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9 Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

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Academic year: 2021

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Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

9.1 Crescenza e decrescenza in piccolo; massimi e minimi relativi

Sia y = f (x) una funzione definita nell’intervallo A; su di essa non facciamo, per ora, alcuna particolare ipotesi (n´e di continuit`a, n´e di derivabilit`a). Sia poi x0 ∈ A, ∆x 6= 0 un arbitrario incremento di x0 su A.

Si dice che la f (x) `e crescente [decrescente] nel punto x0 se esiste un numero positivo σ tale che, per ogni incremento ∆x che abbia valore assoluto minore di σ, il corrispondente incremento ∆y della funzione risulti dello stesso segno di ∆x [di segno opposto a ∆x]. In altre parole, dire che y = f (x) `e crescente nel punto x0 significa che esiste un σ > 0 tale da aversi

∆y

∆x > 0 per 0 < |∆x| < σ; (9.1)

dire che y = f (x) `e decrescente nel punto x0 significa che esiste un σ > 0 tale da aversi

∆y

∆x < 0 per 0 < |∆x| < σ. (9.2)

Si noti che questo concetto di crescenza (o decrescenza) in un punto `e un concetto in piccolo ed `e distinto da quello gi`a noto di crescenza (o decrescenza) in un intervallo che invece `e un concetto in grande.

Si dice che la f (x) ha in x0 un punto di massimo relativo [minimo relativo] se esiste un numero positivo σ tale che, per ogni incremento ∆x che abbia valore assoluto minore di σ, il corrispondente incremento ∆y della funzione risulti sempre non positivo [non negativo]. In altre parole, dire che x0 `e un punto di massimo relativo significa che esiste un σ > 0 tale da aversi

∆y 6 0 per 0 < |∆x| < σ; (9.3)

dire che x0 `e un punto di minimo relativo significa che esiste un σ > 0 tale da aversi

∆y > 0 per 0 < |∆x| < σ. (9.4)

Se in luogo della (9.3) vale la condizione pi`u restrittiva

∆y < 0 per 0 < |∆x| < σ; (9.5)

si dice che x0 `e un punto di massimo relativo proprio; analogamente, se in luogo della (9.4) sussiste la

∆y > 0 per 0 < |∆x| < σ. (9.6)

si dice che x0 `e un punto di minimo relativo proprio.

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Capitolo 9. Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

Anche questi concetti sono in piccolo, perch´e riguardano soltanto i valori assunti dalla funzione in un opportuno intorno del punto x0; essi non vanno confusi con i concetti di massimo o minimo assoluto nell’intervallo A, che sono concetti in grande, perch´e si riferiscono ai valori della funzione in tutto A.

Aggiungendo ora l’ipotesi che la funzione f (x) sia derivabile nel punto x0 che si considera, si ottengono i due seguenti importanti risultati.

9.1.I Se nel punto x0 ∈ A la f (x) `e derivabile ed `e f0(x0) > 0 [f0(x0) < 0], allora la funzione `e crescente in x0 [decrescente in x0].

9.1.II Il punto x0 ∈ A sia per la f (x) di massimo o di minimo relativo. Allora, se x0 `e interno all’intrvallo A e se in x0 la f (x) `e derivabile, si ha necessariamente f0(x0) = 0.

Queste due proposizioni risultano intuitive da un punto di vista geometrico. La 9.1.I dice che se nel punto del grafico corrispondente a x0 esiste la tangente (non parallela all’asse y) e questa sale verso destra [verso sinistra], allora la funzione `e crecente [decrescente] nel punto x0. La 9.1.II afferma che, se x0 `e un punto di massimo o di minimo relativo interno ad A e se nel corrispondente punto del grafico esiste la tangente, questa `e necessariamente parallela all’asse x; si osservi che `e essenziale che x0 sia interno ad A, perch´e se `e ad un estremo non `e detto affatto che nel punto corrispondente del grafico la tangente risulti parallela all’asse x.

Diamo ora altri importanti risultati relativi a funzioni definite in un intervallo chiuso e limitato [a, b], che siano in esso continue e derivabili in ogni punto interno.

9.1.III (Teorema di Rolle) Sia f (x) continua in [a, b] e derivabile in ogni punto interno all’intervallo stesso. Se la f (x) assume valori uguali negli estremi dell’intervallo, se cio`e f (a) = f (b), allora esiste almeno un punto ξ ∈ (a, b) in cui la derivata della f (x) `e nulla.

9.1.IV (Teorema di Cauchy) Siano f (x), g(x) continue in [a, b] e derivabili in ogni pun- to interno; Sia inoltre sempre g0(x) 6= 0 in (a, b). Allora esiste almeno un punto ξ ∈ (a, b) tale da aversi

f (b) − f (a)

g(b) − g(a) = f0(ξ)

g0(ξ). (9.7)

9.1.V (Teorema di Lagrange) Se f (x) `e continua in [a, b] e derivabile in ogni punto interno, esiste almeno un punto ξ ∈ (a, b) tale da aversi

f (b) − f (a) = (b − a)f0(ξ). (9.8)

Il teorema di Lagrange — che `e un caso particolare del teorema di Cauchy e comprende, come caso particolare, il teorema di Rolle — ha un notevole significato geometrico. La (9.8) esprime infatti che, considerando il grafico della f (x) in [a, b], esiste almeno un punto C (di ascissa ξ) di tale grafico in cui la tangente (di coefficiente angolare f0(ξ)) risulta parallela al segmento che unisce i punti A = (a, f (a)) e B = (b, f (b)).

Una notevole conseguenza del teorema di Lagrange `e la seguente:

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9.1.VI Se la f (x) `e continua in [a, b], derivabile in ogni punto interno, con derivata sempre nulla, allora f (x) `e costante in tale intervallo.

A questa proposizione si pu`o anche dare la forma seguente:

9.1.VII Se f (x), g(x) sono continue in [a, b], derivabili in ogni punto interno ed `e sempre f0(x) = g0(x), le due funzioni differiscono per una costante.

9.2 Concavit`a e convessit`a in piccolo; punti di flesso

Sia y = f (x) una funzione derivabile in un dato intervallo A, x0 un punto interno ad A e

∆x un incremento di x0 su A. Indichiamo con t0 la retta tangente al grafico della funzione in quel suo punto P0 che ha ascissa x0.

Pu`o allora accadere che, nelle vicinanze del punto P0, i punti del grafico distinti da P0 siano situati al di sopra della tangente t0, come pure pu`o accadere che, nelle vicinanze di P0, tali punti siano situati al di sotto di t0. Nel primo caso si dice che nel punto P0 la curva y = f (x) volge la concavit`a verso l’alto (oppure la convessit`a verso il basso); nel secondo caso si dice che in tale punto essa volge la concavit`a verso il basso (la convessit`a verso l’alto).

Poich´e l’ordinata del punto P del grafico corrispondente all’ascissa x0+ ∆x vale f (x0) + ∆y e quella del punto Q della tangente t0 corrispondente alla stessa ascissa vale f (x0) + dy, il primo punto star`a al di sopra del secondo se ∆y > dy, star`a al di sotto se ∆y < dy. Tenendo poi conto che richiediamo soltanto che una di queste propriet`a valga nelle vicinanze di P0, cio`e per |∆x| abbastanza piccolo, possiamo esprimere in modo preciso i precedenti concetti con la definizione seguente: si dice che nel punto P0 la curva di equazione y = f (x) volge la concavit`a verso l’alto se esiste un σ > 0 tale che per 0 < |∆x| < σ risulti sempre

∆y − dy > 0 (9.9)

si dice che nel punto P0 la curva di equazione y = f (x) volge la concavit`a verso il basso se esiste un σ > 0 tale che per 0 < |∆x| < σ risulti sempre

∆y − dy < 0 (9.10)

Si dice che il punto P0 `e un punto di flesso della curva di equazione y = f (x) se in tale punto la curva attraversa la tangente t0, nel senso che, per valori di x minori di x0 e prossimi ad esso, si hanno punti del grafico situati da una parte di t0, mentre, per valori di x maggiori di x0 e prossimi ad esso, si hanno punti del grafico situati dall’altra parte di t0.

Potremmo dire che il grafico passa dal di sotto al di sopra della tangente, oppure dal di sopra al di sotto, ma `e meglio includere anche il caso in cui il grafico possa avere, sia a sinistra che a destra di x0, punti in comune con t0 e dire pertanto che il grafico `e dapprima non al di sopra di t0 e poi non al di sotto, oppure prima non al di sotto e poi non al di sopra di t0.

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Capitolo 9. Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

Poich´e il fatto che il grafico non sia al di sopra di t0 si traduce nella ∆y 6 dy ed il fatto che non sia al di sotto equivale alla ∆y > dy, possiamo dire che, supposto |∆x| abbastanza piccolo, si ha nel primo caso

∆y − dy 6 0 se ∆x < 0, ∆y − dy > 0 se ∆x > 0 e quindi sempre

∆y − dy

∆x > 0 e nel secondo

∆y − dy > 0 se ∆x < 0, ∆y − dy 6 0 se ∆x > 0 e quindi sempre

∆y − dy

∆x 6 0.

Ci`o ci conduce alla seguente precisa definizione: si dice che il punto x0 `e punto di flesso della curva y = f (x) se esiste un σ > 0 tale che per 0 < |∆x| < σ il rapporto (∆y − dy)/∆x non assuma mai valori di segno opposto, ossia se risulta sempre

∆y − dy

∆x > 0 oppure ∆y − dy

∆x 6 0. (9.11)

Se in luogo delle (9.11) si hanno le disuguaglianze in senso stretto, cio`e se per 0 < |∆x| < σ si ha sempre

∆y − dy

∆x > 0 oppure ∆y − dy

∆x < 0, (9.12)

si dice che P0 `e un punto di flesso proprio.

Valgono i seguenti risultati:

9.2.I Se la derivata f0(x) `e crescente [decrescente] nel punto x0, allora la curva y = f (x) volge nel punto P0 la concavit`a verso l’alto [verso il basso].

9.2.II Se la derivata f0(x) ha nel punto x0 un punto di massimo o di minimo relativo, allora la curva y = f (x) ha in P0 un punto di flesso. Se si tratta di massimo o di minimo relativo proprio, allora si ha un flesso proprio.

9.2.III Se nel punto x0 si ha f00(x0) > 0 [f00(x0) < 0] la curva y = f (x) volge nel punto P0 la concavit`a verso l’alto [verso il basso].

9.2.IV Se il punto P0 `e punto di flesso per la curva y = f (x), allora si ha necessariamente f00(x0) = 0.

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9.3 Formula di Taylor

Consideriamo una funzione f (x) definita in un intervallo A. Fissato x0 ∈ A, facciamo su f (x) l’ipotesi seguente:

α) per un certo intero positivo n, la f (x) `e derivabile in A fino all’ordine n − 1 ed esiste la derivata n-esima almeno nel punto x0.

Possiamo allora associare alla f (x) il seguente polinomio di grado n:

f (x0) + f0(x0)(x − x0) +f00(x0)

2! (x − x0)2+ . . . +f(n)(x0)

n! (x − x0)n=

n

X

k=0

f(k)(x0)

k! (x − x0)k. (9.13) Questo polinomio in generale non coincide con f (x) e pertanto, per avere f (x), occorrer`a aggiungere ad esso un certo termine correttivo Rn(x). In generale possiamo dunque scrivere

f (x) =

n

X

k=0

f(k)(x0)

k! (x − x0)k+ Rn(x), (9.14)

ma va osservato che questa formula non avrebbe alcuna importanza se non si riuscisse ad indicare una qualche propriet`a o a dare una qualche espressione di Rn(x). Ci`o `e effettiva- mente possibile, donde l’importanza della formula (9.14) che si chiama la formula di Taylor di punto iniziale x0 e di ordine n della funzione f (x); il termine Rn(x) si chiama il resto della formula stessa.

Notiamo che, ponendo x = x0 + ∆x, la (9.14) si pu`o anche scrivere

f (x0 + ∆x) − f (x0) =

n

X

k=1

f(k)(x0)

k! (x − x0)k+ Rn(x0+ ∆x) (9.15) ovvero, per quanto detto alla fine del capitolo 8:

∆f = df + 1

2!d2f + 1

3!d3f + . . . + 1

n!dnf + Rn(x0+ ∆x); (9.16) quest’ultima mette in evidenza come la formula di Taylor esprima l’incremento ∆f per mezzo dei differenziali successivi.

Il primo importante risultato riguardante la formula di Taylor `e il seguente:

9.3.I Nell’ipotesi α) sopra menzionata per la f (x), il resto Rn(x0+ ∆x) della formula di Taylor gode della propriet`a espressa dalla

Rn(x0+ ∆x) = o(∆xn) (∆x → 0). (9.17)

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Capitolo 9. Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

In virt`u della (9.17) si pu`o dunque scrivere

∆f = df + 1

2!d2f + 1

3!d3f + . . . + 1

n!dnf + o(∆xn) (9.18) e questa estende la propriet`a ∆f = df + o(∆x) gi`a vista nel capitolo 8, ove abbiamo anche osservato che, se f0(x0) 6= 0, il differenziale df fornisce la parte principale dell’incremento

∆f . Nel caso in cui sia f0(x0) = 0, supposto per maggiore generalit`a f0(x0) = f00(x0) = . . . = f(n−1)(x0) = 0, f(n)(x0) 6= 0, dalla (9.18) segue

∆f = 1

n!dnf + o(∆xn).

cio`e, nel caso considerato, la parte principale dell’incremento ∆f `e proporzionale al differen- ziale di ordine n della funzione.

La 9.3.I esprime una propriet`a del resto della formula di Taylor, ma non ne fornisce un’espressione; quest’ultima pu`o essere ottenuta facendo sulla f (x) un’ipotesi pi`u restrittiva della α). Assumendo infatti che

β) la f (x) `e in A derivabile fino all’ordine n ed esiste la derivata (n + 1)-esima almeno nel punto x0, si ottiene il seguente risultato:

9.3.II Nell’ipotesi β), il resto Rn(x0+ ∆x) della formula di Taylor (9.15) ha l’espressione seguente (resto di Peano):

Rn(x0 + ∆x) = ∆xn+1 (n + 1)!

h

f(n+1)(x0)ω(∆x)i

(9.19) ove ω(∆x) indica un infinitesimo per ∆x → 0.

Altre espressioni per il resto, maggiormente adatte all’impiego nelle applicazioni pratiche del- la formula di Taylor, possono essere ricavate facendo ulteriori ipotesi sulla f (x) ed utilizzando concetti non ancora introdotti. Ci occuperemo di ci`o in seguito.

Per concludere, osserviamo che, se l’intervallo A contiene il punto x = 0, assumendolo come punto iniziale, la formula di Taylor (9.14) diventa

f (x) =

n

X

k=0

f(k)(0)

k! xk+ Rn(x); (9.20)

che viene comunemente indicata come formula di Mac Laurin.

9.4 Criteri per il riconoscimento della natura dei punti di una funzione

Per decidere se in un punto x0 una funzione f (x), supposta derivabile, `e crescente o decre- scente, si pu`o applicare il 9.1.I secondo il quale se f0(x0) > 0 la f (x) `e crescente in x0, se `e f0(x0) < 0 la f (x) `e decrescente in x0. Tale criterio non `e utile nel caso f0(x0) = 0.

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D’altra parte non abbiamo ancora un criterio per decidere se x0 `e punto di massimo o di minimo relativo perch´e il 9.1.II esprime soltanto che condizione necessaria affinch´e x0 — supposto interno all’intervallo A ove la f (x) `e definita — sia tale, `e che risulti f0(x0) = 0. `E facile constatare che questa condizione non `e affatto sufficiente.

Ammesso che la f (x) possegga derivate di ordine superiore al primo, `e possibile dare un criterio che permette di decidere la natura di un punto x0 in cui risulti f0(x0) = 0.

Supponendo n > 2, e x0 interno all’intervallo A, mediante l’impiego della formula di Taylor, si pu`o infatti ottenere il seguente risultato:

9.4.I Se nell’intervallo A la funzione f (x) `e derivabile almeno n − 1 volte ed ammette nel punto x0 la derivata n-esima risultando

f0(x0) = f00(x0) = . . . = f(n−1)(x0) = 0, f(n)(x0) 6= 0, (9.21) allora:

1) se n `e pari ed `e f(n)(x0) > 0, il punto x0 `e punto di minimo relativo proprio;

2) se n `e pari ed `e f(n)(x0) < 0, il punto x0 `e punto di massimo relativo proprio;

3) se n `e dispari ed `e f(n)(x0) > 0, il punto x0 `e punto di flesso proprio e la f (x) `e crescente in esso;

4) se n `e dispari ed `e f(n)(x0) < 0, il punto x0 `e punto di flesso proprio e la f (x) `e decrescente in esso.

Analogamente, le proposizioni 9.2.II e 9.2.IV non permettono ancora di decidere se un punto x0, in cui si abbia f00(x0) = 0 sia punto di flesso oppure se in esso la curva volga la concavit`a verso l’alto o verso il basso. Si ha al riguardo il seguente risultato, ove supponiamo n > 3 e x0 interno all’intervallo A:

9.4.II Se nell’intervallo A la funzione f (x) `e derivabile almeno n − 1 volte ed ammette nel punto x0 la derivata n-esima risultando

f00(x0) = f000(x0) = . . . = f(n−1)(x0) = 0, f(n)(x0) 6= 0, allora:

1) se n `e pari ed `e f(n)(x0) > 0, la curva y = f (x) volge in x0 la concavit`a verso l’alto;

2) se n `e pari ed `e f(n)(x0) < 0, la curva y = f (x) volge in x0 la concavit`a verso il basso;

3) se n `e dispari, il punto x0 `e punto di flesso proprio.

9.5 Asintoti

Consideriamo una curva di equazione y = f (x) e sia P (x, y) un punto generico di essa. Se la f (x) `e definita in un intervallo A privato di uno o pi`u punti x0, x1, . . . (che saranno punti singolari per la funzione) e se in qualcuno di essi la f (x) `e infinita, oppure se `e definita in un intervallo A illimitato, `e chiaro che il punto P (x, y) si allontana indefinitamente dall’origine

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Capitolo 9. Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

O (nel senso che OP → ∞), nel primo caso perch´e la sua ordinata y pu`o assumere valori arbitrariamente grandi in valore assoluto, nel secondo caso perch´e lo stesso avviene almeno per la sua ascissa x.

Nei casi predetti, diremo che una data retta r `e un asintoto per la curva y = f (x) se avviene che, mentre il punto P si allontana indefinitamente, la sua distanza da tale retta tende a zero.

Esaminiamo il primo caso. Se

x→xlim0|f (x)| = +∞

`e evidente che la retta verticale x = x0 gode della propriet`a enunciata e perci`o tale retta `e un asintoto della curva. La curva y = f (x) ha dunque un asintoto verticale in ogni punto in cui la f (x) `e infinita.

Esaminiamo il secondo caso. Supposto che f (x) sia definita nell’intervallo A illimitato, prendiamo in esame il punto P (x, y) del grafico quando x tende all’infinito. Se il punto P si allontana ammettendo un asintoto r, tale asintoto non pu`o evidentemente essere verticale, e si potr`a quindi rappresentare con un’equazione del tipo y = mx + n. La distanza del punto P (x, y) da tale retta r vale1

y − mx − n

√1 + m2 e, se r `e un asintoto, deve dunque essere

lim

x→∞(y − mx − n) = 0 (9.22)

e quindi a maggior ragione

x→∞lim

y − mx − n

x = lim

x→∞

y

x − m −n x



= 0.

Ne segue

m = lim

x→∞

y x

e si ha pertanto questo primo risultato: condizione necessaria affinch´e esista un asintoto `e che esista finito il limite

x→∞lim f (x)

x = m. (9.23)

Se ci`o accade, dalla (9.22) segue poi

n = lim

x→∞(y − mx)

1Basta tracciare da P la perpendicolare a r e calcolare la distanza di P dal punto Q in cui detta perpendicolare incontra la retta r.

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onde un’altra condizione necessaria `e che, col numero m fornito dalla (9.23), esista finito anche il limite

x→∞lim [f (x) − mx] = n. (9.24)

Viceversa, supposte verificate le due predette condizioni, `e immediato constatare che, con i numeri m, n forniti dalle (9.23),(9.24), la retta y = mx + n risulta effettivamente un asintoto per la curva y = f (x).

Se uno solo dei limiti (9.23),(9.24) non esiste o esiste infinito, la curva non ha asintoto.

Si noti anche che pu`o risultare m = 0. Allora si ha un asintoto orizzontale y = n con n = lim

x→∞ f (x).

Nelle formule precedenti abbiamo scritto semplicemente limite per x → ∞, ma va tenuto presente che in certi casi si tratter`a del limite per x → −∞ se l’intervallo A `e del tipo (−∞, a], oppure del limite per x → +∞ se l’intervallo A `e del tipo [a, +∞). Inoltre, anche nel caso in cui A sia illimitato tanto a sinistra che a destra, pu`o darsi che, considerando separatamente i limiti per x → −∞ e per x → +∞, questi forniscano valori diversi in una almeno delle (9.23),(9.24); si avranno allora due asintoti, uno per la parte di curva che si allontana indefinitamente a sinistra, l’altro per la parte di curva che si allontana a destra.

Pu`o accadere che esista l’asintoto per una di queste parti e non per l’altra.

9.6 Studio del grafico di una funzione

Abbiamo fin qui derivato un complesso di regole pratiche per lo studio del grafico di una funzione f (x) definita in un insieme costituito da uno o pi`u intervalli.

Occorre per prima cosa determinare tale insieme di definizione e ci`o porta a mettere in evidenza gli eventuali punti singolari della funzione stessa. In ognuno di questi punti singolari si studier`a il limite della funzione y = f (x).

Converr`a anche subito studiare il limite della f (x) per x → ∞ (se l’insieme di definizione

`e illimitato), distinguendo se occorre il limite per x → −∞ e quello per x → +∞. Se si ottengono limiti determinati e finiti, nasceranno per la curva y = f (x) uno o due asintoti orizzontali; se invece si ottengono limiti determinati e infiniti, occorrer`a cercare, con il metodo presentato in precedenza, se la curva ammette degli asintoti del tipo y = mx + n con m 6= 0.

Dopo ci`o, converr`a occuparsi della derivata della funzione, cercando se vi siano punti in cui tale derivata non esiste oppure esiste e vale zero. Tutti questi punti, assieme ai punti singolari della funzione, determinano di solito un gruppo di intervalli in ognuno dei quali la derivata `e continua e diversa da zero; perci`o in ciascuno di essi la f0(x) ha segno costante.

Dunque, in quegli intervalli in cui la f0(x) > 0 la f (x) `e crescente, in quelli in cui f0(x) < 0 la f (x) `e decrescente. Restano allora subito individuati i punti di massimo o di minimo relativo:

sar`a di massimo ogni punto non singolare passando attraverso il quale la f (x) da crescente

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Capitolo 9. Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

diventa decrescente, di minimo quelli attravereso i quali la funzione da decrescente diventa crescente. Si vede cos`ı che il solo studio dei segni della derivata prima pu`o spesso permettere la determinazione completa dei punti di massimo o di minimo relativo della funzione (senza ricorrere alle derivate successive).

Similmente si potranno studiare la concavit`a ed i flessi della curva, prendendo in esame i segni della derivata seconda. In quegli intervalli in cui f00(x) > 0 la curva volge la concavit`a verso l’alto, in quelli in cui f00(x) < 0 volge la concavit`a verso il basso; inoltre in ogni punto x0 in cui si ha f00(x0) = 0, verificandosi il cambiamento di segno della f00(x) mentre x passa per il punto x0, cade un flesso della curva y = f (x).

9.7 Ricerca del minimo e del massimo assoluti di una funzione

Accenniamo alla questione della ricerca del minimo e del massimo assoluti di una funzione y = f (x) in un dato intervallo A. L’unico caso in cui si possa a priori affermare che essi esistono `e quello in cui la f (x) `e continua nell’intervallo A chiuso e limitato.

In tal caso, i punti di massimo e di minimo assoluto o sono punti ove la f (x) non `e derivabile, oppure sono gli estremi dell’intervallo A oppure sono punti di A ove la f (x) `e derivabile e la derivata vale zero.

Pertanto, sempre nel caso predetto, baster`a individuare tutti i punti x che godono di una delle propriet`a dette, calcolare la funzione in ognuno di essi e fra i valori che cos`ı risultano scegliere il pi`u piccolo ed il pi`u grande.

In ogni altro caso, l’esistenza del minimo o del massimo assoluto in A non `e assicurata.

Si pu`o solo dire che se il minimo assoluto (od il massimo assoluto) esiste esso cade neces- sariamente in uno dei punti x sopra menzionati. Si possono allora cercare detti punti x e calcolare la funzione in essi. Se fra i valori ottenuti non ce n’`e uno pi`u piccolo (o uno pi`u grande), si potr`a concludere che il minimo assoluto (od il massimo assoluto) non esiste. Se fra i valori ottenuti ce n’`e uno pi`u piccolo m (o uno pi`u grande M ) si potr`a concludere che, se il minimo assoluto (od il massimo assoluto) esiste, esso vale necessariamente m (o M ); da ci`o sar`a possibile dedurre l’esistenza del minimo assoluto (o del massimo assoluto) soltanto se si riuscir`a a dimostrare che in A `e sempre f (x) > m (oppure f (x) 6 M ).

In casi di questo genere, la cosa migliore `e studiare il grafico della funzione in A, con il che il problema si risolve immediatamente.

Riferimenti