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Abstract tratto da Tecnologia e risorse umane - Dario Flaccovio Editore - Tutti i diritti riservati

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Academic year: 2022

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Prefazione pag. 9

Introduzione » 13

Verso un mondo senza lavoro? » 17

1 L’HR Tech, la rivoluzione digitale

applicata alle risorse umane » 27 2 L’HR Tech in Italia: un ecosistema

giovane e in pieno movimento » 31

3 In principio fu LinkedIn » 37

4 Le job board: gli annunci di lavoro vanno in rete » 41 5 Il fenomeno del coworking:

l’identità digitale di un luogo fisico » 45 6 La conoscenza che abilita al lavoro

indipendente. Saremo tutti freelance? » 51 7 Selezione e ricerca di personale.

Il ruolo degli Applicant Tracking System (ATS) » 55

Indice

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8 Dal colloquio alla videointervista » 59 9 Inizia la grande stagione

dell’apprendimento continuo » 63

10 L’assessment:

valutazione e autovalutazione

senza soluzione di continuità » 69 11 Il nuovo ruolo della comunicazione

nelle organizzazioni » 75

12 Gli strumenti per la comunicazione » 79 13 Tecnologia e formazione:

come cambia il modo di imparare » 83 14 Cambiamento di mindset

e valori organizzativi » 89

15 Il ruolo del coraggio nell’era

dei bit e della velocità » 95

16 Una storia di coraggio (e sostenibilità) » 99 17 Soft skill o durable skill? » 103 18 E se anche la cultura aziendale

si potesse hackerare? » 107

Ringraziamenti » 115

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Prefazione

Il digitale sta cambiando il mondo, e non solo quello del lavoro.

L’innovazione tecnologica è, assieme alla globalizzazione, il fattore più forte che investe l’economia, la società, la politica e la cultura. Il 60% dei ragazzi che oggi studiano farà un lavoro che ancora non è stato inventato. Per questo è essen- ziale capire come accompagnare questa trasformazione, per- ché, se il progresso è inevitabile, esiste un modo per gestirlo:

ed è cavalcarlo.

È innegabile infatti che l’innovazione stia trasformando il lavoro, ma non per forza lo riduce: semmai, lo redistribuisce.

E circa la domanda: «Se le macchine saranno sempre più in grado di svolgere i nostri compiti, che cosa dobbiamo atten- derci per il lavoro degli uomini?», la risposta sta già nell’evo- luzione degli annunci di lavoro, che riguardano sempre più gli ambiti di creazione, governance e gestione.

Davanti a questi cambiamenti è essenziale investire in tecno- logia e in competenze.

Agire su scuola, università e formazione permanente, per generare un numero maggiore di professionisti ICT (Infor- mation and Communication Technologies) e accelerare l’intro- duzione di skill digitali e soft skill in tutte le aree aziendali.

L’impresa, infatti, va chiarito, non si colloca all’origine del ciclo della creazione delle competenze (persino la stessa Oli- vetti cessò di farlo progressivamente, dagli anni ’60 in poi), ma in tutte le fasi che seguono l’assunzione di persone con

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competenze più o meno adeguate. Quello che viene prima dell’ingresso in impresa è materia del sistema della forma- zione, dell’orientamento e del collocamento a cui, è certo, le imprese devono contribuire affinché esso mantenga ade- renza alla realtà.

La spinta alla digitalizzazione si accompagna alla fatica di reperire le competenze necessarie a supportare il cambia- mento e a formare profili, soprattutto negli ambiti princi- pali: Cloud computing, IoT, Mobile business, intelligenza artificiale e Big Data, Cyber security in primis.

Secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali di Ani- tec-Assinform, le ricerche reali di personale per le professioni ICT – entro il 2020 e contando anche il turnover – potreb- bero raggiungere le 88.000 unità, qualora gli investimenti in ICT dovessero crescere al ritmo dell’ultimo anno. E ana- lizzando i profili richiesti mancano migliaia di laureati (nel 2018 il fabbisogno oscillava tra i 12.800 e i 20.500, mentre l’università ne ha laureati poco più di 8.500), con un gap che arriva al 58%, e crescono invece i diplomati (il fabbiso- gno oscilla fra i 7.900 e i 12.600, con un surplus che va da 3.400 a 8.100)1.

Risolvere questo divario è essenziale se vogliamo, appunto, cavalcare il progresso.

C’è poi un altro fattore, di cui si parla poco: quello della retention dei talenti. Dobbiamo recuperare un ritardo: le imprese si occupano molto della percezione del brand sul mercato, ma non abbastanza sul fronte dell’attrazione di risorse. La funzione HR, sia essa formale o una vocazione dello stesso imprenditore, ha un ruolo fondamentale al riguardo, ma non ha oggi l’importanza che dovrebbe avere e che invece dobbiamo recuperare.

1 Osservatorio delle Competenze Digitali, assinform.it

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Il terzo aspetto – che tocca tutti i settori in cui è in atto la trasformazione digitale – è quello della riqualificazione.

Non è più rimandabile la creazione di un piano decennale che preveda un sistema massivo ed efficace di riconversione professionale in ottica digitale.

La formazione, la valorizzazione del capitale umano e la riqua- lificazione delle competenze sono prioritari e devono essere permanenti per poter innovare l’economia e la tradizione del Made in Italy, e competere in campo internazionale.

Nel 2018 sono stati investiti 339 milioni di euro nella for- mazione, con una crescita del 3,4% rispetto al 20172. Non basta, dobbiamo fare di più: le aziende e il pubblico devono continuare a investire nell’innovazione e nella forma- zione digitale perché le persone che lavorano in un’impresa sono fra gli elementi fondamentali per il successo dell’a- zienda stessa e per la sostenibilità della nostra economia.

Rimettere l’uomo al centro significa proprio questo: abbrac- ciare la “nuova normalità” del digitale, nella quale progetti di digitalizzazione sperimentali o marginali non sono più sufficienti, ma vanno gettate le basi di una vera e propria trasformazione digitale in una realtà in cui tutto e tutti sono ormai connessi, ovunque e in ogni momento.

In questa prospettiva, approfondire come la tecnologia stia riscrivendo la maggior parte dei processi legati alla gestione delle risorse umane è fondamentale per comprendere, e poter governare, come cambierà il ruolo che il lavoro ha nelle nostre vite e il nuovo rapporto che noi avremo con esso.

Il digitale è la nostra occasione per crescere, come aziende, come cittadini, come Paese. E dobbiamo coglierla.

Marco Gay

2 I dati di mercato 2018, assinform.it.

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Introduzione

Warren Bennis, uno dei maggiori esperti di organizzazione aziendale al mondo e tra i primi studiosi della leadership, viene spesso ricordato per aver lanciato, negli anni ’80, un monito particolarmente inquietante che traguardava l’im- patto della rivoluzione digitale: «L’industria del futuro avrà solo due dipendenti: un uomo e un cane. L’uomo sarà lì per nutrire il cane. Il cane sarà lì per evitare che l’uomo tocchi qualcosa». Se e quando questa profezia si avvererà non è dato saperlo. Tuttavia, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi e le ricerche che provano a stimare il numero di posti di lavoro destinati a essere cancellati dalla digitalizzazione.

Grandi aziende, università, istituti di ricerca pubblici e pri- vati concordano nel valutare che saranno decine di milioni i lavoratori che vedranno la loro mansione svolta da una mac- china nei prossimi dieci o quindici anni. A essere a rischio non sono solo le occupazioni più basiche; l’intelligenza arti- ficiale, infatti, permette di replicare processi molto artico- lati, tipici di attività intellettuali complesse. Basti pensare all’impiego crescente dei chatbot, i software conversazionali che consentono di replicare un’interazione diretta con gli utilizzatori di un sito internet e che accrescono e affinano la loro capacità di risposta all’aumentare del loro utilizzo.

In rete esiste un sito dove è possibile digitare la denomi- nazione della propria funzione aziendale e sapere qual è la percentuale di rischio che quel posto di lavoro possa essere assegnato a un robot. La piattaforma, che elabora i dati

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provenienti dal Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, è willrobotstakemyjob.com e si basa sugli studi condotti da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne3. Nel momento in cui si inserisce una mansione destinata presumibilmente a essere effettuata, presto o tardi, da una macchina, come per esempio quella del receptionist di un albergo, la piattaforma restituisce un risultato simpaticamente sinistro: doomed, cioè “condannato”.

L’impatto della digitalizzazione sul lavoro è così profondo che è stato introdotto il concetto stesso di tasso di sostituzione per identificare quali lavori oggi svolti da dipendenti in carne e ossa saranno gestiti, o meglio, per l’appunto, “sostituiti” da software e macchine. Tra i tanti studi che analizzano que- sto fenomeno, uno dei più interessanti è stato condotto da Mercer, multinazionale americana della consulenza specia- lizzata sui temi del lavoro, che stima come, entro il 2030, a fronte di circa 80 milioni di posizioni lavorative destinate a scomparire per mano della tecnologia, se ne creeranno 115 milioni4. Sono due numeri che evidenziano come l’impatto della rivoluzione digitale, per quanto duro e generalizzato, sarà anche a somma positiva. Il digitale impone infatti nuove competenze, e questo forte ricambio di lavoratori dimostra quanto forte sia l’esigenza di avere una nuova popolazione di professionisti.

Basti citare il caso dei droni, i velivoli senza pilota sempre più utilizzati dalle forze aeree di tutto il mondo, e che presto troveranno grandi spazi anche nell’aviazione civile. L’RQ-1

3 Benedikt Frey e Osborne insegnano a Oxford e nel 2013 hanno pubblicato The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs to Computerisation?, uno dei primi studi scientifici sull’impatto della digitalizzazione nel mondo del lavoro.

4 La paura di perdere il lavoro si cura con aggiornamento e consulenza, econopoly.

ilsole24ore.com

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15 Predator, uno dei droni più utilizzati per scopi militari, per poter essere operato necessita di due piloti che lo governino da terra, un team di una trentina di specialisti che si occu- pino della sua manutenzione e diversi analisti per la valuta- zione delle immagini e delle informazioni prodotte nel corso di ogni singola missione.

Questo libro vuole provare ad analizzare con quali strumenti e con quali modalità avverrà, in particolare nel nostro Paese, questo passaggio di testimone tra generazioni di lavoratori estremamente diverse tra loro. E proverà anche a capire come, a loro volta, le aziende vedranno cambiare la loro fisionomia, facendo i conti con una dimensione lavorativa che il digitale sta modificando in profondità e che va ben oltre i confini di una mansione o di un incarico. Se è vero che il digitale sta cambiando praticamente ogni settore indu- striale, è altrettanto vero che anche il mondo delle risorse umane si trova alle prese con questa trasformazione. Una trasformazione forse più delicata di quella di tutte le altre funzioni aziendali, perché determinerà i processi e i requisiti che stabiliranno chi di noi troverà un lavoro nel mondo di domani e quanto quel lavoro sarà in grado di appagare le nostre legittime ambizioni. E di renderci delle persone felici.

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Verso un mondo senza lavoro?

Mai come in questo momento è difficile immaginare quale conformazione avrà il lavoro nei prossimi dieci, venti o trent’anni. La rivoluzione digitale, dal 20075 a oggi, ha fatto toccare con mano, a ciascuno di noi, quanto potente possa essere l’impatto della tecnologia sulla nostra quotidianità lavorativa, e non solo. Le nostre abitudini si sono trasfor- mate o ne sono nate di nuove, con conseguenti nuove espe- rienze di acquisto e di fruizione dei prodotti e dei servizi che scegliamo.

D’ora in avanti, anche e soprattutto per via dello sviluppo di soluzioni computazionali avanzate – su tutte, l’intelligenza artificiale – la trasformazione che abbiamo avuto modo di vivere finora si amplierà ulteriormente. Capire come essa cambierà il nostro modo di lavorare e di vivere è molto com- plicato, se non impossibile. In particolare, la questione più complessa da affrontare è legata al rapporto competitivo che avremo con le macchine. Ancora oggi, nonostante tutto lo sviluppo al quale abbiamo assistito, i computer sono prin- cipalmente degli strumenti di lavoro: li usiamo, dando loro indicazioni precise, per svolgere le mansioni che ci vengono assegnate dai nostri datori di lavoro; ci rendono la vita più semplice e ci danno modo di effettuare delle attività impen- sabili, fino a poco tempo fa.

5 Nel 2007 si svolse la prima, storica presentazione dell’iPhone1. L’arrivo sul mercato di questo prodotto rappresenta uno degli spartiacque che segnano l’inizio dell’era digitale globale.

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L’intelligenza artificiale, nelle sue declinazioni più evolute, come il machine e il deep learning, fino alle reti neurali, è destinata a scardinare questa relazione prettamente strumen- tale e funzionale. I computer potranno imparare, migliorarsi nelle loro prestazioni e prendere decisioni autonomamente, anche in contrasto con le convinzioni umane, fino a inta- volare un confronto intellettuale con l’uomo. Potranno, molto semplicemente, fare a meno dell’uomo. Anzi, proba- bilmente potranno addirittura entrare in competizione con l’uomo, anche sul versante delle cosiddette soft skill. Fino a oggi eravamo abituati a vivere una competizione tecno- logica connessa con la capacità di una macchina di ripetere movimenti e azioni meccaniche. È il caso dei robot indu- striali: non ha più un senso – né economico né umano – che un operaio avviti un bullone o sposti fisicamente un com- ponente lungo una linea di produzione, perché un robot è in grado di svolgere quell’operazione con maggiore sicu- rezza, affidabilità e risparmio di quanto non possa fare un addetto “tradizionale”. Il risultato di questa “sostituzione”, per quanto critica e complessa, può avere un risvolto molto positivo, permettendo a quel singolo addetto di occuparsi di un qualcosa di maggiormente soddisfacente e qualificante, e meno logorante a livello psicologico.

Presto, però, le macchine potranno gestire situazioni rela- zionali tipiche dell’uomo. Un assaggio di questa ulteriore trasformazione tecnologica è rappresentato dal crescente impiego dei bot. Il bot – il cui termine, peraltro, è proprio l’abbreviazione di robot – è un programma di un sito web che permette di sostenere una conversazione con un utente

“umano”. Questi programmi vengono usati con sempre maggiore frequenza per l’assistenza ai clienti, e permettono di dare una risposta in tempo reale alle richieste di contatto e di informazione degli utenti. Programmati per modulare il

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