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Appunti per il corso di Modelli Matematici per la Meccanica

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(1)

Appunti per il corso di

Modelli Matematici per la Meccanica

Daniele Andreucci

Dipartimento di Metodi e Modelli Matematici Universit` a di Roma La Sapienza

via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italy andreucci@dmmm.uniroma1.it

a.a. 2009–2010

versione definitiva

(2)

c2009 Daniele Andreucci

Tutti i diritti riservati–All rights reserved

(3)

Introduzione

Questa `e la versione definitiva degli Appunti per il corso di Modelli Mate- matici per la Meccanica, tenuto per il Corso di Laurea in Ingegneria Aero- spaziale dell’Universit`a La Sapienza di Roma, anno accademico 2009/2010.

Eventuali correzioni a questa versione definitiva verranno segna- late in una Errata Corrige, che apparir`a sul sito del corso.

Programma d’esame

Il programma consiste, con riferimento ai presenti Appunti, di:

• Capitolo 1, tutto, ad eccezione di: Definizione 1.14, Proposizione1.16, Teorema 1.20, Teorema 1.21, Teorema 1.25, Sottosezione 1.5.1.

• Capitolo 2, tutto.

• Capitolo 3, tutto, ad eccezione della Sottosezione3.3.1.

• Capitolo 4, tutto, ad eccezione delle dimostrazioni della Sezione4.5, e del Teorema4.31, che tuttavia pu`o (a scelta) sostituire il Teorema4.36.

• Capitolo 5, tutto.

• Capitolo 6, tutto, ad eccezione del Lemma 6.6 e delle dimostrazioni della Sezione6.5.

• Capitolo 7, tutto, ad eccezione della Sezione7.3.

• Capitolo 8, tutto, ad eccezione della dimostrazione del Lemma8.3.

• Capitolo 9, tutto, ad eccezione della Proposizione 9.4 e della Sottose- zione 9.2.2.

Formano come `e ovvio parte del programma anche le tecniche di risoluzione degli esercizi, che vengono resi disponibili sul sito del corso.

Le Appendici contengono risultati che possono venire usati nel corso, ma non ne fanno parte in senso proprio (prerequisiti, complementi tecnici, alcuni risultati di calcoli complicati).

iii

(4)
(5)

Indice

Introduzione iii

Parte 1. Cenni alla stabilit`a dell’equilibrio 1

Capitolo 1. Equazioni differenziali 3

1.1. Esistenza, unicit`a e dipendenza continua. 3

1.2. Punti di equilibrio 5

1.3. I teoremi di stabilit`a di Liapounov 6

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine 9

1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi 11

Parte 2. Come descrivere il moto 15

Capitolo 2. Cambiamento di sistemi di riferimento 17 2.1. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo 17

2.2. Cinematica relativa 20

2.3. Passaggi da una base mobile all’altra 22

2.4. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocit`a

angolare 24

2.5. L’asse istantaneo di moto 25

Capitolo 3. Curve nello spazio 29

3.1. Il triedro principale 29

3.2. Le formule di Frenet–Serret 30

3.3. Il triedro principale come terna di riferimento mobile 31 3.4. Scomposizione di velocit`a e accelerazione 34

Capitolo 4. Corpi rigidi 35

4.1. Sistemi rigidi 35

4.2. Quantit`a meccaniche nei rigidi 41

4.3. Il tensore d’inerzia 43

4.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali. 45

4.5. Ricerca degli assi principali 51

Capitolo 5. Vincoli. Coordinate lagrangiane 55

5.1. Coordinate locali canoniche per un corpo rigido non degenere 55 5.2. Coordinate locali canoniche per un corpo rigido degenere 57

5.3. Vincoli olonomi 58

5.4. Coordinate lagrangiane 60

5.5. Sistemi vincolati a un piano 62

Parte 3. Come determinare il moto 65

v

(6)

Capitolo 6. Quantit`a meccaniche in coordinate lagrangiane 67

6.1. Cinematica 67

6.2. Distribuzioni di masse 69

6.3. Distribuzioni di forze 69

6.4. L’ipotesi dei lavori virtuali 71

6.5. Forze conservative 75

Capitolo 7. Equazioni di Lagrange 79

7.1. Le equazioni di Lagrange 79

7.2. Propriet`a dell’energia cinetica 80

7.3. Condizioni iniziali 83

7.4. Il caso conservativo. La funzione lagrangiana 84

7.5. Piccole oscillazioni 86

7.6. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse equazioni

di Lagrange 89

Capitolo 8. Moti di precessione 93

8.1. La seconda equazione cardinale 93

8.2. Le equazioni di Eulero 95

8.3. Le precessioni per inerzia 95

8.4. Precessioni con attrito 100

Capitolo 9. Applicazioni delle equazioni di Lagrange 103

9.1. Moti in campi centrali 103

9.2. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie. 106

Parte 4. Appendici 111

Appendice A. Algebra lineare 113

A.1. Prodotti tra vettori 113

A.2. Cambiamenti di base 114

A.3. Angoli e perpendicolarit`a 117

A.4. Forme quadratiche 118

Appendice B. Complementi 121

B.1. Due punti nel piano 121

B.2. Le equazioni delle poloidi 123

Appendice C. Simboli e notazione usati nel testo 129

C.1. Simboli usati nel testo 129

(7)

Parte 1

Cenni alla stabilit` a dell’equilibrio

(8)
(9)

CAPITOLO 1

Equazioni differenziali

1.1. Esistenza, unicit`a e dipendenza continua.

Consideriamo un sistema di equazioni differenziali ordinarie (e.d.o.)

˙y = F (y, t) , (1.1)

ove Ω `e un aperto di RN, I `e un intervallo aperto di R,

F ∈ C(Ω × I) . (1.2)

Supporremo sempre che valga la condizione di Lipschitz

|F (y1, t)− F (y2, t)| ≤ CK|y1− y2| , (1.3) per ogni scelta di (yi, t)∈ K × I, per una costante fissata CK > 0, per ogni K ⊂ Ω arbitrario insieme compatto.

In particolare considereremo il problema di Cauchy per (1.1):

˙y = F (y, t) , (1.4)

y(t0) = y0. (1.5)

Ricordiamo la definizione di soluzione di (1.4)–(1.5).

Definizione 1.1. Una funzione

ϕ: J → RN, t0∈ J ⊂ I , ϕ(J) ⊂ Ω , ϕ ∈ C1(J) , (1.6) ove J `e un intervallo, si dice soluzione di (1.4)–(1.5) se valgono

˙

ϕ(t) = F (ϕ(t), t) , t∈ J , (1.7)

ϕ(t0) = y0. (1.8)

 Definizione 1.2. Una soluzione di (1.4)–(1.5), definita su un intervallo J, si dice massimale se ogni altra soluzione di (1.4)–(1.5) ha intervallo di

definizione contenuto in J. 

1.1.1. Riduzione di un sistema del secondo ordine al primo. Con- sidereremo anche sistemi del secondo ordine

¨

z= f (z, ˙z, t) , (1.9)

e i relativi problemi ai valori iniziali

¨

z= f (z, ˙z, t) , (1.10)

z(t0) = z0, (1.11)

˙z(t0) = ˙z0. (1.12)

3

(10)

In molti casi sar`a possibile limitarsi a trattare in modo esplicito solo il caso del sistema del primo ordine, perch´e il sistema del secondo ordine si riduce a quello del primo con il cambiamento di variabili

y:= (z, ˙z)∈ R2N, (1.13)

e introducendo la nuova funzione costitutiva F(y, t) :=

y2, f (y1, y2, t)

, (1.14)

ove si denota

y= (y1, y2) , y1, y2∈ RN. (1.15) In questo modo il problema (1.10)–(1.12) si riduce a

˙y = F (y, t) , (1.16)

y(t0) = (z0, ˙z0) . (1.17) Nel seguito, le definizioni si intendono estese a sistemi del secondo ordine in quanto si applicano ai sistemi del primo ordine cui essi si riducono con la trasformazione (1.13), (1.14).

Definizione 1.3. Si dice che la soluzione di (1.4)–(1.5) dipende con conti- nuit`a dai dati iniziali se, fissati ad arbitrio un intervallo limitato (α, β) ove la soluzione ϕ `e definita, e un ε > 0, esiste un δ > 0 tale che se |y0− ¯y0| < δ e |t0− ¯t0| < δ, allora la soluzione ¯ϕ di

˙¯

ϕ= F ( ¯ϕ, t) , ϕ( ¯¯ t0) = ¯y0, (1.18)

`e definita almeno in (α + ε, β− ε) e soddisfa

|ϕ(t) − ¯ϕ(t)| < ε , α + ε < t < β− ε . (1.19)

 Teorema 1.4. Sotto le ipotesi (1.2), (1.3), il problema (1.4)–(1.5) ha una unica soluzione massimale ϕ.

Tale soluzione dipende con continuit`a dai dati iniziali.

Esercizio 1.5. Dimostrare che se si ammettesse la scelta di un intervallo (α, β) illimitato nella Definizione 1.3, allora la soluzione di

˙y = y , y(t0) = y0,

non soddisferebbe questa nuova Definizione. 

Definizione 1.6. Il sistema (1.1) si dice autonomo se F non dipende da

t. 

Osservazione 1.7. Il valore di t0, nella formulazione del problema ai va- lori iniziali (1.4)–(1.5), `e in sostanza ininfluente, se il sistema `e autonomo.

Infatti, la soluzione ¯ϕ di

˙¯

ϕ= F ( ¯ϕ) , ϕ( ¯¯ t0) = y0 (1.20)

`e data da

¯

ϕ(t) = ϕ(t− ¯t0+ t0) , t∈ J − t0+ ¯t0,

ove ϕ `e la soluzione di (1.4)–(1.5). 

(11)

1.2. PUNTI DI EQUILIBRIO 5

Osservazione 1.8. In particolare, se la soluzione ϕ del problema ai valori iniziali (1.4)–(1.5), che supponiamo autonomo, soddisfa per un T > 0

ϕ(T + t0) = ϕ(t0) ,

segue dall’Osservazione 1.7, e dall’unicit`a di soluzioni, che ϕ(T + t) = ϕ(t) , t∈ R ,

ossia che ϕ `e periodica con periodo T . 

Esercizio 1.9. Dimostrare che se N = 1 e l’equazione differenziale `e auto- noma e del primo ordine, le uniche soluzioni periodiche sono quelle costan-

ti. 

1.2. Punti di equilibrio

Definizione 1.10. Un punto yeq ∈ Ω si dice di equilibrio per il sistema autonomo

˙y = F (y) , (1.21)

se e solo se

F(yeq) = 0 . (1.22)

 Osservazione 1.11. La Definizione 1.10`e motivata dal fatto che, se yeq `e di equilibrio, il problema di Cauchy (1.21), (1.5) ha come soluzione quella costante

ϕ(t) = yeq, t∈ R . (1.23)

Questa soluzione `e l’unica (massimale) sotto le ipotesi del Teorema 1.4.  Lemma 1.12. Se ϕ `e una soluzione del sistema autonomo (1.21), definita su (α, β), e

t→β−lim ϕ(t) = yeq, ϕ(t)6= yeq per qualche t, (1.24) allora β =∞.

Dimostrazione. Se per assurdo fosse β < ∞, potremmo definire la fun- zione

¯ ϕ(t) =

ϕ(t) , α < t < β , yeq, β ≤ t < ∞ .

E facile verificare che ¯` ϕ`e una soluzione di classe C1((α,∞)) del problema

˙y = F (y) , y(β) = yeq,

mentre per il teorema di unicit`a di soluzioni, l’unica soluzione deve essere

quella costante. 

Definizione 1.13. Il punto di equilibrio yeq si dice stabile se:

per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se

|y0− yeq| < δ ,

allora l’unica soluzione massimale di (1.21), (1.5), risulta definita (almeno) su [t0,∞), e soddisfa

ϕ(t) − yeq

< ε , t0 < t <∞ . (1.25) Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. 

(12)

Definizione 1.14. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se

`e stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se |y0 − yeq| < σ allora la soluzione di (1.21), (1.5) soddisfa

t→∞lim ϕ(t) = yeq. (1.26)

 Osservazione 1.15. La definizione di equilibrio asintotico richiede quindi che la soluzione ϕ si avvicini per tempi grandi al punto di equilibrio; questo esclude che il moto possa essere periodico. L’equilibrio asintotico `e spesso collegato a fenomeni dissipativi come l’attrito.  Un collegamento interessante tra equilibrio stabile ed equilibrio asintotico `e dato dal seguente risultato.

Proposizione 1.16. Sia yeq un punto di equilibrio stabile, e sia ϕ una soluzione di (1.21) che abbia yeq come punto di accumulazione, ossia tale che

ϕ(tn)→ yeq, n→ ∞ , (1.27)

per una successione tn→ ∞. Allora tutta la soluzione converge a yeq, ossia

t→∞lim ϕ(t) = yeq. (1.28)

Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0 esiste un ¯t tale

che

ϕ(t) − yeq

≤ ε , t≥ ¯t.

Basta scegliere, per la Definizione 1.13, ¯t = tn, con n scelto in modo che ϕ(tn)− yeq

< δ ,

ove δ > 0 `e appunto scelto in corrispondenza di ε in modo che valga la

(1.25). 

1.3. I teoremi di stabilit`a di Liapounov Consideriamo in questa Sezione il sistema

˙y = F (y) , F(yeq) = 0 . (1.29) Definizione 1.17. Una funzione W a valori reali si dice funzione di Liapou- nov per (1.29) in yeq, se valgono, per una sfera aperta B ⊂ RN di centro yeq:

(1) W ∈ C(B) ∩ C1(B\ {yeq});

(2) W (y) > 0 per y∈ B \ {yeq}; W (yeq) = 0;

(3) ∇ W (y) · F (y) ≤ 0 per y ∈ B \ {yeq}.

 Osservazione 1.18. In sostanza quindi la funzione di Liapounov `e una funzione con un minimo isolato in yeq, e che non cresce lungo le soluzioni ϕ del sistema autonomo:

d

dtW ϕ(t)

=∇ W ϕ(t)

· F ϕ(t)

≤ 0 . (1.30)

(13)

1.3. I TEOREMI DI STABILIT `A DI LIAPOUNOV 7

La (1.30) `e la conseguenza della terza propriet`a nella Definizione 1.17 che viene davvero usata, e che potrebbe perci`o sostituirla nella definizione stessa.

 Teorema 1.19. Se il sistema (1.29) ammette una funzione di Liapounov in yeq, allora yeq `e un punto di equilibrio stabile.

Dimostrazione. Fissiamo ε > 0; possiamo supporre che

Bε(yeq)⊂ B . (1.31)

Dobbiamo dimostrare che esiste un δ > 0 che soddisfi la Definizione 1.13.

Definiamo

m = min

∂Bε(yeq)W > 0 .

Per la continuit`a di W in yeq, possiamo trovare un δ > 0 tale che 0≤ W (y) ≤ m

2 ,

y − yeq

≤ δ .

Questo `e il δ che soddisfa la (1.13): se|y0− yeq| < δ, deve valere ϕ(t) − yeq

< ε , t > t0. Infatti se invece fosse per qualche ¯t > t0

ϕ(¯t) − yeq

= ε ,

per definizione di m, e per l’Osservazione 1.18 si avrebbe m≤ W ϕ(¯t)

≤ W ϕ(t0)

= W (y0)≤ m 2 ,

assurdo. 

Teorema 1.20. Se il sistema (1.29) ammette una funzione di Liapounov in yeq, e se inoltre

∇ W (y) · F (y) < 0 , y∈ B \ {yeq} , (1.32) allora yeq `e un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

Dimostrazione. La stabilit`a di yeq segue dal Teorema1.19.

Dimostriamo che vale anche la (1.26), per σ = δ, con δ scelto come nella definizione di stabilit`a, in corrispondenza di un ε > 0 qualunque tale che valga la (1.31). Sia dunque ϕ una soluzione che soddisfa

ϕ(t0)− yeq

< σ . Dobbiamo dimostrare che

t→∞lim ϕ(t) = yeq. (1.33)

Se vale ϕ(tn) → yeq per una successione tn → ∞, allora per la Proposizio- ne 1.16, vale anche la (1.33).

Nel caso contrario, la curva {ϕ(t)}, per t ≥ t0, sarebbe separata da yeq da una distanza positiva η, cio`e

ϕ(t)∈ K := Bε(yeq)\ Bη(yeq) , t≥ t0. (1.34)

(14)

Poich´e K `e un compatto, e la funzione ∇ W · F `e continua in K, ammette- rebbe un massimo

maxy∈K∇ W (y) · F (y) = −γ < 0 , per la (1.32). Dunque si avrebbe per ogni t > t0

W ϕ(t)

− W ϕ(t0)

= Zt t0

dW ϕ(τ )

dτ dτ

= Zt

t0

∇ W ϕ(t0)

· F (ϕ(t0)

dτ ≤ −γ(t − t0)→ −∞ ,

per t→ ∞. Questo conduce all’assurdo ricercato e conclude la dimostrazio-

ne. 

Il risultato seguente, di dimostrazione meno immediata, garantisce per`o l’asintotica stabilit`a sotto ipotesi pi`u generali di quelle del Teorema 1.20.

Teorema 1.21. Assumiamo che il sistema (1.29) ammetta una funzione di Liapounov W in yeq, che sia strettamente decrescente su tutte le soluzioni contenute in B, diverse dalla costante yeq; ossia assumiamo che per ϕ6= yeq

W ϕ(t1)

> W ϕ(t2)

, per ogni t1< t2. (1.35) Allora yeq `e un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

Dimostrazione. Intanto si possono svolgere le medesime considerazioni gi`a viste all’inizio della Dimostrazione del Teorema1.20, fino alla (1.34).

Dimostreremo che la (1.34) conduce a un assurdo. Infatti, in questo caso la curva {ϕ(t)} ha un punto di accumulazione ¯y, con

η≤

¯y − yeq

≤ ε .

Sia tnuna successione tale che ϕ(tn)→ ¯y. Per il Teorema1.4di dipendenza continua dai dati iniziali, la successione di funzioni ϕ(· + tn) converge alla soluzione ¯ϕdi

˙y = F (y) , y(0) = ¯y,

su un intervallo opportuno [0, s]. Si noti che, per l’ipotesi che W sia stret- tamente decrescente sulle soluzioni,

W ¯ϕ(s)

< W ¯ϕ(0)

= W (¯y) . (1.36)

In particolare quindi, per ¯n opportuno e fissato, e per ogni t > s + tn¯, si avr`a anche, per continuit`a, e di nuovo per l’ipotesi di stretta monotonia,

W ϕ(t)

< W ϕ(s + tn¯)

< W (¯y) , (1.37) e quindi

W (¯y) = lim

n→∞W ϕ(tn)

≤ W ϕ(s + tn¯)

< W (¯y) ,

assurdo. 

(15)

1.4. IL CASO DEI SISTEMI DI SECONDO ORDINE 9

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine

Consideriamo in questa Sezione un sistema del secondo ordine, come nella Sottosezione 1.1.1, per`o autonomo:

¨

z= f (z, ˙z) , (1.38)

z(t0) = z0, (1.39)

˙z(t0) = ˙z0. (1.40)

Come gi`a mostrato, mediante la trasformazione di variabili

y= (y1, y2) := (z, ˙z)∈ R2N, (1.41) questo problema pu`o essere trasformato nel problema del primo ordine

˙y = F (y) :=

y2, f (y1, y2)

, (1.42)

y(t0) = (z0, ˙z0) . (1.43)

Quindi un punto di equilibrio zeq ∈ RN per (1.38) corrisponde al pun- to (zeq, 0) ∈ R2N di equilibrio per (1.42). Riportiamo per convenienza le definizioni di equilibrio stabile e asintoticamente stabile tradotte nella terminologia dei sistemi del secondo ordine.

Definizione 1.22. Il punto di equilibrio zeq si dice stabile se:

per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se

|z0− zeq| + | ˙z0| < δ , (1.44) allora l’unica soluzione massimale ψ di (1.38)–(1.40), risulta definita (alme- no) su [t0,∞), e soddisfa

|ψ(t) − zeq| + | ˙ψ(t)| < ε , t0< t <∞ . (1.45) Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile.  Definizione 1.23. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se

`e stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se

|z0− zeq| + | ˙z0| < σ , (1.46) allora la soluzione ψ di (1.38)–(1.40) soddisfa

t→∞lim ψ(t) = zeq, lim

t→∞

ψ(t) = 0 .˙ (1.47)

 Teorema 1.24. Supponiamo che f non dipenda da ˙z, e che per y1 ∈ Ω1 ⊂ RN aperto,

f(y1) =∇ U(y1) , (1.48)

ove U ∈ C1(Ω1). Supponiamo anche che U abbia un massimo isolato in zeq ∈ Ω1. Allora zeq `e un punto di equilibrio stabile per (1.38).

Dimostrazione. `E chiaro che zeq `e un punto di equilibrio, perch´e f(zeq) =∇ U(zeq) = 0 .

Dimostriamo poi che

W (y1, y2) =−U(y1) + U (zeq) +1

2y22, (1.49)

(16)

`e una funzione di Liapounov in zeq. Le richieste di regolarit`a e positivit`a sono soddisfatte per y1∈ B ⊂ Ω1, B sfera opportuna, per le ipotesi su U :

W (y1, y2)≥ 1

2y22 > 0 , y2 6= 0 ,

W (y1, y2)≥ −U(y1) + U (zeq) > 0 , y16= zeq. Infine

∇ W (y) · F (y) = − ∇ U(y1)· y2+ y2· f(y1) = 0 ,

per l’ipotesi (1.48). 

Teorema 1.25. Supponiamo che per (y1, y2)∈ Ω1× Ω2⊂ R2N aperto, f(y1, y2) =∇ U(y1) + a(y2) , (1.50) ove U ∈ C1(Ω1), a ∈ C1(Ω2). Supponiamo anche che U abbia un unico punto critico zeq ∈ Ω1, e che esso sia un massimo isolato. Inoltre sia 0∈ Ω2, e valga

a(y2)· y2 < 0 , y2 6= 0 . (1.51) Allora zeq `e un punto di equilibrio asintoticamente stabile per (1.38).

Dimostrazione. Il punto zeq `e l’unico punto di equilibrio in Ω1; infatti da (1.51) segue subito che

a(0) = 0 .

Per il Teorema 1.21, baster`a dimostrare che la funzione W definita in (1.49)

`e una funzione di Liapounov, strettamente decrescente sulle soluzioni diverse dall’equilibrio.

La regolarit`a e positivit`a della W si dimostrano come nel Teorema 1.24.

Inoltre d

dtW ψ(t), ˙ψ(t)

=− ∇ U ψ(t)

· ˙ψ(t) + ˙ψ(t) · ¨ψ(t)

= ˙ψ(t)· a ˙ψ(t)

< 0 ,

(1.52)

ove nell’ultima disuguaglianza abbiamo assunto ˙ψ(t)6= 0.

Dunque, per t1< t2 possiamo scrivere

W ψ(t2), ˙ψ(t2)

− W ψ(t1), ˙ψ(t1)

=

t2

Z

t1

ψ(t)˙ · a ˙ψ(t) dt .

Pertanto, se nell’intervallo [t1, t2] esiste almeno un t tale che ˙ψ(t) 6= 0, la (1.35) resta dimostrata. Se viceversa, su tale intervallo la ˙ψ(t) si annulla identicamente, questo implica che per t1 < t < t2

ψ(t) = ¯z, ψ¨(t) = f (¯z, 0) = 0 .

Questo per`o implica che ¯z= zeq, ossia che l’unica soluzione su cui W non `e strettamente decrescente `e l’unico equilibrio.

Abbiamo verificato quindi tutte le ipotesi del Teorema 1.21, e ne segue

l’asintotica stabilit`a. 

(17)

1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 11

1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi La curva

{ϕ(t) | t ∈ J} ⊂ RN,

ove ϕ `e una soluzione massimale di (1.4) definita nell’intervallo J, si dice orbita del sistema differenziale.

Noi saremo interessati soprattutto al caso dei sistemi differenziali autonomi

˙y = F (y) . (1.53)

Teorema 1.26. Se un’orbita del sistema autonomo (1.53) si autointerseca, cio`e se

ϕ(t1) = ϕ(t2)

per due diversi istanti t1, t2 ∈ J, allora corrisponde a una soluzione perio- dica.

Dimostrazione. Basta prendere nell’Osservazione 1.8 t0= t1, T = t2− t1,

se per esempio t2 > t1. 

Teorema 1.27. Se due orbite del sistema autonomo (1.53) si intersecano, allora coincidono.

Dimostrazione. Siano ϕ1 e ϕ2 le due soluzioni corrispondenti alle due orbite γ1 e γ2 che si intersecano nel punto

ϕ1(t1) = ϕ2(t2) . Per l’Osservazione 1.7, le due funzioni

t7→ ϕ1(t) , t7→ ϕ2(t + t2− t1) ,

sono soluzioni dello stesso problema di Cauchy, con istante iniziale t1 e dato iniziale ϕ1(t1). Dunque, per il teorema di unicit`a di soluzioni si ha

ϕ1(t) = ϕ2(t + t2− t1) ,

per ogni t nell’intervallo di definizione di ϕ1. Quindi γ1 ⊂ γ2.

Ragionando in modo simmetrico si conclude γ2 ⊂ γ1 e si conclude la dimo-

strazione. 

Esercizio 1.28. Dare esempi di orbite in dimensione N = 1.  Esercizio 1.29. Dimostrare con controesempi espliciti che i Teoremi1.26e

1.27 non valgono per i sistemi non autonomi. 

Nel caso di sistemi differenziali con due incognite scalari, ossia nel caso in cui N = 2 nella notazione precedente, l’orbita `e una curva piana.

In questo caso si ricade partendo da un’equazione autonoma del secondo ordine

m¨x = F (x) , (1.54)

e riconducendola a un sistema del primo ordine, come nella Sottosezio- ne 1.1.1. In questo contesto, `e tradizionale indicare le coordinate cartesiane nel piano in cui si tracciano le orbite con (x, p), con p che corrisponde a ˙x.

(18)

In particolare, definiamo il potenziale U (x) =

Zx

x0

F (s) ds , ove x0 `e fissato ad arbitrio nel dominio della F .

Proposizione 1.30. Se ϕ `e una soluzione di (1.54), la funzione E(t) := −U ϕ(t)

+1

2m ˙ϕ(t)2 (1.55)

si mantiene costante nell’intervallo di definizione di ϕ.

La E si dice energia.

Dimostrazione. Deriviamo in t E(t) = −U˙ ϕ(t)

˙

ϕ(t) + m ˙ϕ(t) ¨ϕ(t) = ˙ϕ(t)h

m ¨ϕ(t)− F ϕ(t)i

= 0 .

 Per la Proposizione 1.30, sulle orbite di (1.54) deve valere

− U(x) +1

2mp2= E , (1.56)

ove E indica il valore costante assunto da E sull’orbita in questione. Si noti che tale valore varia al variare dell’orbita. Risolvendo la (1.56) in p si ottiene

p =± r 2

m

E + U (x)

. (1.57)

u u

−2π −π π 2π

x p

Figura 1.1. Le orbite di 2¨x = − sin x. Sono disegnate le orbite corrispondenti a E = 0.5, E = 1, E = 2, e i punti di equilibrio stabili e instabili.

L’ambiguit`a di segno nella (1.57) merita una discussione. Sia dunque (x0, p0) un punto del piano per cui passa un’orbita γ. Questa `e unica per il Teore- ma 1.27. Si hanno i casi seguenti:

(19)

1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 13

• p0 > 0: in questo caso γ `e contenuta, almeno in un intorno di (x0, p0) nel semipiano p > 0, e quindi nella (1.57) va preso il segno positivo, almeno in questo intorno. Tale scelta va mantenuta nell’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.57) si mantiene positivo.

• p0 < 0: caso simmetrico del precedente: qui va scelto il segno negativo, in tutto l’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.57) si mantiene positivo.

• p0 = 0

∗ F (x0) = 0: l’orbita corrisponde a un punto di equilibrio per il sistema, e coincide quindi con il punto{(x0, 0)}.

∗ F (x0)6= 0: l’orbita passa per il punto {(x0, 0)}, ma ha un ramo in p > 0, e uno in p < 0, che si ottengono prendendo i segni opportuni in (1.57).

Osservazione 1.31. I punti di equilibrio corrispondono a orbite degeneri, cio`e puntiformi, nel piano (x, p). Sia (x0, 0) una di queste. Se un’altra orbita (ϕ, ˙ϕ) soddisfa

(ϕ(t), ˙ϕ(t))→ (x, p) , t→ β , allora β =∞, o β = −∞, per il Lemma 1.12.

E chiaro che se esiste un orbita che si allontana da (x` 0, 0) il punto non pu`o

essere di equilibrio stabile. 

1.5.1. Tempi come integrali. Alcune propriet`a cinematiche del moto so- no esprimibili in termini delle propriet`a geometriche delle orbite nel piano delle fasi. Per esempio vale il seguente risultato.

Teorema 1.32. Sia ϕ una soluzione di (1.54), tale che ˙ϕ > 0 nell’intervallo [t1, t2]. Allora, se ϕ(ti) = xi, vale

t2− t1=

x2

Z

x1

q 1

2 m

E + U (x) dx . (1.58) Dimostrazione. In un intervallo di tempi in cui ˙ϕ > 0 la funzione ϕ(t) `e invertibile, ossia si pu`o scrivere

t = τ (x) ,

con dτ

dx(x) = 1

˙

ϕ(τ (x)) = 1

q2 m

E + U (x) .

La (1.58) segue subito integrando su (x1, x2).  Nel caso ˙ϕ < 0 vale un risultato simmetrico a (1.58).

Esercizio 1.33. Usare il Teorema 1.32 per dimostrare che:

(1) se F (x0) = 0, il tempo che un’orbita impiega a raggiungere (x0, 0) `e infinito;

(2) se F (x0) 6= 0, il tempo che un’orbita impiega a raggiungere (x0, 0) `e finito.



(20)
(21)

Parte 2

Come descrivere il moto

(22)
(23)

CAPITOLO 2

Cambiamento di sistemi di riferimento

2.1. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo

Definizione 2.1. Si dice terna (di riferimento) mobile nell’intervallo I ⊂ R una terna M = (u1, u2, u3) con

ui : I → R3, ui ∈ C1(I) , e tale che

(u1(t), u2(t), u3(t))

sia una base ortonormale in R3 per ogni fissato t∈ I.  Sia

f : I → R3, f ∈ C1(I) . (2.1)

Si ha

f(t) = X3 i=1

fi(t)ui(t) , t∈ I , (2.2) con

fi(t) = f (t)· ui(t) , i = 1 , 2 , 3 , t∈ I , cosicch´e le funzioni fi sono in C1(I).

Definizione 2.2. Sia f come in (2.1)–(2.2). Si definisce derivata di f relativa a M la funzione vettoriale

df dt



M

(t) = X3 i=1

dfi

dt (t)ui(t) , t∈ I .

 Sia g ∈ C1(I), e sia f : I → R3 come in (2.1)–(2.2). Allora

d dt(gf )



M

(t) = dg

dt(t)f (t) + g(t)

df dt



M

(t) , (2.3)

per t∈ I. Quindi, definendo per le funzioni scalari g ∈ C1(I)

dg dt



M

(t) = dg

dt(t) , t∈ I , (2.4)

la (2.3) implica che per la derivata relativa vale l’usuale regola di Leibniz.

Le propriet`a di linearit`a rispetto alla somma e al prodotto per costanti reali sono di immediata verifica.

17

(24)

Seguono

d

dt(f1· f2)



M

=

df1 dt



M· f2+ f1·

df2 dt



M

,

d

dt(f1∧ f2)



M

=

df1 dt



M

∧ f2+ f1

df2 dt



M

. Teorema 2.3. Esiste una unica funzione vettoriale

ω: I → R3, ω∈ C(I) , (2.5)

tale che per ogni f ∈ C1(I), f : I → R3, valga df

dt(t) =

df dt



M

(t) + ω(t)∧ f(t) , t∈ I . (2.6) Per dimostrare questo teorema useremo il seguente lemma, che `e in realt`a un caso particolare del teorema stesso.

Lemma 2.4. Esiste una unica funzione vettoriale ω: I → R3, ω∈ C(I) , tale che per i = 1, 2, 3,

dui

dt (t) = ω(t)∧ ui(t) , t∈ I . (2.7) Dimostrazione. Supponiamo che ω con le propriet`a richieste esista, e denotiamola come

ω(t) = X3 i=1

ωi(t)ui(t) . (2.8)

Imponiamo ora che valga la (2.7) per i = 1:

du1

dt (t) = ω3(t)u2(t)− ω2(t)u3(t) , da cui

ω2(t) =−du1

dt (t)· u3(t) = du3

dt (t)· u1(t) , (2.9) ω3(t) = du1

dt (t)· u2(t) =−du2

dt (t)· u1(t) . (2.10) Resta da determinare ω1. Imponiamo dunque la (2.7) per i = 2:

du2

dt (t) =−ω3(t)u1(t) + ω1(t)u3(t) , che permette di ottenere

ω1(t) = du2

dt (t)· u3(t) =−du3

dt (t)· u2(t) , (2.11) oltre che di ritrovare la (2.10).

Quindi, se ω con le propriet`a richieste esiste, deve avere la forma (2.8) con le componenti ωi individuate dalle (2.9)–(2.11). Questo dimostra l’unicit`a.

Per dimostrare l’esistenza, basta verificare che ω cos`ı definita soddisfa la (2.7): un calcolo elementare che si riduce in sostanza ai passaggi gi`a svolti.



(25)

2.1. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 19

Dimostrazione del Teorema 2.3. Sia f come nell’enunciato, e ω come nel Lemma 2.4. Allora

df

dt(t) = d dt

X3 i=1

fi(t)ui(t) = X3 i=1

dfi

dt (t)ui(t) + fi(t)dui

dt (t)

=

df dt



M

(t) + X3 i=1

fi(t)ω(t)∧ ui(t)

=

df dt



M

(t) + ω(t)∧ X3

i=1

fi(t)ui(t) =

df dt



M

(t) + ω(t)∧ f(t) . Perci`o la (2.6) `e soddisfatta.

Infine la funzione ω `e unica, perch´e se vale la (2.6), allora vale anche la (2.7), e si pu`o quindi applicare il risultato di unicit`a del Lemma 2.4.  Definizione 2.5. La funzione ω tale che valga la (2.6) si dice velocit`a

angolare di M. 

Osservazione 2.6. Segue subito dalle (2.9)–(2.11) che se ui ∈ Ck(I), i = 1, 2, 3, ove k∈ N, k ≥ 2, allora ω ∈ Ck−1(I). In particolare, in questa ipotesi, vale per ogni t∈ I,

dω dt (t) =

dω dt



M

(t) + ω(t)∧ ω(t) =

dω dt



M

(t) . (2.12) Lo stesso ragionamento mostra che ω ha direzione costante nel sistema fisso

se e solo se ha direzione costante in S. 

Esempio 2.7. (Rotazione) Nel caso in cui





u1(t) = cos θ(t)e1+ sin θ(t)e2, u2(t) =− sin θ(t)e1+ cos θ(t)e2, u3(t) = e3,

con θ∈ C1(I), si ha applicando le (2.9)–(2.11) che

ω(t) = ˙θ(t)u3(t) = ˙θ(t)e3. (2.13)

 Definizione 2.8. Una funzione vettoriale f : I → R3 si dice solidale con M se esistono tre costanti λi ∈ R, i = 1, 2, 3, tali che

f(t) = X3

i=1

λiui(t) , t∈ I .

 Corollario 2.9. Sia f ∈ C1(I). Allora f`e solidale conM se e solo se

df

dt(t) = ω(t)∧ f(t) , t∈ I , (2.14) ossia se e solo se 

df dt



M

(t) = 0 , t∈ I . (2.15)

Dimostrazione. Ovvia. 

(26)

2.2. Cinematica relativa

Definizione 2.10. Un sistema di riferimento mobile `e una coppia

S = (XO,M) , (2.16)

ove XO `e un moto, ed M una terna mobile. 

Noi interpretiamo la coppia (XO,M) come un sistema cartesiano di riferi- mento mobile: il moto XO`e quello dell’origine O(t), e la terna mobileM `e quella dei versori dei tre assi. Scriveremo anche S = (O, M).

Nel seguito si denota

vO(t) = dXO

dt (t) , aO(t) = d2XO

dt2 (t) . (2.17) Definizione 2.11. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce velocit`a relativa di X nel sistema di riferimento mobile S (2.16) la funzione vettoriale

vS(t) =

d

dt(X− XO)



M

(t) . (2.18)

 Definizione 2.12. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce accelerazione relativa di X nel sistema di riferimento mobileS (2.16) la funzione vettoriale

aS(t) =

d dtvS



M

(t) . (2.19)

 Osservazione 2.13. Se denotiamo

X(t)− XO(t) = X3 h=1

λh(t)uh(t) , risulta

vS(t) = X3 h=1

˙λh(t)uh(t) , aS(t) = X3 h=1

λ¨h(t)uh(t) .

 Teorema 2.14. Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I

v= dX

dt = vO+ ω∧ [X − XO] + vS, (2.20) ove si `e usata la notazione delle Definizioni 2.10 e2.11.

Dimostrazione. Si ha v = d

dt[XO+ X− XO] = vO+ d

dt[X− XO]

= vO+

d

dt(X− XO)



M

+ ω∧ [X − XO] = vO+ vS+ ω∧ [X − XO] ,

ove si `e applicato anche il Teorema 2.3. 

Definizione 2.15. Il moto X : I → R3 si dice solidale con S se il vettore

X − XO `e solidale conM. 

(27)

2.2. CINEMATICA RELATIVA 21

Segue subito

Corollario 2.16. Sia il moto X : I → R3 solidale con S. Allora in I valgono vS = 0 e

v= vO+ ω∧ [X − XO] . (2.21) Definizione 2.17. La funzione vt : I → R3

vt = vO+ ω∧ [X − XO] (2.22)

si dice velocit`a di trascinamento. 

Con la notazione (2.22) la (2.20) si scrive come

v(t) = vt(t) + vS(t) , t∈ I . (2.23) Osservazione 2.18. La vt dipende solo da vO, ω e dalla posizione rela- tiva X(t) − XO(t). Per questo si pu`o introdurre il campo di velocit`a di trascinamento come la funzione definita in R3× I da

Vt(x, t) = vO(t) + ω(t)∧ [x − XO(t)] . (2.24) Vale

vt(t) = Vt(X(t), t) .

 Teorema 2.19. (Coriolis) Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I

a= d2X

dt2 = aO+dω

dt ∧ [X − XO] + ω∧

ω∧ [X − XO] + 2ω∧ vS

+ aS.

(2.25)

ove si `e usata la notazione delle Definizioni 2.10, 2.11e 2.12.

Dimostrazione. Si ha per il Teorema 2.14 a= d

dt

vO+ ω∧ [X − XO] + vS

= aO+ dω

dt ∧ [X − XO] + ω∧ d

dt[X− XO] +dvS

dt (per (2.6):)

= aO+ dω

dt ∧ [X − XO] + ω∧ [v − vO] + aS+ ω∧ vS

(per (2.21):)

= aO+ dω

dt ∧ [X − XO] + ω∧

ω∧ [X − XO]

+ 2ω∧ vS+ aS.

 Definizione 2.20. La funzione at: I → R3

at = aO+dω

dt ∧ [X − XO] + ω∧

ω∧ [X − XO]

(2.26) si dice accelerazione di trascinamento, e la ac: I → R3

ac = 2ω∧ vS (2.27)

si dice accelerazione di Coriolis. 

(28)

Con le notazioni (2.26) e (2.27), la (2.25) si scrive

a(t) = at(t) + ac(t) + aS(t) , t∈ I . (2.28) Osservazione 2.21. Se un moto X `e solidale, allora ac= 0, aS = 0 in I.

Valgono per at considerazioni simili a quelle dell’Osservazione2.18.  Definizione 2.22. Sia S = (XO,M) un sistema di riferimento mobile.

Se esiste un moto solidale con S che `e costante nel sistema di riferimento fisso, cio`e se S mantiene un punto fisso, il moto di S si dice una precessione.

Se ω≡ 0, il moto di S si dice una traslazione.

Se ω mantiene direzione costante, il moto di S si dice una rotazione. Se inoltre anche il modulo di ω `e costante, il moto si dice una rotazione uniforme

o costante. 

2.3. Passaggi da una base mobile all’altra

In questa Sezione mostriamo come le formule trovate sopra per il passaggio da un sistema di riferimento fisso a un sistema di riferimento mobile in realt`a valgano anche per il passaggio tra sistemi di riferimento mobili.

2.3.1. Al posto del sistema di riferimento fisso possiamo conside- rarne uno mobile, I. Usando le propriet`a della derivata relativa, possiamo ripetere tutti gli argomenti della Sezione 2.1, sostituendo all’usuale derivata in t la derivata relativa a una terna mobile N = (w1, w2, w3).

Indichiamo con ωN M la velocit`a angolare di M relativa alla terna N . Valgono allora, in particolare la

dui dt



N

(t) = ωN M(t)∧ ui(t) , t∈ I , (analoga di (2.7)) (2.29) e pi`u in generale l’analoga di (2.6)

df dt



N

(t) =

df dt



M

(t) + ωN M(t)∧ f(t) , t ∈ I . (2.30) In modo pi`u esplicito: esiste una unica funzione vettoriale ωN M tale che valgano le (2.29), (2.30).

La Definizione2.8`e indipendente dalle considerazioni che stiamo svolgendo;

il Corollario 2.9 infine continua a valere se la (2.14) viene sostituita dalla

df dt



N

(t) = ωN M(t)∧ f(t) , t∈ I . (2.31) 2.3.2. Al posto del sistema di riferimento fisso possiamo conside- rarne uno mobile, II. Anche i risultati di cinematica relativa dimostrati nella Sezione 2.2possono essere estesi al caso in cui il sistema di riferimento

‘di partenza’ sia mobile.

Introduciamo quindi il sistema di riferimento mobile Σ = (X,N ), e defi- niamo

[vO]Σ(t) =

d

dt(XO− X)



N

(t) , [aO]Σ(t) =

d dt[vO]Σ



N

(t) ; (2.32)

(29)

2.3. PASSAGGI DA UNA BASE MOBILE ALL’ALTRA 23

queste non sono altro che la velocit`a relativa e l’accelerazione relativa di XO in Σ, come definite nelle Definizioni 2.11 e 2.12. Si noti che le (2.17) sono ora casi particolari delle (2.32).

Per un moto X : I → R3 valgono allora l’analoga di (2.20)

vΣ = [vO]Σ+ ωN M∧ [X − XO] + vS, (2.33) e l’analoga di (2.25)

aΣ = [aO]Σ+

dωN M dt



N

∧ [X − XO] + ωN M∧

ωN M∧ [X − XO] + 2ωN M∧ vS

+ aS.

(2.34) 2.3.3. Inversione dei ruoli. Dalla (2.30) segue subito che

0 =

dwi dt



N

=

dwi dt



M

+ ωN M∧ wi, da cui

dwi

dt



M

=−ωN M∧ wi, i = 1 , 2 , 3 . Ne segue per l’unicit`a della funzione ωMN che

ωMN =−ωN M. (2.35)

2.3.4. Composizione di velocit`a angolari.

Teorema 2.23. Siano M, N , P tre terne mobili, come in Definizione 2.1.

Allora

ωPN = ωPM+ ωMN. (2.36)

Dimostrazione. Scriviamo per M = (ui),N = (wi), wi(t) =

X3 h=1

bih(t)uh(t) . Allora, per ogni i = 1, 2, 3:

dwi dt



P

= X3 h=1

dbih

dt uh+ bih

duh dt



P

(per le definizioni di derivata relativa e di velocit`a angolare)

=

dwi

dt



M

+ X3 h=1

bihωPM∧ uh

= ωMN∧ wi+ ωPM∧ wi = (ωPM+ ωMN)∧ wi.

La tesi segue per l’unicit`a di ωPN nel senso del Lemma2.4. 

(30)

2.4. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocit`a angolare

Teorema 2.24. Sia M = (ui) una terna mobile, come in Definizione 2.1, e sia t0∈ I un istante fissato. Allora, assegnato un vettore f ∈ C(I), e una base ortonormale positiva in R3

w01, w02, w03, esiste un’unica terna mobile N = (wi) tale che

ωMN = f , in I, w1(t0), w2(t0), w3(t0)

= w01, w02, w03

. (2.37) Dimostrazione. Definiamo la terna di vettori (wi) come la soluzione del sistema di e.d.o. 

dwi

dt



M

(t) = f (t)∧ wi(t) , (2.38) con i = 1, 2, 3. Questo `e un sistema di 9 e.d.o. scalari nelle 9 incognite costituite dalle componentidei tre vettori incogniti wi nella base (ui).

Dato che (2.38) `e un sistema lineare a coefficienti continui in I, la soluzione w1(t), w2(t), w3(t)

,

risulta definita per ogni t∈ I, ed `e unica e di classe C1(I).

Va dimostrato che `e una base ortonormale positiva per ogni t ∈ I. Intanto, si ha per ogni coppia (i, j):

dwi· wj

dt =

dwi· wj dt



M

=

dwi

dt



M

· wj+ wi·

dwj dt



M

= f∧ wi· wj+ wi· f ∧ wj = 0 , in tutto I, per il Lemma A.6. Dato che all’istante iniziale t0

wi(t0)· wj(t0) = δij, per la scelta dei dati iniziali, segue che

wi(t)· wj(t) = δij, per ogni t∈ I.

Perci`o la soluzione (wi(t)) `e una base ortonormale per ogni t∈ I.

Sia A(t), t∈ I la matrice di cambiamento di base tra (ui(t)) e (wi(t)). La A risulta una funzione continua su I, e perci`o anche il suo determinante `e continuo su I. Dato che all’istante t0 vale

det A(t0) = 1 ,

per l’ipotesi che il dato iniziale sia una base positiva, e dato che

|det A(t)| = 1 ,

per ogni t∈ I, in quanto sappiamo gi`a che le due basi (ui(t)) e (wi(t)) sono entrambe ortonormali (vedi il Teorema A.15), ne segue per continuit`a che

det A(t) = 1 ,

per ogni t∈ I, e quindi (wi(t)) `e positiva per ogni t∈ I. 

(31)

2.5. L’ASSE ISTANTANEO DI MOTO 25

Corollario 2.25. Siano M = (ui), t0∈ I, e w01, w02, w03,

come nel Teorema2.24. Sia invece, con maggiore generalit`a, f ∈ C (I ×R9), e localmente lipschitziana nelle ultime nove variabili.

Allora esiste un’unica terna mobile N = (wi) tale che ωMN(t) = f t, w1(t), w2(t), w3(t)

, t∈ I, w1(t0), w2(t0), w3(t0)

= w01, w02, w03

. (2.39)

Dimostrazione. Il sistema differenziale (2.38) in genere non `e, quando f sia inteso dipendente anche dalle incognite wi (come facciamo nel caso presente), un sistema lineare a cui si possa applicare il teorema di esistenza globale per sistemi di e.d.o..

Si pu`o tuttavia applicare il teorema di esistenza locale, e dimostrare, ragio- nando proprio come nel Teorema2.24, l’esistenza di una soluzione massimale (wi) definita in un intervallo J ⊂ I. Notiamo in modo specifico che la (wi(t)) risulta essere una terna ortonormale per ogni t∈ J.

Per dimostrare che J = I ricordiamo che si pu`o avere J & I solo se per t → inf J+, oppure per t → sup J−, la curva integrale si avvicina alla frontiera dell’insieme di definizione dell’equazione differenziale, insieme che nel nostro caso `e I × R9, oppure diviene illimitata. La prima alternativa dunque `e esclusa: la frontiera `e proprio

∂I× R9={inf I, sup I} × R9.

La seconda alternativa risulta anche esclusa, perch´e il modulo della curva integrale si mantiene limitato per tutti i tempi di esistenza: ciascuna wi

soddisfa

|wi(t)| = 1 , per ogni t ∈ J, come abbiamo appena stabilito.

Quindi J = I e la dimostrazione `e conclusa. 

2.5. L’asse istantaneo di moto

Notazione. QuiS = (O, M) `e un sistema di riferimento mobile, e ω : I → R3`e la corrispondente velocit`a angolare, che supponiamo non si annulli mai in I.

Usiamo la scomposizione, per ogni f ∈ R3,

f = [f ]+ [f ]k , (2.40)

ove [f ]denota la componente di f perpendicolare a ω, e [f ]kdenota quella

parallela. 

Teorema 2.26. Sia ω(¯t)6= 0 per un fissato ¯t∈ I. Il luogo dei punti x ∈ R3 ove |Vt(x, ¯t)| `e minimo `e la retta di equazione

x= γ(¯t) + λω(¯t) , λ∈ R , (2.41) ove

γ(¯t) = XO(¯t) + 1

|ω(¯t)|2ω(¯t)∧ [vO(¯t)] . Inoltre su tale retta Vt(x, ¯t) risulta costante e parallela a ω(¯t).

(32)

Dimostrazione. Si ha per definizione (vedi la (2.24))

Vt(x, ¯t) = [vO]k+ [vO]+ ω(¯t)∧ [x − XO] . (2.42) La (2.42) mette in evidenza che la componente di Vt(x, ¯t) parallela a ω(¯t)

`e indipendente da x. Quindi|Vt(·, ¯t)| sar`a minimo nei punti ove si annulla la componente di Vt(x, ¯t) perpendicolare a ω(¯t), e solo in quelli, ammesso che essi esistano.

Dobbiamo cio`e risolvere l’equazione

[vO]+ ω(¯t)∧ [x − XO] = 0 , (2.43) da cui segue

−ω(¯t) ∧

ω(¯t)∧ [x − XO]

= ω(¯t)∧ [vO(¯t)]=: f . Per il Lemma A.18,

f =|ω(¯t)|2[x− XO(¯t)] , e quindi, per un λ = λ(x)∈ R opportuno,

x= XO(¯t) + f

|ω(¯t)|2 + λω(¯t) . (2.44) che `e la (2.41).

Viceversa, sia soddisfatta in x la (2.41), ossia la (2.44). Allora, usando la definizione di f e ancora il Lemma A.18 si vede che vale la (2.43), e quindi che la componente di Vt(x, ¯t) perpendicolare a ω(¯t) si annulla.  Definizione 2.27. La retta definita da (2.41) si dice asse istantaneo di moto.

Nel caso in cui [vO(¯t)]k= 0, la retta si dice asse d’istantanea rotazione.  Introduciamo le due superfici rigate (cio`e formate dall’unione di rette)

Σ =n

ξ∈ R3 | x = X3

i=1

ξiei soddisfi (2.41) per qualche ¯t∈ I e λ ∈ Ro ,

ΣmS =n

ξ∈ R3 | x = X3

i=1

ξiui(¯t) soddisfi (2.41) per qualche ¯t∈ I e λ ∈ Ro .

Definizione 2.28. La Σ [la ΣmS] si dice rigata fissa [mobile] del moto di

S. 

Con un certo abuso di notazione, si chiama ancora rigata mobile la superficie mobile

Σm(t) =n

X(t) = XO(t) + X3 i=1

ξiui(t)| ξ ∈ ΣmS

o.

In modo forse pi`u intuitivo la rigata fissa [mobile] si pu`o descrivere come l’unione delle posizioni dell’asse istantaneo di moto nel sistema fisso [mobile].

(33)

2.5. L’ASSE ISTANTANEO DI MOTO 27

2.5.1. Moti rigidi piani.

Definizione 2.29. Il moto di S si dice moto rigido piano se e solo se ω mantiene direzione costante, e [vO(t)]k= 0 per ogni t∈ I.  Nei moti rigidi piani l’asse d’istantanea rotazione mantiene direzione co- stante, e su di esso i punti hanno velocit`a di trascinamento nulla; l’asse si mantiene costante se e solo se il moto `e una rotazione. Le rigate del moto quindi sono superfici cilindriche (ossia rigate formate da rette tutte parallele tra di loro).

Per di pi`u, dalla (2.24) segue subito che, fissata una retta parallela a ω(t), tutti i suoi punti x hanno uguale velocit`a di trascinamento Vt(x, t). Nei moti piani, la direzione di ω si mantiene costante, dunque per descrivere il campo delle velocit`a di trascinamento, ossia il moto di S, basta conoscerlo su un fissato piano Π ortogonale a ω.

Supponiamo nel seguito per chiarezza che ω sia parallelo a e3 = u3(t) per ogni t∈ I, e indichiamo con (yi) [(zi)] le coordinate nel sistema fisso [mobile].

Tutti i punti hanno velocit`a parallela nulla in ogni istante: dunque se i due piani fisso y3 = c1 e mobile z3 = c2 sono sovrapposti all’istante t, saranno sovrapposti per ogni altro istante.

Definizione 2.30. Siano y3 = c1 e z3 = c2 due piani—fisso e mobile—

sovrapposti come sopra. La curva intersezione di Σ con il piano y3 = c1 si dice base, e quella intersezione di ΣScon il piano z3= c2si dice rulletta.  Esempio 2.31. Consideriamo il moto di un sistema S con

XO(t) = v0te1, M come nell’Esempio2.7 con θ(t) = ωt, ove v0 e ω sono costanti positive. Si ha ω(t) = ωu3, e dunque il moto `e piano.

Il campo di velocit`a di trascinamento quindi `e dato da

Vt(x, t) = [vO(t)]+ ω∧ (x − XO(t)) = (v0− ωy2)e1+ ω(y1− v0t)e2. Qui le yi denotano le coordinate nel sistema fisso. Perci`o l’asse d’istantanea rotazione ha equazioni, nel sistema fisso,

y1= v0t , y2 = v0 ω .

La rigata fissa `e perci`o il piano y2= v0/ω, e la base `e la curva y2 = v0

ω , y3= 0 .

Esprimendo le coordinate zi nel sistema mobile in funzione delle yisi ottiene z1= (y1− v0t) cos ωt + y2sin ωt ,

z2=−(y1− v0t) sin ωt + y2cos ωt , z3= y3.

Le equazioni dell’asse di moto sono dunque nel sistema mobile z1= v0

ω sin ωt , z2 = v0

ω cos ωt .

(34)

Perci`o la rigata mobile ΣmS `e il cilindro circolare retto di centro l’origine e raggio v0/ω:

ΣmS =n

(zi)| z12+ z22 = v02 ω2

o. La rulletta `e la circonferenza

(y1− v0t)2+ y22= v20 ω2 .



Ben poche cose di Omega sono piacevoli.

ROBERT SHECKLEY, Gli orrori di Omega

(35)

CAPITOLO 3

Curve nello spazio

3.1. Il triedro principale Consideriamo una curva regolare γ data da

Ψ : I → R3, Ψ ∈ C2(I) , Ψ(t)˙ 6= 0 , per ogni t ∈ I, ove I `e un intervallo di R. Un’ascissa curvilinea su γ `e data da

s(t) = Zt

t0

| ˙Ψ (τ)| dτ , t∈ I ,

ove t0 ∈ I `e fissato. Poich´e

˙s(t) =| ˙Ψ (t)| > 0 , in I,

la funzione t 7→ s(t) ha inversa t = t(s), e possiamo parametrizzare γ mediante s:

ψ(s) = Ψ (t(s)) . In particolare il vettore tangente

T(s) := dψ

ds(s) = ψ(s) ha modulo unitario:

|T (s)| = |ψ(s)| =

Ψ(t(s))˙ dt ds(s)

= | ˙Ψ(t(s))|

˙s(t(s)) = 1 . Definiamo la curvatura

k(s) =|T(s)| . Se

T(s)6= 0 , il che per il momento assumiamo, allora

T(s) = k(s)N (s) , ove si `e definito anche

N(s) = T(s)

|T(s)|. (3.1)

Il versore N prende il nome di normale principale. Si noti infatti che T(s)· T(s) = 1

2 d

ds|T (s)|2 = 0 . Si introduce quindi un terzo vettore, la binormale B, come

B(s) = T (s)∧ N(s) .

29

(36)

Definizione 3.1. Il triedro principale o terna intrinseca di γ in s `e la base ortonormale positiva in R3

T (s) = (T (s), N (s), B(s)) =: (h1(s), h2(s), h3(s)) .

 Nei punti ove T(s) = 0 i vettori N (s) e B(s) non sono definiti.

Ove k(s) > 0, si definisce il raggio di curvatura come ρk(s) = 1

k(s). (3.2)

3.2. Le formule di Frenet–Serret

Ipotesi 3.2. In questa Sezione assumiamo che T , N , B ∈ C1(I) (il che `e garantito da Ψ ∈ C3(I)). Assumiamo inoltre che T(s)6= 0, salvo esplicita

indicazione contraria. 

Proposizione 3.3. (Formule di Frenet-Serret) Valgono

T(s) = k(s)N (s) , (3.3)

N(s) =− k(s)T (s) − τ(s)B(s) , (3.4)

B(s) = τ (s)N (s) . (3.5)

Si noti che la (3.5) `e la definizione della torsione τ (s).

Dimostrazione. Dato che T `e una base ortonormale, deve essere

hi(s)· hj(s) =−hi(s)· hj(s) , i , j = 1 , 2 , 3 , (3.6) e in particolare

hi(s)· hi(s) = 0 . (3.7) La (3.5) segue allora dalla (3.3), che `e nota dalla definizione di N . Infine la

(3.4) segue dalle altre due formule. 

I prossimi risultati illustrano il significato geometrico degli scalari curvatura e torsione.

Proposizione 3.4. Se k(s) = 0 per ogni α < s < β, la curva {ψ(s) | α < s < β}

`e un segmento di retta.

Dimostrazione. In questo caso si ha T(s) = 0 in α < s < β. Dunque, fissato s0 ∈ (α, β) si ha

ψ(s) = ψ(s0) + Zs

s0

T(σ) dσ = ψ(s0) + (s− s0)T (s0) , α < s < β ,

che prova la tesi. 

Proposizione 3.5. Sia k(s) > 0 per ogni α < s < β. Allora la curva {ψ(s) | α < s < β}

giace su un piano se e solo se τ (s) = 0 per ogni α < s < β.

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