla luce del d.l. 35/05, in www.judicium.it; TEDOLDI, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in RDPr, 2010, 807 s.

4 Cfr. BESSO, Accertamento tecnico e consulenza tecnica preventiva, in Le recenti riforme del processo civile, a cura di CHIARLONI, II, Bologna, 2007, 1318.

5 Vd. infra.

6 In forza del d.l. 201/2011, convertito con l. 214/2011, Enpals e Inpdap sono confluite in toto nell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps).

7 Come ad esempio le revisioni a seguito di modificazioni degli esiti dell’evento infortunistico o il riconoscimento agli emotrasfusi dell’indennizzo della l. 210/92.

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iscritto nelle liste di collocamento obbligatorio ma non sia stato avviato ad un lavoro compatibile con le sue condizioni, o ancora non sia ricoverato in una struttura ospedaliera ecc..

Quando viene proposta la domanda amministrativa all’Inps per l’ottenimento di una prestazione di invalidità civile o di invalidità ordinaria8, il richiedente deve quindi dimostrare di avere tutti i requisiti previsti dalla legge per il diritto vantato. L’Ente può accogliere o rigettare la domanda, a seconda che sussistano o meno gli elementi richiesti. Nel caso di rigetto dell’istanza nella fase amministrativa, diverse sono le soluzioni.

Se il diniego della prestazione è dovuto all’assenza del requisito sanitario, è necessario espletare la procedura di accertamento tecnico preventivo volta ad ottenere il riconoscimento dello stato invalidante prima di proporre la domanda giudiziale. Se però il rigetto da parte dell’Inps è da imputarsi all’assenza di uno degli altri requisiti previsti dalla legge e diversi da quello sanitario, il ricorso ex art. 445 bis c.p.c. non è ammissibile e l’unica via percorribile per il riconoscimento del diritto è quella del giudizio ordinario. Invero, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., l’ambito di applicazione dell’accertamento tecnico preventivo è limitato alla “verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere” (comma 1). Sicché quando la contestazione sorge non sul requisito medico ma su altri presupposti del diritto (quali ad esempio quelli reddituali), deve escludersi l’applicazione della condizione di procedibilità ex art. 445 bis c.p.c.

Se infine il diniego della prestazione è dovuto all’assenza di tutti i requisiti, medici e non, l’interessato deve promuovere l’accertamento tecnico per la verifica dei presupposti sanitari e, nel caso di esito positivo, e previa omologa del tribunale, è rimesso agli enti competenti il controllo sulla sussistenza degli ulteriori requisiti previsti dalla normativa, e solo all’esito di detta verifica il pagamento delle relative prestazioni.

3. Il contenuto della domanda.

L’istanza di accertamento tecnico preventivo per la verifica dei requisiti sanitari assume, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., la forma del ricorso da depositarsi presso la cancelleria del giudice competente ex art. 442 c.p.c.

Nulla viene detto in ordine al contenuto della domanda.

La natura non cautelare dell’istituto e il rinvio all’art. 696 bis c.p.c. - secondo cui la consulenza tecnica preventiva può essere disposta “anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696” - fanno sì che il ricorso ex art. 445 bis c.p.c. non debba certamente contenere l’indicazione di motivi d’urgenza per cui si chiede tutela. E’ da ritenersi necessario – nonostante la mancata previsione ad opera della norma – che invece esso contenga l’indicazione del diritto al cui riconoscimento l’accertamento è preordinato. In assenza di tale indicazione, l’accertamento tecnico non può essere ammesso. D’altra parte la consulenza preventiva volta solo alla verifica di uno status sanitario, e non anche finalizzata all’accertamento e riconoscimento di un diritto, si rivelerebbe inutile poiché non recherebbe alcun beneficio all’interessato9.

8 La previsione dell’accertamento tecnico preventivo come fase necessaria che precede il giudizio di merito non ha fatto venir meno la procedura amministrativa ante causam di domanda del diritto all’Ente competente, con conseguente verifica da parte della commissione medica o dei consulenti medici dell’Inps (a seconda che si tratti di invalidità civile o invalidità ordinaria, muta la competenza degli organi chiamati a valutare la presenza dei requisiti medici) della sussistenza di uno status di invalidità

9 Se il ricorrente agisce in giudizio solo per accertare quale è il suo grado di invalidità, e se questo eventualmente supera il 74%, non ottiene nessun beneficio pratico dall’azione. Non vi è, in questo caso, alcun interesse al risultato.

Affinché possa avere una utilità dall’accertamento tecnico, è necessario che a quell’accertamento sia ricollegata la richiesta di un diritto. Il ricorrente, cioè, deve agire per far accertare che la sua invalidità sia superiore al 74% al fine di ottenere così il diritto all’assegno mensile di assistenza. Ha quindi diritto a chiedere l’accertamento tecnico preventivo solo chi mira ad ottenere uno dei diritti indicati dal comma 1 dell’art. 445 bis c.p.c.

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Perché la domanda ex art. 445 bis c.p.c. sia ammissibile, e’ necessario che vi sia una controversia su un diritto e che si palesi l’interesse ad agire con la domanda di merito per la risoluzione della lite.

L’interesse ad agire nel successivo ed eventuale giudizio deve già risultare nella fase preventiva e la sua verifica è da ritenersi imprescindibile al fine di evitare che l’art. 445 bis c.p.c. finisca per servire conflitti meramente potenziali, consentendo l’intervento giurisdizionale solo per lo svolgimento di funzioni consultive per il mero accertamento di status.

L’istanza ex art. 445 bis c.p.c. dovrà quindi contenere, a pena di inammissibilità della domanda, l’indicazione del diritto al cui riconoscimento tende l’accertamento preventivo10.

Resta da chiedersi se sia sufficiente (per configurare l’interesse ad agire) indicare il diritto al cui riconoscimento tende l’accertamento tecnico o se occorra anche dare prova di avere gli altri requisiti (reddituale, età, ecc.) senza i quali il giudizio di merito si concluderebbe con una pronuncia negativa. In altre parole, deve domandarsi se sia necessario che all’atto della proposizione del ricorso ex art. 445 bis c.p.c. anche gli altri requisiti sussistano e vengano allegati all’istanza di accertamento tecnico 11.

Ci sembra che pretendere la prova dei requisiti diversi da quello sanitario vada oltre rispetto a quelle che sono le intenzioni del legislatore. L’art. 445 bis c.p.c. mira esclusivamente alla verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere; non anche all’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del diritto che si vuole ottenere. E’ perciò non utile (men che meno necessario) indicare gli altri requisiti, soprattutto considerato che una loro sommaria cognizione in sede di accertamento tecnico preventivo non porterebbe alcuna utilità al ricorrente: come si vedrà infra, anche dopo l’omologa della verifica del requisito sanitario, l’Inps è tenuta, prima del pagamento delle prestazioni (che quindi può essere rifiutato), a controllare la sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi del diritto – diversi da quello sanitario – previsti dalla normativa di riferimento.

4. La condizione di procedibilità e i suoi rapporti con il giudizio di merito.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 445 bis c.p.c. “L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda”. Nelle materie di cui al primo comma, pertanto, il procedimento di accertamento tecnico preventivo assume carattere obbligatorio.

L’art. 445 bis c.p.c. introduce una fattispecie di giurisdizione condizionata, ipotesi in cui l’accesso alla tutela giurisdizionale12 è possibile solo allorché sia soddisfatto il presupposto processuale imposto dalla legge13.

10 In questo senso si sono espresse alcune sezioni lavoro di tribunale nel delineare le prime indicazioni sull’istituto in esame. V. in particolare, il “Documento elaborato dai Giudici della Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna”, contenente le linee guida relative alla trattazione dei procedimenti di accertamento tecnico preventivo previste dall'art.

445 bis c.p.c., concordato nella riunione di coordinamento del 21 dicembre 2011, disponibile sul sito www.ordine- forense.bo.it; Prime indicazioni sull’accertamento tecnico preventivo” del Tribunale di Lecce, sez. lav. del 6 dicembre 2011, disponibile sul sito www.ordineavvocatilecce.it.; “Indicazioni integrative ai fini dell’applicazione” del Tribunale di Taranto, se. Lav. del 5 dicembre 2011, disponibile sul sito www.ordavvta.it

11 Nel senso di ritenere necessaria la prova documentale di tutti i requisiti richiesti dalla legge per il riconoscimento del diritto cui tende l’accertamento tecnico v. Prime indicazioni sull’accertamento tecnico preventivo” del Tribunale di Lecce, sez. lav. del 6 dicembre 2011, cit., secondo cui la mancata dimostrazione della sussistenza degli elementi ulteriori rispetto a quello sanitario comporta l’inammissibilità dell’istanza di accertamento tecnico preventivo. Vd.

anche in tal senso la nota all’incontro dei consulenti legali del Ce.Pa. con i Presidenti delle 4 sezioni del Tribunale del lavoro di Roma del 7 dicembre 2011.

12 Occorre tuttavia precisare che, a differenza delle più comuni condizioni di procedibilità rappresentate dall’esperimento del tentativo di conciliazione o mediazione di natura stragiudiziale, l’accertamento tecnico preventivo ha natura giudiziale in quanto si propone “con ricorso al giudice competente” e il “giudice procede” a nominare il consulente dando avvio al procedimento ex art. 445 bis c.p.c.

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La scelta di introdurre un filtro obbligatorio in subiecta materia si pone in controtendenza rispetto all’opzione di recente adottata con la l. 183/2010 nelle controversie di lavoro in cui il tentativo di conciliazione, un tempo condizione di procedibilità della domanda giudiziale, è divenuto facoltativo14. È invece in linea con la scelta di rendere obbligatoria la mediazione per un gran numero di controversie civili e commerciali 1516.

La scelta per una condizione di procedibilità piuttosto che di proponibilità della domanda giudiziale è senz’altro da condividere dal momento che consente di superare i dubbi di illegittimità costituzionale dell’art. 445 bis c.p.c. per violazione dell’art. 24 Cost 17. Ed invero, la condizione di procedibilità integra un presupposto processuale la cui mancanza è sanabile con efficacia retroattiva e che non impedisce l’instaurazione del giudizio bensì la possibilità che il processo prosegua verso la meta naturale che è la decisione di merito 18. La condizione di proponibilità deve invece sussistere al momento della proposizione della domanda, non potendo utilmente sopravvenire e non consentendo quindi una sanatoria con efficacia retroattiva 19.

Si tratta in ogni caso di una condizione di procedibilità anomala in quanto non ostacola temporaneamente l’accesso più generale alla tutela giurisdizionale bensì impedisce l’instaurazione immediata di un giudizio a cognizione piena, imponendo previamente la proposizione di un procedimento giudiziale di accertamento tecnico preventivo.

Vediamo ora come la legge contempla la sanatoria del vizio e i relativi effetti.

“L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.” (art. 445 bis comma 2 c.p.c.).

La rilevazione del mancato espletamento dell’accertamento tecnico preventivo è soggetta ad un termine decadenziale, vuoi che essa provenga dal convenuto vuoi che provenga dal giudice. Se i soggetti indicati dalla norma non sollevano il vizio entro la prima udienza, decadono dal potere di farlo e il difetto processuale si sana.

Il comma 2 dell’art. 445 bis c.p.c. individua due modalità di sanatoria della mancata integrazione originaria della condizione di procedibilità a seconda che l’accertamento tecnico preventivo non sia stato espletato ovvero sia iniziato ma non concluso: nel primo caso assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza, nel secondo fissa analogo termine per il completamento dell’accertamento preventivo.

Il fatto che il giudice rilevi che il procedimento ex art. 445 bis c.p.c. è iniziato ma non si è concluso, implica che le parti possano proporre contestualmente la domanda di consulenza tecnica

13 Sulla definizione di giurisdizione condizionata v. per tutti LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011, 58

14 In argomento v. TISCINI,VALERINI, Il tentativo di conciliazione, in I profili processuali del collegato lavoro, a cura di SASSANI,TISCINI, Roma, 2010, 15 ss.

15 In tal senso v. DALFINO, op. cit., 60.

16 Il d.lgs. n. 28/2010 – reso in attuazione della legge delega n. 69/2009 – introduce la disciplina della “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” allo scopo di decongestionare il contenzioso. I modelli conciliativi contemplati dal d. lgs. 28/2010 sono diversi in relazione sia alla natura dell’attività del mediatore (mediazione facilitativa, mediazione aggiudicativa), sia ai presupposti che consentono lo svolgimento del procedimento.

Accanto alla mediazione facoltativa, in cui le parti sono libere di ricorrere o meno allo strumento conciliativo, si colloca per talune materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari) la mediazione obbligatoria, costituente condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In argomento ex plurimis, v.

TISCINI, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo nel d. lgs. n. 28/2010 e nel D.M.

180/2010, Torino 2011; AA.VV., Corso di mediazione civile e commerciale, a cura di TISCINI, Milano, 2012; AA.VV., Mediazione civile e commerciale, a cura di SASSANI,SANTAGADA, II ed., Roma, 2011.

17 Sulla conformità della condizione di procedibilità ai principi costituzionali, v. LUISO, op. ult. cit., 59; ID. Il tentativo di conciliazione nelle controversie di lavoro, in RIDL, 1999, 378.

18 Sulla definizione di presupposto processuale v. VOCINO, Presupposti processuali, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, 1.

19 Così TISCINI, La mediazione civile e commerciale, cit., 133.

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preventiva e quella di merito o che comunque quest’ultima non sia necessariamente preceduta dalla presentazione dell’istanza di accertamento tecnico preventivo. Non opera quindi un divieto assoluto a che la domanda di merito volta al riconoscimento del diritto sia proposta prima o contestualmente a quella di accertamento tecnico. D’altronde il momento in cui il giudice o il convenuto sono chiamati a verificare che la condizione di procedibilità sia soddisfatta non è quello di proposizione della domanda giudiziale per il riconoscimento del diritto bensì la prima udienza. Sicchè la domanda di merito eventualmente proposta sarebbe sempre ammissibile in quanto il presupposto processuale mancante impedirebbe solo di procedere oltre la prima udienza.

Quanto alle attività che il giudice deve svolgere a seguito della dichiarazione di improcedibilità, la norma non specifica se il processo instaurato con la domanda di merito rimanga sospeso (come avveniva per la conciliazione obbligatoria lavoristica) ovvero rinviato ad un’udienza successiva per consentire l’espletamento dell’accertamento tecnico (come avviene per la mediazione civile e commerciale 20). L’art. 445 bis c.p.c. si limita a stabilire che “il giudice (…) assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso”.

Sembra difficile immaginare che quando l’accertamento tecnico non è stato espletato o non si è concluso operi la tecnica del rinvio di udienza. Invero, il legislatore fa ricorso al rinvio d’udienza qualora la procedura costituente condizione di procedibilità della domanda di merito abbia una durata prestabilita dalla legge. Se si fissa un’altra udienza per il proseguimento del giudizio, allora si deve conoscere quando il presupposto processuale mancante si considera soddisfatto. Ad esempio, nel caso della mediazione civile e commerciale, il giudice, quando il procedimento di mediazione non è iniziato o non si è concluso, può rinviare ad altra udienza perché conosce con esattezza la durata della procedura di mediazione che, una volta decorsa, rende la domanda giudiziale procedibile21.

Nell’accertamento tecnico ex art. 445 bis c.p.c. manca un termine di durata massima della procedura sicché il giudice non avrà contezza di quando poter rinviare l’udienza per la prosecuzione.

Tuttavia, nulla vieta che egli fissi una nuova udienza (tenendo conto dei tempi di durata dell’accertamento tecnico preventivo) e, qualora la procedura non si sia ancora conclusa per quella data, rinvii ulteriormente ad altra udienza. Così fino a quando la condizione di procedibilità non è soddisfatta. Imporre un semplice rinvio di udienza significa ridurre al minimo le conseguenze negative che le parti possono subire dal mancato espletamento della condizione di procedibilità 22. Diversamente, privilegiando la strada della sospensione del processo23, gli effetti della condizione di procedibilità per le parti sarebbero senz’altro deteriori, essendo esse – una volta sanato il vizio – onerate del compito di riattivare il giudizio, pena la sua estinzione24. D’altra parte, in assenza di una previsione normativa in favore di una soluzione (rinvio) piuttosto che di un’altra (sospensione), è preferibile optare per quella che non impone alcun onere per le parti. Pertanto, quando il giudice rileva nel giudizio di merito che il procedimento ex art. 445 bis c.p.c. non è stato promosso o non si è concluso, rinvia ad altra udienza onde consentire alle parti di soddisfare la condizione di procedibilità.

20 In argomento v. TISCINI, op. ult. cit., 136.

21 L’art. 6 del d. lgs. 28/2010 fissa in quattro mesi il termine di durata massima della procedura.

22 E ciò anche nell’ottica della costituzionalità della condizione di procedibilità.

23 A favore della sospensione del processo dopo la dichiarazione di improcedibilità per mancato espletamento dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio, FRABASILE, L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art.

445 bis c.p.c.: questioni controverse e soluzioni possibili, in www.judicium.it, secondo cui la sospensione e la conseguente riassunzione appaiono l’unica via percorribile per consentire la ripresa del processo considerato che “non risponderebbe ad alcuna utilità economico-processuale non dare continuità ad una condizione di procedibilità (la Ctu) comunque soddisfatta”.

24 In tal senso v. TISCINI, op. ult. cit., 137.

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5. Effetti sostanziali della domanda di atp.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 445 bis c.p.c., “ la richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione”.

La previsione è utile poiché consente l’interruzione della prescrizione di un diritto attraverso l’instaurazione di un procedimento che non ha ad oggetto quel diritto (effetto altrimenti non raggiungibile in assenza di una espressa previsione normativa).

L’art. 2943 c.c. stabilisce che “la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio”. Ebbene, l’istanza ex art 445 bis c.p.c. è un atto con il quale si inizia un giudizio. Si tratta però di un procedimento relativo non ad un diritto (quello la cui prescrizione viene interrotta) bensì alla cognizione di un elemento della fattispecie controversa (il requisito sanitario). Pertanto il ricorso ex art. 445 bis c.p.c. sarebbe di per sé inidoneo - in assenza di una espressa disposizione normativa in tal senso - a interrompere la prescrizione. Bene allora ha fatto il legislatore ad attribuire tale effetto (quello interruttivo della prescrizione del diritto) anche ad un atto introduttivo di un procedimento avente un oggetto diverso dal diritto ma strumentale al suo riconoscimento.

L’interruzione della prescrizione nell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio, a differenza di quanto comunemente avviene per gli atti iniziali del giudizio, ai sensi del comma 3 art. 445 bis c.p.c., non si produce dalla notificazione dell’istanza bensì dal suo deposito: è infatti dalla “richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico” che conseguono gli effetti stabiliti dalla legge, momento che, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c. coincide con il deposito del ricorso al giudice competente.

Nulla dice la norma sulla interruzione-sospensione della prescrizione sicché non si comprende se il termine prescrizionale si interrompa e riprenda a decorrere subito dopo il deposito del ricorso per accertamento tecnico preventivo o se resti sospeso “fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza”25. Si tratta del c.d. effetto interruttivo protratto in forza del quale la prescrizione interrotta non riprende subito il suo decorso e non corre per tutta la durata del procedimento instaurato con l’atto interruttivo.

Il problema ulteriore sta nell’individuare all’interno del procedimento di accertamento tecnico preventivo un momento equivalente al “passaggio in giudicato” della sentenza.

Occorre all’uopo operare un distinguo.

Una volta concluse le operazioni peritali 26, le parti hanno la possibilità di accettare le risultanze della consulenza tecnica ovvero di contestarle.

Se entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto di chiusura delle operazioni non contestano le conclusioni del ctu, il giudice procede ad omologare l’accertamento che perciò diviene definitivo e il decreto di omologa non sarà più impugnabile né modificabile. Il termine prescrizionale può perciò iniziare a decorrere nuovamente da questo momento 27.

Quando invece le parti contestano tempestivamente le risultanze peritali deve avere inizio il giudizio di merito entro trenta giorni dalla formulazione del dissenso. Se il giudizio è instaurato entro i termini di legge, la prescrizione riprende a decorrere solo dal passaggio in giudicato della

25 Ai sensi del comma 2 dell’art. 2945 c.c., l’effetto interruttivo-protratto o interruttivo–sospensivo consegue all’interruzione avvenuta per mezzo di un atto con il quale si inizia un giudizio (“Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943, la prescrizione non corre (…)”).

26 Sugli esiti del giudizio di accertamento tecnico preventivo obbligatorio vd. più approfonditamente infra parr. 7, 9.

27 Invero, potrebbe anche affermarsi che il momento in cui l’accertamento “passa in giudicato”, nel senso di non essere più soggetto a mezzi di impugnazione, è quello successivo alla scadenza dei trenta giorni per eseguire le contestazioni. Oltre tale termine infatti le parti non potranno più opporsi all’accertamento contenuto nella consulenza tecnica.

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sentenza che definisce il merito. In questa ipotesi non vi è infatti alcuna soluzione di continuità tra il procedimento dell’art. 445 bis c.p.c. e il giudizio a cognizione piena sicché l’effetto interruttivo della prescrizione continua.

Qualora invece il ricorso di merito non sia tempestivamente proposto, allora l’effetto in esame cessa a partire dalla scadenza dei trenta giorni fissati per la proposizione del giudizio.

Veniamo alla decadenza.

L’art. 445 bis c.p.c. tace sul punto. Il che crea non pochi problemi.

Nelle materie indicate nel primo comma art. cit., i termini decadenziali sono di sei mesi per l’invalidità civile (art. 42 d.l. 296/2003, convertito in l. 326/2003), decorrenti dalla comunicazione del provvedimento amministrativo, e di tre anni per l’invalidità ordinaria (art. 47, comma 2, DPR 639/1970), decorrenti dalla comunicazione della decisione sul ricorso amministrativo.

Si tratta di termini la cui decorrenza non è mutata dopo l’entrata in vigore dell’art. 445 bis c.p.c., non essendo in alcun modo ancorata alla chiusura del procedimento di accertamento tecnico preventivo. Il che significa che, ove non si ritenesse impedita la decadenza dalla proposizione dell’istanza ex art. 445 bis c.p.c., la durata del nuovo procedimento potrebbe determinare la perdita del diritto.

Per evitare un simile inconveniente, il ricorrente potrebbe essere indotto, a scopo cautelativo, a proporre contestualmente all’istanza di accertamento tecnico preventivo obbligatorio la domanda di merito onde consentire l’impedimento della decadenza e la conservazione del diritto. Una soluzione del genere, però, mortificherebbe l’intento deflativo dell’art. 445 bis c.p.c. in quanto comporterebbe un raddoppio del carico di lavoro degli organi giudiziari piuttosto che una sua riduzione28.

Occorre allora pensare che la decadenza possa essere impedita dal rispetto della condizione di procedibilità, e quindi sin dalla proposizione dell’istanza ex art. 445 bis c.p.c.

La soluzione è da condividere per più di una ragione29.

In primo luogo, per assicurare la conformità di qualsiasi strumento di deflazione del contenzioso a carattere obbligatorio ai parametri costituzionali, è necessario non solo evitare che l’accesso alla tutela giurisdizionale sia definitivamente precluso a causa dell’impedimento, ma anche garantire che il tempo necessario per il suo svolgimento non produca effetti pregiudizievoli sul diritto sostanziale. In altre parole, occorre che l’attività posta come condizione per l’instaurazione del processo non penalizzi la parte che ha ragione. Sicchè la domanda di accertamento tecnico ex art.

445 bis c.p.c. deve produrre gli stessi effetti sulla prescrizione e sulla decadenza che ha la domanda di merito.

Inoltre, poiché l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo è posto come atto obbligatorio dalla legge, ai sensi dell’art. 2966 c.c., esso è idoneo a impedire la decadenza (“La decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”)30.

In estrema sintesi. L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo, posto dalla legge come condizione di procedibilità del giudizio di merito, è idoneo a produrre sulla prescrizione e sulla decadenza gli stessi effetti della domanda con cui si inizia un giudizio a cognizione piena. Questa soluzione è l’unica che consente di conciliare la funzione deflativa attribuita all’istituto in esame con la costituzionalità della condizione di procedibilità imposta per legge.

6. Il procedimento.

28 Si rammenta che la riduzione del contenzioso in materia previdenziale rappresenta uno degli obiettivi del d.l.

98/2011 che ha introdotto l’art. 445 bis c.p.c. Vd. in tal senso la Relazione illustrativa al decreto sub art. 38.

29 Nel senso che la domanda di accertamento tecnico preventivo dell’art. 445 bis c.p.c. impedisce la decadenza v. la circolare Inps del 30 dicembre 2011, n. 168.

30 In tal senso v. FRABASILE, L’accertamento tecnico preventivo, cit.

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Una volta instaurato il procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio attraverso il deposito del ricorso dinanzi al giudice competente, l’art. 445 bis c.p.c. non fissa alcuna regola sullo svolgimento del procedimento, limitandosi ad operare tre rinvii: a) all’art. 696 bis c.p.c., in quanto compatibile; b) all’art. 10, comma 6 bis d.l. 203/2005; c) all’art. 195 c.p.c.

Il rinvio all’art. 696 bis c.p.c. è sottoposto alla verifica di compatibilità tra le singole previsioni della consulenza tecnica preventiva ai fini conciliativi e la natura dell’accertamento tecnico preventivo. Si tratta quindi di verificare quali disposizioni dell’una possano regolare il procedimento dell’altra.

Cominciamo col dire che le norme sul tentativo di conciliazione svolto dal consulente sono di dubbia applicazione all’accertamento ex art. 445 bis c.p.c. Per due diverse ragioni.

La prima, si fonda sul dato letterale degli artt. 696 bis e 445 bis; la seconda sulla natura dei diritti oggetto del procedimento ex art. 445 bis c.p.c.

Partiamo dal testo delle due norme.

L’art. 445 bis c.p.c rinvia all’art. 696 bis non tanto per individuare tutte le regole del procedimento, quanto per stabilire come il giudice debba procedere (“Il giudice procede a norma dell’articolo 696 – bis codice di procedura civile, in quanto compatibile”). Ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. la funzione conciliativa è attribuita non al giudice, né è delegata dal giudice al consulente tecnico31. Pertanto il rinvio all’art. 696 bis c.p.c. non può estendersi anche al tentativo di conciliazione. Il consulente nella procedura ex art. 445 bis c.p.c. è chiamato solo ad accertare la sussistenza del requisito sanitario del richiedente senza poter ricercare composizioni della lite.

Spetterà poi alle parti accettare o meno le risultanze della consulenza senza che ciò comporti disposizione del diritto.

La seconda ragione per cui appare dubbia l’applicazione delle norme sul tentativo di conciliazione ex art. 696 bis c.p.c. si fonda sulla indisponibilità dei diritti nella materia previdenziale.

Quando un diritto è indisponibile, le parti rispetto ad esso sono sprovviste di poteri negoziali e di conseguenza non possono concludere accordi o conciliare. La materia in esame riguarda essenzialmente diritti indisponibili poiché regolati da norme imperative e posti nell’interesse più generale dell’ordinamento 32. Né può la previsione contenuta nel comma 6 dell’art. 445 bis c.p.c.

(secondo cui “Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare(…) il ricorso introduttivo del giudizio”) indurre a ritenere che sulla materia in esame sia possibile concludere accordi.

Il termine “accordo” è utilizzato in maniera impropria per intendere la mancata contestazione delle risultanze della consulenza tecnica. Non è infatti contemplata altrove nell’art. 445 bis c.p.c. la possibilità che il ricorrente e l’Inps possano accordarsi in ordine al riconoscimento del diritto. Le parti possono solo accettare o opporsi alle risultanze peritali. Dire il contrario sarebbe come affermare che la mancata impugnazione di una sentenza costituisca accordo tra le parti sulla materia del contendere.

L’art. 696 bis c.p.c. stabilisce che “il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696”. Tale ultima disposizione a sua volta prevede che “il presidente del tribunale o il giudice di pace33 provvede nelle forme stabilite negli articoli 694 e 695, in quanto applicabili, nomina il consulente tecnico e fissa la data dell’inizio delle operazioni”.

31 L’art. 696 bis, comma 1, c.p.c. prevede che “il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”.

32 Sul rapporto tra norma imperativa e indisponibilità del diritto sia consentito rinviare a LICCI, L’ambito di applicazione, in Osservatorio sulla mediazione civile e commerciale, a cura di SCACCIA,TISCINI, in Notarilia, 2011, 61.

33 Certamente non è compatibile con l’art. 445 bis c.p.c. la previsione che attribuisce la competenza nell’accertamento tecnico ex art. 696 c.p.c. al giudice di pace. Infatti, ai sensi dell’art. 444 c.p.c. le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro.

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In forza di tali richiami, anche nel procedimento ex art. 445 bis c.p.c., dopo il deposito del ricorso, il giudice competente ex art. 442 c.p.c. “fissa, con decreto, l’udienza di comparizione e stabilisce il termine perentorio per la notificazione del decreto” (art. 694 c.p.c.). Successivamente,

“assunte, quando occorre, sommarie informazioni, provvede con ordinanza non impugnabile e, se ammette (…)” (art. 695) “nomina il consulente tecnico e fissa la data dell’inizio delle operazioni”

(art. 696 c.p.c. comma 3). Quanto alla nomina e alle indagini del consulente tecnico, l’art. 696 bis c.p.c. rinvia agli artt. 191-197 c.p.c. in quanto compatibili (in questo caso occorre fare una doppia verifica di compatibilità: la prima tra l’art. 696 bis c.p.c. e gli artt. 191 e 197 c.p.c. e poi tra il risultato di questa verifica e l’art. 445 bis c.p.c.)34.

L’applicazione dell’art. 195 c.p.c. è anche conseguenza del diretto richiamo che di tale norma fa l’art. 445 bis c.p.c. Rispetto alle regole sul processo verbale e sulla relazione del consulente tecnico (art. 195 c.p.c.), il legislatore non ha stabilito una clausola di compatibilità analoga a quella imposta tra art. 696 bis c.p.c. e art. 445 bis c.p.c. Tuttavia occorre osservare come l’incompatibilità tra il comma 3 dell’art. 195 c.p.c. e l’art. 445 bis c.p.c. impedisca di ritenere applicabile alla procedura di accertamento tecnico preventivo obbligatorio la previsione secondo cui “il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse” (art. 195 comma 3 c.p.c.), dovendosi osservare all’uopo quanto diversamente disposto dall’art. 445 bis c.p.c commi 4 e 5.

Infine, si applica al procedimento di accertamento tecnico preventivo l’art. 10, comma 6 bis del d.l. 203/2005, convertito con modificazioni dalla l. 248/2005 e modificato da ultimo dall’art. 7 d.l.

98/2011, convertito con l. 111/2011, secondo cui “Nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali, nel caso in cui il giudice nomini un consulente tecnico d'ufficio, alle indagini assiste un medico legale dell'ente, su richiesta del consulente nominato dal giudice il quale provvede ad inviare, entro 15 giorni antecedenti l’inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita comunicazione al direttore della sede provinciale dell’Inps competente o a suo delegato. Alla relazione peritale è allegato, a pena di nullità, il riscontro di ricevuta della predetta comunicazione. L’eccezione di nullità è rilevabile anche d’ufficio dal giudice. Il medico legale dell’ente è autorizzato a partecipare alle operazioni peritali in deroga al comma primo dell’art.201 del codice di procedura civile” 35.

34 Cfr. DALFINO, op. ult. cit., il quale ricostruisce la disciplina della nomina e delle indagini del consulente nel procedimento ex art. 445 bis c.p.c. nel seguente modo: “il giudice, quando nomina il consulente tecnico, formula i quesiti da sottoporgli e, nei casi di grave necessità, può nominare più consulenti (art. 191 c.p.c.); il provvedimento di nomina è notificato al consulente tecnico a cura del cancelliere, con invito a comparire all'udienza fissata dal giudice;

il consulente che non ritiene di accettare l'incarico o quello che intende astenersi deve farne denuncia o istanza al giudice che l'ha nominato almeno tre giorni prima dell'udienza di comparizione e nello stesso termine le parti debbono proporre le loro istanze di ricusazione, depositando nella cancelleria ricorso al giudice; questi provvede con ordinanza non impugnabile (art. 192 c.p.c.); all'udienza il giudice ricorda al consulente l'importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere, e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere ai giudici la verità (art. 193 c.p.c.); il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice (art. 194 c.p.c.)34; il giudice ha sempre facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico (art. 196 c.p.c.); quando lo ritiene opportuno il giudice invita il consulente tecnico ad assistere alla discussione e ad esprimere il suo parere in presenza delle parti, le quali possono chiarire e svolgere le loro ragioni per mezzo dei difensori (art. 197 c.p.c.)”.

35 Per FRABASILE, L’accertamento tecnico preventivo, cit,. l’applicazione dell’art. 10, comma 6 bis, d.l. 203/2005 indurrebbe a ritenere opportuno che il giudice, all’atto dell’affidamento dell’incarico peritale, inviti formalmente il consulente nominato a conformarsi agli adempimenti e ai termini indicati nella norma speciale, soprattutto al fine di prevenire un vizio di nullità delle operazioni peritali.

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7. L’omologazione.

Terminate le operazioni peritali, il giudice, con decreto, fissa un termine (non superiore a trenta giorni) entro il quale le parti devono dichiarare se intendono contestare le risultanze della consulenza tecnica.

Non è previsto che i litiganti accettino in maniera esplicita, dovendosi desumere dalla mancata contestazione la loro volontà di accogliere le conclusioni del ctu. Se l’opposizione non è manifestata entro il termine fissato dal giudice con decreto ex comma 4 art. 445 bis c.p.c., nessuna contestazione può più essere mossa nei confronti dell’accertamento tecnico già compiuto.

Ma vi è di più. Il comma 5, art. cit., prevede che, in assenza di opposizione, il giudice, ove non intenda disporre un rinnovo della consulenza tecnica ex art. 196 c.p.c., “con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente”

omologhi l’accertamento del requisito sanitario secondo quanto risulta dalla relazione peritale, provvedendo altresì sulle spese. Il decreto non è impugnabile né modificabile 36.

L’accertamento diviene così definitivo non potendo più essere verificato in sede di giudizio di merito37.

Resta da vedere se esista un sindacato giudiziale ai fini dell’omologa e quale efficacia sia attribuita al decreto. Cominciamo dai poteri del giudice.

L’art. 445 bis c.p.c. stabilisce che “In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196 (…) omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico”. Salva la previsione che il giudice non omologhi per disporre il rinnovo della consulenza tecnica, tace l’art. 445 bis c.p.c. sui poteri discrezionali che il giudicante ha nella fase di omologa.

Stando alla lettera della norma, il giudice si limita a “convalidare” il contenuto di un accertamento compiuto dal consulente tecnico rispetto al quale non ha potere di giudizio, non rientrando nelle sue competenze. Il problema è comprendere se, esclusa la valutazione sulle risultanze peritali, il giudice abbia comunque un potere di negare l’omologa e di verificare se essa sia concedibile o meno.

Nell’ambito della mediazione civile e commerciale, l’omologazione ha la funzione di attribuire efficacia esecutiva all’accordo conciliativo concluso dalle parti. Il giudice è chiamato, ai sensi dell’art. 12, d. lgs. 28/2010, a verificare la regolarità formale dell’accordo nonché la sua conformità a ordine pubblico e norme imperative. Quando la conciliazione difetta di uno dei suddetti requisiti, il giudice ha il potere di negare l’omologa 38.

Stesso a dirsi per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c. In esso il giudice può, con decreto, attribuire efficacia esecutiva al processo verbale (invero, non compare nel testo dell’art. 696 bis c.p.c. il termine “omologa”39). L’attribuzione di un potere e non di un dovere di omologa fa sì che possa essere compiuta una valutazione giudiziale e quindi possa eventualmente essere anche negata l’attribuzione dell’exequatur 40.

Nell’accertamento tecnico preventivo muta l’oggetto dell’omologa. Non si deve controllare l’operato delle parti, l’accordo che esse abbiano raggiunto. Ciò che si convalida è l’operato di un tecnico che i litiganti hanno accettato (rectius, non contestato)41. Oltretutto, all’omologa

36 Per MONTELEONE, op. cit., il meccanismo di omologazione poteva essere introdotto anche rispetto ad una consulenza tecnica espletata nel corso di un ordinario giudizio di merito.

37 In questo caso il procedimento di accertamento tecnico preventivo diviene sostitutivo del giudizio di merito.

38 In argomento vd. TISCINI, La mediazione, cit., 273 ss.

39 Definisce ugualmente omologa il decreto che attribuisce efficacia esecutiva all’accordo, PANZAROLA, op. cit., 292, 293.

40 Così PANZAROLA, op. loc. cit

41 Per FRABASILE, L’accertamento tecnico, cit., l’emissione del decreto di omologa presuppone sempre un accertamento favorevole per l’istante.

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dell’accertamento tecnico preventivo non conseguono per legge gli stessi effetti (esecutivi) rilevanti ed incisivi nella sfera giuridica delle parti, sicché non si vede ragione per cui il giudice possa negare l’omologazione. D’altra parte è la stessa norma a non attribuire una mera facoltà di omologa: se entro trenta giorni non è contestata la consulenza (o se non è disposta la rinnovazione delle indagini peritali), il giudice omologa l’accertamento del requisito sanitario.

8. La dubbia natura di titolo esecutivo del decreto di omologa.

Veniamo all’efficacia che può essere attribuita al decreto di omologa.

In ordine all’attribuzione di efficacia esecutiva nulla dispone l’art. 445 bis c.p.c. sicchè occorre verificare se, in assenza di una espressa previsione normativa, tale efficacia sia desumibile aliunde.

Secondo una prima opzione, il decreto costituisce titolo esecutivo in forza del richiamo che l’art.

445 bis c.p.c. fa all’art. 696 bis c.p.c. 42. Infatti, al comma 3 dell’art. 696 bis c.p.c. è previsto che il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, stabilendo così che il risultato della consulenza tecnica preventiva acquista ex lege efficacia esecutiva. Dal rinvio generalizzato all’art. 696 bis c.p.c. deriva quindi la possibilità di attribuire al decreto di omologa dell’accertamento sanitario l’efficacia di titolo esecutivo. Così, in caso di mancato pagamento da parte dell’Inps dopo la notifica del decreto, il ricorrente ha la possibilità di agire direttamente nelle forme esecutive per ottenere forzosamente la prestazione assistenziale cui ha diritto 43.

Questa ricostruzione, che ha l’indubbio pregio di attribuire una maggiore utilità al nuovo istituto, non tiene tuttavia conto del fatto che il rinvio operato dall’art. 445 bis c.p.c. all’art. 696 bis c.p.c. è sempre assoggettato, in virtù di una espressa previsione normativa, al controllo di compatibilità tra le disposizioni previste per la consulenza tecnica preventiva con la natura dell’accertamento ex art.

445 bis c.p.c.44. Nella specie, occorre valutare se l’attribuzione di efficacia esecutiva data all’uno possa ritenersi conciliabile con la natura dell’altro.

L’oggetto dell’omologa nella consulenza tecnica preventiva dell’art. 696 bis c.p.c. è un accordo concluso tra le parti avente ad oggetto “la determinazione di crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obblighi contrattuali o da fatto illecito”. Ciò che il giudice convalida è quindi una conciliazione dalla quale risultano gli elementi soggettivi ed oggettivi della prestazione che dovrà essere eseguita, quindi un “diritto” pieno.

Nel procedimento dell’art. 445 bis c.p.c., il giudice omologa il risultato delle risultanze peritali, ossia l’accertamento dello status di invalidità operato dal consulente tecnico. In tale accertamento manca l’individuazione del diritto.

Esemplificando. Il ricorrente intende ottenere il riconoscimento dell’assegno mensile per invalidità parziale. Per tale prestazione la legge richiede il requisito sanitario (invalidità tra 74% e 99%), il requisito del reddito e l’incollocamento al lavoro. Attraverso il procedimento ex art. 445 bis c.p.c. l’interessato può ottenere solo l’accertamento che egli è affetto da una invalidità tra il 74% e il 99%. Non è però accertabile quale sia il suo reddito e se sia iscritto nelle liste speciali di collocamento. Non è quindi possibile stabilire se egli abbia diritto alla prestazione richiesta. Ciò posto, l’accertamento compiuto dal consulente e poi omologato dal giudice è idoneo solo ad individuare un elemento della fattispecie (il requisito sanitario) e non a rappresentare la prestazione da eseguire. Per l’individuazione del diritto occorre stabilire in altra sede se sussistono gli ulteriori requisiti fissati dalla legge. D’altra parte è l’art. 445 bis c.p.c. a prevedere che “il decreto (…) è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori

42 Così DALFINO, op. cit., 63.

43 Sulla compatibilità tra l’efficacia esecutiva attribuita alla conciliazione ex art. 696 bis c.p.c. e l’art. 445 bis c.p.c., vd. DALFINO, op. ult. cit.

44 V. supra par. 6.

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requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni”. La verifica della sussistenza dei requisiti diversi da quello sanitario non viene eseguita in sede di omologa ma è compiuta dagli Enti competenti dopo la notifica del decreto di convalida dell’accertamento sanitario.

L’omologa non può quindi costituire titolo esecutivo perché non riguarda un diritto ma uno dei fatti costitutivi di quel diritto (il requisito sanitario).

Il diritto alla prestazione non viene ad esistenza finché non sia accertato dagli Enti competenti che tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente sussistono in capo all’interessato. Fino a quel momento il diritto non esiste e quindi non può esservi una sua esecuzione 45.

Ai sensi dell’art. 474 c.p.c., infatti, l’esecuzione forzata non può aver luogo se non in forza di un titolo esecutivo per un diritto sostanziale di cui si chiede tutela che sia certo, liquido ed esigibile46. Ciò di cui difetta l’omologa ex art. 445 bis c.p.c. è proprio il diritto. Pertanto essa non può costituire titolo esecutivo.

Vero è che così si vanifica l’utilità di un procedimento di per sé idoneo a sostituire l’intero giudizio di merito. Se infatti l’Inps dopo centoventi giorni non paga le prestazioni dovute, l’interessato non avrà altra possibilità che instaurare un giudizio a cognizione piena ovvero, offrendo prova scritta di tutti i requisiti e producendo la consulenza medica omologata, potrà proporre un ricorso per ingiunzione ex artt. 633 ss. c.p.c.

Bene avrebbe fatto allora il legislatore ad attribuire in maniera espressa efficacia di titolo esecutivo al decreto di omologa, stabilendo che il giudice in sede di omologazione può accertare la sussistenza degli altri requisiti per il riconoscimento della prestazione che si vuole eseguire. Solo così l’esistenza del diritto non potrebbe essere messa in discussione e tutti gli elementi oggettivi e soggettivi della prestazione emergerebbero dal titolo esecutivo-decreto di omologa.

9. L’opposizione e il giudizio di merito.

Ove l’interessato intenda contestare le risultanze della consulenza tecnica, si è già detto che deve farlo entro trenta giorni dal decreto del comma 4, art. 445 bis c.p.c. Nessuna particolare formalità è prescritta dalla legge per la formulazione della dichiarazione di dissenso talché sarà sufficiente formulare per iscritto di volersi opporre all’accertamento del ctu.

Quando l’opposizione è tempestivamente formulata, “la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione”. Il procedimento dell’art. 445 bis c.p.c. cede il passo al processo a cognizione piena ogniqualvolta l’accertamento compiuto dal tecnico non sia accettato dagli interessati.

L’oggetto del giudizio di merito non corrisponde a quello dell’accertamento tecnico preventivo:

mentre nel secondo, l’accertamento verte esclusivamente su un elemento della fattispecie (il requisito sanitario), nel primo, il giudice conosce di tutto il diritto che la parte fa valere con tutti gli elementi che lo compongono (il requisito sanitario, i limiti di reddito, l’età, ecc.).

Il giudizio di merito si svolge secondo le regole ordinarie previste per il processo previdenziale dagli artt. 442 ss. Nella fase istruttoria, il giudice investito del processo non è tenuto a rinnovare la consulenza ma procede solo ove ne ravvisi i presupposti. La sentenza che definisce il giudizio è

45 Nello stesso senso, GENTILE, In attesa dell’art. 445 bis c.p.c.: una cognizione trifasica per sfoltire il contenzioso previdenziale in materia di invalidità?, in FI, 2012, V, 20.

46 Sul contenuto del titolo esecutivo e sulle caratteristiche del diritto sostanziale da eseguire v. VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 131 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano, 2011, 20 ss.;

ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 8 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile; III, Milano, 1959/1965, 85 ss.

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definita inappellabile 47. Una volta escluso il rimedio dell’appello, mezzo di impugnazione esperibile è il ricorso ordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. 4849.

E’ dubbio cosa avvenga qualora, a seguito della contestazione, la parte interessata non attivi il giudizio di merito entro il termine perentorio di trenta giorni. La norma tace sul punto.

Fermo restando che il termine per la proposizione della domanda di merito è imposto a pena di decadenza per la parte che ha dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, occorre stabilire quale efficacia vada data all’accertamento tecnico già compiuto ma non omologato per mancato accordo.

Due le opzioni possibili.

a)La contestazione tempestivamente formulata, anche se non seguita dall’instaurazione del giudizio di merito, priva la consulenza tecnica preventiva di efficacia. In tal caso, il ricorrente ha la possibilità di promuovere un giudizio ordinario ex artt. 442 c.p.c. ss. per richiedere il riconoscimento del proprio diritto atteso che la condizione di procedibilità ex art. 445 bis c.p.c. è già stata assolta.

b) La mancata proposizione della domanda di merito priva di efficacia la contestazione ritualmente formulata. L’accertamento tecnico espletato conserva la sua validità mentre l’opposizione inizialmente proposta avverso la consulenza tecnica si considera come mai avvenuta.

Così “in assenza di contestazioni”, il giudice omologa l’accertamento del requisito sanitario come risultante dalla perizia tecnica.

Nel silenzio della norma, la seconda appare la soluzione più congeniale alla ratio dell’istituto.

Consentendo la conservazione dell’efficacia dell’accertamento tecnico, e poi la possibilità che esso sia omologato dal giudice, si permette una chiusura in via definitiva della controversia sulla verifica del requisito sanitario. Si evita così l’instaurazione del giudizio di merito su una lite che già parrebbe risolta. Il ricorrente che ha ottenuto un accertamento positivo del proprio requisito sanitario ha infatti tutto l’interesse a che le risultanze della consulenza tecnica siano omologate.

Dall’altra parte, l’Inps, inizialmente opposto all’accertamento, mancando di instaurare il giudizio di merito, dimostra di non avere interesse a contestare ulteriormente le risultanze peritali le quali perciò potranno costituire oggetto di omologa.

Resta fermo però che, quand’anche omologato, l’accertamento del requisito sanitario potrebbe rivelarsi inutile qualora l’Inps si rifiutasse di pagare le prestazioni. Si è visto50 infatti che l’omologa non ha valore di titolo esecutivo sicché, anche quando si conceda la possibilità di convalidare un

47 L’inappellabilità della sentenza che definisce il giudizio è stata reintrodotta dalla l. 183/2010 di modifica della l.

111/2011. E’ da osservarsi come nella formulazione del d.l. n. 98/2011 le sentenze pronunciate nei giudizi sorti a seguito della contestazione delle conclusioni peritali erano definite “inappellabili”. Nella legge di conversione tale previsione è stata soppressa per poi essere reinserita nella l. 183/2010. Anomala è anche la disciplina transitoria dettata dalle norme citate. La l. 111/2011 è infatti entrata in vigore il 1° gennaio 2012. A seguito di tale data, l’istanza di accertamento tecnico preventivo, la contestazione della consulenza tecnica, il giudizio di merito e l’impugnazione della sentenza seguono le regole dell’art. 445 bis c.p.c. così come disciplinato dalla l. 111/2011. A partire dal 1° febbraio 2012 è invece entrato in vigore il nuovo comma 7 dell’art. 445 bis c.p.c. che prevede l’inappellabilità della sentenza che definisce il merito. Quid iuris per le sentenze che definiscono i giudizi di merito iniziati a seguito di procedimenti di accertamento tecnico preventivo instaurati tra il 1° gennaio 2012 e il 1° febbraio 2012? In argomento v. FRABASILE, L’accertamento tecnico, cit.

48 La sentenza per la quale la legge esclude l’appello è infatti sentenza in unico grado, ai sensi dell’art. 360, comma 1, c.p.c. ed è perciò “ordinariamente” ricorribile per cassazione. V. amplius in argomento, TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, 245 ss.

49 Nello stesso senso, MONTELEONE, op. cit., secondo cui l’esclusione dell’appellabilità condurrà ad un alleggerimento del carico delle Corti d’appello. Per FRABASILE, op. ult. cit., invece, la sentenza emessa all’esito dell’unico grado di merito previsto dall’art.445 bis c.p.c. sarà impugnabile esclusivamente con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., per violazione di legge.

50 V. supra par. 8.

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