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Ultimissime dal Consiglio di Stato: l’annullamento … che non annulla! - Judicium

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Academic year: 2022

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MICHELE FORNACIARI

ULTIMISSIME DAL CONSIGLIO DI STATO: LANNULLAMENTO CHE NON ANNULLA!

SOMMARIO: 1. Introduzione: le anomalie italiane e segnatamente quella rappresentata dal diritto amministrativo. – 2. La sentenza. – 3. Segue: gli (erronei) presupposti della decisione e le (contraddittorie) statuizioni in essa contenute. – 4. La potenziale importanza ed utilità del diritto amministrativo per lo studio, in generale, delle situazioni potestative e della tutela costitutiva. – 5. La peculiarità della fattispecie, oggetto della decisione: la sostituzione dell’effetto esistente. – 6.

Le ragioni per le quali la sostituzione dell’effetto può risultare problematica ed in concreto lo è in ambito amministrati- vo. – 7. La sostituzione dell’effetto quale tipologia autonoma di tutela rispetto alla sua eliminazione/produzione. – 8.

Conclusione: la condanna alla sostituzione dell’effetto.

1. Introduzione: le anomalie italiane e segnatamente quella rappresentata dal diritto amministrati- vo

L’Italia è veramente un paese strano. Lo è in generale, per mille ed un motivi; e lo è, assai spesso, anche in campo giuridico. Per non portare in proposito che un solo, eclatante, esempio, si pensi all’insensata ipertrofia normativa che contraddistingue il nostro ordinamento, tanto in genera- le, quanto, in particolare, in materia processuale, dove il codice di procedura civile, da quel corpus ordinato e coerente di regole che dovrebbe essere, è ormai ridotto ad una sorta di alluvionale e di- sordinato testo unico, maldestro ed affastellato coacervo di disposizioni episodiche, eterogenee, non di rado contradditorie e pressoché sempre, salvo rare eccezioni1, criticabili o, ben che vada, velleita- rie.

Ma se c’è un settore, nel quale l’anomalia italiana raggiunge, storicamente, vette insuperabili ed assurge a vero e proprio dato strutturale, ad ordinario modo di essere, esso è quello del diritto amministrativo, e segnatamente della tutela nei confronti della p.a.

In effetti, qualora non l’avessimo concretamente sperimentato – e non lo stessimo tutt’ora sperimentando – sarebbe difficile ipotizzare che, all’interno di uno stato di diritto, si sia potuto svi-

1 Tali, a mio avviso, le modifiche degli artt. 101 e 115 cpc: v. in proposito, se vuoi, M.FORNACIARI, Il contraddittorio a seguito di un rilievo ufficioso e la non contestazione (nel più generale contesto della problematica concernente allegazione, rilievo e prova), in corso di pubblicazione in Rassegna forense e in www.judicium.it.

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luppare, e continui tutt’ora tenacemente a resistere, un sistema tanto illiberale, per un verso, ed as- surdamente complicato, per l’altro, quale quello della nostra giustizia amministrativa; un sistema – oltretutto in larghissima misura extra ordinem, in quanto di matrice essenzialmente giurisprudenzia- le – nel quale ciò che vale in ogni altro campo del diritto non vale più e che si dibatte fra l’arbitraria imposizione di limiti privi di senso, da un lato, e gli improbabili salti mortali per cercare di superar- li, dall’altro; un sistema, ancora, che ha potuto concepire amenità quali – per non portare che due esempi – la presunzione di legittimità dell’atto amministrativo o l’impugnazione del silenzio (vale a dire di un non-provvedimento!), che sarebbero semplicemente risibili2, se non incidessero pesante- mente sulla tutela dei privati; un sistema, infine, nel quale ciò che altrove è normale (si pensi in par- ticolare alla Verpflichtungsklage), da noi continua, non si capisce in nome di cosa – quasi che la no- stra p.a. fosse un fenomeno differente rispetto a quella di altri ordinamenti – a rimanere un tabù.

Fino ad un po’ di tempo fa, nell’assenza (inescusabile, va da sé) di un codice del processo amministrativo, l’opera creativa della giurisprudenza – ferme restando, beninteso, le riserve sul re- lativo contenuto – era sostanzialmente obbligata. Finalmente introdotto tale codice (con il d. lgs.

104 del 2 luglio 2010), si poteva sperare che la lunga stagione del diritto giurisprudenziale, con le sue improbabili costruzioni, fosse finalmente terminata. Niente di più sbagliato: complici un conte- nuto timido, impacciato e lacunoso, ed una formulazione del tutto in linea con la generale mediocri- tà dell’attuale tecnica normativa, la situazione rimane oggi, all’indomani di tale teorico e sulla carta fondamentale spartiacque, del tutto analoga a quella precedente. Soprattutto, continuiamo a dover fare i conti con tutti i pregiudizi, gli ostacoli, le astruserie e le ingiustizie di un’elaborazione che speravamo di esserci finalmente lasciati alle spalle e di poter accantonare quale rozzo ed arretrato prodotto dell’(infelice) età pre-codicistica.

Così, in particolare e riprendendo l’accenno di poc’anzi, l’azione di adempimento, o, più semplicemente ed ordinariamente, di condanna, anziché un dato di fatto acquisito, continua a porsi

2 Per quanto in particolare concerne il secondo fenomeno, si pensi al caso nel quale, sostenendo Ti- zio di avere diritto al trasferimento di un certo bene da parte di Caio, alla sollecitazione del primo a provvedervi il secondo rimanga inerte: a nessuno, credo, verrebbe mai fatto anche solo di ipotizzare che il rimedio a disposizione di Tizio possa consistere, anziché nel chiedere che tale effetto sia pro- dotto altrimenti (e segnatamente dal giudice con una sentenza costitutiva), nell’“impugnazione”

dell’inerzia di Caio. Eppure proprio questo è ciò che è viceversa avvenuto a fronte del silenzio della p.a.

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– complice anche la marcia indietro in proposito del testo definitivo del codice del processo ammi- nistrativo3 – in termini problematici, fra tentativi di aperture e brusche frenate4.

La tutela nei confronti della p.a., è inutile illudersi, rimane insomma ancor oggi un mondo a parte; un corpo separato ed autonomo, dominato da concezioni e costruzioni anacronistiche ed im- prontato ad un intollerabile squilibrio a danno del privato; un sistema, detto in sintesi, che riesce ad assicurare solo una giustizia limitata, monca, e, come se ciò non bastasse, aleatoria ed incerta, quale non può non essere quella che continua ad essere rimessa all’opera pretoria della giurisprudenza.

Né, si noti, di tale sistema riesce ad intravedere la fine. Anzi, se qualcuno si illudeva che con il codice l’attività creativa della giurisprudenza, all’insegna degli ostacoli immaginari e delle solu- zioni stravaganti, si fosse ormai esaurita, per cui, fermo restando il dibattito sui temi controversi già noti, non vi fosse spazio per nuove invenzioni, si sbagliava di grosso. Tale attività è infatti più viva che mai, ed una recente sentenza del Consiglio di Stato5 lo dimostra in modo veramente eclatante, spingendosi – anche senza bisogno dell’Enterprise – “là dove nessun uomo [era] mai giunto prima”.

Con tale sentenza, ultimo parto di una fantasia – va detto – veramente inesausta ed ennesimo frutto guasto di una fedeltà degna di miglior causa alla concezione impugnatoria del processo amministra-

3 Com’è noto, l’azione di adempimento, espressamente contemplata dal testo provvisorio redatto dall’apposita Commissione, è stata poi improvvidamente depennata.

4 Si vedano emblematicamente, nel primo senso, T.A.R. Lombardia, Milano, 8 giugno 2011 n.

1428, in Foro Amm. TAR 2011, 1499, con nota di A.CARBONE, Fine delle perplessità sull’azione di adempimento, in Giorn. dir. amm. 2011, 1187, con nota di L.TORCHIA, Condanna e adempimento nel nuovo processo amministrativo, e in Giur. it. 2012, 714, con nota di D.VAIANO, L’azione di a- dempimento nel processo amministrativo: prime incertezze giurisprudenziali, nel secondo, Cons.

Stato 27 giugno 2011 n. 3858, ibidem.

In dottrina, sul tema e più in generale sulle azioni esperibili contro la p.a., v. ad esempio, da ultimo, oltre alle note appena citate, V.CARBONE, Azione di adempimento e Codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it; M.CLARICH, Le azioni nel processo amministrativo tra reti- cenze del Codice e aperture a nuove tutele, in Giorn. dir. amm. 2010, 1121 ss. e in www.giustizia- amministrativa.it; G.FOLLIERI, Le azioni di annullamento e di adempimento, in Dir. e proc. amm.

2011, 457 ss. e in www.giustamm.it; R.GISONDI, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; I. PAGNI, L’azione di a- dempimento nel processo amministrativo, in Riv. dir. proc. 2012, 328 ss.; B.SASSANI, Arbor actio- num. L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in Riv. dir. proc. 2011, 1356 ss. e in www.judicium.it; A.TRAVI, La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministra- tivo, in www.giustamm.it e in Gestione del nuovo processo amministrativo. Atti del 56° Convegno Nazionale di Studi Amministrativi tenutosi a Varenna dal 23 al 25 settembre 2010, Milano 2011, 75 ss.; G. VELTRI, Le azioni di accertamento, adempimento, nullità ed annullamento nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.

5 Cons. Stato 10 maggio 2011 n. 2755, in Guida al diritto 26/2011, 103 ss., con nota di E.LOIRA, La sentenza della Corte d’appello ribalta il giudizio di primo grado, e in Giur. it. 2012, 438 (solo massima), con nota di E.FOLLIERI, L’ingegneria processuale del Consiglio di Stato.

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tivo e dell’inspiegabile ritrosia ad ammettere serenamente l’azione di adempimento/condanna, il Consiglio di Stato si inventa infatti, come si enunciava nel titolo, l’annullamento … che non annul- la!

2. La sentenza

Rapidamente sintetizzando, per ciò che qui interessa, il contenuto della decisione, in que- stione era un piano faunistico-venatorio, che il wwf aveva impugnato “lamentando […] che non [e- ra] stato attivato il procedimento sulla ‘valutazione ambientale strategica’, previsto dalla legislazio- ne statale, e che dunque [erano] state disposte inadeguate misure protettive per la fauna, rispetto a quelle che si sarebbero ragionevolmente disposte, ove fosse stato seguito il prescritto procedimen- to”.

Il Consiglio di Stato, ritenuta fondata la censura, ha accolto il ricorso, riformando la senten- za del tar, che in primo grado l’aveva invece respinto.

Per quanto concerne però le conseguenze di tale accoglimento, il Consiglio di Stato: per un verso ha esplicitato, in veste di precisazione, ex art. 341 lett. e) prima frase del codice del processo amministrativo, dell’effetto conformativo della sentenza, che, “in sede di emanazione degli atti ulte- riori, la Regione [dovrà] dare applicazione alle disposizioni nazionali sulla VAS, contenute nel de- creto legislativo n. 4 del 2008”; per altro verso, ritenuto che l’annullamento del piano, anche solo ex nunc, produrrebbe “la gravissima e paradossale conseguenza di privare il territorio […] di qualsiasi regolamentazione e di tutte le prescrizioni di tutela sostanziali contenute nel piano già approvato”, e ciò “in contrasto sia con l’interesse posto a base dell’impugnazione, sia con le esigenze di tutela prese in considerazione dalla normativa di settore, e si ritorcerebbe a carico degli interessi pubblici di cui è portatrice ex lege l’associazione appellante”, ha espressamente escluso l’effetto di annulla- mento della sentenza, pur se di accoglimento del ricorso, disponendo che gli atti impugnati “con- servino i propri effetti sino a che la Regione […] li modifichi o li sostituisca”; in ultimo, poi, ha sta- tuito “che la Regione […] proceda alla approvazione dell’ulteriore piano faunistico venatorio […]

entro il termine di dieci mesi”, pena la possibilità di attivare il giudizio di ottemperanza.

Tutto questo, si perdoni la franchezza, è veramente assurdo.

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3. Segue: gli (erronei) presupposti della decisione e le (contraddittorie) statuizioni in essa contenu- te

Beninteso, la decisione è, nella sostanza, sicuramente condivisibile: è del tutto evidente, sul- la base del senso comune, che annullare senz’altro il piano impugnato, con il nuovo destinato ad en- trare in vigore solo in un secondo tempo, all’esito del nuovo iter deliberativo, avrebbe determinato, per il wwf ricorrente, la vera e propria beffa della liberalizzazione della caccia, per quanto tempora- nea.

Non su questo si appunta dunque, evidentemente, la critica, bensì sulla veste giuridica della – in sé intuitiva – soluzione; sul percorso giuridico seguito per approdarvi e sulle categorie giuridi- che adoperate in proposito.

La sentenza sconta infatti, come si accennava, due gravosi pregiudizi: da un lato la conce- zione impugnatoria del processo amministrativo, dall’altro l’esclusione dell’azione di adempimen- to/condanna. Chiuso in tale duplice (immaginaria) strettoia, il Consiglio di Stato non trova dunque di meglio che per un verso ricorrere all’effetto conformativo della sentenza, per l’altro rinviare all’adozione del nuovo piano l’effetto demolitorio del vecchio: la decisione, pur statuendo sul piano faunistico-venatorio impugnato, da un lato (effetto conformativo) indica comunque cosa deve esse- re fatto per il futuro, dall’altro (rinvio dell’effetto demolitorio) posticipa a quando tale dover essere si sarà tradotto in concreto la caducazione dell’atto illegittimo. E’ però del tutto evidente che questo è solo un modo artificioso e farisaico per cavarsi d’impaccio, rendendo omaggio formale ai presunti limiti della propria azione (la duplice strettoia della quale si diceva poc’anzi), ma nella sostanza in- frangendoli entrambi. Pur muovendosi nell’ottica del giudizio di annullamento, il Consiglio di Stato si astiene infatti dall’annullare l’atto censurato (e riscontrato effettivamente viziato); e per converso, pur evitando accuratamente di esprimersi in termini di condanna, preordina vincolantemente il comportamento futuro della p.a.

Volendo sintetizzare in una formula il senso della sentenza, potremmo insomma dire che es- sa condanna la p.a. senza condannarla, tramite un annullamento che non annulla.

4. La potenziale importanza ed utilità del diritto amministrativo per lo studio, in generale, delle si- tuazioni potestative e della tutela costitutiva

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Tutto questo, come già detto, è assurdo. Ma soprattutto è un peccato. E’ un peccato, in gene- rale, il fatto che il diritto amministrativo rappresenti un mondo a sé, incomunicante con le altre branche del diritto, dominato da pseudo-categorie tutte sue ed improntato ad una logica incompren- sibile al suo esterno. Se solo riuscisse a liberarsi da tutti i falsi problemi, e a dismettere i conseguen- ti condizionamenti, che lo funestano, esso, caratterizzato com’è dall’asimmetria fra le posizioni dei soggetti coinvolti – privati e p.a. – nonché dalla presenza di un diffuso potere discrezionale della seconda, potrebbe infatti offrire spunti preziosi, e rappresentare dunque un terreno veramente fe- condo per lo studio di molti aspetti delle situazioni potestative e della tutela costitutiva, vuoi sul versante sostanziale, vuoi su quello processuale.

E’ poi un peccato, per quanto in particolare concerne la sentenza della quale si è detto, che non sia stata adeguatamente e correttamente sfruttata la possibilità di approfondimento offerta da una fattispecie veramente interessante e stimolante.

Il fatto che questo non sia avvenuto ad opera del Consiglio di Stato non significa peraltro che non debba avvenire per nulla. Svincolandoci dal modo amministrativistico di impostare i pro- blemi e dalle relative costrizioni, proviamo allora a vedere se sia possibile fornire una spiegazione più plausibile, e soprattutto più in linea con le categorie dell’ordinario ragionamento giuridico, della conclusione, in sé, come detto, intuitiva, contenuta nella sentenza.

5. La peculiarità della fattispecie, oggetto della decisione: la sostituzione dell’effetto esistente

In tale direzione, il primo passo consiste nel mettere chiaramente a fuoco in cosa consista la peculiarità, e dunque l’interesse, della fattispecie in questione.

La risposta a questo interrogativo consiste a mio avviso in ciò, che l’interesse sotteso all’azione promossa risulta atipico, rispetto a quelli che vengono abitualmente in considerazione in casi di questo tipo. Più esattamente, mentre di solito si ha a che fare con interessi per così dire sem- plici, qui l’interesse è composito, o, forse meglio, complesso.

In genere, allorché le parti controvertono intorno ad un effetto giuridico, si danno infatti due possibilità: o in questione è un effetto già in essere, che uno dei due soggetti assume per qualche verso illegittimo (o inopportuno, o in altro modo improprio) e chiede pertanto che venga rimosso;

oppure in questione è un effetto non ancora in essere, al quale uno dei due soggetti assume di avere diritto, e che chiede pertanto che venga prodotto. In questione è cioè, in breve, o l’interesse (e la

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conseguente richiesta) all’eliminazione di un effetto, oppure quello alla sua produzione; che altro non sono poi, con le categorie del diritto amministrativo, se non l’interesse legittimo cd oppositivo e quello cd pretensivo6.

Non sempre però le cose stanno in tali termini. A volte l’interesse è per così dire duplice; es- so si rivolge cioè sia all’eliminazione di un effetto esistente che alla produzione di uno nuovo. Così era per l’appunto nel caso di specie: il wwf non voleva soltanto l’eliminazione del piano faunistico- venatorio in essere, ma anche l’introduzione di uno nuovo, più restrittivo.

In casi di questo tipo, proprio perché non si vuole solo l’eliminazione né solo la produzione, ma entrambe, ciò di cui si tratta è dunque in realtà, più sinteticamente ma anche più precisamente, la sostituzione dell’effetto in essere; vale a dire la produzione di un nuovo effetto, che prenda il po- sto di quello vecchio.

6. Le ragioni per le quali la sostituzione dell’effetto può risultare problematica ed in concreto lo è in ambito amministrativo

Questo essendo l’interesse da soddisfare, sembrerebbe scontato che la sua tutela non possa avvenire se non cumulando quelle utilizzabili con riferimento alle sue due componenti, singolar- mente considerate; vale a dire eliminando il vecchio effetto e producendo il nuovo. E di questo ef- fettivamente, alla fin fine, si tratta. La soluzione non è però così banale. Come il caso di specie di- mostra, la cosa può infatti risultare in concreto problematica. In particolare, ciò che in tale caso ren- deva inefficiente, e dunque inadeguata, la mera sommatoria dell’eliminazione del vecchio effetto e della produzione del nuovo consisteva, come visto, nel fattore tempo: nell’intervallo fra la prima e

6 A scanso di equivoci e per fugare ogni dubbio sulle presunte peculiarità del diritto amministrativo, è bene chiarire che quelli in questione sono schemi generali, che si ritrovano anche nel diritto civile.

Nient’altro che un interesse alla produzione di un effetto è infatti, banalmente, quello sotteso all’azione ex art. 2932 cc; e nient’altro che un interesse all’eliminazione di un effetto è, altrettanto banalmente, quello che si persegue con l’azione di annullamento di un contratto (sulla ricostruzione della tutela costitutiva, in parallelo con quella di condanna, in chiave di diritto all’effetto oppure al non-effetto, a seconda della sua proiezione alla produzione oppure all’eliminazione di un effetto, e sulla riconduzione a tale schema anche del rapporto fra privato e p.a., v. se vuoi, M.FORNACIARI, Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino 1999, §§ 13 e 19 ss. e note 57.2 e 60.1;

ID. L’oggetto del processo tributario, in Giust. civ. 1999, II, 91 ss.; ID., Lesione di interessi legitti- mi: risarcimento del danno e annullamento dell’atto, in Dir. proc. amm. 2009, 334 ss., §§ 4 ss.).

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la seconda, il wwf si sarebbe trovato, sia pure temporaneamente, in una situazione addirittura dete- riore rispetto a quella determinata dal provvedimento impugnato.

Per trovare la soluzione corretta di tale problema, occorre ragionare sul meccanismo tecnico, o per meglio dire sulla struttura, della tutela in discorso.

A tale proposito, premesso che tanto l’eliminazione di un effetto quanto la sua produzione sono forme di tutela costitutiva, è evidente che nessun problema si pone laddove entrambe possano essere erogate dal giudice. In tal caso, fra l’eliminazione del vecchio effetto e la produzione del nuovo non sussiste infatti alcuno iato temporale.

Non sempre – e comunque non necessariamente – la tutela costitutiva ha però una struttura di questo tipo. In alternativa può infatti anche aversi un meccanismo sdoppiato, sul modello della tutela di condanna; tale cioè che in cognizione ci si limita ad ordinare l’eliminazione/produzione dell’effetto, dopodiché, in caso di inottemperanza, l’eliminazione/produzione avviene in sede esecu- tiva. Questo è in effetti quello che accade in ambito amministrativo, sia pure solo sul secondo ver- sante, vale a dire quello della produzione dell’effetto: mentre allorché in questione è l’annullamento dell’atto (vale a dire l’eliminazione dell’effetto) si provvede direttamente in cognizione, quando si tratta di sostituirsi alla p.a. nella sua emanazione (vale a dire di produrre l’effetto) occorre passare per il giudizio di ottemperanza78 (tale differente regime, come già accennato e come vedremo me- glio fra breve, è precisamente il motivo per il quale si pone il problema che stiamo affrontando).

Anche in presenza di una siffatta struttura, nessun problema si pone peraltro, in fattispecie come quella in esame, laddove tale struttura caratterizzi la tutela costitutiva in qualunque sua mani- festazione; tanto cioè per ciò che concerne la produzione quanto per ciò che concerne l’eliminazione dell’effetto. In questo caso, non diversamente da ciò che accade laddove tanto l’una quanto l’altra siano rimesse al giudice, esse avvengono infatti nello stesso momento e non si deter- mina dunque alcuno iato temporale.

Il problema insorge invece quando la tutela costitutiva possiede una struttura del primo tipo quanto all’eliminazione dell’effetto ed una del secondo tipo quanto alla sua produzione; che, come

7 La scelta in tal senso, che ha in effetti una ragion d’essere in presenza di un potere discrezionale in merito all’effetto in questione (ma anche in tal caso non vedo quali ostacoli insormontabili si frap- porrebbero a che, una volta giunti in sede giurisdizionale, la valutazione fosse rimessa al giudice), risale più in generale, com’è noto, ad un anacronistico pregiudizio circa l’impossibilità per il giudi- ce di sostituirsi alla p.a., che sarebbe forse il caso di cominciare a rimettere in discussione.

8 Sull’inquadramento del secondo schema nell’ambito della tutela costitutiva, e segnatamente della tutela costitutiva incompiuta, v., se vuoi, M.FORNACIARI, Situazioni potestative, cit., § 13 testo e note, § 34 testo e nota 34.8, e nota 57.2, e ID., Lesione di interessi legittimi, cit., § 6.

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appena sottolineato, è per l’appunto ciò che accade in ambito amministrativo, dove l’annullamento spetta al giudice, mentre la supplenza della p.a. nell’emanazione di un atto è riservata al giudizio di ottemperanza.

Quid iuris, dunque, in tale ipotesi?

7. La sostituzione dell’effetto quale tipologia autonoma di tutela rispetto alla sua eliminazio- ne/produzione

La soluzione è in realtà abbastanza semplice. Il punto, che proprio l’evenienza in discorso consente di cogliere e diversamente destinato invece a non assumere rilevanza e dunque a rimanere nascosto9, è quello relativo all’autonomia della sostituzione dell’effetto rispetto alla sua eliminazio- ne ed alla sua produzione; al fatto, cioè, che la prima, pur constando sia della seconda che della ter- za, non si riduce alla mera somma di queste ultime, ma, come spesso accade, assume una valenza maggiore di tale somma.

Ciò di cui si tratta, detto ancora altrimenti, e più incisivamente, è insomma questo, che la so- stituzione dell’effetto rappresenta un tipo a sé di tutela costitutiva, ulteriore rispetto all’eliminazione ed alla produzione dell’effetto medesimo, e distinta da esse. Tale, in particolare, che al suo interno non è possibile scindere l’aspetto demolitorio da quello costruttivo. Quello che si vuole, allorché si chiede la sostituzione di un dato effetto, non è, infatti, intanto l’eliminazione dell’effetto esistente e poi, quando sarà, la produzione di uno nuovo, bensì direttamente quest’ultima; o, se si preferisca, la produzione di un nuovo effetto previa eliminazione del precedente; o ancora, volendo dare risalto anche al fenomeno preliminare, l’eliminazione dell’effetto esistente in funzione della produzione di uno nuovo, l’eliminazione del primo purché venga prodotto il secondo10.

O meglio: questo è quanto può volersi. A seconda del tipo di fattispecie, non è infatti escluso che a volte possa comunque esservi un autonomo interesse all’eliminazione dell’effetto esistente, indipendentemente dalla produzione del nuovo, e dunque dai relativi tempi. Per rimanere in tema di calendario faunistico-venatorio, si immagini infatti che, esistendo in materia una normativa genera- le, applicabile in assenza di diversa regolamentazione e però derogabile sia in senso più restrittivo che in senso più permissivo, l’ente locale avesse in concreto optato nel secondo senso (regolamen- tazione più permissiva): in questo caso, non c’è dubbio che il wwf, pur mirando ad un risultato fina-

9 Ecco una delle manifestazioni dell’utilità del diritto amministrativo, della quale si diceva nel § 4.

10 Civilisticamente parlando, si potrebbe dire che la produzione del nuovo effetto rappresenta la causa dell’eliminazione di quello esistente.

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le nel primo senso (regolamentazione più restrittiva), avrebbe comunque interesse, per intanto, all’eliminazione del provvedimento impugnato, quando che sia poi destinato ad essere adottato quello di segno speratamente opposto.

Questa è però a sua volta solo una possibilità. Altre volte – e la fattispecie concretamente decisa dal Consiglio di Stato lo dimostra – le cose stanno nell’altro senso, vale a dire quello dell’assenza di un interesse all’eliminazione dell’effetto esistente autonomamente considerata. In queste ipotesi, laddove cioè l’interesse sia volto direttamente e solo alla sostituzione di tale effetto, alla sua sostituzione tout court, senza passaggi intermedi, è evidente (o almeno così mi pare) che la tutela richiesta non consiste puramente e semplicemente nella somma dell’eliminazione dell’effetto esistente e della produzione di uno nuovo, che ne prenda il posto, a prescindere dai tempi della rela- tiva sequenza. In queste ipotesi, è in questione una tutela che è necessariamente unitaria; che o è u- nitaria o non è; e che dunque, proprio per questo, si configura, secondo quanto anticipato, come un tipo autonomo di tutela costitutiva, diverso dagli altre due e parallelo ad essi.

8. Conclusione: la condanna alla sostituzione dell’effetto

Se quanto precede è vero, ben si comprende per quale ragione nei casi di questo tipo non è possibile intanto eliminare l’effetto esistente e poi, quando sarà, produrre il nuovo che ne prenda il posto: semplicemente, operando in questo modo si darebbe una tutela diversa da quella richiesta. Si noti: diversa, non parziale. In questione non è cioè solo una tutela incompleta, vale a dire non pie- namente satisfattiva, bensì un’altra tutela rispetto a quella richiesta, ed anzi addirittura in contrasto con quest’ultima.

Questa è peraltro, com’è evidente, solo una parte della soluzione del problema. O meglio: è la parte negativa della soluzione, che lascia ancora scoperta quella positiva, che è poi quella più im- portante. Stabilito, appunto in negativo, cosa non si può fare, rimane infatti a questo punto da chia- rire, in positivo, cosa si deve fare; che equivale poi in sostanza a dire: come si giustifica, secondo la corretta ma maldestra intuizione del Consiglio di Stato, il rinvio dell’eliminazione dell’effetto esi- stente al momento nel quale avverrà la produzione del nuovo, destinato a prenderne il posto?

La risposta – e dunque il completamento della soluzione – è, mi pare, obbligata: posto per un verso che in questione è, come detto, una tutela unitaria, e che pertanto eliminazione dell’effetto esistente e produzione del nuovo, destinato a prenderne il posto, sono inscindibili e devono avvenire

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nello stesso momento; posto poi, per altro verso, che le vie percorribili sono solo due, vale a dire il provvedimento costitutivo del giudice della cognizione oppure la condanna da parte di questo e poi l’esecuzione; posta dunque l’una e l’altra cosa, laddove si ritenga – a torto o a ragione – di non po- ter attribuire al giudice, oltre al potere di eliminare l’effetto esistente, anche quello di produrre l’effetto nuovo, non resta evidentemente che optare per la soluzione opposta, vale a dire rimettere al processo esecutivo, oltre che la produzione del nuovo effetto, anche l’eliminazione di quello esi- stente (operazione questa che, per quanto possibile anche al giudice, ed anzi abitualmente posta in essere senz’altro da questo, nulla impedisce evidentemente che venga realizzata in sede esecutiva).

Banalizzando, è un po’ come se, trattandosi di cambiare il frigorifero, il fornitore possa riti- rare subito il vecchio ma possa fornire il nuovo solo fra qualche giorno: posto che le due cose deb- bono avvenire contemporaneamente, pena l’ammaloramento degli alimenti, se non è possibile anti- cipare la fornitura del nuovo frigorifero, la soluzione non può evidentemente consistere che nel po- sticipare il ritiro del vecchio (attività questa bensì possibile immediatamente, ma non per questo non rinviabile al momento della fornitura del nuovo). Oppure se, dovendosi sostituire ad un malato il farmaco x, attualmente somministrato, con il farmaco y, di nuova generazione e più efficiente, quest’ultimo non sia ancora stato immesso sul mercato: premesso che per il malato il farmaco x è comunque preferibile alla mancanza di cura, a nessuno verrebbe mai in mente di sospenderne senz’altro la somministrazione, anche in assenza del farmaco y. Oppure ancora, con più attinenza, se, dovendosi procedere ad esecuzione sulla base di una sentenza che, nell’interesse di un vicino, ordina la sostituzione di una precaria gabbia per leoni con una più robusta e sicura, i materiali ne- cessari per la realizzazione della nuova gabbia non fossero al momento disponibili: salvo voler la- sciare i leoni liberi di sbranare il vicino, che, non foss’altro, è proprio ciò che la sentenza mirava ad evitare, è ovvio che anche la demolizione della vecchia gabbia (possibile fin da subito, ma non per questo non procrastinabile) dovrà essere rimandata.

Alla medesima conclusione si giunge del resto anche altrimenti, in base ai normali criteri dell’interpretazione analogica. Premesso quanto detto circa l’inscindibilità dell’eliminazione dell’effetto esistente e della produzione del nuovo, è infatti evidente che la tutela sostitutiva – unita- riamente intesa – incontra il medesimo ostacolo di quella volta alla mera produzione dell’effetto, vale a dire la ritenuta impossibilità, per il giudice, di provvedere direttamente. Su tale base, è dun- que evidente che anche per la tutela sostitutiva – si ripete: unitariamente intesa – non può non vale- re, analogicamente, appunto, il medesimo regime previsto per quella volta alla mera produzione dell’effetto, vale a dire la sua – unitaria – rimessione al processo esecutivo.

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Tutto questo, calando il discorso nella concreta realtà del processo amministrativo e tirando le fila del discorso, significa dunque in sostanza questo, che – accantonata senz’altro l’improbabile soluzione dell’annullamento che non annulla e per altro verso chiamando le cose con il loro nome, vale a dire evitando di frapporre l’ostacolo immaginario del divieto di condanna della p.a., salvo poi aggirarlo tramite lo scoperto escamotage dell’effetto conformativo – il giudice amministrativo non pronuncerà alcun annullamento, ma rimetterà in toto la palla al giudizio di ottemperanza (o meglio:

in primis alla p.a. e quindi, in caso di inattività di questa, al giudizio di ottemperanza), tramite una pronuncia di condanna che avrà ad oggetto non solo l’adozione di quel certo atto nel rispetto delle regole non rispettate la prima volta, bensì, più comprensivamente, la sostituzione dell’atto viziato; e quindi tanto l’eliminazione di quest’ultimo quanto l’adozione di quello destinato a prenderne il po- sto.

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