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PIETRE LATRANTI E NITRENTI

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Academic year: 2022

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PIETRE ‘LATRANTI’ E ‘NITRENTI’

UNO STUDIO COMPARATIVO DEI CARMINA LATINA EPIGRAPHICA PER ANIMALI DOMESTICI

Word count: 23,304

Neel Debrulle

Student number: 01610952

Supervisors: Prof. Dr. Wim Verbaal (Universiteit Gent), Prof. Dr. Gian Luca Gregori (Sapienza Università di Roma)

A dissertation submitted to Ghent University in partial fulfilment of the requirements for the degree of Master of Arts in Linguistics and Literature – Language combination Latin-Italian

Academic year: 2019 – 2020

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare soprattutto i miei due relatori, il prof. dr. Wim Verbaal e il prof. dr. Gian Luca Gregori.

Sono grato al professore Verbaal per aver accettato di guidarmi in questo lavoro, per avermi aiutato a scrivere questa tesi, e per essere rimasto in contatto con me attraverso mail e videochiamate anche durante la diffusione del coronavirus. Vorrei ringraziarlo anche per avermi risposto (a volte molto rapidamente) in alcuni momenti di incertezza e avermi permesso di lavorare secondo il mio ritmo. Grazie pure per avermi dato la possibilità di scrivere questa tesi in italiano, per aver lavorato con me con atteggiamento molto umano e rispettoso, e per aver assecondato i miei interessi.

Sono poi riconoscente al professore Gregori per aver mostrato tanto interesse verso il mio lavoro e accompagnato i miei progressi negli studi epigrafici, per avermi instradato, e per esser stato sempre a mia disposizione. Vorrei ringraziarlo anche per il modo amichevole con cui mi ha seguito e per avermi aiutato con la lingua italiana. Da ultimo, ma non meno importante, grazie in particolare per avermi introdotto nel mondo dell’epigrafia durante il mio soggiorno Erasmus a Roma nel 2018.

Grazie anche ai miei genitori per aver creato un contesto sereno in cui ho potuto lavorare e per avermi sempre assicurato il loro sostegno. Vorrei ringraziare mio fratello Rein: il fatto di studiare insieme mi è stato molto utile. Sono infine grato alla mia ragazza Roxane e ai miei amici per il costante supporto morale.

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Indice

Introduzione ... 6

1. Animali domestici nel mondo antico ... 6

2. La commemorazione di animali domestici ... 7

3. Scopo della tesi ... 9

La poetica dei Carmina Latina Epigraphica ... 10

1. Definizione e profondità ...10

2. Contenuto ...11

2.1. Sia pagano che cristiano ... 11

2.2. Prevalentemente funerario (e stereotipato) ... 11

2.3. Una paradossale anonimità... 12

2.4. Relazione epigrafia-letteratura ... 13

3. Forma e stile ...14

3.1. Metro ... 14

3.2. Le conseguenze del materiale per il testo ... 15

3.3. Lingua... 17

4. Sintesi ...18

Presentazione delle epigrafi ... 20

1. Introduzione ...20

2. Trascrizione dei testi ...22

2.1. Cyras ... 22

2.2. Helena ... 22

2.3. Margarita ... 23

2.4. Patrikê ... 24

2.5. Aeolis ... 24

2.6. Cane da guardia ... 25

2.7. Fuscus ... 25

2.8. Myia ... 26

2.9. Speudusa ... 26

2.10. Samis ... 27

2.11. ‘Coporus’ ... 28

2.12. Borysthenes ... 29

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Analisi delle epigrafi ... 31

1. Analisi formale ...31

1.1. Metro ... 31

1.2. Aspetti visivi ... 32

1.3. Situazione comunicativa ... 33

1.4. Concisione e supporto ... 34

1.5. Stile ... 35

2. Analisi contenutistica ...37

2.1. Centralità del nome ... 37

2.2. Carattere epigrafico stereotipato ... 38

2.3. Legame con la letteratura ... 39

3. Sintesi ...44

Conclusioni e applicazioni ... 46

1. Conclusioni finali ...46

2. Le questioni relative a Cyras, Samis, e Boristene ...48

2.1. Essere umano o animale? ... 48

2.2. Samis e Boristene: uno stesso autore? ... 50

Appendice: immagini delle iscrizioni citate ... 51

Bibliografia ... 65

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Introduzione

Al centro di questa tesi sono gli epitaffi latini per animali domestici e nello specifico per cani e cavalli. Visto che nella moderna civiltà occidentale fare una lapide funeraria per un animale amato è cosa abbastanza rara, è opportuno cominciare con un inquadramento del fenomeno nel suo contesto storico. Per questo, prima di affrontare il tema specifico di questo lavoro, i primi due capitoli forniscono un quadro generale per quanto riguarda gli animali (domestici) nel mondo antico e la loro commemorazione.

1. Animali domestici nel mondo antico

Nell’Antichità non tutti gli animali erano destinati al consumo, al lavoro, o agli spettacoli nell’arena. Fonti letterarie1, reperti archeologici2 ed epigrafi lasciano intendere che ci poteva essere veramente una relazione di cura e di ‘affetto reciproco’ tra l’uomo antico e il suo animale (Bodson, «Motivations for Pet-Keeping in Ancient Greece and Rome» 36). Anzi, secondo il capitolo di Liliane Bodson in Companion Animals and Us:

Exploring the Relationships between People and Pets, una tale relazione non solo non era rara, ma persino frequente: “pet-keeping was a widespread and well-accepted phenomenon in Classical antiquity” (27). Con l’aggettivo ‘widespread’ lei intende non solo una diffusione geografica del fenomeno, ma anche e soprattutto quella di tipo sociale ed economico. Infatti, nonostante il fatto che alcuni tipi di animali (p.e.

cavalli in generale3, cani da caccia, cani da salotto …) fossero troppo costosi per i poveri o implicassero una mentalità elitaria (Bodson, «Place et fonctions du chien»), l’allevamento di animali domestici non era soltanto un privilegio per le classi sociali alte, ma era aperto a tutti (Bodson, «Motivations» 27). 4

I Romani tenevano come animali domestici soprattutto cani e cavalli, ma anche uccelli – particolarmente pernici per la loro funzione nella caccia e uccelli ‘parlanti’ come pappagalli e corvi – erano animali domestici comuni (MacKinnon 276). È spesso difficile fare una distinzione tra animali destinati al lavoro (e al consumo nel caso di uccelli, pesci e bestiame), e animali domestici, visto che in alcuni casi un animale poteva svolgere entrambi i ruoli: anche un cane da caccia, da guardia, da tiro o usato per spettacoli poteva essere amato e accudito (Bodson, «Place et fonctions du chien» 14-7; MacKinnon 269).5 Alcuni cani però avevano soltanto la funzione di animali da compagnia: esistevano certe razze canine abbastanza piccole incrociate a tale scopo che si trovavano prevalentemente nelle classi sociali più alte (272-3). Abbiamo indicazioni diverse che anche animali selvatici (p.e. serpenti, murene6, cervi …) ed esotici (p.e. leoni, orsi …) potevano essere domati e tenuti come animali ‘domestici’ (277-8), ma erano casi più rari. Invece, quasi assenti dal mondo greco e

1 Nella letteratura sono famose per esempio la relazione tra Ulisse e il suo cane Argos (Hom. Od. 17, 291-327) e le emozioni provocate dalla morte del delfino di Hippo (Plin. Ep. 9, 22), ma abbiamo anche molti riferimenti diretti per esempio a cani da salotto, in Lucrezio, Petronio e altri scrittori (MacKinnon 272).

2 Archeologicamente disponiamo di ossa di animali che mostrano chiaramente che i padroni si sono presi cura di loro (MacKinnon 273), statue e epitaffi.

3 ‘Horses were expensive in antiquity; ownership generally inferred status, wealth, and prestige’ (MacKinnon 274), anzi gli equites devono il proprio nome al fatto che originalmente si potevano pagare un cavallo e un’armatura.

4 Per una panoramica generale dei ruoli diversi degli animali nel mondo antico (greco e romano) vedi il libro di Iain Ferris del 2018: Cave Canem : Animals and Roman Society.

5 La stessa cosa valeva anche per i cavalli da trasporto, da tiro, da corsa, da battaglia, e da allevamento.

6 Plin. nat. 39

romano erano i gatti: erano soprattutto usati come cacciatori di topi e anche se tra il secondo e il quinto secolo d.C. il loro numero nel Mediterraneo aumentò, esso rimase comunque limitato (Bodson,

«Motivations» 31; MacKinnon 275).

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2. La commemorazione di animali domestici

Le ripercussioni finanziarie della perdita di un animale domestico erano di per sé abbastanza amare, ma la morte di un animale domestico, anche nell’Antichità, era certamente un fatto molto triste, spesso difficile da accettare. I Romani che potevano permetterselo affrontavano un tale dolore organizzando un funerale vero e proprio per il loro animale. Animali domestici erano sepolti in modo simile a esseri umani7: potevano essere inumati, cremati o persino imbalsamati, e i riti funerari si ispiravano al funerale degli uomini, compreso il banchetto funebre (Stevanato, «La morte dell’animale d’affezione nel mondo romano tra convenzione, ritualità e sentimento: un’indagine “zooepigrafica”» 40, 52, 54-5). Inoltre, non esistevano cimiteri solo per animali; gli animali erano perciò sepolti negli stessi luoghi degli uomini (Bodson,

«Motivations» 28). Secondo Bodson, “the principle of funerals for dead animals (pets, domestic or even wild animals) was neither officially forbidden nor morally condemned in ancient Greece and Rome”, aggiunge però che un eccesso di dolore era senz’altro criticato (ibid.). Funerali e statue o epigrafi per cavalli facevano persino parte “dell’ideologia ‘regale’, in quanto compagni del sovrano”: sono attestati il funerale per Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, una statua per il cavallo di Cesare, una tomba per quello di Augusto, ed epigrafi per Boristene, il cavallo di Adriano, e per i cavalli da corsa preferiti di Lucio Vero e di Valentiniano, risp. Volucer e Phosphorus (Granino Cecere 415).

Come era abitudine quando una persona moriva, anche il sepolcro dell’animale era a volte ornato con una lapide funeraria (con un’iscrizione, o con un bassorilievo, o con entrambi). Mentre gran parte degli epigrammi greci per animali morti consiste di meri prodotti letterari, come afferma Harm-Jan Van Dam nel suo commento sul secondo libro delle Silvae di Stazio:

The first poems on dead animals are Greek Hellenistic epigrams of the third century B.C. […] These epigrams exemplify the general interest both in daily life and smaller matters and in the creation of genre-scenes and the playing with form. The real epitaph on a dead animal, as well as the purely literary epigram, probably arose within the same period and with the same poets. (van Dam 336)

le iscrizioni latine sono ritenute da quasi ogni studioso testimonianze autentiche, riflettendo esse emozioni sincere, non un mero artificio letterario (Lewis e Llewellyn-Jones 717; Stevanato, «La morte dell’animale d’affezione» 40; Bodson, «Motivations» 32). Però, come dice Edouard Galletier nel suo Étude sur la poésie funéraire romaine d'après les inscriptions: “La sincérité des sentiments et des regrets, l’abondance des détails familiers n’excluent pas la recherche de la pensée ni le raffinement de la forme” (Galletier 333).

Questa ‘sincerità’ emerge anche dal fatto che le lapidi per animali domestici non erano prodotti di serie. Le iscrizioni e i bassorilievi che abbiamo a disposizione mostrano dettagli specifici che fanno presumere che fossero realizzati su precisa commissione (Stevanato, «La morte dell’animale d’affezione» 40). Troppo spesso si presume che i componimenti siano stati scritti dai proprietari stessi degli animali: è molto probabile, ma non è sempre certo. Le iscrizioni presentano però una loro specificità, cioè anche se sono

7 Per maggiori informazioni sui funerali (di uomini) a Roma vedi il capitolo ‘funerali’ (pagg. 130-134) in Vita romana:

usi, costumi, istituzioni, tradizioni di Ugo Enrico Paoli (Mondadori, 1962).

state composte su commissione (da lapicidi, amici, o professionisti), esse riflettono comunque le particolari emozioni suscitate dall’animale.

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Nonostante l’esistenza di alcuni epigrammi (letterari) latini e soprattutto greci8 per una varietà di animali, praticamente tutti gli epitaffi (epigrafici) a noi noti sono stati incisi per cani o cavalli, il che si spiega con una relazione uomo-animale particolarmente stretta.9 Funerali e cippi funerari per gatti non sono attestati finora e molto probabilmente non esistevano a causa del comportamento e della condizione del gatto nell’Antichità (Bodson, «Motivations» 31). C’è un’iscrizione sola che menziona un gatto, ma viene segnalata come falsa nel Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL IX, *186). Altri animali come polli, cervi, cinghiali, aquile e altri sono menzionati in iscrizioni, mai però con un valore affettivo o emotivo, ma sempre in senso simbolico o commerciale. Secondo Díaz de Cerio Díez, degli epigrammi (letterari) greci rivolti a una varietà di animali che troviamo nell’Antologia Palatina, ebbero una reale possibilità di essere incisi solamente quelli per cani e cavalli. Quelli per uccelli sono definiti ‘possibili’ e quelli per animali esotici e selvaggi ‘molto improbabili’ (Díaz de Cerio Díez 135-7; Garulli 29).

Nonostante le lapidi per cani e cavalli siano la maggioranza, resta il fatto che il loro numero, parlando in generale, è limitato. Prendendo come esempio le iscrizioni per cani, perché il cane è l’animale più commemorato nel mondo antico, sia nel mondo ellenistico che romano (Bodson, «Motivations» 30), le iscrizioni disponibili, senza contare i bassorilievi senza nome, sono ventidue: Garulli ne conta sette greche (e quattro epigrammi), Stevanato quindici latine. Per l’animale più commemorato non è molto. Stevanato, nel suo articolo La morte dell’animale d’affezione nel mondo romano tra convenzione, ritualità e sentimento, fornisce alcune possibili ragioni. Innanzitutto è importante la ‘sensibilità personale’ il padrone dell’animale sceglieva lui stesso se voleva o meno far erigere una lapide funeraria, non era culturalmente costretto a farlo come accadeva per gli uomini: l’iscrizione era per il padrone il modo di far perpetuare la memoria dell’animale e ricordare la loro relazione dopo la morte. In secondo luogo è certamente anche da considerare il fatto che i bassorilievi e le iscrizioni non erano di poco prezzo (Stevanato, «La morte dell’animale d’affezione» 37-9, 42).10 Se l’allevamento di animali domestici era forse cosa comune per persone di diversi ceti sociali (Bodson, «Motivations» 30, 36), i funerali e gli epitaffi per animali erano piuttosto limitati alle persone benestanti.

8 Per un’analisi degli epigrammi di Anyte vedi Meeusen, Michiel. «Anytes grafepigrammen voor geliefde dieren».

Hermeneus, vol. 89, n. 5, Nederlands klassiek verbond, 2016-2017, pagg. 225–29.

9 Ci sono alcune rare eccezioni greche, per esempio un epitaffio per un usignolo (IG 12.458), per un cobra (GE, 223) e per un maiale (SEG 25, 711) (Garulli 29).

10 I prezzi per le iscrizioni nell’Antichità variavano molto a causa di elementi diversi. Bradley H. McLean nel suo libro An Introduction to Greek Epigraphy of the Hellenistic and Roman Periods from Alexander the Great down to the Reign of Constantine mostra che “the cost of a given monument was determined by the natural quality of the stone, the cost of quarrying and transporting, the size of the text to be inscribed, the quality of engraving, and the costs of erecting it in place” (McLean 13). Incidere le lettere in sé non era molto caro stando ai prezzi di Delos e Lebadeia rispettivamente del terzo e secondo secolo a.C. (14). Insomma, i prezzi per far erigere un’epigrafe non erano esorbitanti, ma non erano neanche economici.

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3. Scopo della tesi

Le fonti che utilizzerò qui sono già state studiate altre volte dagli studiosi. La maggioranza dei contributi però è caratterizzata da un approccio storico-antropologico, mentre è stata poco affrontata la prospettiva epigrafica-letteraria. Per questo vorrei indagare in che modo gli autori di iscrizioni (in versi) per animali domestici utilizzano le convenzioni poetiche dei carmina Latina epigraphica, in altre parole vorrei verificare se le iscrizioni deviano da queste convenzioni e laddove questo accade, vorrei cercarne i motivi. Infine, sarebbe anche interessante verificare se un tale studio possa offrire un contributo ad alcuni dibattiti esistenti intorno alle iscrizioni latine per animali.

Per affrontare questa problematica è necessario conoscere le caratteristiche generali della poetica dei carmina Latina epigraphica come base per un’analisi delle iscrizioni di animali. Il prossimo capitolo sarà quindi dedicato alla poetica di carmina Latina epigraphica e sarà diviso in due parti con una breve introduzione. La prima parlerà delle caratteristiche contenutistiche e la seconda di quelle formali. Il capitolo seguente (‘Presentazione delle epigrafi’) contiene, come il nome lascia immaginare, la presentazione delle epigrafi che saranno poi analizzate nel terzo capitolo. Per ogni iscrizione saranno forniti il testo con traduzione, una essenziale informazione storica-epigrafica, e l’eventuale dibattito circa l’interpretazione dell’epigrafe. Infine, segue il capitolo in cui sono analizzate le iscrizioni di animali applicando le intuizioni formali e contenutistiche del capitolo poetico.

L’ultimo capitolo dà una risposta alla domanda di ricerca e mette tutti gli elementi dell’analisi insieme per affrontare tre dibattiti finora irrisolti, vale a dire le questioni relative all’umanità di Cyras e di Samis, e il quesito del legame tra il componimento di Samis e quello di Boristene.

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La poetica dei Carmina Latina Epigraphica

Cosa sono i carmina Latina epigraphica (abbreviato d’ora in poi in CLE) e come funzionano? Quali sono le loro caratteristiche e convenzioni principali, e per quali aspetti essi si distinguono da un lato dalle altre iscrizioni e dall’altro dalla letteratura (alta) latina?

1. Definizione e profondità

Carmina Latina Epigraphica era in origine il titolo di una silloge, redatta da Franz Bücheler ed Ernst Lommatzsch tra il 1895 e il 1897, che raccoglieva iscrizioni latine in tutto o in parte11 metriche, conosciute fino ad allora. Con il tempo però il titolo è diventato un termine “ombrello” per tutte le iscrizioni di carattere metrico (Bruun e Edmondson 769-70).

Generalmente, si considera come punto di partenza della produzione di epigrafi in versi le iscrizioni degli Scipioni in verso saturnio, databili tra il terzo e il secondo secolo a.C. (Bruun e Edmondson 771). Tuttavia, nonostante la sua origine in ambito socialmente alto, un’analisi dei nomi presenti nei CLE di Bücheler- Lommatzsch mostra che questo tipo di iscrizioni ha goduto nel tempo di grande popolarità soprattutto tra gli strati medio-bassi, vista l’alta percentuale di nomi grecanici caratteristici soprattutto di liberti e schiavi (Sullivan 503-14).12 Fino al secondo secolo d.C. iscrizioni in versi non erano veramente diffuse tra le élites;

è solo nel periodo cristiano che i versi acquisirono una forma di prestigio presso ogni strato sociale (Massaro,

«L’impaginazione delle iscrizioni latine metriche e affettive» 393). Geograficamente i CLE non sono un fenomeno solo romano, ma sono presenti anche nelle provincie.13 Nonostante la diffusione abbastanza ampia sia sul piano sociale che geografico, il numero totale di CLE raccolti nei corpora (come i CLE di Bücheler-Lommatzsch, le Inscriptiones Latinae Christianae Veteres (ILCV) di Ernst Diehl, e altre collezioni di

‘carmina post-Bücheleriana’) è, secondo Gabriël Sanders, ‘solo’ di circa 4.200, cioè pari all’1,5% del numero totale delle iscrizioni latine (Sanders, «Le dossier quantitatif de l’épigraphie latine versifiée» 717)14.

Infine, le idee generali dei CLE sono le stesse di tutte le altre sottoclassi di iscrizioni: eternità e memoria.

Tuttavia, ciò che rende i CLE speciali rispetto alle iscrizioni in prosa è l’idea di dare maggior profondità alla memoria, sia essa di persone, edifici, esperienze o sentimenti15 – autentici o meno) (Bruun e Edmondson 778). John Bodel, nel suo libro Epigraphic Evidence: Ancient History for Inscriptions individua come tipicità dei carmina epigraphica (latini e greci) “[the] greater freedom of expression with a propensity to articulate not only personal vicissitudes but individual attitudes and values, aspirations and regrets” (Bodel 39).

11 Iscrizioni che sono solo parzialmente o non intenzionalmente metriche possono essere problematiche, vedi pagg.

14-5.

12 La maggior presenza di metri in iscrizioni dei ceti piuttosto bassi ha a che fare con l’idea che soprattutto le persone che avevano meno da dire sulla loro vita (specialmente per quanto riguarda la loro carriera politica) erano più propense a distinguersi dagli altri usando versi nei loro epitaffi.

13 In Italia sono stati scoperti più CLE rispetto ad altre provincie (Pikhaus 413).

14 I dati di Sanders risalgono al 1981, nel frattempo si saranno aggiunte nuove iscrizioni. I dati però finora non sono stati superati, visto che The Oxford Handbook of Roman Epigraphy del 2013 li utilizza ancora (1-2% metriche), e che anche Massaro nel suo articolo (anche del 2013) conferma la percentuale all’ 1-1,5% (Massaro «Impaginazione» 366).

15 Un bell’ esempio di come rendere eterno un sentimento sono le iscrizioni graffite sulla statua parlante di Memnon in Egitto. Questa statua localizzata a Kom el-Hettan, probabilmente rotta dopo un terremoto nel 27 a.C., faceva rumore quando il vento soffiava attraverso le fessure. Contiene molte iscrizioni in versi di persone che volevano lasciare il ricordo di essere state là e di aver sentito la ‘voce’ di Memnon (Evans e Smith).

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2. Contenuto

2.1. Sia pagano che cristiano

Delle iscrizioni in versi 2.500 sono pagane (60%) e 1.700 sono cristiane (40%) (Sanders «Le dossier quantitatif» 716-8). La differenza di religione comporta una mentalità diversa che si rispecchia nei testi. Dal momento che essi riflettono concezioni del mondo e dell’aldilà diverse e anche modelli differenti, essi presentano propri motivi, temi e formulazioni, o elaborano i medesimi temi in altro modo. Tuttavia, non ci sono due gruppi chiaramente distinti a causa dell’influenza della cultura pagana sul primo cristianesimo e viceversa: spesso sono nate forme ibride. Autori pagani, soprattutto Virgilio, non sono per esempio assenti nei CLE cristiani.

2.2. Prevalentemente funerario (e stereotipato)

È logico che la maggioranza dei temi presenti nei CLE sia di natura funeraria visto che il 77% dei CLE sono funerari (l’80% dei CLE pagani, il 74% di quelli cristiani) (Bruun e Edmondson 772; Sanders «Le dossier quantitatif» 716-8). Nonostante sia chiaro che ogni epoca e ogni area potesse avere delle mode epigrafiche e che pochi temi (e poche espressioni) siano stati ritrovati in tutto l’impero, molti studiosi (come Lier, Tolman, Lattimore, Galletier, Pikhaus e altri) dimostrano chiaramente che i CLE sono molto stereotipati, anzi, che proprio questa natura stereotipata è “una delle caratteristiche di fondo della poesia epigrafica”

(Cugusi 199).

Judson A. Tolman, nella sua tesi A Study of the Sepulchral Inscriptions in Buecheler's "Carmina Epigraphica Latina", dà un resoconto generale di alcuni di questi ‘luoghi comuni’ dell’epigrafia metrica latina16: l’indicazione che le ossa o le ceneri si trovano nella tomba17, che il defunto si trova in quel luogo18 o riposa in pace19; il famoso augurio ‘sit tibi terra levis’; anche il rivolgere la parola al passante e chiedergli di fermarsi20 sono tutte formulazioni tipiche dei CLE funerali (Tolman 18-51). Temi e argomenti ricorrenti sono inoltre l’aver abbandonato la luce21, una panoramica della vita del defunto (a volte lunga, ma anche molto breve)22, il carattere del defunto23, l’accenno all’erezione o alla manutenzione del monumento, e la morte prematura (ibid.). Le formulazioni relative all’ultimo tema sono meno stereotipate, ma il tono resta sempre lo stesso: in tali contesti si parla a volte della ‘soglia’ o della ‘fioritura’ della vita, del genitore che sarebbe dovuto morire prima del figlio, del defunto che è stato ‘strappato’ dalla vita (dalle Parcae, dalla Fortuna, da Fors, dalla Morte, a volte per gelosia di una di queste). Paolo Cugusi aggiunge a questi ancora ‘il tema della morte in luogo straniero’ e ‘il tema del viaggio’ (Cugusi 199-212). Questi temi mostrano una tendenza verso la dimensione temporale (la vita vissuta, le qualità delle persone, la morte prematura, i molti riferimenti al

16 Per un’ampia panoramica dei temi funerari negli epitaffi greci e latini (sia in prosa che metrici) vedi Themes in Greek and Latin Epitaphs di Richmond A. Lattimore (Urbana, 1962).

17 Ossa quiescere, ossa iacere, ossa (re)cubare, ossa contineri, ossa hic sita sunt, tumulus ossa tegit…

18 Hic iacet, hic situs, hic est, hic sepultus, hic conditus est…

19 Hic quiescit, bene quiescat, hic quiescit in pace… (tipicamente cristiano).

20 Hospes, viator… spesso in combinazione con resiste o consiste.

21 Amittere lucem, carere lucem, relinquere lucem…

22 Sine crimine, ut potui, pro meritis, merenti…

23 Questo appare spesso come tema, ma non ha forme veramente fisse, solo aggettivi ricorrenti.

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contesto materiale …), ma molte iscrizioni in versi (soprattutto quelle cristiane e orfiche) trattano anche di elementi atemporali (la vita dopo la morte, corpo e anima).

Tolman conclude che pochissimi sono i CLE che non contengano nessuno dei temi o nessuna delle espressioni sopraindicate. Secondo lui, la gran parte ripete questi ‘luoghi comuni’, altri variano e alcuni creano persino un gioco letterario, capovolgendoli completamente. Lui indica tuttavia che la presenza di tali espressioni e temi non toglie nulla alla qualità poetica di alcune iscrizioni (Tolman 48). Queste espressioni fisse e questi temi ricorrenti sono un ambito molto studiato nella ricerca sulle iscrizioni in versi. La natura stereotipata dei CLE ha poi indotto alcuni studiosi (p.e. René Cagnat e Giancarlo Susini) a supporre l’esistenza di antologie o manuali di espressioni formulari e temi (Bruun e Edmondson 772). Altri si sono opposti in modo deciso (p.e. Bruno Lier, Paolo Cugusi e Fernández Martínez) sostenendo che l’ambiente epigrafico era in grado di creare delle mode di per sé e che questi ‘luoghi comuni’ erano convenzioni di genere (Martínez 120-1). Probabilmente la verità sta nel mezzo, come afferma Lattimore: la gente poteva trarre ispirazione da altre iscrizioni e imitarle, ma anche comporre iscrizioni originali, o chiedere suggerimenti al lapicida (Lattimore 17-20).24

L’80% circa delle iscrizioni funerarie è completato da un significativo gruppo (20%) di iscrizioni onorarie in versi, di iscrizioni di edifici o monumenti (templi, altari, terme, chiese …), e di graffiti provenienti da Pompeii, Ercolano e Stabia (Bruun e Edmondson 775-8). Naturalmente, questi hanno temi ed espressioni diverse dal gruppo funerario: sono spesso originali e personali. Il gruppo dei graffiti è quello più interessante: non solo è molto vario, ma contiene anche, spesso, precise citazioni poetiche, soprattutto di Virgilio (777).

2.3. Una paradossale anonimità

La centralità del nome è un elemento importante per qualsiasi tipo di iscrizione, quindi non unicamente per i CLE.25 Non c’è da stupirsi che il nome abbia una tale importanza: le due idee centrali della comunicazione epigrafica, strettamente legate tra di loro, sono l’idea di memoria e quella di eternità. Molte iscrizioni contengono un solo nome, ma la maggior parte ne contiene due, tre o ancora più. Nelle iscrizioni funerarie si tratta normalmente del nome del defunto e del dedicante (in molti casi la stessa persona è sia dedicatario che dedicante), nelle iscrizioni sacre e di edifici appaiono i nomi del fondatore e spesso della persona o del dio cui è dedicato l’edificio o l’altare. Nel caso che non ci sia un nome di persona, è frequente che l’iscrizione rinvii all’oggetto nel quale essa è incisa. Spesso, soprattutto nelle iscrizioni funerarie, il nome del dedicante è più importante di quello del dedicatario a causa di un altro elemento fondamentale: l’acquisizione di prestigio e notorietà.

24 Sanders dice : “Leur manque d’originalité tant de forme que de fond, n’est vrai que dans une mesure à préciser. […]

Ils nous surprennent d’ailleurs par une variatio qui ne se manifeste pas seulement dans la vocabulaire, les images et le style, mais aussi dans un large éventail d’idées sur la vie, la morte et l’au-delà“ (Sanders, «Sur l’authenticité des Carmina Latina Epigraphica funéraires» 410-1).

25 “Le culte du nom, la perpétuation du souvenir” occupa anche una posizione centrale nella letteratura (Sanders, «Sur l’authenticité» 411), ma in un modo diverso, meno diretto mi pare.

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I CLE però sono un’eccezione. Le iscrizioni funerarie in versi contengono quasi sempre il nome della persona defunta, mentre il nome del dedicante è quasi sempre assente. Questa anonimità dell’autore, l’assenza del suo nome dal proprio componimento, è un elemento paradossale, ma tipico dei CLE e di tutta la tradizione poetica-epigrafica. Un’eccezione alla regola sono i CLE ‘firmati’: spesso vere poesie (“l’art pour l’art”) che contengono il nome dell’autore. Cugusi dedica un intero capitolo a tali poeti epigrafici nel suo libro Aspetti letterari dei carmina Latina epigraphica (Cugusi 21-90).

2.4. Relazione epigrafia-letteratura

Un altro aspetto centrale di questo tipo di iscrizioni è l’uso di modelli letterari: gran parte delle iscrizioni in versi (ma non tutte) è ispirata a, o contiene citazioni di poeti ‘alti’ da noi ben conosciuti. Il legame tra epigrafia e poesia non deve prendere per forza la forma di una citazione diretta, molto spesso le locuzioni, i temi, e le immagini letterarie venivano riformulate ed elaborate. Come detto sopra, Virgilio era il modello per eccellenza26, ma si riscontrano anche echi di altri autori sia lirici (come Accio, Catullo, Ovidio, Orazio, Lucano, Lucrezio, Properzio, Tibullo, Marziale, e parzialmente Seneca), che prosastici (come Petronio). Il citare ed elaborare passi di tali autori è stato talvolta fatto per dar sfoggio del proprio sapere letterario, ma non era necessariamente questo lo scopo primario; dopotutto l’imitatio era un fenomeno intrinseco della cultura romana (Martínez 121-3). Tranne qualche eccezione però, non possiamo parlare di una vera

‘intertestualità’. In generale gli autori di epigrafi in versi non rinviavano a determinati poeti allo scopo di stabilire un vero legame tra la propria iscrizione metrica e il prodotto letterario, ma piuttosto perché determinate immagini e certi sintagmi semplicemente piacevano a tali compositori. Inoltre, nonostante non sia confermato, l’esistenza di antologie o manuali potrebbe anche spiegare la presenza di alcuni autori letterari nella produzione poetico-epigrafica.

Tuttavia, il legame tra epigrafia e letteratura non è una ‘strada a senso unico’. Utilizzando i termini di Matteo Massaro, ci sono invece altre due ‘vie’ di influenza accanto a questa ‘prima via’ indicata sopra, vale a dire il movimento dalla letteratura alta all’epigrafia (la via più evidente e più studiata). La seconda via è il procedimento inverso, cioè la ripresa di certi motivi e temi epigrafici nelle opere di autori letterari. Non solo gli storiografi riprendono epigrafi, ma anche autori letterari (lirici e prosimetrici) si ispirano a iscrizioni o giocano con temi e locuzioni epigrafiche (p.e. Petronio, Gellio, Ovidio, Orazio e gli elegiaci) (Coleman 20-8).

La terza via è una base comune, popolare, orale, ‘un patrimonio generale’ (Massaro, «Una terza via» 249;

Massaro, «Radici orali» 253). Questa è la via meno studiata dal momento che non è facile rintracciare se certi temi o sintagmi risalgano a una determinata base comune. Quando questi temi o sintagmi appaiono nella produzione sia letteraria che epigrafica, è sempre necessario prestare attenzione al tipo di testo in cui si trovano. Massaro ritiene che diventi più probabile l’esistenza di una base comune se sono testi tecnici o testi che elaborano elementi volgari (p.e. il Satyricon di Petronio). C’è anche maggior probabilità se un medesimo tema o sintagma ritorna in testi sia prosastici sia lirici (Massaro, «Radici orali» 258-60). Oltre a

26 Tra i CLE ci sono alcuni centoni, cioè poesie originali composte combinando insieme versi esistenti. I versi di Virgilio erano molto popolari per questo tipo di poesie (Cugusi 46-53).

ciò è importante prestare attenzione al fatto se i sintagmi appaiono in un contesto reale e letterario simile e se hanno un significato analogo: in caso contrario, aumenta la possibilità di una base comune (261).

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Non ci sono solo legami tra produzione epigrafica e singoli autori, ma anche tra iscrizioni in versi e generi letterari. I CLE raccolgono infatti elementi della laudatio funebris (= l’encomium funebre)27, della biografia che a sua volta è nata dalla laudatio, delle diverse forme di consolatio, dell’elegia, dell’epigramma, delle neniae28, dell’epicedion29, della satira, dell’inno e a volte persino un po’ dell’epica. La questione se i CLE costituiscano un genere a sé stante ha suscitato dibattito tra gli studiosi: alcuni considerano i CLE come un’applicazione di uno o più generi letterari citati sopra (Sanders, «Le dossier quantitatif» 719-20), mentre altri, nonostante li ritengano una ‘accozzaglia’ di generi, danno più peso all’azione unificante del materiale (Martínez 124-6). Entrambi hanno argomenti validi, ma io seguirei la seconda tendenza in primo luogo perché il materiale ha infatti delle conseguenze veramente profonde (prossimo capitolo), in secondo luogo perché la letteratura epigrafica ha i suoi propri contesti e le sue proprie mode, e infine perché i CLE spesso lasciano la parola ad altre voci rispetto a quelle che troviamo nella tradizione letteraria. Opterei dunque per una divisione in sottogeneri in base al contenuto e per non sopravvalutare troppo le differenze tra versi epigrafici e versi letterari, visto che esse si riscontrano pure in un medesimo universo testuale differendo principalmente, ma non solo, nel tipo di supporto (123-4).

3. Forma e stile

3.1. Metro

Il fatto che un componimento sia considerato come carmen Latinum epigraphicum o meno non ha nulla a che fare con il suo valore letterario30, ma è determinato solo dal fatto che è, in primo luogo, inciso su di un materiale duro e che ha, in secondo luogo, una parte metrica. Un CLE può essere scritto in qualsiasi piede e metro. Il gruppo principale è quello in versi dattilici (esametri e pentametri) seguito da un gruppo giambico relativamente ampio, entrambi sotto l’influenza delle opere letterarie più importanti e conosciute. Tuttavia, sono anche presenti saturni, trochei, endecasillabi, anapesti, metri ionici, coriambi, e polimetra (Bruun ed Edmondson 770). Bücheler è molto vago sui criteri che utilizza per considerare un’iscrizione metrica o meno (770): il gruppo di iscrizioni che lui chiama ‘commatica’ è problematico. ‘Commatica’ sembrano essere una categoria piuttosto soggettiva: sono epigrafi (nelle quali è possibile distinguere alcuni piedi) la cui intenzione metrica è incerta ma viene supposta dall’editore. Questo gruppo di epigrafi metriche incerte è considerevole, ma resta una minoranza: solo 127 delle 2294 iscrizioni registrate nel CLE di Bücheler sono

‘commatica’, cioè il 5,54%.

27 “A speech concerning the virtues of the departed, the notable achievements of his life-time, and his illustrious ancestors”. Poteva essere pronunciato nel Foro o presso la tomba del defunto. (Crawford 18-9)

28 “In addition to other kinds of song […], in Rome nenia is a technical term for a dirge sung to the flute in praise of a dead person in their funeral procession” (Kierdorf).

29 “Epicedion is a term applied to poems (or speeches) honouring the dead. Theoretically distinguishable from the dirge (θρῆνος), epitaphios, or consolation, as being delivered or performed over the corpse and before the funeral, it nevertheless barely differs from these in content […] It is an expression of affection rather than praise.” (Russell).

30 Infatti, alcune iscrizioni hanno un colorito poetico, ma non sono metriche, come per esempio l’iscrizione CIL 06, 32416 in cui viene presentata una Vergine Vestale che restava sveglia facendo la guardia alla fiamma giorno e notte (ad aeternos ignes / diebus noctibusque pia mente rite / deserviens), mentre qualche iscrizione in versi può essere molto stereotipata e senza una vera anima.

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Molti CLE hanno un prae- o un postscriptum in prosa nei quali sono spesso menzionati il nome, l’età (vixit annos), e a volte il lavoro del defunto e/o del dedicante, perché queste informazioni pratiche erano difficili da rendere in versi (Bruun ed Edmondson 772). In quei pre- e post- scripta si trovano spesso locuzioni che appaiono anche in iscrizioni in prosa, come le formule Dis Manibus, libertis libertabusque eorum, hoc monumentum heredem non sequitur e altre che erano a volte abbreviate per risparmiare spazio o secondo l’uso epigrafico corrente. Quanto più un’epigrafe è abbreviata tanto più è normalizzata e conseguentemente meno originale. In generale possiamo affermare che le iscrizioni in versi contengono meno elementi abbreviati di quelle in prosa, grazie al loro carattere poetico e all’uso di un lessico più ricco.

A causa del background molto vario degli autori epigrafici accadeva (più spesso che nei testi letterari) che venissero commessi degli errori. Non solo giocavano un ruolo il livello di educazione e il ceto sociale, ma anche il luogo di produzione. Bisogna tener conto dei concetti di ‘periferia’ e di ‘centro’: “la periferia è sempre un po’ in ritardo rispetto al ‘centro’ di cultura” (Cugusi 36). Per sostanziare questa discrepanza, Cugusi dà l’esempio di Lupus (una delle iscrizioni ‘firmate’) che ha commesso qualche errore nella composizione dell’esametro malgrado il latino sia corretto: la zona in cui viveva questo “poeta” era ancora in fase di romanizzazione nel periodo in cui si data la sua iscrizione (Cugusi 37-46).

3.2. Le conseguenze del materiale per il testo

Il materiale in sé è in realtà meno importante di quanto si possa pensare intuitivamente, come scrive Bodel:

“many documents trabscribed on papyri were no more transitory in intent than the scribblings painted or scratched onto tombs” (Bodel 2-3). Sono invece le conseguenze che esso comporta per il testo che sono davvero molto importanti.

3.2.1. Concisione

Le ragioni principali della concisione (e di conseguenza la brevità) dei CLE, rispetto ai corrispondenti modelli letterari, sono lo spazio relativamente limitato e il costo abbastanza alto di un’epigrafe (vedi la nota 10).

Anche la pazienza del lettore può in parte giocare un ruolo nella brevità: visto che i lettori normalmente non perdevano troppo tempo a leggere le pietre lungo il ciglio della strada, ma le leggevano en passant (Martínez 125).

È abbastanza raro incontrare un CLE che consista di più di venti versi e certamente di più di trenta (Henriksén 694-5): nella maggior parte dei CLE la quantità di versi sembra rientrare tra uno (monostici) e quindici.31 Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma non sono di grande quantità32 e hanno caratteristiche un po’ diverse dagli altri CLE: i monumenti in cui sono incisi sono più grandi del normale, i componimenti stessi sono più legati a un certo genere letterario, e sono più originali (718). Conseguentemente, possiamo supporre, con una certa prudenza, che questi CLE ‘lunghi’ si preoccupino meno del carattere epigrafico rispetto agli altri CLE o ‘giochino’ con questo carattere.

31 Un vero studio quantitativo non è ancora stato fatto, ma dopo aver consultato la raccolta di Bücheler-Lommatzsch mi sembra abbastanza chiaro.

32 Henriksén conta solamente cinque ‘carmina epigraphica longa’ pagani (Henriksén 719-724). Il CLE più lungo è quello del sepolcro dei Flavii a Cilium che contiene 110 righe (Bruun e Edmondson; Henriksén 721-2).

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In confronto alle iscrizioni in prosa i CLE sono spesso un po’ più lunghi (Bruun e Edmondson 765). Ho l’impressione che ciò sia dovuto al fatto che le iscrizioni in versi spesso fornivano qualcosa di più: non solo volevano trasmettere in modo pragmatico un messaggio di commemorazione, ma usavano lo spazio a loro disposizione per aggiungere una sorta di ‘valore aggiunto’ (soprattutto) estetico.

3.2.2. Stile semplice

I CLE hanno uno stile più semplice della poesia latina letteraria. Questo però non significa che siano semplicistici. È vero che, come abbiamo visto sopra (pag. 9), la maggior parte dei dedicanti dei CLE non erano poeti o di ceto sociale alto, il che spiega perché i carmi sono spesso poco raffinati. Tuttavia, questo stile semplice è anche dovuto al pubblico cui si rivolgono i CLE: essi volevano essere accessibili a un pubblico vasto e vario (Martínez 125).33 Inoltre, a causa dello spazio limitato non potevano sempre utilizzare figure retoriche estese (ibid.), il che non vuol dire che alcuni versi non utilizzino tecniche poetiche come iperbati, equazioni, anafore e altri.

3.2.3. ‘Afterthought’

Un altro elemento caratteristico di un materiale duro (come la pietra) è il fatto che è difficile rivedere e correggere un’iscrizione dopo l’incisione. Il processo compositivo dei CLE era uguale a quello dei versi letterari, un carmen era prima scritto su papiro o su una tavoletta cerata, e solo dopo veniva dettato al lapicida. Una volta che l’iscrizione era stata incisa sulla pietra, una sua successiva rielaborazione o correzione sarebbe stata praticamente impossibile (Judge 808).

3.2.4. Aspetto visivo e impaginazione

Dal carattere pubblico di gran parte delle epigrafi, si può dedurre che in generale le iscrizioni erano incise per essere lette.34 Conseguentemente la maggior parte delle iscrizioni doveva attirare l’attenzione in un modo o nell’altro. Dal momento che le epigrafi sono un mezzo di comunicazione prevalentemente visivo, questo accadeva soprattutto attraverso gli occhi. Materialmente le epigrafi potevano colpire per le dimensioni e la forma del supporto, o a causa della presenza di un bassorilievo o di una bella cornice.

Potevano anche giocare con l’impostazione del testo: utilizzavano non solo caratteri di dimensioni diverse o un altro modello di scrittura a seconda della moda, ma ricorrevano anche alla collocazione di alcune parole in punti particolari del testo per attirare l’attenzione. Le parole che stanno all’inizio o alla fine, o che sono isolate (Massaro, «Impaginazione» 375), sono più evidenti per esempio. È per questo, mi sembra, che il nome del defunto nelle iscrizioni funebri sta quasi sempre all’inizio in modo che se si leggeva solo una parte dell’iscrizione, almeno non sfuggiva il nome. Tuttavia, non solo i CLE, ma anche le iscrizioni in prosa utilizzano questi sotterfugi per attirare l’attenzione, quindi questi elementi non possono essere considerati come caratteristici dei CLE.35

33 Non approfondirò la questione dell’alfabetizzazione nel mondo romano, vedi per questo: Bodel (pagg. 15-9).

34 Sembra un’asserzione logica, ma alcune iscrizioni sono state ritrovate in luoghi di difficile accesso, come all’interno di sarcofagi (Bruun e Edmondson 96); ancora altre iscrizioni erano deliberatamente rese difficili da leggere perché gli autori non volevano che estranei le leggessero (Sartori 416). Tutti questi casi hanno una ragione determinata, ma non costituiscono la regola.

35 Per scoprire se i CLE usano alcune tecniche particolari più frequentemente delle iscrizioni in prosa, sarebbe necessaria un’analisi quantitativa che a mia conoscenza non esiste ancora.

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Ci sono però alcuni aspetti visivi che sono davvero specifici dei CLE. Esiste tutta una serie di iscrizioni che rende evidente in modo visivo il fatto che esse sono state scritte in versi; si tratta di una tradizione che sembra iniziare molto presto (già colle iscrizioni in saturni degli Scipioni36) (Massaro, «Impaginazione» 366- 7). Centrale nella trasmissione visiva dei versi al lettore era la divisione del testo in unità concettuali e/o sintattiche (371-2): ciò può essere raggiunto dividendo la riga con una linea o un punto, o dividendo i versi per righe successive (se c’era lo spazio per farlo) “con attacco incolonnato” o meno, inserendo spazi vuoti, e soprattutto facendo rientrare le righe (risp. 366-7, 377, 392-3; 367; 368-9; e 370-1, 378, 380-2). La rientranza delle righe è una caratteristica visiva tipica di un distico elegiaco per il lettore moderno, ma non era un segno di ‘poeticità’ in origine. Era un segno per indicare il proseguimento della lettura anche in iscrizioni prostatiche, come dice Massaro in modo convincente:

Siamo quindi indotti a dedurre che una prassi che consideriamo abitualmente tipica della presentazione epigrafica o libraria dei distici elegiaci (la rientranza del pentametro) avesse in effetti la sua origine in una prassi epigrafica comune anche per i testi in prosa, di attaccare cioè all’interno le righe che continuano direttamente l’enunciato avviato nella riga precedente, come a segnalare una continuazione di lettura (e di pensiero). Tale prassi appare del resto speculare a quella di segnalare invece con una sporgenza l’inizio di un nuovo ‘paragrafo’. (Massaro “Impaginazione” 370-1)

Ne consegue che la rientranza del pentametro era un fenomeno comune, visto che la strofa elegiaca (l’insieme dell’esametro e il pentametro) era spesso vista come un’unità ritmica e concettuale (374, 376, 289). La rientranza però cominciò solo dopo qualche tempo a diventare qualcosa di meccanico: diventava in molti casi una generica tecnica estetica per trasmettere un’impressione di poeticità (elegiaca), dato che c’erano persone che iniziavano a troncare i versi in posti sbagliati mantenendo la tipica struttura (373, 387).

Un altro elemento visivo caratteristico di alcuni CLE è l’uso di una differenza di carattere per suddividere il testo in una parte prosastica e una metrica. La prima, in cui si trovano spesso dettagli, come il nome e l’età del defunto (se si tratta di iscrizioni funebri), è spesso scritta in caratteri più grandi della seconda (370, 383).

La suddivisone dell’inscrizione in unità concettuali e sintattiche (e talvolta ritmiche) e l’indicazione della differenza tra parti prosastiche e metriche, hanno lo stesso obiettivo, cioè di guidare il lettore a una corretta osservazione e lettura dell’iscrizione (in versi) (393).37

3.3. Lingua

Per finire, soffermiamoci su alcuni aspetti stilistici e linguistici dei CLE. Innanzitutto grazie al loro carattere poetico le iscrizioni metriche generalmente dispongono di una sintassi più estesa rispetto alle iscrizioni in prosa; il loro lessico è più ricco e originale, e figure retoriche sono ricorrenti.

Per quanto riguarda la differenza tra componimenti epigrafici e letterari, l’aspetto più notevole è l’uso di elementi deittici nella produzione epigrafica. Dal momento che i CLE erano incisi su lapidi spesso pesanti, essi erano destinati a restare esposti sempre nello stesso posto. Conseguentemente, molti CLE rimandano

36 Le epigrafi degli Scipioni (famiglia ellenizzata) costituiscono il punto di partenza delle iscrizioni in versi latine secondo The Oxford Handbook of Roman Epigraphy (Bruun e Edmondson 771).

37 In via eccezionale, alcune iscrizioni indicano persino la scansione metrica (vedi Patrikê pag. 24).

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a questo contesto ambientale in cui erano affissi attraverso l’uso frequente di dimostrativi (hic situs est, hoc tumulo, hic iacet…). Legato a questo, la comunicazione sembra anche essere più diretta che nella letteratura: testo e lettore si trovano nello stesso contesto, il testo spesso chiede al passante di fermarsi e si instaura un dialogo tra il defunto e il passante (Martínez 126; Gregori, «Sulle origini della comunicazione epigrafica defunto-viandante»). Nell’ambito dell’epigrafia funeraria questa “comunicazione epigrafica defunto-viandante” compare a Roma per la prima volta probabilmente a cavallo del secondo e primo secolo a.C., soprattutto (ma non solo) nell’ambito dei CLE (Gregori, «Comunicazione epigrafica defunto-viandante»

94-6, 98-9).

Infine, nei CLE la prima e la seconda persona sono più ricorrenti che nelle iscrizioni in prosa: i CLE più convenzionali usano di solito la terza persona, mentre quelli più sinceri e originali ricorrono spesso alla seconda persona (rivolgendosi sia alla famiglia sia al passante o al defunto) (Tolman 1-13). CLE in prima persona (di solito la voce del defunto) si trovano tra i due gruppi: a volte sono piuttosto tradizionali, altre volte più originali (ibid.). Nelle iscrizioni in versi riscontriamo una maggior sintonia sintattica rispetto a quelle in prosa, che sono spesso piuttosto una sequenza di elementi relativamente isolati tra loro.

4. Sintesi

Sia sul piano del contenuto, che su quello formale i CLE hanno caratteristiche e convenzioni proprie che li distinguono sia dalle iscrizioni in prosa sia dalle opere letterarie.

In linea di massima il contenuto dei CLE è abbastanza univoco a causa del fatto che l’80% circa apparteneva a un contesto funerario. Alcuni temi, alcune immagini ed espressioni con il passar del tempo sono persino diventati topoi ed espressioni fisse, e la loro presenza contribuisce a dare alle iscrizioni un carattere stereotipato. Anzi, dal momento che alcuni di questi elementi erano così ricorrenti nella produzione epigrafica, gli studiosi hanno ipotizzato l’esistenza di manuali e antologie a disposizione dei lapicidi. Tuttavia, non tutti i CLE hanno finalità funerarie: il restante 20% è costituito infatti da iscrizioni onorarie, dediche di edifici o monumenti, e graffiti con temi diversi. All’interno del campo funerario a loro volta le iscrizioni in versi variano per il fatto di essere state scritte da persone appartenenti ad ambienti diversi. Socialmente i liberti sono il gruppo più rappresentato, mentre ideologicamente sono presenti sia visioni del mondo e idee pagane (60%) che cristiane (40%). Inoltre, un altro aspetto relativo al contenuto che distingue le iscrizioni in prosa da quelle in versi è la paradossale anonimità dell’autore: il suo nome viene citato solo molto raramente nei CLE, mentre nelle epigrafi in prosa il nome del dedicante occupa una posizione centrale.

Infine, anche il fatto che la letteratura abbia avuto una chiara influenza sulla produzione epigrafica metrica è un fattore importante per definire il carattere dei CLE. Per la verità, non ci sono molti casi di una vera e propria intertestualità ed è essenziale non perdere di vista che la presenza di somiglianze lessicali non rivela sempre un legame diretto, dal momento che spesso letteratura ed epigrafia attingevano da una base comune.

Per quanto riguarda il carattere formale e stilistico dei CLE, gioca un ruolo rilevante l’influenza unificante del materiale: il supporto duro, limitato nelle dimensioni e abbastanza costoso ha un impatto significativo sia sull’aspetto del testo che sullo stile. Innanzitutto, tutti questi fattori rendono le iscrizioni più concise

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rispetto alla maggioranza delle opere letterarie (mentre la natura poetica fa sì che generalmente esse siano più lunghe delle iscrizioni in prosa), e le rendono impossibili da rivedere e correggere dopo l’incisione.

Inoltre, questa concisione, insieme al fatto che le iscrizioni debbano essere accessibili a un vasto pubblico, determinano l’uso di uno stile semplice (ma non semplicistico). Tuttavia, stile semplice o no, l’importanza attribuita all’impaginazione e nello specifico al mantenimento visivo di unità concettuali e sintattiche (sulla base di rientranze, spazi vuoti, disposizione a bandiera …) rendono palese il rilievo che gli autori (e i lapicidi) davano al carattere poetico delle loro iscrizioni. Infine, anche la lingua dei CLE presenta delle peculiarità:

l’ampia sintassi, il lessico ricco, e lo stile poetico distinguono le iscrizioni metriche da quelle in prosa, mentre l’uso di elementi deittici le distingue dai componimenti letterari.

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Presentazione delle epigrafi

1. Introduzione

Prima di tutto vorrei, per questa parte della mia tesi, richiamare l’attenzione sulla tesi di laurea di Clara Stevanato “Iunxi semper Manibus ipse meis”. Per una zooepigrafia funeraria nel mondo romano che contiene delle schede epigrafiche molto elaborate e ulteriori concordanze per le epigrafi di animali qui prese in esame. Il lavoro della Stevanato raccoglie informazioni relative al ritrovamento delle epigrafi e alla loro storia dopo la scoperta, alle caratteristiche materiali (misure, fratture, eccezionalità), della scrittura e dell’impaginazione, e contiene anche discussioni sui contenuti. Anche le traduzioni delle iscrizioni che ho fatto sono per gran parte basate su quelle della Stevanato, ma le ho cambiate un po’: ho fatto delle traduzioni meno libere, i.e. più letterali.

Cani e cavalli – e anche altri animali, ma mi concentro qui su queste due specie perché sono le due più rappresentate nell’epigrafia – sono presenti in diversi tipi di iscrizioni che possono essere divisi, mi pare, in tre gruppi. Un primo gruppo consiste in epigrafi sulle quali sono raffigurati degli animali che hanno una funzione simbolica o estetica. La raffigurazione di un cane può per esempio essere un simbolo di fedeltà, servire da custodia della sepoltura (Stevanato, “Iunxi semper Manibus ipse meis” 92), o funzionare come l’animale associato a Silvano, il dio della selva (p.e. AE 1037, 61; CIL VI, 3712), come il cervo era l’animale tipico di Diana. I cavalli invece sono molto spesso raffigurati in scene di corsa dei carri (Vogel) e come simbolo di stato nel caso di cavalieri (Davenport).

Il secondo gruppo è formato da quelle iscrizioni che consistono solo del nome dell’animale, di un bassorilievo, e a volte del nome del proprietario dell’animale: i cani Aminnarcus38, Hereusis39, Lucrio40, Lupa41, Nerantus42, Synoris43, e i cavalli Felix44, Selmo45 e Aegyptus46. Due iscrizioni trovate nella Gallia Narbonensis non accolte nell’opera compilativa di Stevanato (CIL VI, 29895 = Esperandieu nr.770;

Esperandieu 773) sembrano entrare in questo gruppo, ma non c’è possibilità di essere sicuri dal momento che ambedue sono mutile in cima (appendice: immagini 1 e 2). Nonostante il fatto che nei casi in cui abbiamo solo un bassorilievo e un nome (come Aminnarcus, Hereusis, Lupa, la prima epigrafe della Narbonensis, Felix, e Selmo) o solo un bassorilievo (la seconda iscrizione della Narbonensis) non possiamo essere sicuri che si tratti veramente di un animale e non di una raffigurazione simbolica, Stevanato mi sembra aver ragione quando dice che gli animali raffigurati in queste iscrizioni hanno una certa peculiarità, cioè gli epitaffi non sono “stereotipati o prodotti ‘in serie’” (Stevanato, “Iunxi semper Manibus ipse meis”

157), il che indica il carattere reale di queste epigrafi.

38 CIL 06, 29895: Stevanato nr.2, pagg. 16-21.

39 CIL 06, 39093: Stevanato nr.6, pagg. 44-7.

40 CIL 05, 08825; CIL 05, 00138*: Stevanato nr.7, pagg. 48-54

41 ZPE 1994, vol.100, nr.2, pag. 413: Stevanato nr.8, pagg. 55-9.

42 AE 1997, 671: Stevanato nr.11, pagg. 73-7.

43 CIL 06, 05292: Stevanato nr.13, pagg. 88-92.

44 InscrIt 10, 1, 33: Stevanato nr.19, pagg. 131-1.

45 AE 1983, 65: Stevanato nr.21, pagg. 139-41.

46 EDR73185: Stevanato nr. 16, pagg. 108-13.

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Il terzo gruppo, quello che sta al centro di questa tesi, consiste di iscrizioni per cani e cavalli soprattutto funerarie che dispongono di una sintassi elaborata (l’iscrizione per Helena è un po’ un’eccezione perché non ha un verbo) e danno più informazioni del mero nome. Disponiamo di epigrafi greche di tale tipo dal III/II secolo a.C. al IV/V d.C. (Bodson, «Motivations» 30) e di epigrafi latine soprattutto tra il I e II secolo d.C. (ed eccezionalmente alcune del terzo) (Stevanato 41). Mi concentro qui su quelle latine, per un panorama delle epigrafi greche per cani si veda il contributo di Valentina Garulli nel libro Memoria poetica e poesia della memoria (pagg. 32-6). Come già detto nell’introduzione le epigrafi per animali non sono numerose, ma il numero di iscrizioni che annovero in questo gruppo sono ancora meno: solo dodici. Di queste dodici iscrizioni dieci sono state ritrovate in Italia e due in Francia. Nella presentazione dei testi (prossimo capitolo) ho diviso le iscrizioni in due gruppi (cani e cavalli) e all’interno dei gruppi le ho elencate geograficamente prendendo Roma come centro.

Fig. 1: Disposizione geografica delle epigrafi del terzo gruppo.

In blu le epigrafi per cani, in rosso quelle per cavalli.

Quattro delle dodici epigrafi vengono da Roma e due dai dintorni.

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2. Trascrizione dei testi

2.1. Cyras47

Lastra con iscrizione in prosa. Il luogo di ritrovamento non è noto (Stevanato, “Iunxi semper Manibus ipse meis” 22). Attualmente fa parte della collezione dei Musei Capitolini a Roma. I nomi, l’uso della costruzione tarda con per+ablativo, e gli indizi paleografici collocano quest’epigrafe nel terzo o quarto secolo d.C.

(Petrucci 162-3). Alla quinta linea è scritto dies, ma EDR emenda la parola in diebus per la presenza dell’ablativo annis: il significato non cambia. Appendice: immagine 3.

D(is) M(anibus).

Cyrati dulcis=

simae bene merenti, quae vixit annis X, m(ensibus) II, dies XVIIII,

per qua viximus dies et annos dulces et hila=

res Gorgonius et Fullo=

nia, quos desubito dece=

pit bene merenti catellae fecimus.

Agli dei degli antenati (Di Manes).

Alla dolcissima e benemerita Cyras, che ha vissuto dieci anni, due mesi e diciannove giorni, grazie alla quale abbiamo vissuto giorni e anni piacevoli e gioiosi (ridenti). Noi, Gorgonio e Fullonia, che lei ha improvvisamente ingannato, abbiamo fatto (questo monumento funebre) per la benemerita catella.

Chi sia il destinatario di questa iscrizione non è sicuro: può essere una cagnetta, ma anche un essere umano, cioè la figlia di Gorgonius e Fullonia. L’incertezza nasce dal fatto che la parola catella può significare

‘cagnetta’, ma può anche essere usato come vezzeggiativo: un uso attestato in una epistola di San Girolamo (Hier. epist. 22, 29: mi catella, rebus tuis utere et vive, dum vivis), che ne rappresenta l’unica attestazione nella letteratura (Petrucci 162). Esistono argomenti a favore delle due ipotesi, ma ritorno sulla questione nell’ultimo capitolo.

2.2. Helena48

Stele con iscrizione in prosa e bassorilievo di un cane, ritrovata a Roma. Attualmente nel Paul Getty Museum a Malibù. È stata datata tra il primo e secondo secolo d.C., ma la Stevanato la colloca nel terzo (Stevanato,

“Iunxi semper Manibus ipse meis” 43). La raffigurazione del cane ci mostra un canis melitaeus, cioè un cane maltese (Koch e Wight 85). Appendice: immagine 4.

Helenae alumnae animae incomparabili et

bene merenti.

All’anima incomparabile e meritevole della trovatella Helena.

Anche questa iscrizione è stata messa in discussione come l’iscrizione di Cyras. Un gruppo di studiosi la vede come un’iscrizione per una cagnetta, mentre per altri si tratta di una schiavetta (41). Per la Stevanato però

47 CECapitol 81; EDR29831; Stevanato nr.3, pagg. 22-7 (traduzione in base a quella della Stevanato pag. 22).

48 CIL VI, 19190; EDR131027; RFS pag. 85; Alumnus 885; Stevanato nr.5, pagg. 37-43 (traduzione copiata da Stevanato pag. 38).

non c’è dubbio che questa iscrizione sia stata incisa per una cagnetta (41-3) e anche sul sito del Paul Getty Museum si sostiene la prima ipotesi («Grave Stele for Helena»).

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2.3. Margarita49

Lastra con iscrizione in distici elegiaci per una cagnetta da caccia e da salotto. È stata ritrovata a Roma ed è datata al secondo secolo d.C. Fa parte della collezione del British Museum di Londra. Appendice: immagine 5.

1

5

10

Gallia me genuit, nomen mihi dIvitis undae concha dedit, formae nominis aptus honos.

Docta per incertas audax discurrere silvas collibus hirsutas atque agitare feras,

non gravibus vinc(u)lis umquam consueta tenerI, verbera nec niveo corpore saeva patI;

mollI namque sinu domini dominaeque iacebam et noram in strato lassa cubare toro

et plus quam licuit muto canis ore loquebar nulli latratus pertimuere meos.

Sed iam fata subiI partu iactata sinistro quam nunc sub parvo marmore terra teg˹i˺t.

MargarIta.

Gallia mi ha genato, il mio nome mi ha dato la conchiglia di un’onda sontuosa, un onore adatto alla bellezza del mio nome. Ero esperta nel correre audace attraverso le foreste malsicure e nel cacciare fiere con pelo ruvido sulle colline.

Non sono mai stata abituata a essere trattenuta da catene oppressive né a subire percosse crudeli sul mio corpo candido come la neve. Perché giacevo nel morbido grembo del padrone e della padrona, e avevo imparato a sdraiarmi sul letto coperto quando ero stanca, e più del solito ho parlato con la mia muta bocca di cane. Nessuno aveva paura del mio abbaiare, ma poi ho subito il mio destino tormentata da un parto andato storto; io che la terra ora copre sotto una piccola tomba marmorea. Margarita.

Alla fine dell’iscrizione vediamo che qualcuno ha tentato di correggere la parola teget alla forma corretta tegit. Può essere stato fatto dal lapicida o dal cliente dopo aver notato l’errore (Booms 92-3).

49 CIL VI, 29896; CLE 1175; EDR133179; Epigraphica 2009, pag. 276; ZPE 210, pag. 91; Stevanato nr.9, pagg. 60-6 (traduzione in base a Stevanato pag. 62).

(24)

2.4. Patrikê50

Lastra con iscrizione in distici elegiaci, anche scritta per una cagnetta da salotto. È stata ritrovata a Pogerola

‘in Angeli marmore altaris’ (EDR120622) nell’antica regio I (Latium et Campania) e probabilmente incisa a Salerno. L’epigrafe è stata datata al secondo secolo d.C. Al presente si conserva solo un frammento dell’epigrafe nella chiesa di Santa Marina a Pogerola. Fortunatamente però l’intero testo è stato visto e trascritto dal medico e umanista Simon de Vallambert nel Cinquecento. Appendice: immagine 6.

1

5

10

14

Portavi lacrimis madidus té, nostra catella, quod feci lustris laetior ante tribus.

Ergo mihi, Patrice, iam nón dabis ósculla mille, nec poteris collo grata cubáre meó.

Tristis marmorea posui té séde merentem et iunxi semper manibus ipse meis.

Morib[us] argutis hominem simuláre paratam perdidimus quales hei mihi déliciás.

Tu, dulcis Patrice, nostras att[in]gere [mensás]

consueras gremio poscere blanda cibos.

Lambere tu calicem lingua rapiente solebas, quem tibi saepe meae sustinuere manus, accip[ere] et lassum cauda gaudente frequenter [et mi omnes gestu dicere blanditias]

Ti ho portato, madido di lacrime, nostra

cagnolina, cosa che ero più felice di fare quindici anni fa. Dunque non mi dai più mille baci Patrikê, né potrai più dormire riconoscente nel mio collo.

Triste, ti – benemerita – ho posto in un sepolcro marmoreo e per sempre ti ho congiunta ai miei Mani. Con comportamenti arguti eri pronta ad assomigliare a un essere umano, ahimè, quali delizie abbiamo perduto. Tu, dolce Patrikê, eri abituata a essere adagiata ai nostri pasti e in gremio, languida, a chiedere del cibo. Tu, eri solita leccare con la tua lingua avida la coppa che a te spesso le mie mani sostenevano. Eri solita accogliermi, anche stanco, con la coda festante, e dirmi tutte le dolcezze con un gesto.

Nel CIL c’è scritto che l’ultima riga è stata aggiunta da Basilio Zanchi, anche lui umanista del Cinquecento e per questo tale riga è messa tra parentesi quadre nelle edizioni. Vallambert ha voluto emendare la parola patrice cambiandola con patriae (v.3 e 9), affingere per attingere (v.9) e accipere per accipe (v.13), ma quelle emendazioni non sono molto probabili. Mommsen ha sostenuto che moribus era abbreviato (MORIB.), ma l’impaginazione richiede che la parola fosse scritta per esteso.

2.5. Aeolis51

Ara con bassorilievo, urceus e patera, e un’iscrizione che consiste di due esametri distribuiti su cinque righe.

È stata ritrovata a Gallicano nel Lazio nella regio I, fotografata nel 1969 da H.G. Kolbe nella chiesa di San Rocco a Gallicano, analizzata da M.G. Granino Cecere nel 1994, ma attualmente dispersa. È stata datata al secondo secolo d.C. Appendice: immagine 7.

1 2

Aeolidis tumulum festivae cerne catelIae, quam dolụi inmodice, raptam mihi praepete

fato.

Guarda il sepolcro della festante cagnolina Aeolis, per la quale provai un dolore smisurato, tolta a me dal fato alato.

50 CIL X, 659; InscrIt 1, 1, 228; CLE 1176; EDR120622; ZPE 100, 1994, pag. 418; Courtney 1995, pagg. 196-7, nr. 203;

Quaderni del Ramo d'Oro, 8, 2016, pag. 48 sgg.; Stevanato nr.12, pagg. 78-87 (trad. in base a Stevanato pag. 80).

51 AE 1994, 348; ZPE 100, pagg. 413-21; Stevanato nr.1, pagg. 11-5 (trad. in basa a Stevanato pag. 12).

(25)

2.6. Cane da guardia52

Ara con iscrizione composta di un distico elegiaco che si estende per sei righe, eretta per un cane da guardia (caso isolato tra tante cagnette e cani da salotto). È stata ritrovata a Helvia Ricina nell’antica regio V (Picenum), l’odierna Villa Potenza e si trova attualmente nei musei civici di Macerata. Anche questa iscrizione è stata datata al secondo secolo d.C. Appendice: immagine 8.

1 2

Raeda[r]um custos numquam ḷatravit inepte; nunc

silet et cineres vindicat um=

bra suos.

---?

Il custode dei carri da viaggio mai ha abbaiato in modo inopportuno, ora tace e la tenebra rivendica le sue ceneri.

Alcuni ricercatori ritengono che una parte dell’iscrizione sia andata perduta nella parte bassa dell’ara dove la pietra è spezzata, in quanto il nome del cane non compare. Altri credono che il supporto fosse troppo limitato per un altro distico e che l’iscrizione non abbia bisogno di ulteriori informazioni (Stevanato, “Iunxi semper Manibus ipse meis” 103). Il secondo argomento mi sembra debole perché un distico, certamente con delle rientranze come qui, è di per sé un’unità ritmica e concettuale. Il primo argomento invece ha senso: è poco probabile che il testo continuasse visto lo spazio che un secondo distico occuperebbe. Il nome poteva anche essere iscritto nella parte superiore dell’ara, visto che anche questa è danneggiata. L’assenza del nome non mi pare dovuto alla funzione del cane: il fatto che qualcuno abbia eretta una tale iscrizione per il suo animale domestico indica una relazione affettiva, anche se non si tratta di un cane da salotto.

2.7. Fuscus53

Altra ara, ancora con un’iscrizione in distici elegiaci. Secondo il database di Manfred Clauss è stata trovata nell’antica Iulia Concordia, l’odierna Concordia Sagittaria, mentre secondo Stevanato il ritrovamento dev’essere avvenuto a Chiarano: non cambia molto il contesto geografico in cui è stato scritto il testo, dal momento che la distanza tra le due località a volo d’uccello è soltanto di una ventina di chilometri. È stata datata al terzo secolo e attualmente è esposta nel museo civico archeologico ‘Eno Bellis’ di Oderzo.

Appendice: immagine 9.

1

5

Hac in sede iacet post reddita fata catellus.

Corpus et eiusdem dulcia mella tegunt.

Nomine Fuscus erat ter senos abstulit annos.

Membraque vix poterat iam sua ferre senex.

[---] exerit ạ[---]. [--- ]verit [---]

[--- ]

In questa dimora giace, dopo aver portato a compimento il suo destino mortale, il cagnolino e dolce balsami di miele avvolgono il suo corpo. Il suo nome era Fuscus, ha agguantato diciotto anni e a fatica poteva, ormai vecchio, trascinare le sue zampe.

La correzione dell’ultima riga è stata fatta da Giovanni Lettich che ha anche proposto di leggere legunti invece di tegunt (v.2) e apstulit invece di abstulit (v.3) (Stevanato, “Iunxi semper Manibus ipse meis” 29).

52 CIL IX, 5785; CLE 1174; Macerata pag. 206; Stevanato nr.15, pagg. 102-7 (trad. in base a Stevanato pag. 102).

53 AE 1994, 699; IRConcor 192; Masaro, 60; Stevanato nr.4, pagg. 28-36 (trad. in basa a Stevanato pag. 29).

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