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Espressione delle molecole di adesione e di PTEN nelle patologie mammarie canine benigne e maligne.

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Academic year: 2021

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Ai miei genitori, che hanno reso possibile tutto questo.


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Riassunto analitico : La mancata o alterata espressione dell’enzima PTEN comporta un’aumento della formazione di AKT, favorendo la proliferazione e sopravvivenza cellulare, il potenziale metastatico e la neoangiogenesi, mentre l’alterata o mancata espressione delle E-caderine causa un difetto strutturale delle giunzioni di adesione intercellulari, provocando la transizione epitelio-mesenchimale, con aumento dell’invasività e resistenza all’apoptosi. Lo scopo della tesi è stato quello di investigare l’espressione di PTEN e delle E-caderine in relazione ai diversi istotipi di neoplasie mammarie maligne canine (CMMT), in modo da verificare un’eventuale correlazione tra l’espressione delle due proteine e le caratteristiche istopatologiche e cliniche di malignità. Quaranta CMMT (15 complessi e 25 semplici) sono stati sottoposti ad esame immunoistochimico per valutare l’espressione di PTEN e delle E-caderine. Questo studio conferma il l’associazione tra modificazioni della via PTEN/AKT e dell’espressione delle E-caderine con una maggiore aggressività della neoplasia, testimoniata da neoplasie semplici, più aggressive, e ridotta sopravvivenza. I risultati dimostrano, infatti, come PTEN sia correlato ad un minor indice proliferativo, ad una maggior sopravvivenza e ad una corretta espressione delle E-caderine; esso infatti è la proteina regolatrici più importante di questa via e la sua riduzione è associata al peggioramento della patologia. Una corretta espressione delle E-caderine è stata rilevata nelle forme con istotipo complesso, meno aggressivo. I risultati delle indagini confermano come la vlautazine di questi marker possa fornire importanti informazioni circa la prognosi delle neoplasia mammarie canine, in quanto la contemporanea mancata espressione di queste proteine è correlata alle caratteristiche clinico-istopatologiche di malignità ed a una ridotta sopravvivenza.

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Abstract: The lack or the reduced PTEN expression leads to an increase of AKT levels, promoting cellular proliferation and survival, metastatic potential and neoangiogenesis; while the altered expression of E-cadherin leads to a structural defect of cellular adhesion, provoking epithelial-mesenchymal transition with invasiveness increase and apoptosis resistance. The aim of the study is to evaluate the PTEN and E-cadherin expression in malignant canine mammary tumors (CMMT), in order to verify a possible statistic correlation between the expression of the two proteins and histopathologic and clinical features of the neoplasms. Fourty CMMT were submitted to an immunohistochemistry examination in order to evaluate the expression of the proteins. This study confirms the association between modifications of PTEN/AKT pathway and E-cadherin’s expression with a greater malignancy of neoplasias, highlithed by a reduced overall survival and the presence of simple and more aggressive tumors.

Furthermore, the results shows how PTEN is related to a lower proliferative index, to a survival increase and to a correct E-cadherin expression. PTEN, infact, is one of the most important regulator protein of this pathway and its decrease is associated to the disease worsening. A correct E-cadherin expression was mainly detected in the less aggressive complex carcinomas. The results shows how the marker assessment could affect important informations about the prognosis of CMMT, since the contemporary lack of the proteins is related to clinc-pathological features of malignancy and reduced overall survival.

Key words: PTEN, E-cadherin, immunihistochemistry, canine malignant mammary tumor, dog.

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INDICE

Parte introduttiva pagina Capitoli

1.0 - I tumori mammari canini………7

1.1 - Incidenza dei tumori mammari canini………..………7

1.2 - Fattori di rischio………8 1.3 - Classificazione……….…13 1.4 - Diagnosi e stadiazione……….…21 1.5 - Terapia……….…28 2.0 - Il ruolo di PTEN………..….…31 2.1 - La via PTEN/AKT………..….…31

2.2 - Relazione tra la via PTEN/AKT e i tumori mammari canini…….….…36

3.0 - Le E-caderine………..….38

3.1 - Relazione tra le E-caderine e i lo sviluppo tumorale….……….…40

4.0 - Scopo dello studio……….…..43

Parte sperimantale Capitoli-5.0 - Materiali e metodi………44

5.1 - Animali sottoposti ad esame.………..44

5.2 - Analisi istopatologica……….44

5.3 - Analisi immunoistochimica………46

5.3.1 - Protocollo……….46

5.3.2 - Sistema di valutazione immunoistochimica………49

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pagina

6.0 - Risultati……….…52

6.1 - Risultati dell’analisi istopatologica……….….52

6.2 - Risultati dell’analisi immunoistochimica……….……54

7.0 - Discussione………61

8.0 - Conclusioni………64

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PARTE PRIMA: INTRODUZIONE

1.0 - I tumori mammari canini.

1.1 - Incidenza dei tumori mammari canini (CMT).

I tumori mammari canini (CMT) sono le neoplasie più comuni nelle cagne intere (Misdorp, 2002; Sorenmo et al, 2013), rappresentando dal 50% (Moe, 2001) al 70% (Merlo et al, 2008) dei tumori in questi soggetti, con un tasso d’incidenza che può variare da 198 casi (Schneider,1970) a 258 (Dorn et al, 1968) per 100.000 cagne.

Generalmente questi tumori hanno un’origine epiteliale e solo il 4% di loro deriva da cellule mesenchimali (Tilley e Smith, 2006). Circa la metà dei CMT sono maligni (dal 41% al 53%) e dal 50% al 75% di loro causano metastasi prima dei due anni (Misdorp, 2002; Dorn et al, 1968; Sorenmo, 2003). Gli organi più colpiti dalla diffusione metastatica sono i linfonodi, i polmoni, il fegato e le ossa (Lana et al, 2007).
 E’ stato recentemente proposto come i tumori maligni possono derivare da tumori benigni pre-esistenti, evento che può essere dimostrato con la presenza di cellule con caratteristiche istologiche di malignità all’interno di tumori benigni (Sorenmo et al, 2009).


La presenza di noduli mammari multipli nello stesso soggetto è segnalata nel 60% dei casi di CMT (Sorenmo et al, 2009; Benjamin et al, 1999). I noduli multipli sembrano essere indipendenti tra loro, ma recentemente, é stata proposta la possibilità che la malignità del primo nodulo influenzi lo sviuppo dei noduli seguenti (Stratmann et al, 2008).

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1.2 - Fattori di rischio dei CMT

Queste neoplasie si osservano maggiormente in cani adulti e di media età e sono rari in soggetti più giovani dei 5 anni (Sorenmo et al, 2013); inoltre l’età influenza anche il comportamento biologico del tumore: infatti soggetti che presentano tumori maligni sono più anziani (dai 9 agli 11 anni di età) rispetto ai soggetti che presentano tumori benigni (dai 7 ai 9 anni).

Per quanto riguarda l’azione ormonale, estrogeni e progesterone giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della ghiandola mammaria, ma sono anche promotori di cellule iniziate oltre che a regolare la trascrizione di diversi proto-oncogeni nucleari (Dubik et al, 1987; Henderson et al,1988; Hulka et al, 1994; MacMahon et al,1973) . I tumori mammari, sia benigni che maligni esprimono i recettori per gli estrogeni (ERs) (Donney et al, 1995; MacEwen et al, 1982) e l’esposizione precoce a questi ormoni determina il rischio globale di tumore mammario. Il rischio aumenta dallo 0,5% all’ 8% e fino al 26%, dipendendo rispettivamente da quando è stata effettuata l’ovarioisterectomia, ovvero precedentemente al primo, secondo o qualsiasi estro successivo (Schneider et al, 1969). Comunque l’effetto benefico dell’ovariectomia diminuisce velocemente dopo il secondo estro, arrivando ad essere inutile dopo il quarto anno di età (Schneider et al, 1969).

Anche i trattamenti con i progestinici (ustati comunemente per inibire l’estro) aumentano il rischio di sviluppare il tumore; uno studio recente ritiene che il 91% dei cani con CMT che è stato trattato con progestinici presenta un rischio 2,3 volte maggiore rispetto agli altri soggetti di sviluppare tumori maligni (Stovring et al, 1997). Il trattamento con ormoni ovarici esogeni influenza non solo lo sviluppo del tumore ma

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aumentare il rischio maggiormente per i tumori mammari benigni, mentre la combinazione tra estrogeni e progestinici sembra portare a sviluppare tumori maligni (Giles et al, 1978; Concannon et al, 1981; Selman et al, 1995).

Come in medicina umana, molti studi hanno investigato l’espressione immunoistochimica dei recettori per gli estrogeni (ERs) e per i progestinici (PRs) nelle neoplasie canine, mostrando che i CMT benigni esprimono sia ERs che PRs più dei carcinomi (McEwen et al, 1982; Rutteman et al, 1988; Millanta et al, 2005a; Illera et al, 2006). Nel contesto dei carcinomi, l’espressione dei ERs e PRs è ridotta in quelli presentanti un comportamento più aggressivo, come ad esempio tumori anaplastici e indifferenziati (de Las Mulas et al, 2005; Chang et al, 2009); inoltre, questi studi dimostrano come i carcinomi che esprimono PRs abbiano una prognosi migliore rispetto ai ER- e PR-negativi, confermando che i CMT steroido-indipendenti sono più aggressivi. Di coseguenza, il ruolo dell’estrogeno e del progesterone sembra essere decisivo nel primo step della oncogenesi, ma questi effetti diminuiscono con il peggioramento del comportamento biologico.

L’estrogeno gioca il suo ruolo cancerogeno stimolando la produzione di diversi fattori di crescita, evento che conduce ad un aumento del potenziale proliferativo del tessuto mammario neoplastico (Pike et al, 1993). Più recentemente, in medicina umana, è stato proposto che l’estrogeno e i suoi metaboliti possano avere un’azione genotossica diretta sul tessuto mammario, portando al processo neoplastico (Russo e Russo, 2006; Okoh et al, 2011).

L’effetto cancerogeno del progesterone sembra essere mediato dall’aumento del livello dell’ormone della crescita (GH) e dell’espressione dei relativi recettori (GHR) nelle cellule della ghiandola mammaria umana. Questi meccanismi sono stati largamente proposti e dimostrati per il cancro al seno nella donna, mentre per i CMT il meccanismo deve ancora essere completamente scoperto.

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E’ stato dimostrato che i tessuti dei CMT presentano un aumento della concentrazione di GH e dell’insulin-like grow factor 1 (IGF-1) e che questo aumento è legato a varie caratteristiche clinicopatologiche (Queiroga et al, 2008; Queiroga et al, 2010).

I meccanismi coinvolti nei CMT progesterone indotti includono un up-regulation della produzione dell’ormone della crescita (GH) nel contesto della ghiandola mammaria. Il GH ha un effetto stimolante diretto sul tessuto mammario ma ha anche un effetto indiretto attraverso l’ insulin-like grow factor I (IGF-I) (Selman et al., 1994; Mol et al., 1999) IGF-1 è fondamentale sia per la normale proliferazione, sia per la trasformazione maligna; è stato dimostrato che questo fattore è coinvolto nella tumorigenesi in molti tipi di tumori, incluso i tumori mammari (Khandwala HM et al., 2000; Zumkeller W. et al., 2001), infatti in topi transgenici, che sovra-esprimono IGF-1, hanno uno sviluppo anormale della ghiandola mammaria e un’aumento dell’incidenza di tumori; IGF-1 interferisce appunto con i processi apoptotici ed è anche un potente mitogeno per molte linee cellulari mammarie.

Sono stati largamente studiati altri due marker immunoistochimici in medicina veterinaria che hanno un ruolo molto importante nei CMT: la cicloossigenasi-2 (COX-2) e il recettore per il fattore di crescita epidermico umano (human epidermal growth factor receptor 2, ovvero HER2).

COX-2 è un enzima inducibile che ha un ruolo chiave durante la cascata infiammatoria. Come in oncologia umana, anche nei CMT è stato dimostrato un aumento dell’espressione della COX-2 e la sua associazione con il peggioramento della prognosi (Millanta et al, 2006; Lavalle et al, 2009). COX-2 determina il suo effetto cancerogenico influenzando il potenziale proliferativo e angiogenico dei tumori, per questa ragione, anti-infiammatori non steroidei (FANS), che agiscono inibendo COX-2, sono usati per il trattamento dei CMT (Sorenmo et al, 2013).

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HER2 è un membro della famiglia dei recettori dei fattori di crescita epidermici (EGFR) ed è largamente coinvolto nella trasduzione di segnali di molte vie metaboliche, come PI3K/ AKT, MAPK, STAT e le vie PKC. Questo recettore è stato accuratamente studiato in medicina umana, in cui è stato osservato che dal 20% al 25% dei tumori al seno sono HER-2 psitivi e che questa condizione è legata ad una prognosi peggiore (Slamon et al, 1987; Sjogren et al, 1998). Nell’ultima decade, molte ricerche veterinarie hanno investigato l’espressione di HER-2 nei CMT, usando lo stesso sistema a punteggio HercepTest usato in oncologia umana. Dal 17% al 19% dei carcinomi canini esprimono HER-2 (de Las Mulas et al, 2003; Hsu et al, 2009), ma contariamente a quanto descritto nei tumori al seno, nei CMT l’espressione di HER-2 non è associata ad una prognosi peggiore (Hsu et al, 2009; Ressel et al, 2013).

Oltre all’influenza ormonale, le razze pure, in particolare razze di piccola taglia, sono più colpite rispetto ai soggetti di razza mista (Dorn et al, 1968), inoltre alcune razze hanno un rischio più alto di sviluppare CMT, anche se variano dipendendo dallo studio e dalla localizzazione geografica delle popolazioni, ma comunque è stato riportato che barboncino toy e miniature, springer spaniel inglese, épagneul breton, cocker spaniel, setter inglese, pointer, pastore tedesco, maltese, yorkshire terrier, and bassotto tedesco hanno un’aumento dell’ incidenza di tumori mammari in molti studi. (Goldschmidt et al., 2001; Yamagami T et al., 1996).

Il fatto che alcune razze abbiano un rischio aumentato suggerisce una componente genetica, anche se nei cani con tumore non è stata identificata una mutazione genetica comune.

Il gene oncosoppressore p53 è quello più frequentemente mutato nei tumori umani ed è stato valutato anche nei tumori canini. Molti studi hanno appunto valutato p53 nei CMT e hanno riportato risultati variabili riguardanti la sovra-espressione e la frequenza delle mutazioni.

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Uno studio recente ha riportato che 15/20 tumori mammari sovra-esprimono la proteina p53 mutata (Haga et al., 2001); mentre altri studi hanno constatato una minor incidenza delle mutazioni della p53, contenute in un range dal 15% al 63% dei casi (Chu et al., 1998; Wakui et al., 2001).

Un altro fattore che può aumentare il rischio di CMT è il peso corporeo, infatti, soggetti sottopeso durante la pubertà presenteranno un rischio più basso di sviluppare queste neoplasie in età adulta (Sonnenschein et al, 1991); lo stesso autore riporta anche che il rischio di sviluppare CMT è significativamente diminuito in cani sterilizzati che erano magri da 9 a 12 mesi di età, ma non ha riscontrato un aumento del rischio di neoplasia nei cani che erano obesi 1 anno prima dello sviluppo della stessa, o che erano nutriti con una dieta ad alto contenuto di grassi (Sonnenschein EG et al., 1991).

Inoltre, l’obesità è stata collegata allo sviluppo del cancro mammario nei cani, evento probabilmente collegato all’aumento dei livelli ematici di estrogeno nei soggetti sovrappeso (Clearly et al, 2010).

Un altro studio ha valutato gli effetti di diversi fattori dietetici sulla prognosi in cani con CMT ed è stato scoperto che cani nutriti con una dieta a ridotto contenuto di grassi e ad alto contenuto proteico hanno una sopravvivenza significativamente prolungata rispetto a cani nutriti con una dieta con ridotto contenuto sia di grassi che di proteine. (Shofer FS et al., 1989).

Uno studio più recente ha confermato che l’obesità a un anno di età e una dieta ad alto contenuto di carne rossa sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di tumori mammari e displasia (Perez Alenza et al, 1998).

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1.3 - Classificazione dei CMT

I tumori mammari sono stati riclassificati da Hampe and Misdorp per l‘Organizzazione Mondiale della Sanità in ultima analisi nel 2001. La classificazione istologica internazionale dei tumori mammari canini e felini dell’OMS combina la classificazione morfologica descrittiva e istogenica, incorpora caratteristiche prognostiche istologiche che sono state associate con crescente malignità (Misdorp W, et al, 2001). Tale classificazione è schematizzata nella tabella 1.

Tabella 1 - Classificazione WHO/AFIP 2001.

TUMORI MALIGNI

Carcinoma in situ Tumore maligno ben demarcato che non invade la mambrana basale. Presenta pochi criteri di malignità. Si tratta spesso di una lesione multicentrica con crescita intraduttale, intralobulare o cresce in dotti dilatati e cisti. L’aspetto morfologico delle cellule tumorali può essere di tipo cribriforme, solido senza o con una zona di necrosi centrale (comedocarcinoma). Il carcinoma in situ deve essere attentamente differenziato da un’iperplasia duttale atipica.

C a r c i n o m a complesso

Tumore maligno composto da cellule epiteliali neoplastiche e cellule mioepiteliali non neoplastiche. Solo le cellule epiteliali presentano criteri di malignità cosiderabili. Le cellule mioepiteliali sono spesso fusate o stellate e occasionalmente si osserva metaplasia mucinosa.

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Carcinoma semplice Composti da un solo tipo cellulare, quello epiteliale. Sono spesso caratterizzati da necrosi e tendono ad infiltrate i tessuti circostanti e i vasi (50% dei casi). È diviso in 3 sottogruppi sulla base della loro differenziazione e del comportamento biologico.

Carcinoma tubulo-papillare: Le cellule neoplastiche sono disposte in tubuli e/o papille, è il meno aggressivo dei carcinomi semplici. I carcinomi tubulari sono sprovvisti di elementi papillari e possono essere contraddistinti da una marcata proliferazione di fibroblasti dello stroma. I carcinomi papillari non presentano una componente tubulare.

Carcinoma solido: le cellule stipate sono disposte in cordoni e strati formando lobuli densi e irregolari, circondati da un sottile stroma fibrovascolare.

Carcinoma anaplastico: Carcinoma molto infiltrante, con stroma abbondante caratterizzato da cellule epiteliali grandi e pleomorfe, talvolta multinucleate con nuclei bizzarri e ricchi di cromatina. Esse possono essere singole o raggruppate in piccoli cluster e possono essere presenti neutrofili ed eosinofili. Per ciò che concerne l’immunoistochimica è un tumore positivo alle citocheratine e alla vimentina. La tendenza a recidivare e a metastatizzare è elevata.

Carcinomi speciali

Carcinoma a cellule fusate: Raro nel cane, è composto da cellule fusate disposte in strutture epiteliali. Si ipotizza possa avere un’origine mioepiteliale; alcuni sono solidi, altri possono contenere tubuli.

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Carcinoma squamoso: Neoplasia fortemente aggressiva caratterizzata da invasione linfatica; lo strato periferico di cellule presenta spesso atipie ed invade il tessuto adiacente. È composta da cellule epiteliali presentanti una differenziazione squamosa disposte in strati o in cordoni; le cellule basaloidi sono predominanti nelle parti periferiche degli strati e la parte centrale è composta da lamelle di cheratina con cellule tumorali necrotiche.

È importante saper distinguere tra i carcinomi squamosi della mammella (alcuni dei quali sembrano originare nel canale del capezzolo) e quelli derivanti dalla cute e dagli annessi. Inoltre, devono essere differenziati dalla metaplasia squamosa dei dotti provocata da flogosi in quanto possono contenere numerosi neutrofili. Una variante è rappresentata dal carcinoma adenosquamoso che contiene strutture ghiandolari.

Carcinoma mucinoso: Tumore maligno composto da cellule secernenti che nel citoplasma presentano accumuli di mucina. Può essere di tipo semplice o complesso.

Carcinoma a cellule ricche di lipidi: Tumore maligno composto per la maggior parte di cellule presentanti vacuoli lipidici nel citoplasma.

Sarcoma Tumori maligni comporti da cellule mesenchimali. Fibrosarcoma: Tumore maligno composto da cellule fusate che hanno formato fibre di reticolina e collagene.
 Può svilupparsi dal tessuto connettivo interstiziale o dallo stroma di un tumore pre-esistente. I fibrosarcomi necrotici ed emorragici devono essere distinti da ascessi ed emorragie incapsulate prestando attenzione alle aree periferiche delle lesioni.

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Osteosarcoma: Sarcoma caratterizzato dalla presenza di una matrice osteoide e/o di osso maturo. Le cellule sono localizzate alla periferia della lesione e possono presentare un alto indice mitotico. Possono dividersi in osteosarcomi puri non combinati o in tumori combinati composti da tessuto maligno osseo e cartilagineo; inoltre può essere presente tessuto maligno fibroso e/o adiposo. In genere la matrice è più densa nella zona centrale, mentre le aree cellulari sono osservabili alla periferia. Gli osteosarcomi presentano pleomorfismo e marcata attività mitotica, sebbene i sarcomi combinati e le loro metastasi possano risultare ben differenziate.

Altri sarcomi Condrosarcomi puri e liposarcomi sono neoplasie estremamente rare.

Carcinosarcoma Tumore composto da cellule epiteliali maligne (luminali e/o mioepiteliali) e da cellule che ricordano elementi del tessuto connettivo maligno. È caratterizzato da un insieme di tutte le tipologie di componenti carcinomatose e sarcomatose, le metastasi sono infatti di tipo misto, sarcomatoso o carcinomatoso.
 La maggior parte di questi tumori risulta ben circoscritta.

Carcinoma/sarcoma in tumori benigni:

Neoplasia con foci di cellule maligne che interessano adenomi complessi o tumori misti benigni.


Un esempio è rappresentato dall’osteosarcoma mammario che insorge in un tumore misto benigno. Risulta difficile stabilire se la componente maligna derivi dal tumore benigno o lo abbia invaso, essa, al momento dell’esame istologico, potrebbe aver sostituito il tumore benigno.

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TUMORI BENIGNI

Adenoma Tumore benigno composto da cellule epiteliali neoplastiche. Non invade la membrana basale.

Adenoma semplice: Caratterizzato da cellule epiteliali o mioepiteliali ben differenziate.


I tumori composti da epitelio luminale ben differenziato rappresentano il tipo tubulare e alcuni di essi sono secernenti. Gli adenomi che crescono solidamente e comprendono cellule fusate benigne sono classificati come mioepiteliomi.

Adenoma complesso: Tumore benigno composto da cellule epiteliali luminali e mioepiteliali non neoplastiche. Solo la componente epiteliale presenta bassi criteri di malignità, infatti può essere difficile distinguerlo da un carcinoma complesso ben differenziato. La presenza di capsula, l’assenza di necrosi e atipie, una bassa attività mitotica sono suggestive di adenoma complesso; inoltre differenziare un adenoma complesso intraduttale da un papilloma duttale può non essere semplice poiché anche in queste ultime neoplasie possono essere presenti elementi epiteliali e mioepiteliali.

Adenoma basaloide: Tumore benigno composto da strati e cluster di cellule basaloidi; le cellule periferiche, sono disposte a palizzata e orientate contro una sottile lamina basale mentre quelle localizzate al centro possono mostrare una differenziazione squamosa e ghiandolare. Sono neoplasie solitamente ben demarcate, 
 piccole, circoscritte e non metastatizzano.

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Fibroadenoma Abbastanza comune nei cani, è composto da cellule epiteliali e mesenchimali, e più raramente da cellule mioepitaliali.

Papillomi duttali Tumore benigno composto da una proliferazione papillare di cellule epiteliali o mioepiteliali supportata dalla proliferazione di tessuto connettivo fibrovascolare.

TUMORI NON CLASSIFICATI

IPERPLASIA E DISPLASIA MAMMARIA

Iperplasia duttale Proliferazione non neoplastica di cellule epiteliali nei dotti escretori mammari.

Iperplasia lobulare

Iperplasia epiteliale: Proliferazione intralobulare non neoplastica di cellule epiteliali.

Adenosi: Proliferazione lobulare di cellule epiteliali, intralobulare con aumento delle strutture secernenti, può essere secretoria o non secretoria.

Cisti Di solito sono lesioni multiple, con l’epitelio che può essere atrofico o iperplastico.

Ectasia duttale Progressiva dilatazione del sistema duttale mammario con l’accumulo di materiale proteinaceo.

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Questa classificazione è quella che viene utilizzata in medicina veterinaria e considera non solo le lesioni neoplastiche, ma che i fenomeni iperplastici e displastici.

Un carcinoma in situ è un tumore epiteliale con caratteristiche maligne che non ha invaso la membrana basale. Queste lesioni sono spesso multicentriche e possono crescere in dotti o lobuli pre-esistenti. I carcinomi tubulari (adenocarcinomi) rappresentano la tipologia di tumori mammari più comuni nella specie canina; questi hanno mantenuto in parte la morfologia originale dei dotti o dei tubuli della ghiandola mammaria normale. I carcinomi solidi sono meno differenziati; questi tumori hanno perso la struttura tubulare e duttale e costituiscono piani tissutali solidi. I carcinomi anaplastici della ghiandola mammaria sono indifferenziati, pleomorfici, e infiltrativi che non possono essere classificabili in nessuna delle altre categorie di carcinomi (Misdorp W et al, 2001). I carcinomi infiammatori sono carcinomi anaplastici con caratteristiche cliniche e istopatologiche come il coinvolgimento degli strati sovrastanti di pelle con edema e dolore, infiltrato infiammatorio esteso, infiltrazione di cellule maligne nei dotti linfatici e una rapida progressione clinica (Perez Alenza et al, 2001).

La differenziazione istopatologica dei tumori epiteliali della ghiandola mammaria ha un impatto nella prognosi, con un peggioramento della stessa se associati con la perdita di differenziazione delle cellule. Il carcinoma in situ hanno la prognosi migliore e i tumori anaplastici tra gli adenocarcinomi quella peggiore (Misdorp et al, 2001).

Fibrosi focale

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I mioepiteliomi maligni, o carcinomi a cellule fusiformi, sono tumori maligni derivanti da cellule mioepiteliali del tessuto mammario e sono abbastanza rari nei cani. Differenziare tra mioepiteliomi maligni e fibrosarcomi richiede spesso colorazioni immunoistochimiche. (Goldschmidt et al, 2001).

Sarcomi primari della ghiandola mammaria non sono comuni e si pensa che derivino da tumori misti pre-esisteni, o dallo stroma interlobulare. I sarcomi più comuni comprendono osteosarcomi e fibrosarcomi. Altri sarcomi includono occasionalmente condrosarcomi e liposarcomi (Goldschmidt et al, 2001). Il tessuto mammario è il sito più comune di sviluppo di osteosarcomi oltre al tessuto scheletrico (Langenbach et al, 1998). Tali tumori si comportano esattamente come quelli sviluppatisi dallo scheletro appendicolare associandosi a precoce diffusione ematogena e breve sopravvivenza.

I tumori mammari misti consistono sia di cellule duttali che mioepiteliali con aree di tessuto cartilagineo e osseo. L’origine di questi tessuti all’interno di tali tumori è controversa e potrebbe includere cambiamenti metaplastici nelle cellule epiteliali, nelle cellule mioepiteliali e cellule stromali interstiziali.

I tumori misti maligni, chiamati anche carcinosarcomi, non sono comuni nei cani e sono composti sia da cellule epiteliali maligne sia da elementi maligni del tessuto connettivo. Questi tumori sono spesso una combinazione tra osteosarcoma e carcinoma (Goldschmidt et al., 2001). La prognosi per i cani con tumori misti maligni è infausta, e molti cani sviluppano metastasi nell’arco del primo anno (Benjamin et al, 1999).

Tutti i tumori maligni della ghiandola mammaria hanno un potenziale metastatico. Il rischio e il pattern delle metastasi è influenzato dal tipo di tumore, la differenziazione istologica, e molti fattori clinici prognostici. In generale, i tumori epiteliali maligni metastatizzano attraverso i vasi linfatici ai linfonodi regionali e ai polmoni, mentre i tumori mesenchimali tipicamente metastatizzano attraverso la via ematogena ai polmoni (Goldschmidt et al, 2001) cani con tumori mammari maligni

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hanno un tempo di sopravvivenza significativamente più corto rispetto ai cani con tumori benigni. È stato riportato che la sopravvivenza generale a 2 anni si aggira dal 25% al 40% con un range di sopravvivenza media dai 4 ai 17 mesi, ma la sopravvivenza è influenzata da molteplici fattori, è può variare significativamente dipendendo dal tipo istologico e differenziazione, stadio della malattia e tipo di trattamento (Misdorp et al, 2001). Cani con tumori epiteliali maligni piccoli e ben differenziati possono avere una prognosi eccellente con soltanto la resezione chirurgica, e cani con tumori più indifferenziati e avanzati hanno una prognosi riservata e possono necessitare di una terapia adiuvante. Attualmente non ci sono linee guida o raccomandazioni per i pazienti che comprendono l’ultimo gruppo e ci sono pochi resoconti riguardanti l’efficacia della terapia adiuvante in questi cani.

1.3 - Diagnosi e stadiazione

La biopsia chirurgica è consigliata come approccio diagnostico iniziale ai cani con CMMT, questo consente di raccogliere tessuto per la diagnosi istologica e può essere terapeutica in casi di tumori di piccole dimensioni.

Essa può essere escissionale nel caso in cui venga asportata la lesione in toto (come nel caso della mastectomìa) e incisionale con la quale il tessuto neoplastico viene asportato parzialmente. Quest’ultimo tipo di procedura è usata solo a scopo diagnostico ed in diversi casi necessita di un secondo intervento che comporta “l’escissione in toto” della lesione. La biopsia con punch viene effettuata prelevando un frammento di tessuto di pochi millimetri mediante un apposito strumento perforatore. Il campione di tessuto può essere prelevato anche tramite biopsia ecoguidata con Tru-Cut; ovviamente è fondamentale includere nella porzione di tessuto asportata sia la parte neoplastica che quella sana per una valutazione microscopica più accurata.

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È possibile sottoporre i pazienti anche all’esame citologico con ago aspirato, anche se non sempre può differenziare accuratamente tra cellule maligne e benigne.

Successivamente alla diagnosi si procede con la stadiazione del tumore, il cui scopo è valutare lo stato di salute generale del paziente, l’estensione del tumore primario e l’eventuale presenza di metastasi distanti.

Uno staging completo richiede un esame emocromo completo, profilo chimico del siero e analisi delle urine, valutazione del tumore primario (includendo grandezza, tipo e differenziazione istologica), valutazione dei linfonodi regionali e studio radiografico in 3 posizioni.

Uno studio recente ha valutato i cambiamenti emostatici nei cani con CMT maligni, constatando che due terzi dei cani hanno una o più anormalità emostatiche, con un aumento dell’incidenza nei cani con stadio della malattia III e IV; di questi, sembrano presentare più facilmente coagulopatie i cani con metastasi distanti, tumori fissi invasivi, necrosi tumorale grave e carcinomi infiammatori (Stockhaus et al,1999). Lo status del linfonodo regionale ha un forte impatto sulla sopravvivenza (Kurtzman ID et al, 1986; Yamagami T et al, 1996; Hellemen Eet al, 1993) infatti i linfonodi regionali dovrebbero essere valutati in tutti i cani con tumori maligni, in modo che il trattamento sistemico venga effettuato nei casi con metastasi linfonodali. I metodi per valutare il loro coinvolgimento includono: palpazione, esame citologico con ago aspirato, biopsia Tru-Cut o exeresi completa del linfonodo.

La palpazione è ritenuto il metodo più inaccurato poichè il linfonodo si può presentare aumentato di volume a causa di reazioni infiammatorie e inoltre linfonodi all’apparenza normali possono ospitare cellule metasatiche (de Freitas et al, 1991; Langenbach et al, 2001).

L’esame citologico dovrebbe essere eseguito come screening iniziale in tutti i cani con tumori maligni, infatti è un metodo sufficientemente accurato per dimostrare il

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coinvolgimento del linfonodo poiché presenta una sensibilità del 100% e una specificità del 96%, (Sonremo et al, 2003; e Langenbach et al, 2001), inoltre questo tipo di analisi presenta molti vantaggi: è facile da eseguire, non è invasivo, non richiede la sedazione del paziente e procura risultati veloci e affidabili; se è positiva o opinabile, si può considerare una escissione completa del linfonodo coinvolto ed eventualmente effettuare un esame istologico.

È opinione controversa se il rimuovere il linfonodo metastatico in questi pazienti migliori significativamente la sopravvivenza, ma in ogni caso può migliorare il controllo regionale del tumore e prevenire i segni associati con una linfoadenomegalìa progressiva (White et al, 2002).

La radiologia è ancora il metodo diagnostico standard per valutare negli animali da compagnìa la presenza di metastasi polmonari: il tasso di malattia metastatica polmonare sincrona al momento della diagnosi iniziale è del 6% (Yamagami et al, 1996; Fidler et al, 1967). La radiografia convenzionale può infatti rilevare lesioni polmonari da 6 a 8 mm di diametro, anche se la capacità di rilevare metastasi precoci può migliorare usando la TAC per metastasi di 4 mm (Glasspool et al, 2000).

I polmoni sono il sito più comune per le metastasi in questo tipi di tumori, ma possono essere anche osservate metastasi agli organi addominali o linfonodi, per cui è consigliabile effettuare anche una ulrasonografia o radiografia addominale.

L’esame istologico, oltre a consentire di emettere la diagnosi del tumore, permette di stadiare i CMT, infatti è possibile collegare l’invasività istologica dei CMT al loro comportamento biologico (Lana et al, 2007); questo sistema di stadiazione divide i carcinomi in quattro gradi, come illustrato dalla tabella seguente.

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Tabella 1- Sistema di stadiazione istologica dei CMT

La malignità dei CMT è collegata all’aumento del grado istologico (Lana et al, 2007), con i soggetti presentanti tumori di II o III grado che presentano una sopravvivenza complessiva più breve rispetto ai soggetti con carcinomi in situ o carcinomi localmente invasivi.

In medicina veterinaria viene utilizzato anche un altro sistema istologico, che è stato adottato precedentemente nell’oncologia umana, conosciuto come sistema di graduazione Eston-Ellis(Elston and Ellis, 1991) modificato da Peña e colleghi nel 2013. Questo metodo considera tre paramentri istologici differenti: la capacità delle cellule neoplastiche di formare tubuli, il pleomorfismo nucleare e la conta delle figure mitotiche. Per ogni parametro è stabilito un punteggio, e il conteggio finale permette di classificare il tumore in una delle tre categorie: carcinoma ben differenziato (WDC), carcinoma moderatamente differenziato (MDC), e carcinoma scarsamente differenziato (PDC). Nella tabella tre è spiegato il sistema Peña et al, 2013.

GRADO POTENZIALE DI INVASIVITÅ SECONDO L’ESAME ISTOLOGICO 0 Non invasivo, incapsulato, in situ.

1 Invasione stromale

2 Invasione dei vasi linfatici e/o ematici 3 Metastasi in organi distanti

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Tabella 2 - Sistema di classificazione Peña et al. 2013.

Tumori compresi tra un punteggio totale da 3 a 5 sono classificati come WDC (o grado I), tumori compresi tra 6 e 7 come MDC (o grado II) e tumori compresi tra 8 e 9 come PDC (o grado III). La sopravvivenza complessiva attesa è più lunga per i WDC, più corta per MDC e anche più scarsa per PDC (Goldschmidt et al, 2011).

Esiste anche la classificazione in base al fenotipo molecolare, proposta per i CMMT da Gama et al, (2008) che è basata sui profili di espressione proteica delle

PARAMETRO CRITERI PUNTI

Formazione di tubuli >75% 1

10-75% 2

<10% 3

Pleomorfismo cellulare minima variazione di dimensioni e forma

1

moderata variazione di dimensioni e forma

2 marcata variazione di dimensioni e

forma

3

Indice mitotico (n^ figure mitotiche/10 HPF)

0-9 1

10-19 2

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cellule neoplastiche utilizzando l’immunoistichimica. Questo schema classificativo divide i carcinomi in cinque categorie in base all’espressione di: ER, PR, HER2, citocheratina 5/6 (CK5/6), CK14, CK19 and P63 (Beha et al, 2012) e sono: Luminal-A, Luminal-B, HER2 overexpressing, Basal-like, and Normal- like, come illustrato di seguito.

Tabella 3 - Classificazione in base al fenotipo molecolare.

Questo tipo di classificazione è stata utilizzata in medicina veterinaria per confrontare i tumori primari alle relative metastasi nei linfonodi (Beha et al, 2012) o in organi distanti (Beha et al, 2013), per investigare se ci sono casi di discordanza tra di loro. L’eventuale discordanza può portare al fallimento della chemioterapia, considerando che la scelta del farmaco è basata sulla tipologia della neoplasia primaria.

Da questi studi si evince che il 35% delle metastasi linfonodali e 2/5 dei casi di metastasi distanti (considerando sia i casi di tumori canini che felini) non concordava con il tumore primario. Questi dati suggeriscono che per meglio selezionare il giusto

FENOTIPO MOLECOLARE PROFILO PROTEICO

Luminal-A ER+ e/o PR+, HER2–, nonostante la colorazione CK5/6, CK14, p63

Luminal-B ER+ e/o PR+, HER2+, nonostante la colorazione CK5/6, CK14, p63

HER2 overexpressing ER–, PR–, HER2+, nonostante la colorazione CK5/6, CK14, p63

Basal-like ER–, PR–, HER2–, CK5/6+ e/o CK14+ e/o p63+

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chemioterapico potrebbe rendersi necessario valutare il fenotipo molecolare non solo del nodulo primario ma anche delle metastasi.

I CMMT sono stadiati clinicamente secondo il sistema TNM (T - tumore; N - linfonodo; M - metastasi).

Questo sistema è indicato soltanto per tumori epiteliali e non infiammatori, e considera la grandezza del nodulo primario, lo status del linfonodo e la presenza di metastasi, valutati sia istologicamente che citologicamente (Sorenmo et al, 2013).

Questa tabella illustra il sistema TNM correntemente usato nei CMMT.

Tabella 4 - Sistema TNM

La presenza di metastasi distanti è il parametro più importante per valutare il comportamento biologico dei tumori, indipendentemente dalle dimensioni o dallo status dei linfonodi.

STADIO GRANDEZZA DEL T. STATUS

LINFONODO METASTASI 1 T-1 < 3 cm N-0 M-0 2 T-2 3-5 cm N-0 M-0 3 T-3 >5 cm N-0 M-0 4 Qualsiasi N-1 (positivo) M-0

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1.4 -Terapia dei CMT

La chirurgia è considerata un passo inevitabile nel trattamento dei CMMT. Il suo scopo principale non è soltanto di rimuovere i noduli neoplastici, ma anche di assicurare la pulizia dei margini per prevenire recidive e prevenire lo sviluppo di nuovi noduli nel tessuto ghiandolare sano, poichè questi tumori sono caratterizzati da un comportamento biologico eterogeneo (Sorenmo et al,2013).

Le principali tipologie di intervento sono: nodulectomia semplice, mastectomia, mastectomia regionale, mastectomia riguardante l’intera catena di mammelle o mastectomie bilaterali.

L’invasività della procedura chirurgica è collegata al successo del trattamento, infatti la nodulectomia, che è la procedura meno invasiva, è associata a recidive in più del 70% dei casi (Schneider et al, 1969; MacEwen et al, 1985; Stratmann et al, 2008). Contestualmente, la mastectomia a catena presenta più benefici rispetto alla mastectomia regionale, con percentuali inferiori di recidiva o presenza di nuovi noduli (Stratmann et al, 2008).

Il trattamento chirurgico dovrebbe essere considerato con prudenza quando il tumore è di tipo infiammatorio, poiché proprio a causa del suo comportamento altamente invasivo e la comune assenza di noduli palpabili è difficile effettuare un trattamento curativo, infatti in uno studio recente sul carcinoma infiammatorio mammario canino (CIMC), è stato osservato che solo 3 soggetti dei 43 aventi CIMC erano idonei per il trattamento chirurgico (Marconato et al, 2009).

La terapia sistemica è raccomandata routinariamente e usata per il trattamento dei CMMT. Nonostante la sua larga diffusione, solo pochi studi hanno indagato il suo ruolo, quindi i suoi effetti non sono largamente confermati (Sorenmo et al, 2013). Questo tipo di terapia è fermamente consigliata per quei soggetti che presentano grandi

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noduli e metastasi linfonodali o polmonari, in cui la chirurgia di per sé non può essere curativa.

La terapia ormonale è collegata all’influenza che gli ormoni hanno sullo sviluppo dei CMMT, la sterelizzazione chirurgica è considerata un metodo sistemico di terapia ormonale. Come detto in precedenza, l’ovariectomia in giovane età può ridurre considerevolmente il rischio di CMMT (Schneider et al, 1969). È stata considerata anche l’ovariectomia in soggetti già presentanti CMMT come terapia ormonale possibile, per quanto ci siano risultati discordanti; infatti uno studio riporta che i benefici dell’ovariectomia sono significativi soltanto per i cani con carcinomi complessi (Chang et al, 2005) e un altro studio evidenzia che i soggetti sottoposti a ovariectomia entro i 2 anni precedenti alla rimozione chirurgica del tumore presentano più benefici rispetto a cani interi o cani sterilizzati ancora più precocemente (Sorenmo et al, 2000). La terapia ormonale può essere effettuata anche attraverso la somministrazione di modulatori e antagonisti ormonali. In medicina umana l’antagonista per ER più utilizzato è il Tamoxifen, ed è stato testato pure per il trattamento dei CMMT. Esso induce un ampio spettro di effetti collaterali come piometra e retiniti, limitando cosi il suo stesso utilizzo anche nel trattamento di questa patologia (Morris et al, 1993; Tavares et al, 2010).

La terapia sistemica è raccomandata anche per cani con uno stadio TNM avanzato. In uno studio del 2001, è stato dimostrato che la combinazione di 5-fluoracile e ciclofosfonamide come adiuvanti al trattamento chirurgico aumenta il periodo di sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia in pazienti con stadio III e IV (Karayannopoulou et al, 2001). Altri studi hanno cercato di investigare l’efficacia della doxorubicina, del docetaxel e della gemcitabina, dimostrando che questi tre farmaci non inducono benefici significativi nel trattamento dei CMT(Simon et al, 2006; Marconato et al, 2008).

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A causa dell’espressione di COX-2 nei CMT, i FANS rappresentano una possibilità nella terapia di queste neoplasie come dimostrato per cani presentanti CIMT (Marconato et al, 2009; de M Souza et al, 2009).

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2.0 - IL ruolo di PTEN nello sviluppo tumorale.

2.1 - La via PTEN/AKT.

Al fine di comprendere meglio il ruolo svolto dall’enzima PTEN e dalle E-Caderine è necessario focalizzarsi inizialmente sulle conseguenze dell’attivazione della via PI3K/ AKT (Nell’immagine una rappresentazione schematica dell’attivazione della via PI3K/ AKT).

Immagine 1: attivazione della via PI3K/AKT.

By Tbatan - Own work, CC BY-SA 3.0, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=46222119

Le fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) sono una famiglia di enzimi che può essere divisa in tre classi: classe I, II e III, dipendendo dalla loro distribuzione, struttura,

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meccanismo di attivazione, substrato e funzione (Domin e Waterfield, 1997; Walker et al, 1999).

Le più studiate e conosciute sono quelle appartenenti alla classe I e sembrano essere le più coinvolte in tutti i numerosi processi biologici nei tessuti sani e neoplastici. Le PI3K appartenenti alla classe I possono essere ulteriormente divise nelle sottoclassi IA e IB in relazione ai loro attivatori: per la sottoclasse IA recettori tirosin-chinasici (RTKs) e per la IB recettori associati alla proteina G (GPCRs) (Engelman et al, 2006; Vanhaesebroeck et al, 1997).

Le proteine appartenenti alla classe I, quando attivate, determinano la conversione del PIP2 in fosfatidilinositol-3,4,5-trifosfato o PIP3, fornendo l’energia necessaria per lo sviluppo del sistema di segnale (Cantley, 2002; Zhao et al, 2006).

I RKTs che possono attivare il PI3K sono il recettore per il fattore della crescita epidermica (epidermal growth factor o EGFR), il recettore per il fattore di crescita derivato dalle piastrine (platelet- derived growth factor receptor o PDGFR), il recettore per il fattore di crescita dei fibroblasti (fibroblast growth factor receptor o FGFR) e il recettore per il fattore di crescita IGF-1 (insulin-like growth factor 1 receptor o IGF-1R) (Hu et al, 1992; McGlade et al, 1992; Zhu et al, 1992).

AKT, anche conosciuta come protein chinasi B (PKB) è una dei target più importanti per PI3K (Jiang and Liu, 2009); PIP3 si lega ad AKT e promuove il suo reclutamento da parte della membrana e la sua fosforilazione da parte della chiasi 1 fosfoinositide-dipendente nel dominio della chinasi Thr308 (Downward, 1998).

Per essere pienamente attivata, l’AKT necessita di una seconda fosforilazione nel dominio Ser473. Questa fosforilazione può essere compiuta da differenti molecole (Shtilbans et al, 2008), ma la più importante è il complesso mTOR2 (mTORC2) (Huang and Manning, 2009).

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È composto da differenti proteine, delle quali la più importante è il target per i mammiferi per la rapamicina (mTOR) e Rictor (Oh e Jacinto, 2011).

Una volta definitivamente attivata, l’AKT può stimolare o inibire i suoi target a valle portando ad un incremento della proliferazione cellulare, sopravvivenza cellulare, neoangiogenesi e del potenziale metastatico, contribuendo in maniera significativa alla crescita tumorale (Jiang e Liu, 2009).

Per quanto riguarda la sopravvivenza cellulare, AKT può: fosforilare HDM2 (human double minute 2) promuovendo la degradazione mediata da proteosoma della p53 (Fang et al, 2006), inibire la trascrizione FOXO-mediata di molecole pro-apoptotiche e inoltre interviene nell’inattivazione delle proteine pro-apoptotiche BAD (Fosbrink et al, 2006; Jiang e Liu, 2009); compromettendo in questi modi l’apoptosi nelle cellule neoplastiche.

Anche il cellulare è influenzato da AKT, con un effetto stimolante, infatti questa promuove la transizione dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare portando le cellule neoplastiche alla mitosi; in più, stabilizza i livelli cellulari di Ciclina D1.

Questi eventi contribuiscono fortemente ad aumentare la proliferazione cellulare e consequentemente la crescita tumorale (Jiang e Liu, 2009).

PI3K, AKT e mTOR promuovono l’angiogenesi favorendo la produzione del Hypoxia Inducible factor 1 (HIF1), che induce l’attivazione del fattore di Crescita Vascolare (VEGF), e quindi la proliferazione delle cellule endoteliali (Skinner et al, 2004; Yen et al, 2005), la neoangiogenesi e la proliferazione del tumore collegato all’incremento del flusso sanguigno nel microambiente tumorale (Fang et al, 2007; Hu et al, 2005; Xia et al, 2006).

In più la produzione di HIF1 aumenta grazie al miocroambiente tumorale stesso, in particolare in casi di tumori cresciuti molto rapidamente, caratterizzato appunto da fenomeni marcati di ipossia (Jiang e Liu, 2009).

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Le cellule tumorali, grazie all’attivazione mediante AKT, possono produrre enzimi, chiamati metalloproteinasi della matrice (matrix metalloproteinases o MMPs), in particolare MMP2 e MMP9, capaci di degradare le proteine delle matrice extracellulare che compongono la membrana basale, indebolendo così il suo effetto barriera (Ispanovic e Haas, 2006; Shukla et al, 2007).

Questa infatti rappresenta l’espressione del tentativo dell’organismo di incapsulare il tumore e limitare l’infiltrazione tumorale nei tessuti e nei vasi linfatici ed ematici, e quindi lo sviluppo di metastasi (Orlichenko e Radisky, 2008).

Ad oggi non è chiaro come l’attivazione della via PI3K/AKT inibisca l’espressione delle E-Caderine, ma questa correlazione è stata comunque dimostrata in letteratura.

Infatti la via PTEN/AKT, una volta completamente attivata, inibisce la normale espressione di membrana delle E-caderine, la cui funzione, essendo molecole di adesione, è di preservare la normale architettura tissutale (Takeichi, 1991). Quando questa espressione proteica è perduta, ridotta, o localizzata in posizioni aberranti, non può svolgere il suo ruolo oncosoppressivo (Christofori e Semb, 1999), promuovendo quindi l’infiltrazione delle cellule neoplastiche e lo sviluppo di metastasi (Kotelevets et al, 2005).

La proteina PTEN è largamente considerato la più importante proteina con ruolo oncosoppressivo in oncologia (Chalhoub e Baker, 2009). Defosforilando infatti PIP3 in PIP2 all’inizio di questa via (Maehama e Dixon, 1998), limita l’energia necessaria per lo sviluppo del sistema di segnale, fatto che contribuisce al controllo e al limite della proliferazione e sopravvivenza cellulare (Jiang e Liu, 2009).

L’espressione normale di PTEN stabilizza i livelli cellulari di p53, preserva l’attività apoptotica nei tessuti sani e neoplastici (Freeman et al, 2003) e salvaguarda le giunzioni intracellulari limitando l’invasività delle cellule tumorali (Kotelevets et al, 2001).

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Le mutazioni di PTEN sono largamente riportate in medicina umana e sono associate con il cancro dell’encefalo, del seno e della prostata (Li et al, 1997; Steck et al, 1997); sono la causa della sindrome di Cowden, un disordine caratterizzato da multipli amartomi, tumori benigni e maligni della tiroide, del seno e dell’endometrio. In più, altre manifestazioni cliniche che possono affliggere i pazienti sono: lesioni mucocutanee, anormalità tiroidee, malattia fibrocistica, leiomiomi uterini multipli, e macrocefalia (Apostolou e Fostira, 2013).

La perdita o la riduzione dei livelli della proteina PTEN è stata precedentemente osservata nell’uomo nel cancro del seno (Bose et al, 2002; Perren et al, 1999; Tsutsui et al, 2005), endometriale (Tashiro et al, 1997), epatocellulare (Yao et al, 1999), linfomi (Sakai et al, 1998), carcinomi tiroidei (Bruni et al, 2000) e nel melanoma (Mikhail et al, 2005), e può influenzare negativamente l’efficacia della chemioterapia durate il trattamento del cancro al seno, infatti sono stati osservati dei fenomeni di farmaco resistenza in pazienti con tumori mammari PTEN negativi trattati con Tamoxifen (Shoman et al, 2005), trastuzumab (Nagata et al, 2004); e Gefitinib (She et al, 2003).

La chinasi che più comunemente viene inibita per prima è mTor con il farmaco Rapamicina (nome commerciale “Sirolimus”) grazie alle sue proprietà immunodepressive e antiproliferative (Law, 2005), sebbene inizialmente fosse conosciuto per essere un farmaco antifungino (Vezina et al, 1975). Partendo dalla struttura della rapamicina, sono stati sintetizzati altri farmaci inibitori di mTOR, come Temsirolimus, Everolimus e Deforolimus (Jiang and Liu, 2009).

Per quanto riguarda Akt, il primo gruppo di inibitori sviluppati e testati erano molecole a base lipidica, dei quali il più conosciuto è Persifone (Kondapaka et al, 2003); altri sotto investigazione sono MK-2206, RX-0201, PBI-05204 e l’ Erucilfosfocolina (Erucylphosphocholine) (Pal et al, 2010).

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2.2 -Relazione tra la via PTEN/AKT e i tumori canini.

PTEN è stato studiato per la prima volta nel 2002 da Koening e colleghi che, attraverso l’utilizzo di RT-PCR hanno dimostrarono la mancanza di mRNA dell’oncosoppressore. Successivamente grazie all’immunoistochimica l’assenza (per perdita o ridotta espressione) della relativa proteina è stata evidenziata in diverse linee cellulari di melanomi (Koening 2002).

Sempre nel 2002 uno studio di Levine e colleghi ha conferma come l’espressione proteica di PTEN possa essere assente o ridotta anche in linee cellulari di osteosarcoma e in campioni di osteosarcoma; inoltre l’espressione della proteina risultò ridotta nello studio condotto nel 2005 da Dickerson e colleghi su emangiosarcomi canini e linee cellulari di emangiosarcoma.

Gli studi più significativi a proposito del ruolo della via PTEN/AKT nei CMT sono stati svolti Kanae e colleghi nel 2006; Qiu e colleghi nel 2008 e Ressel e colleghi nel 2009.

I primi due affermano che l’espressione genica di PTEN era significativamente più bassa nei CMT maligni che nei benigni; in particolare il secondo, oltre a ribadire questo concetto, precisa anche che questa era diminuita in modo ancora più significativo nelle metastasi linfatiche.

Nel 2009 Ressel e colleghi, mediante immunoistochimica compararono l’espressione di PTEN alla caratteristiche clinicopatologiche dei CMT e tumori mammari felini (FMT). Nei cani, la proteina PTEN è negativamente correlata con carcinoma di tipo semplice, invasione dei vasi linfatici, presenza di metastasi linfonodali e ad organi distanti, e una prognosi peggiore.

Il primo report della rilevazione di AKT nel tessuto neoplastico fu fatta da Levine e colleghi, contestualmente alla rilevazione della presenza di PTEN, in linee cellulari di

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ostasarcoma e in osteosarcomi (Levine et al, 2005) evidenziando che le linee cellulari presentanti ridotti livelli di PTEN presentavano anche un’elevata espressione di AKT, e viceversa.

Il coinvolgimento di AKT è stato descritto anche in linee cellulari di melanoma canini (Kent et al, 2009), in alcuni tumori neuroepiteliali (Ide et al, 2010), linee cellulari di emangiosarcomi canini (Murai et al, 2012) e in mastocitomi canini (Rodriguez et al, 2012).

Per quanto riguarda mTor, la sua espressione e l’effetto inibitorio della rapamicina sono stati studiati su cellule derivanti da osteosarcomi (Gordon et al, 2008) e melanomi (Kent et al, 2009) in cui questa giocava un ruolo chiave per la crescita delle cellule tumorali e la rapamicina limitava proliferazione e la sopravvivenza cellulare.

Gli effetti della rapamicina sono stati ulteriormente confermati nello studio di Paoloni e colleghi (2010) in cui sono state saggiate le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di questo farmaco in cani con osteosarcoma, dimostrando inoltre la sicurezza della somministrazione di questa sostanza nella specie canina (Paoloni et al, 2010).

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3.0 - E-Caderine

Le caderine appartengono a un’ampia famiglia di glicoproteine responsabili dell’adesione intercellulare con un meccanismo calcio dipendente (Takeichi, 1988). Le caderine possono essere classificate in molti modi e in differenti sottofamiglie, tra le quali le caderine classiche sono quelle più comprese e studiate (Brasch et al, 2012); esse comprendono le E-caderine e le P-caderine.

Le E-caderine (caderine epiteliali) sono composte da cinque ripetizioni extracellulari, una regione transmembrana, e una coda citoplasmatica con un dominio intracellulare che lega la catenina p 120 e la beta catenina, quest’ultima a sua volta si lega all’alfa catenina presente nel citoscheletro. Le caderine classiche sono normalmente concentrate nelle giunzioni di adesione dove le cellule si legano tra loro, e con i loro domini citoplasmatici formano un collegamento diretto con il citoscheletro, (Shapiro and Weiss, 2009), supportando il raggruppamento laterale e consolidando l’adesione (Yap et al, 1998).

Queste sono anche coinvolte in molti altri processi biologici, come la separazione dei foglietti embrionali, (Brasch et al, 2012), la compattazione dello zigote durante i primi stadi e la differenziazione epiteliale (Takeichi, 1988), inoltre durante l’embriogenesi , la perdita di E-caderine è un evento normale nei tessuti neurodermici e mesodermici, fatto che induce la normale differenziazione di queste cellule (Takeichi, 1988).

Inoltre queste proteine sono coinvolte nella formazione e nella specificità delle sinapsi nella meccanotrasduzione nel sistema nervoso centrale, cell signaling, e omeostasi fisica dei tessuti maturi (Brasch et al, 2012). In più, negli stessi tessuti le E-caderine giocano un ruolo critico nella differenziazione delle cellule epiteliali e rimodellamento (Epifano and Perez-Moreno, 2012).

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Tra tutte queste proteine, le E-caderine hanno guadagnato un particolare interesse a causa del fatto che la loro alterazione dell’espressione è frequentemente implicata nei processi metastatici (Baranwal and Alahari, 2009). Per il suo ruolo decisivo nell’adesione intercellulare, anormalità dell’espressione delle E-caderine sono state ampiamente collegate alla progressione tumorale maligna. La perdita o la rilocalizzazione citoplasmatica di questa molecola non permette la normale adesione cellulare, fatto che aumenta il potenziale invasivo delle cellule epiteliali neoplastiche (Christofori and Semb, 1999). Inoltre, sia in condizione spontanee che sperimentali una frequente down-regulation delle E-caderine è stata associata ad un comportamento aggressivo del tumore e una prognosi più scarsa (Baranwal and Alahari, 2009).

La Perdita di E-caderine è l’evento più rilevante che porta alla transizione epitelio-mesenchimale (EMT), un processo chiaramente coinvolto nell’aumento del potenziale metastatico e caratterizzato dalla perdita graduale da parte delle cellule tumorali dell’espressione dei loro normali marker epiteliali (Le Bras et al, 2012).

È stato dimostrato che, dopo l’ EMT, le cellule neoplastiche presentano un’aumento della motilità, dell’invasività, e resistenza all’apoptosi (Onder et al, 2008).

Alterazioni della normale espressione membranosa delle E-caderine è stata studiata in molti tumori in medicina umana. È stato dimostrato che il complesso E-caderina/catenina è danneggiato da molti fattori genetici, evento che porta all’aumento del potenziale invasivo dei carcinomi gastrointestinali (Debruyne et al, 1999), polmonari (Bremnes et al, 2002) e della vescica (Giroldi et al, 1999).

Il polimorfismo genetico del gene delle E-caderine è associato con l’aumento del rischio di diversi tumori, come il carcinoma esofageo, gastrico, polmonare e cervicale (Li et al, 2011).

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Alterazioni dell’espressione delle Ecaderine sono state osservete anche nei carcinomi renali (Shimazui et al, 1996).

3.1 - Relazione tra le E-caderine e lo sviluppo tumorale.

L’espressione delle E-caderine è stata ampiamente investigata nei CMT, spesso con risultati discrepanti. Comunque, tutti i sistemi di classificazione usati in letteratura considerano come positivo solo il pattern membranoso (spesso definito come espressione preservata), confermando che per giocare il suo ruolo onco-soppressivo le E-caderine devono necessariamente essere localizzate sulla superficie della membrana cellulare.

In generale l’alterata espressione delle E-caderine è statisticamente correlata all’aumento delle dimensioni del tumore, alto grado istologico e invasivo, metastasi linfonodali, alto indice mitotico e una sopravvivenza globale inferiore (Gama et al, 2008b); questo è l’unico studio che mostra un’associazione statistica tra l’espressione aberrante delle E-caderine e la riduzione della sopravvivenza globale.

CMT con alto tasso di proliferazione mostrano un’alterata espressione delle E-caderine (Torres et al, 2005) così come le neoplasie fortemente invasive (Matos et al, 2007) . Inoltre è ridotta nei tumori maligni e vira da membranosa a citoplasmatica nei carcinomi tubulopapillari fino a scomparire completamente in quelli solidi e squamosi(Restucci et al, 2007).

In particolare riguardo alla localizzazione membranosa di questa proteina, nel 2003, fu valutata da Brunetti e colleghi nei CMT e nelle rispettive metastasi linfonodali, descrivendo due differenti localizzazioni delle E-caderine: membranosa e citoplasmatica e osservando patterns delle E-caderine discrepanti tra tumori primari e le rispettive

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metastasi, con alcuni casi di upregolazione e downregolazione e circa il 50% della concordanza (non avendo però osservato alcuna prova di correlazione tra l’espressione delle E-caderine e la sopravvivenza).

L’espressione membranosa delle E-caderine, definita come espressione preservata, fu quindi associata ad un istotipo tubulopapillare e un più basso stadio istologico ma non con un aumentato tasso di proliferazione; questi dati furono confermati da altri due studi degli stessi autori (Sarli et al, 2004; Brunetti et al, 2005).

Inoltre Reis e colleghi osservarono una riduzione dell’espressione membranosa delle E-caderine nei CMT maligni comparata ai tumori benigni e nei carcinomi scarsamente differenziati rispetto a quelli moderatamente e ben differenziati (Reis et al, 2003). Nowak e colleghi mostrarono una correlazione statistica inversa tra l’espressione membranosa delle E-caderine e il tasso di proliferazione (Nowak e al, 2008).

Concludendo, visti i risultati, si può dire che il ruolo onco-soppressivo delle E-caderine è chiaro, ma non si può dire altrettanto di come queste influenzino le caratteristiche dei CMT. Tali discrepanze potrebbero essere dovute ai differenti sitemi adottati per quantificare i risultati dell’IHC (Zappulli et al, 2012).

Riguardo alle neoplasie epiteliali, l’alterazione dell’espressione delle E-caderine è stata dimostrata nei carcinomi colorettali (Restucci et al, 2009; Aresu et al, 2010), dei sacchi anali (Polton et al, 2007), prostatici (Fonseca-Alves et al, 2013), e mammari (Brunetti et al, 2003; De Matos et al, 2007).

A proposito dei tumori non epiteliali, le anormalità delle E-caderine sono state identificate nei melanomi canini(Han et al, 2013), mastocitomi (Mackowiak et al, 2012), meningiomi (Ide et al, 2011), fibrosarcomi (Nowak et al, 2007) e tumori del plesso corioide (Nentwig et al, 2012).

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4.0 - Scopo dello studio

Come già descritto in precedenza, la mancata espressione o la ridotta funzione dell’enzima PTEN comporta un’aumento della formazione di AKT, portando ad un incremento della proliferazione e sopravvivenza cellulare, del potenziale metastatico e della neoangiogenesi.

Il calo o la produzione a livello citoplasmatico di E-caderine causa, inoltre, un difetto strutturale delle giunzioni di adesione intercellulari, portando la cellula alla transizione epitelio-mesenchimale: i tumori E-caderine negativi presentano, infatti, un’aumento della resistenza all’apoptosi, della motilità e dell’invasività.

Lo scopo di questo studio è stato quello di ampliare precedenti indagini condotte su CMMT (Asproni et al, 2013) per verificare mediante indagini di immunoistochimica se l’alterata espressione delle due proteine possa essere correlata con caratteristiche istopatologiche e cliniche di maggiore malignità.

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PARTE SECONDA: ANALISI SPERIMENTALE

5.0 - Materiali e metodi

5.1 - Animali sottoposti ad esame

Questo studio è stato condotto su campioni inviati al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa a scopo diagnostico e provengono da 40 cagne, sottoposte a mastectomia totale presso l’Ospedale didattico veterinario “Mario Modenato”, Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Pisa.

I dati raccolti da ogni soggetto, e quindi dal suo relativo campione comprendono: la razza, l’età, l’istotipo tumorale, l’eventuale invasione linfatica, il grado di differenziazione secondo il sistema Elston-Ellis modificato (Peña et al, 2013) l’indice mitotico, il decesso se avvenuto entro due anni dall’intervento, la sopravvivenza globale, la negatività a PTEN e alle E-caderine.

5.2 - Analisi istopatologica

I campioni fissati in formalina tamponata al 10% sono stati inviati al laboratorio per l’analisi istopatologica.

Essi sono stati disidratanti in soluzioni a concentrazione crescente di alchool (passando infatti da alchool a 96° ad alchool a 100°), il quale viene poi rimosso grazie ad un passaggio nello xilolo, responsabile della diafanizzazione del tessuto, e si procede quindi con l’inclusione in paraffina.

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Il campione viene trasferito in uno stampo colmo di paraffina fusa, viene lasciato raffreddare e si ottengono così dei blocchetti contenenti il tessuto da analizzare.

I campioni sono quindi tagliati in sezioni sottili 4µm grazie all’utilizzo di un microtomo; queste sono quindi distese su una piastra o sulla superficie dell’acqua riscaldata (37°) di un bagnomaria, raccolte su un vetrino portaoggetti e lasciate per 12 ore in stufa a 37°C.

I vetrini vengono poi immersi nuovamente in xylene (rimuove la paraffina penetrata), reidratati in soluzioni a concentrazione decrescente di alchool e colorati con ematossilina-eosina, il metodo di colorazione utilizzato “routinariamente” nella maggior parte dei laboratori di diagnostica istopatologica.

L’analisi istopatologica comprende la valutazione di:

·Istotipo.

Le tipologie di tumore individuate in questa sede sono essenzialmente: -adenoma (A)

-carcinoma semplice tubulare (KST) -carcinoma semplice solido (KSS) -carcinoma semplice anaplastico (KSA) -carcinoma complesso (KC)

·Invasione dei vasi linfatici.

Al momento dell’esame microscopico, e quindi all’emissione della diagnosi, i campioni vengono quindi suddivisi in base alla presenza di invasione dei vasi linfatici

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·Grado di differenziazione secondo il sistema Peña et al, (2013).

Come precedentemente riportato questo sistema consente di suddividere i tumori in WDC (carcinoma ben differenziato), MDC (carcinoma mediamente differenziato) e PDC (carcinoma scarsamente differenziato) in base alla formazione di tubuli, al pleomorfismo cellulare e all’indice mitotico.

·Indice mitotico.

Valutato contando il numero di figure mitotiche in dieci campi microscopici ad alto ingrandimento (Ressel et al, 2009).

·Sopravvivenza al 730^ giorno dalla chirurgia.

Nei casi di carcinoma è stato condotto un follow up post-chirurgico di due anni per valutare la sopravvivenza dei soggetti.

·Morte causata dalla neoplasia.

Nel caso in cui si sia verificato il decesso dell’animale in corso dello studio, il cadavere è stato sottoposto ad autopsia per confermare che la morte sia causata dalla presenza del tumore.

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5.3 - Analisi immunoistochimica.

5.3.1 - Protocollo

Il protocollo per l’esame immunoistochimico per valutare l’espressione delle proteine PTEN e delle E-caderine è lo stesso per entrambi i marker e in particolare è stato utilizzato un metodo streptavidina-biotina perossidasi.

I campioni istologici, dopo essere stati inclusi in paraffina con il metodo precedentemente descritto per l’analisi istopatologica sono tagliati in sezioni dello spessore di 4μm.

Le sezioni sono state montante su vetrini Superfrost Plus slides (Thermo Fisher Scientific, Menzel GmbH & Co., Braunshweig, Germany) e poste in stufa durante la notte.

Le sezioni di tessuto sono state sparaffinate in xylene, e reidratate grazie al passaggio prima in alchool a 100°, successivamente in alchool a 96° e infine in acqua deionizzata. Poiché la capacità di esprimere un antigene (nel nostro caso PTEN e le E-caderine) può essere compromessa dalle procedure di fissazione del tessuto (Shi et al., 2001), segue una fase, chiamata “Antigen Retrieval” che consiste, mediante la sottoposizione della sezione a specifiche temperature e Ph, di ripristinare l’espressione antigenica.

Essa consente di smascherare gli antigeni, che legandosi agli anticorpi, permettono la reazione immunoistochimica, rendendosi così visualizzabili.

La fase di Antigen Retrieval è stata condotta mediante l’utilizzo di un buffer citrato a pH 6.0; i vetrini immersi in questo mezzo hanno subìto due cicli ad alta temperatura in forno a microonde, il primo per 4 minuti a 650 W e il secondo per 15 minuti a 350 W.
 Al termine di questa tappa questi sono stati refrigerati a temperatura ambiente per 20

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