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I controlli a distanza nel rapporto di lavoro

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

I CONTROLLI A DISTANZA NEL RAPPORTO DI LAVORO

RELATORE

Prof. Pasqualino ALBI

CANDIDATO Lisa PIANEZZOLA

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I CONTROLLI A DISTANZA NEL

RAPORTO DI LAVORO

INTRODUZIONE……….IV

CAPITOLO PRIMO

I CONTROLLI A DISTANZA PRIMA DEL JOBS ACT

1.1 La disciplina dei controlli a distanza dal 1970………....1

1.2 Evoluzione giurisprudenziale della norma…...7

1.3 Controlli intenzionali e preterintenzionali……….10

1.4 Controlli difensivi: la loro elaborazione giurisprudenziale…...11

Segue. Controlli difensivi sull’attività informatica……….15

1.5 Controlli sul quantum della prestazione lavorativa………...21

1.6 Diverso orientamento della giurisprudenza lavoristica e penalistica...23

CAPITOLO SECONDO L’INTERVENTO DEL JOBS ACT SUI CONTROLLI A DISTANZA 2.1 Necessità di una riforma………...28

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2.2 Campo applicativo dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori………...29

2.3 Poteri di controllo del datore di lavoro……….32

2.4 Autorizzazioni del potere di controllo del datore di lavoro………..34

2.5 Limiti del potere di controllo a distanza………...40

2.6 Controlli preterintenzionali………43

2.7 Riforma delle procedure autorizzatorie……….46

2.7.1 Disciplina di mediazione sindacale………....46

Segue. Ipotesi di condotte antisindacali………..48

2.7.2 Disciplina dell’autorizzazione amministrativa……….49

2.8 Rapporto con le specifiche intese………….. ………..51

2.9 Controlli effettuati attraverso i mezzi utilizzati dal lavoratore per adempiere alla prestazione lavorativa………..59

Segue. Risvolti pratici………..61

2.10 Registrazione degli accessi e delle presenze……….69

2.11 Controlli a distanza sull’adempimento della prestazione di lavoro……… ………..74

2.12 Controlli difensivi………...78

Segue. Nozione di “strumenti di lavoro”………...………..91

2.13 Differenze tra giurisprudenza lavoristica e penalistica…………..101

CAPITOLO TERZO LA TUTELA DELLA PRIVACY: BILANCIAMENTO TRA GLI INTERESSI DEL DATORE DI LAVORO E QUELLI DEI LAVORATORI 3.1 Evoluzione del diritto alla privacy………..112

3.2 Rapporto tra privacy e disciplina dei controlli a distanza………...114

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Segue. Liceità della prova nel processo del lavoro………...128 3.4 Rapporti di lavoro pubblico e rapporti di lavoro speciale………...129 3.5 Rinvio al Codice della Privacy ed al reticolato di interpretazioni ed applicazioni rese dal Garante……….131 3.5.1 Informazione e informativa………..132 3.5.2 Rispetto della normativa in tema di protezione dei dati personali e principi correlati………136 3.5.3 Interventi del Garante della privacy………...140 3.6 La “privacy europea”: la Raccomandazione R(2015)5, il Regolamento UE 2016/679 e la Direttiva UE 2016/680………...146 3.7 La corte di Strasburgo: il caso Bărbulescu v. Romania…………...150

CAPITOLO QUARTO

SGUARDO SUL FUTURO DI UNA DISCIPLINA IN FIERI

4.1 Industria 4.0………153 4.2 “Smart Working” o “lavoro agile”……….159 Segue. Un moderno Minotauro: l'accordo del gruppo Intesa San Paolo………..163 4.3 Diritto alla disconnessione………...164 4.3.1 Diritto alla disconnessione nell’ordinamento francese………….166 4.3.2 Prime applicazioni pratiche nazionali………...169

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INTRODUZIONE

In questo scritto si desidera analizzare uno dei temi più importanti interni al rapporto di lavoro, che è caratterizzato naturalmente da una tensione dialettica tra interessi apparentemente contrastanti, la disciplina dei controlli a distanza, a cui è affidato l'ambizioso compito di porre in essere un equilibrio tra le parti.

L'analisi è iniziata nel primo capitolo volgendo uno sguardo verso il passato, alla prima versione dell'articolo 4 nella legge n. 300 del 1970, che abbiamo riscontrato aver avuto fin da subito una “doppia anima” di tutela, volta al bilanciamento, come abbiamo detto, di due interessi insiti nel rapporto di lavoro: l'interesse del datore di lavoro a poter controllare il corretto adempimento della prestazione lavorativa ad opera dei suoi dipendenti e quello non meno importante, dei lavoratori ad essere tutelati nella propria privacy e serenità lavorativa.

Questo scopo era stato raggiunto attraverso gli originari quattro commi, mediante un divieto assoluto di installazione di strumenti che avessero come unico scopo quello di porre in essere un controllo a distanza, preferendo piuttosto il ricorso a controlli “in presenza” in modo tale che fossero protratti per un tempo circoscritto e con la perfetta percezione del lavoratore. Nel comma successivo si limitava la possibilità di ricorrere a detti strumenti soltanto nei casi di esigenze “organizzative e produttive” o di “sicurezza del lavoro” e sempre previo ricorso alle procedure autorizzatorie, che ricoprivano un ruolo di centrale importanza.

La realtà tecnologica e lavorativa nel corso degli anni, è però mutata sempre più rapidamente, rendendo obsoleto l'articolo in questione e costringendo così dottrina e giurisprudenza, nel corso di questi 45 anni,

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a colmare l'inerzia legislativa, attraverso la loro opera interpretativa, nel tentativo di porre in essere un ammodernamento della disciplina, aiutate anche dalla fortunata formulazione aperta della norma in analisi, che ha permesso loro di realizzare un precoce adeguamento ma talvolta con esiti dalla dubbia legittimità, come nel caso dei c.d. controlli difensivi.

Successivamente nel secondo capitolo, entriamo nel cuore dell'argomento, sviscerando il mutamento strutturale e sostanziale che ha posto in essere il decreto legislativo n. 151 del 2015 che senza dubbio è stato fondamentale nel tentativo di porre in essere un riordino ed una semplificazione della materia ma forse tardivo, al punto tale che oggi può apparire superato, in quanto abbiamo visto essere stato una risposta procrastinata a domande che interrogavano il legislatore già da anni. Certamente ha posto in essere un aggiornamento doveroso della materia con una necessaria apertura nei confronti dei controlli a distanza, riconoscendo anche “la tutela del patrimonio aziendale” e sottraendo alle disposizioni del primo comma gli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e “gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. La chiave di volta la troviamo però nel terzo ed ultimo comma, che sembra minacciare una liberalizzazione selvaggia dei controlli, autorizzando l'uso delle informazioni raccolte “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, quindi anche quelli disciplinari ma in realtà l'apparente minaccia nasconde in sé la tutela, attraverso l'esplicito richiamo al Codice Privacy, anche se secondo parte della dottrina questo non determinerebbe esiti significativi, in quanto si tratterebbe di una disciplina risalente al decreto legislativo n. 196 del 2003.

Proprio a questo aspetto ho dedicato il capitolo terzo, all'analisi del diritto alla privacy di cui è stato pioniere il diritto del lavoro, che si è prestato ad essere un apri pista per il suo ingresso nel nostro ordinamento, che prima di allora non riconosceva nessun diritto alla

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“riservatezza” o “privatezza”. Per la prima volta, questa tutela è stata riconosciuta dal legislatore proprio con lo Statuto dei lavoratori e resa applicabile solo all'ambito del rapporto di lavoro, facendo fare un primo passo in avanti a questo diritto, che vedrà nel tempo una maggiore affermazione ed estensione all'intero ambito civilistico, assumendo valenza generale.

Contrariamente a quanto sostiene la dottrina maggioritaria, la tutela dei lavoratori è stata rafforzata ed ancor più definita, grazie al richiamo esplicito al Codice Privacy fatto al nuovo terzo comma. In questo modo i due piani lavorativi: quello giuslavoristico dell'articolo 4 St. lav. e quello civilistico del Codice Privacy, non procedono più parallelamente ma si intersecano definitivamente, diventando due facce della stessa medaglia, rafforzando la salvaguardia offerta ai lavoratori che nel proprio lavoro si realizzano come persone e come tali devono essere tutelate; per cui la fusione delle due discipline, deve essere vista come progresso, grazie anche al fatto che non è coinvolto soltanto il Codice Privacy ma anche tutti gli interventi del Garante, godono della medesima importanza, permettendo in questo modo una tutela in costante aggiornamento e pertanto sempre efficace, in relazione ai rapidi cambiamenti tecnologici che si riflettono sul rapporto di lavoro, coinvolgendo in modo particolare la disciplina dei controlli a distanza, il cui ruolo diventerà sempre più importante.

Nel medesimo capitolo ci occupiamo dei fondamentali incentivi che provengono dalle fonti sovranazionali che attraverso raccomandazioni e regolamenti offrono un substrato comune al fine di spingere gli stati membri alla creazione una tutela di base, uguale per tutti. Concludendo con l'analisi dell'importante sentenza della corte di Strasburgo in merito al caso Bărbulescu v. Romania che rappresenta una prima tappa nel bilanciamento degli interessi in gioco, confermando

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anche che l'attuale posizione del nostro paese, è coerente con la linea di pensiero europea.

Dopo esserci occupati delle origini della disciplina dei controlli a distanza e della riforma che li ha coinvolti, giungiamo al quarto capitolo che si propone di dare uno sguardo sul futuro di una disciplina in fieri, offrendo qualche spunto di riflessione in relazione al fatto che la materia dei controlli a distanza è destinata a mutare ancora. La storia si ripete ciclicamente come osserva Gianbattista Vico nei suoi “corsi e ricorsi storici” ed adesso siamo di fronte ad un altra rivoluzione, la quarta, caratterizzata dall'industria 4.0 la quale ci dimostra che le politiche industriali e quelle del lavoro, devono procedere unitamente ed i controlli a distanza, saranno destinati a svolgere un ruolo fondamentale, in una realtà dove il lavoro sarà desinato ad essere sempre più tecnologico: trasformando il “controllato” anche in “controllore” di una catena di montaggio che non sarà più fatta da uomini e permettendo forme di “lavoro agile” dove l'unica possibilità di controllo sull'adempimento potrà essere a distanza. Il recente Jobs Act in questi termini si presta ed essere definito “oltrepassato” perché l'individualizzazione della tutela potrebbe non essere più abbastanza in relazione ai questi cambiamenti, che sono già una realtà, che è destinata ad evolvesi ancora, se vogliamo che il nostro paese non venga spazzato via dalla quarta rivoluzione industriale.

E' adesso, prendendo atto che la soluzione non è un moderno luddismo, che vedremo, se saranno presi i giusti provvedimenti normativi in grado di permettere un adeguamento tecnologico tale da rivalutare la nostra economia, garantendo sempre il bilanciamento originario tra i diritti del datore di lavoro e quelli dei lavoratori. E' proprio al termine di questo capitolo conclusivo, che parliamo di uno dei primi possibili temperamenti volti ad evitare l'eventuale strapotere del

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datore di lavoro: il diritto alla disconnessione, che nonostante le imprecisioni legislative come tale deve essere trattato.

Gli scenari psico-polizieschi del Grande Fratello immaginati da Orwell possono e devono essere evitati ma dobbiamo necessariamente imporci di cambiare letteralmente prospettiva, per poter mantenere inalterate le tutele di entrambe le parti.

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1 I CONTROLLI A DISTANZA PRIMA DEL JOBS ACT

1.1 La disciplina dei controlli a distanza dal 1970

La disciplina concernente i controlli a distanza dei lavoratori ad opera del datore di lavoro, precedente la riforma attuata attraverso l’art. 23 del decreto legislativo n. 151 del 2015, risale a ben quarantacinque anni prima.

In origine l’art. 4 della legge 300 del 1970 era composto da quattro commi. L’articolo esordiva con un divieto assoluto in capo al datore di lavoro di procedere a controlli a distanza dei propri dipendenti e proseguiva al successivo comma con invece le ipotesi in cui si rendeva possibile l’installazione di strumenti dai quali potesse derivare anche la possibilità di effettuare un controllo a distanza, purché legati alle sole esigenze organizzative e produttive o di sicurezza sul lavoro, si trattava dei cosiddetti controlli preterintenzionali: i quali mirano alla tutela delle predette esigenze e solo indirettamente e incidentalmente, al controllo dei lavoratori, tutto ciò sempre previo accordo sindacale con le rappresentanze aziendali, in mancanza, previo accordo con la commissione interna ed infine qualora mancasse anche questo, sarebbe stato l’Ispettorato del lavoro in caso di necessità, a dettare le modalità d’uso di tali impianti1. La diversa finalità delle due tipologie di controllo

1 E. Stenico, secondo la quale “gli agenti negoziali non dispongono del diritto

individuale del lavoratore, bensì pongono dei “paletti” all’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro”, Il trattamento dei dati personali del lavoratore subordinato: dalla segretezza al controllo in La tutela della privacy del lavoratore (Carinci,De Luca Tamajo, Tosi, Treu), Padova, 2000, p. 127 ss.

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previste dai primi due commi giustificava l’ammissibilità dei secondi rispetto ai primi. Al terzo comma si stabiliva che in caso di apparecchiature esistenti ed in mancanza degli accordi previsti al secondo comma, l’Ispettorato del lavoro avrebbe potuto procedere a dettare delle date entro le quali il datore di lavoro si sarebbe dovuto adeguare a quanto stabilito. Infine, l’ultimo comma prevedeva la possibilità per i datori di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o le commissioni interne, entro trenta giorni di ricorrere al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro.

Da un lato quindi si tutela il lavoratore, il quale è al riparo da ingiustificati abusi da parte del datore di lavoro2, dall’altro però non si

vuole escludere in assoluto la possibilità di utilizzare queste informazioni per procedimenti a carico del lavoratore3.

Restano fuori dal divieto previsto da questo articolo i controlli svolti da investigatori privati, quelli svolti sull’attività non lavorativa, quelli svolti direttamente dal datore di lavoro o mediante la propria organizzazione gerarchica. Diversamente, rientrano nel divieto posto dall’art. 4 st. lav. anche i casi in cui gli impianti audiovisivi e le altre apparecchiature per finalità di controllo siano state installate ma ancora non siano funzionanti, né può essere considerato un esimente il preavviso

2 Le nuove tecnologie permettono al datore di lavoro, la possibilità di profilare il

lavoratore attarverso dati apparentemente non sensibili. Ad esempio, cfr. F. Carinci, Rivoluzione tecnologica e rapporto di lavoro, in DPL,1985, 203 ss; G. Garilli, Tutela della persona e tutela della sfera privata nel rapporto di lavoro, in RCDP, 1992, p. 321 ss.

3 Cassazione 22 Marzo 2011, n.6498 “il lavoratore ha inteso contemperare l’esigenza

di tutela dei lavoratori a non essere controllati a distanza con quella del datore di lavoro”.

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dato ai lavoratori circa l’imminente installazione di tali apparecchiature, essendo sempre necessario l’accordo sindacale, infine neanche il fatto che il controllo sarà discontinuo permette al datore di lavoro di non rispettare l’obbligo di raggiungere un accordo con le rappresentanze sindacali presenti in azienda4.

Questo orientamento è evidente, richiamando una nota pronuncia della Corte di Cassazione nella quale viene detto che “Il divieto posto dall’articolo 4 dello statuto dei lavoratori per il datore di lavoro, di far uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza delle attività dei lavoratori non è escluso né dalla circostanza che tali apparecchiature siano state solo installate ma non siano ancora funzionanti, né dall’eventuale preavviso dato ai lavoratori, i quali siano avvertiti del controllo suddetto, né infine dal fatto che tale controllo sia destinato ad essere discontinuo purché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente”5.

Nel 1970 il legislatore ha quindi stabilito che i controlli dovessero essere “in presenza”, così necessariamente protratti per un tempo circoscritto e con la perfetta percezione del lavoratore. L’intento era di mantenere il controllo in una dimensione “umana”6, senza esasperarlo

con l’uso delle tecnologie, in modo da non ledere la dignità e la riservatezza del lavoratore subordinato. Quindi si fecero prevalere queste necessità rispetto all’esigenza di controllo del datore di lavoro, in favore

4 M. Miscione, I controllo intenzionali, preterintenzionali e difensivi sui lavoratori in

contenzioso continuo, Il lavoro nella giurisprudenza, 9-8/2013, Milano, p. 765 ss.

5 Cass. Sez. lav., 6 Marzo 1986, n.1490.

6 A. Minervini, I controlli sul lavoratore e la tutela dell’azienda, in La giurisprudenza

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del “diritto alla tranquillità”7 del lavoratore che veniva salvaguardata

anche attribuendo un ruolo fondamentale alla tutela collettiva, offerta dai sindacati e dalle commissioni interne ma che come vedremo è destinata oggi a sgretolarsi con la riforma del Jobs Act, in particolare, per quanto riguarda le commissioni interne, gli accordi che le vedevano firmatarie sono destinati a restare in vigore soltanto fino alla loro naturale scadenza senza avere la possibilità di rinegoziare pregressi accordi che le vedevano firmatarie.

Si limitavano dunque al massimo i controlli tecnologici poiché avrebbero permesso un monitoraggio continuo ed occulto, in quanto realizzato dalla macchina sull’uomo e non dall’uomo sull’uomo ed essendo l’attività lavorativa parte importante della vita dell’uomo è necessario che la privacy venga tutelata.

Questa posizione è stata sostenuta anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo dichiarando che “il rispetto della vita privata deve comprendere, entro certi limiti, anche il diritto di stabilire e sviluppare rapporti con altri esseri umani. Inoltre, non sembrano sussistere motivazioni di principio per ritenere che questo concetto di vita privata escluda l’attività di natura professionale o economica, poiché, in fondo, è proprio nel corso della vita lavorativa che la maggior parte degli individui ha un’occasione significativa, se non la più importante, di sviluppare rapporti con il mondo esterno. Questa opinione è suffragata dal fatto che, come giustamente sottolineato dalla Commissione, non

7 P. Ichino, Il contratto di lavoro, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto

da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger , vol. III, Milano, 2003, p. 226; E. Gragnoli, L’informazione nel rapporto di lavoro, Torino, 1996, p. 167.

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sempre è possibile distinguere con chiarezza quali delle attività svolte da una persona appartengono alla sua vita professionale o economica e quali invece non vi appartengono”8.

Questo divieto era sancito al primo comma, il quale vietava l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. L’espressione “attività dei lavoratori” che sarà ripresa anche nel nuovo art. 4 st. lav. è da intendersi in senso più ampio9, rispetto all’espressione “attività lavorativa” che fa riferimento ai

controlli “in presenza” svolti dalle guardie giurate e dal personale di vigilanza, in quanto ricomprende “non solo lo svolgimento delle mansioni ma l’intero comportamento “umano” nel luogo di lavoro”10.

Questo divieto veniva ribadito anche al secondo comma del medesimo articolo, ammettendo previa autorizzazione sindacale o amministrativa l’installazione di certe apparecchiature che potevano permettere anche un controllo a distanza, specificando però che il loro scopo non fosse quest’ultimo, il comma in questione quindi non era una deroga al precedente.

In ogni caso la giurisprudenza maggioritaria coerentemente con quanto detto, escludeva che il datore di lavoro potesse utilizzare informazioni acquisite tramite i suddetti strumenti a scopi disciplinari contro il lavoratore.

8 M. Miscione, I controlli intenzionali, preterintenzionali e difensivi sui lavoratori in

contenzioso continuo, Il lavoro nella giurisprudenza, 8-9, Milano, 2013, 762 ss.

9 A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori, Torino, 1995, p. 65. 10 Cass., 18 Febbraio 1983, n.1236.

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L’assolutezza del divieto era diretta verso i controlli che venivano effettuati tramite impianti audiovisivi ma anche quelli realizzati attraverso qualsiasi altro apparato presente in azienda da cui potesse comunque derivare un controllo a distanza, inclusi quegli strumenti sconosciuti nel 1970. La giurisprudenza non ha accolto la proposta dottrinale di escludere dal raggio di azione della norma gli strumenti di lavoro in quanto tali, anche ove fossero comprese potenzialità di controllo. Questo rigore ha comportato una frequente elusione da parte dei datori di lavoro dell’art. 4 st. lav. al fine di utilizzare i dispositivi in questione al di fuori di qualsiasi procedura sindacale o amministrativa, portando così i datori di lavoro a ricorrere in estrema ratio a modalità di controllo occulto11. E’ stata la giurisprudenza quindi la prima ad aprire

uno spiraglio ai controlli “occulti” e “difensivi” in risposta ad una necessità contingente.

Viene stabilito che nessun divieto può essere posto in capo al datore di lavoro, il quale può svolgere liberamente i propri controlli purché finalizzati non a verificare una mera inadempienza ma la commissione di eventuali illeciti commessi dal lavoratore sul patrimonio aziendale, senza essere necessario che gli illeciti siano già stati commessi ma è sufficiente12 il solo sospetto o la mera ipotesi che gli illeciti siano in

corso di esecuzione13. In questo caso stiamo parlando dei cosiddetti “controlli occulti”. Diversa è invece la nozione dei controlli “difensivi”,

11 R. De Luca Tamajo, I controlli sui lavoratori, in Zilio Grandi (a cura di), I poteri

del datore di lavoro nell’impresa. Atti del Convegno di Studi. Venezia, 12 aprile 2002, Padova, 2002, p. 31.

12 Cass., 9 Luglio 2008, n.18821. 13 Cass. 14 Febbraio 2011, n.3590.

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essi sono quei controlli, svolti non dal datore in persona ma da strumenti audiovisivi e/o informatici che hanno quale scopo quello di verificare eventuali condotte illecite commesse dal dipendente. La sentenza più nota a riguardo dichiara che “ai fini dell’operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori previsto dall’art. 4 st. lav. (…) è necessario che il controllo riguardi l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi fuori dell’ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell’accesso ad aule riservate o gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate”14.

Il legislatore prevede una serie di limitazioni al potere di controllo datoriale al fine di evitare derive e garantire la tutela dei lavoratori15. Nel

caso il datore di lavoro non rispettasse le limitazioni previste, la norma stabiliva una tutela successiva, di tipo giudiziale, impedendo al datore di lavoro l’utilizzabilità delle informazioni ottenute.

L’ex art. 4 st. lav. prevedeva dunque due ordini di limiti. Uno esterno, costituito dal divieto di controllo a distanza del lavoratore in quanto tale, sia diretto che indiretto. Il primo comma quindi vietava l’installazione di qualsiasi strumento volto al mero, continuo ed anelastico controllo del lavoratore. Ammettendo invece solo i controlli effettuati personalmente dal datore di lavoro e attraverso la sua

14 Cass. 3 Aprile 2002, n.4746.

15E. Barraco dice che “per contemperare entrambi gli interessi - del datore di lavoro ai

controlli e dei lavoratori alla dignità e personalità morale - è stato emanato l’art.4 Stat. lav.” in E.Barraco-A.Sitzia, La tutela della privacy nei rapporti di lavoro, Milano, 2012, p. 303 ss.

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organizzazione gerarchica o personale abilitato, reso manifesto ai dipendenti con chiarezza. Elemento positivo della norma era la sua formulazione aperta offerta dalla dicitura “altre apparecchiature”16

permettendo così di farvi rientrare anche nuovi strumenti tecnologici all’epoca non conosciuti.

Un limite interno, consistente nella necessità dell’autorizzazione sindacale o amministrativa allo scopo di tutelare esigenze organizzative, produttive o/e di sicurezza17.

Infine la normativa stabilita dall’articolo in questione è applicabile anche al lavoro pubblico e non solo a quello privato, ciò avviene per effetto dell’art. 51, 2 comma, del decreto n. 165 del 2001, secondo il quale la legge 20 maggio 1970, n. 300, si applica alle amministrazioni pubbliche a prescindere dal numero dei dipendenti.

1.2 Evoluzione giurisprudenziale della norma

Nel corso del tempo, ci sono stati degli adattamenti da parte di dottrina e giurisprudenza dell’originario art. 4 st. lav. dovuti all’inesorabile evoluzione tecnologica a cui siamo andati in contro con il trascorrere degli anni.

16 “È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di

controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.”Articolo 4, comma 1°, legge 300 del 1970.

17 “Non c’è la prevalenza di un interesse sull’altro ma si innesta una procedura di

concertazione diretta a raggiungere una soluzione concordata tra le parti interessate, o comunque procedimentalizzata innanzi all’autorità amministrativa, in modo da contemperare le opposte esigenze”. A riguardo cfr. G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Dir. del lav. cit.,Torino, 2014, 102 ss.

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Tant’è che come vedremo, il Jobs Act non è stato frutto di un improvviso desiderio innovativo del legislatore ma si è trattato piuttosto della presa d’atto di una graduale trasformazione che era stata posta in essere per rispondere alle nuove esigenze che andavano a mano a mano delineandosi sempre più prepotentemente, oltre ad essere un tentativo di riordino e semplificazione della materia in analisi.

L’arrivo della riforma è stato quindi graduale se non tradivo e preceduto dall’opera degli altri personaggi del diritto, diversi dal legislatore, che non potevano ignorare l’inerzia delle imprese e dei sindacati che si stava consolidando come prassi. Le imprese neppure avviavano le trattative per concludere gli accordi previsti dall’art. 4, 2 co. st. lav. ed i sindacati traevano sollievo da questo atteggiamento, evitando di essere così coinvolti in negoziati complessi e di difficile gestione. Talvolta un qualche vantaggio ne potava essere tratto anche dai lavoratori colpevoli di un’infrazione disciplinare anche grave, poiché essendo i controlli posti in essere dal datore di lavoro non conformi alla disciplina, risultavano inutilizzabili in sede processuale per provare la colpevolezza del lavoratore in questione. Si può dire che le modalità di realizzazione di questa tutela trascuravano l’interesse della generalità dei dipendenti alla loro riservatezza.

All’epoca lo sviluppo tecnologico poi, era profondamente diverso da oggi, ma grazie alla lungimiranza della locuzione “altre apparecchiature” si è potuto procedere ad un adattamento interpretativo includendo le strumentazioni informatiche nell’ambito del raggio applicativo della norma, quindi l’art. 4 st. lav. è stato da subito esteso al controllo informatico, poiché il controllo tradizionale non era più idoneo

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a far fronte ai nuovi modelli produttivi e organizzativi dell’impresa. Era diventato necessario controllare l’attività lavorativa attraverso il computer.

Le ragioni, per cui la norma in esame ancora prima della riforma sia andata incontro ad una progressiva e sistematica disapplicazione, sono da ricercare nel fatto che nella prassi la maggior parte degli accordi sindacali, legittimamente nell’ottica negoziale, non si limitavano ad acconsentire o meno all’installazione del sistema di controllo ma inserivano limiti, filtri e condizioni di impiego; ed inoltre gli accordi sindacali come anche le autorizzazioni amministrative, disponevano che nel caso di illegittima acquisizione delle informazioni da parte del datore di lavoro, fosse vietato il loro utilizzo ai fini disciplinari.

L’inarrestabile avvento dell’informatizzazione degli ambienti di lavoro ha finito con il dotare ogni lavoratore di strumenti interessati dall’art. 4 st. lav. mandando in frantumi la sottile linea distintiva tra strumentazione di lavoro e strumentazione di controllo.

La norma, si basava su una presunzione assoluta di lesività di qualsiasi controllo a distanza dell’attività lavorativa ma ha finito con il mostrare la sua eccedenza rispetto allo scopo, soprattutto a seguito dell’introduzione di una generale disciplina a tutela della riservatezza.

L’art. 4 st. lav. si era mostrato troppo rigido nel limitare i poteri del datore di lavoro alla luce dei nuovi interessi datoriali che non potevano essere ignorati: prevenire la commissione di illeciti che con l’evoluzione si erano fatti potenzialmente più gravi ed un interesse alla verifica di una

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corretta prestazione di lavoro ormai informatizzato, pertanto il cosiddetto controllo in presenza era ormai anacronistico18.

Gli strumenti informatici di controllo non dovevano essere ritenuti a prescindere invasivi in se per se, la natura invasiva dipendeva piuttosto dall’uso che ne veniva fatto. Le aumentate esigenze di difesa del patrimonio aziendale che in origine erano completamente ignorate verranno per questa ragione prese in considerazione dalla giurisprudenza.

1.3 Controlli intenzionali e preterintenzionali

L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori parla esplicitamente solo di due tipi di controllo: quello intenzionale, previsto dal primo comma, e quello preterintenzionale, previsto invece dal secondo comma.

Il termine “preterintenzionale” individua “l’elemento psicologico del controllo”19, cioè la sua finalità20. In questi casi il controllo potrebbe

avvenire indirettamente e accidentalmente21. Già prima del Jobs Act si

era individuata la possibilità di strumentalizzare certi tipi di controllo,

18 L. Gaeta, La dignità del lavoratore e i “turbamenti” dell’innovazione, in Lav. e dir.,

1990, p. 209; V. Ferrante, Riflessioni a caldo sulla progettata modifica degli artt. 4 e 13 dello “Statuto”, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi. Atti del X Seminario di Bertinoro-Bologna del 23-24 ottobre 2014, ADAPT labour studies, e-Book series, n. 40 del 2015, p. 119.

19 Russo, Art. 4 Statuto dei lavoratori: nozioni, limiti e possibilità di deroghe, in

QFMB Saggi, 2013, n. 2.

20 Tale espressione è stata coniata da Romagnoli ed è divenuta di uso ordinario in

dottrina e giurisprudenza.

21 Cfr. Lambertucci, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza

del lavoratore: i controlli a “distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (c.d. Jobs Act), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 255/2015; Tufo, Controlli a distanza, rivoluzione copernicana.

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pertanto al primo comma si era sancito un divieto assoluto, se l’obbiettivo era controllare l’operato dei lavoratori, mentre se le esigenze erano diverse, costituendo solo l’occasione del controllo dei lavoratori, allora era ammesso per tali diverse finalità, alle condizioni di cui al secondo comma22, trattandosi di un controllo preterintenzionale. Mantenendo la prestazione in una dimensione umana23 e non potendo

mai utilizzare questa tipologia di controllo in sede disciplinare, nemmeno se si fosse rispettata la procedura di cui all’art. 4 st. lav., limitazione destinata oggi invece a venire meno, si voleva impedire che la tecnologia generasse esasperazioni stacanovistiche24 nei lavoratori arrivando a scenari psico-polizieschi da 1984 di Orwell25.

Discorso a parte deve essere fatto per gli strumenti informatici, afflitti dal problema dell’essere sia strumenti di lavoro che di controllo, così c’era chi li escludeva completamente all’ambito dell’art. 4 st. lav. e chi distingueva tra l’installazione materiale di strumenti tecnologici, cioè gli hardware e l’uso di software di controllo, soggetti all’art. 4 st. lav.. In giurisprudenza era prevalsa la posizione più rigida che assoggettava sia gli hardware che i software all’art 4 st. lav. con esiti davvero paradossali, per cui si stabilì che certe condizioni valessero solo per gli strumenti di

22 G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca “si ha infatti che la tutela della dignità e della

riservatezza del lavoratore, espressa dal divieto del controllo a distanza, è stata bilanciata dal legislatore con la parallela esigenza di tutela della sicurezza del lavoro nonché dell’organizzazione aziendale e della produzione.” Diritto del lavoro, Milano, 2014, pp. 43 - 44.

23 Camera dei Deputati, Relazione dell’VIII Commissione permanente sul disegno di

legge dello Statuto dei lavoratori, 1970.

24 Pera, Sub art. 4, in Assanti C., Pera G., Commento allo Statuto dei diritti dei

lavoratori, Padova, 1972, p. 24.

25 L. Gaeta, La dignità del lavoratore e i “turbamenti” dell’innovazione, in Lav. dir.,

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controllo. Comunque i sindacati sono intervenuti di tanto in tanto, ad esempio in materia di telelavoro, che vede nell’uso degli strumenti informatici la condizione necessaria per adempiere alla prestazione di lavoro, stabilendo che i dati raccolti per la valutazione delle prestazioni lavorative non contrastano con l’art. 4 st. lav. in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto di lavoro26.

1.4 Controlli difensivi: la loro elaborazione giurisprudenziale

Una delle elaborazioni giurisprudenziali più importanti riguarda i cosiddetti “controlli difensivi” con i quali è stata sancita l’inapplicabilità della disposizione in questione in caso di controlli a distanza finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, che avevano ad oggetto comportamenti del lavoratore qualificabili come illeciti extracontrattuali e non inadempimenti contrattuali27.

Una chiara definizione di controllo difensivo si è avuta da parte della Cassazione, la quale li definisce come “controlli a distanza effettuati dal datore di lavoro tramite strumenti audiovisivi e/o informatici al fine di accertare condotte illecite del dipendente”28.

I controlli difensivi sono nati stabilendo la possibilità di effettuare dei controlli al fine di tutelare il patrimonio aziendale previo accordo sindacale o autorizzazione amministrativa.

26 Art. 7 accordo sul telelavoro subordinato settore Commercio del 20 giugno 1997. 27 Cass., 14 Luglio 2001, n.9576.

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Questa categoria di controlli si fa risalire in particolare ad una nota sentenza della Corte di Cassazione29 la quale affermò che l’art 4 st. lav. disciplinava solo i controlli riguardanti direttamente o indirettamente l’attività lavorativa, mentre nell’ipotesi in cui il datore di lavoro volesse svolgere un controllo difensivo, ciò che veniva controllato era l’eventuale illecito del lavoratore, per cui non sarebbe stato necessario in questo caso attivare la procedura di controllo sindacale e/o amministrativo prevista dall’articolo in questione.

A questo venne replicato che il riconoscimento della categoria dei controlli difensivi non poteva comunque dar luogo alla creazione di una forma di esercizio del potere a priori legittima, la sorveglianza difensiva doveva quindi rimanere una modalità di sorveglianza ammissibile solo nei limiti e con le procedure previste dall’art. 4, comma 2, st. lav.

I giudici si pronunciarono a favore di questi controlli, anche se occulti purché volti all’accertamento di un illecito penale; la Cassazione individuava tre tipologie di controlli a distanza: i controlli dell’attività lavorativa, sempre vietati; i controlli preterintenzionali, ammessi previo rispetto della procedura; ed infine i controlli difensivi, sempre ammessi purché fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 4 st. lav.

Questo orientamento giurisprudenziale non convinceva però la dottrina per diverse ragioni: poiché la categoria dei controlli difensivi non poteva assurgere al rango di categoria autonoma; poiché permaneva una difficoltà di distinguere tra controlli difensivi e controlli sull’attività

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lavorativa30, per cui ogni controllo sul lavoratore poteva essere

considerato difensivo31; perchè esisteva il rischio che la dignità e la privacy dei lavoratori venisse lesa; perchè l’espressione “attività dei lavoratori” veniva ricondotta alla sola accezione di attività di lavoro; ed infine c’erano delle forzature nel tentativo di distinguere tra la fattispecie del controllo dell’illecito extracontrattuale e quello vietato del controllo dell’inadempimento contrattuale.

Ulteriore problematica era che la categoria del controllo difensivo finiva con il “legittimare ex ante l’esercizio del potere datoriale”, in vista di condotte che solo eventualmente ex post saranno accertabili. Prima il controllo dovrà essere svolto illecitamente, poiché soltanto a controllo dell’attività lavorativa ormai effettuato sarà possibile procedere alla valutazione della legittimità del controllo stesso32.

Alla luce di queste critiche e a seguito dell’intervento del Garante della privacy il quale, con le Linee Guida del 2007, ha potuto inserire nuove tutele a favore del lavoratore, la Corte correggeva quanto detto dichiarando33 che “l’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite

da parte del dipendente non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore”, con la conseguenza che tale esigenza di

30 M. Miscione, I controlli intenzionali, preterintenzionali e difensivi sui lavoratori in

contenzioso continuo, Il lavoro nella giurisprudenza, 8-9, Milano, 2013, p. 767 ss.

31 Opinione di G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, è che “deve considerarsi che è

pur sempre l’attività lavorativa, quale oggetto del controllo “a distanza”, a segnare lo crimine tra controlli assoggettati alla disciplina posta dalla disposizione in esame e controlli che invece fuoriescono dall’ambito di applicazione della stessa.” Dir del lav., Milano, 2014, p. 47 ss.

32 G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Diritto del lavoro, Milano, 2014, p. 47 ss. 33 Cass.17 Luglio 2007 n. 15892.

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controllo “non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei al rapporto stesso”34.

Un netto cambio di orientamento35 si avrà quando la Cassazione36

deciderà di assoggettare i controlli difensivi alla stessa disciplina di quelli preterintenzionali ma non escludendo l’esistenza di controlli difensivi estranei all’art. 4 st. lav. e mantenendo la tripartizione delle ipotesi di controllo, costituendo ancora i controlli difensivi una fattispecie intermedia tra il divieto assoluto dell’art. 4, co. 1, st. lav. e il divieto flessibile di cui al secondo comma37.

34 Cass. 17 luglio 2007, n. 15892, in RGL, 2008, II, 358, con nota di A. Bellavista;

RIDL, 2008, II, 718 ss, con nota di M. L. Vallauri; Massimario giurisprudenza del lavoro, 2007, pp. 868 - 869, con nota di M. Ranieri.

35 G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Dir. del lav., Milano, 2014, p. 47 ss.

36 Cass. 23 febbraio 2010 n. 4375, dove si afferma che anche i controlli difensivi

sarebbero sottoposti all’obbligo di accordo con le rappresentanze sindacali o con l’Ispettorato del lavoro essendo questi “un controllo c.d. preterintenzionale che rientra nella previsione del divieto flessibile di cui all’articolo 4 comma secondo”.

37 Posizione confermata dalla Sez. lav. con n. 16622 del 1° Ottobre 2012: “l’effettività

del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per i c.d. controlli difensivi trovino applicazione le garanzie del citato articolo 4, secondo comma, e che, comunque, questi ultimi, così come le altre fattispecie di controllo ivi previste, non si traducano in forme surrettizie di controllo a distanza dell’attività lavorativa dei lavoratori. Se per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, possono essere installati impianti ed apparecchiature di controllo che rilevino dati relativi anche alla attività lavorativa dei lavoratori, la garanzia che siano osservate le garanzie procedurali di cui all’articolo 4 comma 2, non consente che attraverso tali strumenti, sia pure adottati in esito alla concertazione con le R.S.A., si possa porre in essere, anche quale conseguenza mediata, un controllo a distanza dei lavoratori che, giova ribadirlo, è vietato dall’articolo 4 comma 1. Il divieto di controlli a distanza ex art. 4 implica che i controlli difensivi ricadano nell’ambito della legge 300 del 1970, articolo 4 comma 2 e, fermo restando il rispetto

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La normativa della privacy complicherà le cose, dicendo che anche il controllo difensivo puro, estraneo all’applicazione dell’art. 4 st. lav. doveva rispettare la disciplina generale sulla riservatezza. La dottrina continuava a sottolineare la difficoltà pratica di distinguere tra “beni estranei” ed “interni” al rapporto di lavoro ed evidenziava che anche chiarendo la distinzione, sarebbe stato comunque complesso porre in essere controlli finalizzati a rilevare condotte lesive dei “beni estranei” senza acquisire informazioni rilevanti sull’attività lavorativa e sui dati sensibili del lavoratore.

Infine giudici del lavoro avevano collocato al di fuori dell’art. 4 st. lav. anche i controlli occulti a difesa del patrimonio aziendale, specificando che si sarebbero dovuti ritenere legittimi solo i controlli difensivi volti ad indagare comportamenti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa.

Segue. Controlli difensivi sull’attività informatica

La diffusione delle tecnologie informatiche e dei sistemi telematici di comunicazione anche nell’organizzazione della produzione, da una parte ha facilitato lo svolgimento della prestazione lavorativa ma dall’altro ha aumentato il rischio per i lavoratori di essere sottoposti a controlli anonimi e pervasivi da parte del datore di lavoro. Abbiamo

delle garanzie procedurali previste, non possono toccare la sfera della prestazione dei singoli lavoratori”.

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quindi la necessità di tutelare gli interessi legittimi del datore di lavoro38

nel rispetto della “vita privata” del lavoratore intesa in senso tale da “consentire il libero sviluppo della personalità del dipendente” e la possibilità per lo stesso di instaurare “rapporti personali e sociali (anche) sul luogo di lavoro”39.

Fino all’entrata in vigore dell’art. 23, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, l’equilibrio tra gli opposti interessi era garantito attraverso la categoria concettuale dei controlli difensivi. Con questa nozione i giudici erano soliti designare le forme di controllo che dovevano essere realizzate all’insaputa del lavoratore sospettato, mentre lo stesso era impegnato nella propria attività lavorativa. In questo modo i giudici avevano costruito una deroga all’art. 3 st. lav., il quale stabiliva che i nominativi e le funzioni del personale “addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa” dovevano essere portati a conoscenza dei lavoratori interessati. La giurisprudenza riteneva che il principio per cui i controlli dovevano essere evidenti fosse dettato per le verifiche esclusivamente sull’esatto adempimento della prestazione lavorativa e non anche per quelle aventi scopo “difensivo”40. Di qui la legittimità dei controlli

occulti posti in essere dal datore di lavoro41 o dal personale di

38 Devono comprendersi i beni materiali e immateriali, come l’immagine esterna del

datore di lavoro: Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, in Riv. it. dir. lav. 2013, II, p. 113 ss., con nota di G. Spinelli, La legittimità dei controlli datoriali c.d. “difensivi”: certezze apparenti in una categoria dubbia.

39 In termini, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Raccomandazione sulla

protezione dei dati in ambito lavorativo, 1 aprile 2015, par. 3.

40 Cass. 18 settembre 1995, n. 9836, in Foro it., 1996, I, c. 609.

41 Così come è stato ritenuto legittimo l’uso da parte del datore di lavoro, di

registrazioni video operate fuori dall’azienda da un soggetto terzo, estraneo all’impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per esclusive finalità “difensive” del

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vigilanza42, ma anche le verifiche poste in essere tramite persone

estranee all’organizzazione aziendale, quali clienti43 o agenzie

investigative44.

I controlli difensivi erano afflitti da una problematica intrinseca, salvo casi eccezionali45: non vi era alcuna possibilità di stabilire se fossero o no legittimi prima del loro esercizio in concreto46, allora i

giudici avevano considerato come “difensivi” non soltanto i controlli che avessero convalidato i sospetti del datore di lavoro ma anche quelli che ne avessero confermato l’intenzione meramente difensiva47. Questa

stessa categoria giurisprudenziale era stata impiegata dai giudici anche quando avevano dovuto stabilire a quali condizioni si potessero installare impianti e dispositivi tecnologici che permettessero un monitoraggio generalizzato.

Occorreva stabilire se l’installazione fosse del tutto libera da condizionamenti oppure la stessa dovesse essere assoggettata al consenso

proprio ufficio e della documentazione in esso custodita nella pronuncia di Cass. 28 gennaio 2011, n. 2117, in Not. giur. lav., 2011, p. 323.

42 Cass. 2 marzo 2002, n. 3039, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, p. 873, che ha ritenuto

legittimo il controllo tramite pedinamento di un informatore farmaceutico da parte del capo area.

43 Cass. 14 luglio 2001, n. 9576. 44 Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590.

45 Emblematico è il caso deciso da Cass. 4 marzo 2014, n. 4984, riguardo il controllo

svolto attraverso un’agenzia investigativa finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex art. 33, legge n. 104/1992. La particolarità risiede nel fatto che l’oggetto del controllo è stato l’eventuale abuso dei suddetti permessi, ragione per cui esso è stato effettuato in fase di sospensione dell’obbligazione lavorativa.

46 L. Nogler, Sulle contraddizioni logiche della Cassazione in tema d diritto alla

riservatezza del lavoratore subordinato, in Resp. civ. prev., 1998, P. 125; in termini, C. Zoli, Il controllo a distanza del datore di lavoro: l’art. 4, l. n. 300/1970 tra attualità ed esigenze di riforma, in Riv. it. dir. lav., 2009, I, p. 501.

47 Essendo la continuità del controllo, invece, un indice rivelatore dell’interesse del

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sindacale o all’autorizzazione amministrativa. La prima soluzione è stata preferita dalla Cassazione solo eccezionalmente qualora i controlli non fossero per nulla in grado di rilevare i comportamenti esecutivi del lavoratore48. In armonia con quanto detto sono state anche quelle

decisioni in merito all’utilizzabilità a scopi difensivi delle informazioni automaticamente registrate dai software utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione. I giudici hanno ritenuto che le attività investigative del datore di lavoro, dirette a ricostruire ex post un preciso comportamento tenuto da un determinato lavoratore, non fossero equiparabili all’installazione ex ante di apparecchiature utili a monitorare attività illecite e quindi le ha ritenute estranee all’ambito applicativo dell’art. 4 st. lav. vigente all’epoca49.

Frequentemente la giurisprudenza aveva ritenuto che i sistemi e gli impianti che il datore di lavoro intendeva installare per scopi difensivi avevano caratteristiche tali da realizzare un “controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e che di conseguenza, la loro installazione dovesse sempre essere autorizzata50. Questo vale anche per i “programmi

48 Cass. 3 parile 2002, n. 4746, in Riv. giur. lav., 2002, II, p. 647, (a proposito degli

apparecchi di rilevazione delle telefonate ingiustificate, in base al presupposto che essi permetterebbero un controllo al quale resterebbe sempre estranea l’attività lavorativa). Anche Cass. pen., 15 dicembre 2006, n. 8042, in Dir. prat. lav., 2007, p. 816.

49 Cass. n. 2722/2012, cit.; ma v., per quanto attiene ad una attività investigativa circa

l’accesso ad una rete telematica di socializzazione, Infra, par. 6.

50 E con l’ulteriore conseguenza che i dati rilevati dagli stessi apparecchi non

avrebbero mai potuto essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale dei lavoratori: così Cass. 1 ottobre 2012, n. 16622, in Foro it., 2012, I, c. 3328, par. 4.4; Cass. 13 maggio 2016, n. 9904, in Foro it., 2016, 7-8, I, c. 2421 (relativamente ad un’apparecchiatura di controllo degli ingressi e delle uscite); Cass. 19 settembre 2016, n. 18302 (con riferimento ai sistemi di captazione e memorizzazione dei dati identificativi dei contatti internet); Cass. 5 ottobre 2016, n. 19922 (in ordine ad sistema di localizzazione installato sulle autovetture).

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informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi ad internet” quando gli stessi “in ragione delle loro caratteristiche, consentono al datore di lavoro di controllare a distanza e in via continuativa durante la prestazione, l’attività lavorativa e se la stessa sia svolta in termini di diligenza e di corretto adempimento”51.

1.5 Controlli sul quantum della prestazione lavorativa

Il testo originario dell’art. 4, co. 1, st. lav. vietava l’uso di impianti audiovisivi e di altre attrezzature volte al controllo a distanza dei lavoratori, al secondo comma ammetteva l’istallazione di strumenti che permettessero anche una forma di controllo purché fossero finalizzati a tutelare esigenze organizzative, produttive e di tutela della sicurezza sul lavoro. L’intenzione del legislatore nel 1970 era quella di “porre degli argini al potere dell’imprenditore”52 e tutelare la libertà e la dignità dei

lavoratori, impedendo che fossero soggetti a controlli invadenti ed assidui53. Gradualmente però l’evoluzione tecnologica ha reso l’art. 4 st.

lav. sempre più inadeguato alla tutela delle nuove esigenze ed allora intervenne la giurisprudenza con la sua interpretazione creativa, attraverso la quale elaborò la nozione di “controlli difensivi” per legittimare l’uso degli strumenti tecnologici ma si mostrò spesso

51 Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, p. 564.

52 L. Gaeta, La dignità del lavoratore e i “turbamenti” dell’innovazione, in Lav. dir.,

1990, p. 207.

53 R. De Luca Tamajo, Presentazione della ricerca, in R. De Luca Tamajo (a cura di),

Nuove tecnologie e tutela della riservatezza dei lavoratori, Angeli, Milano, 1988, p. 12; F. Fusco, Il pomo della discordia: il badge come strumento di controllo a distanza?, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 31 ss.

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ondivaga ed incerta nella ricostruzione di quali fossero i controlli leciti e quali no54. Cercò anche di sostenere che il datore di lavoro non era tenuto al raggiungimento di un accordo per installare strumenti utili all’adempimento della prestazione di lavoro attraverso i quali fosse anche possibile l’esercizio di un controllo55; questo orientamento però

non prevalse ma il rigore predominante imposto, comportò una sostanziale inosservanza della norma56.

Anche in relazione ai badges con cui si registravano gli orari di entrata e di uscita dei dipendenti ci furono opinioni discordanti. In principio si ritenne che non fosse necessario il rispetto della procedura prescritta dall’art. 4 st. lav in quanto non si trattava di un controllo vero e proprio ma semplicemente di una verifica del rispetto dell’orario di lavoro e “neppure lontanamente assimilabile all’occhio del padrone che scruta da lontano i dipendenti”57.

Anche la dottrina aveva sottolineato che era difficile asserire che il ricorso al “marca-tempo” azionato dal dipendente potesse costituire una minaccia per la riservatezza e la dignità dal lavoratore, considerato che la relativa verifica non implicava alcun controllo assiduo, anelastico o intrusivo sul comportamento della persona.

54 Delle altalenanti posizioni giurisprudenziali se ne occupano P. Lambertucci, Potere

di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza del lavoratore: i controlli “a distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (c.d. Jobs Act), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT, n. 255/2015, p. 9 ss.; R. Del Punta, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro (art. 23, d. lgs. n. 151/2015), in Riv. it. dir. lav., 2016, I, p. 85 ss.

55 P. Ichino, Il controllo di lavoro, Giuffrè, Milano, 2003, III, p. 234. 56 R. Del Punta, op. cit., p. 84.

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La Corte Suprema però successivamente mise in discussione questo orientamento accogliendo un’interpretazione particolarmente favorevole ai lavoratori58. Il caso concerto riguardò un datore di lavoro, che

incrociando i dati ottenuti attraverso i badges di accesso ai garages aziendali, con quelli rilevati all’ingresso degli uffici, constatò che il dipendente non rispettava l’orario di lavoro. In questa occasione quindi la corte stabilì che il controllo sull’attività lavativa non riguardava solo le modalità di svolgimento ma anche il quantum, pertanto la verifica dell’orario di lavoro doveva rientrare nella categoria dei controlli sull’attività dei lavoratori ed in quanto tale avrebbe dovuto soggiacere alle imposizioni dell’art. 4, co. 2, St. lav.59, a seguito di questa sentenza

le successive pronunce non sono più state univoche e concordanti60.

1.6 Diverso orientamento della giurisprudenza lavoristica e penalistica

L’art. 4 st. lav. nella sua formulazione originaria prevedeva un divieto del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, salvo quando questo fosse una diretta oltre che necessaria conseguenza

58 F. Fusco, op. cit., p. 33. Vedi anche E. Villa, La prevenzione dei reati informatici:

fra limiti al potere di controllo e tutela della privacy dei lavoratori, in C. Zoli, D. Fondaroli (a cura di), Modelli organizzativi ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Torino, 2014, p. 134, la quale sottolinea, in relazione alla disciplina della prevenzione dei reati informatici, che “la somma delle tutele dell’art. 4 st. lav., del codice della privacy e delle linee guida del Garante, ha finito per creare una “rete” troppo intricata che impedisce di bilanciare in modo equilibrato gli interessi dei prestatori e quelli dei datori di lavoro”.

59 Cass. 17 luglio 2007, n. 15892.

60 Si erano affiancate decisioni di segno contrario, come ad esempio, Trib. Napoli, 23

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dell’installazione di impianti o altre apparecchiature installati per scopi organizzativi, produttivi o di sicurezza sul lavoro61. Era poi comunque necessario raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali e in caso di mancato accordo si sarebbe dovuti ricorrere ad un’autorizzazione amministrativa mediante istanza all’Ispettorato del lavoro62.

Per quanto riguarda i profili penali, fino al 2003 l’art. 38 st. lav. prevedeva la sanzione dell’ammenda da lire 300.000 a lire 3.000.000 o l’arresto da 15 giorni ad un anno per la violazione degli artt. 2, 4, 5, 6, 8 e 15 st.lav., nei casi più gravi le pene erano applicate congiuntamente, quando per le condizioni economiche del reo l’ammenda risultava insufficiente il giudice poteva aumentarla fino al quintuplo.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 196 del 200363 il richiamo agli

artt. 4 ed 8 dello Statuto dei lavoratori è stato soppresso.

Per quanto riguarda la successione delle leggi penali nel tempo non si erano posti particolari problemi, la maggioranza aveva optato per la sussistenza di un’ipotesi di continuità normativa, disciplinata dal comma 4 dell’art. 2 c.p., in quanto le condotte tipiche ed il regime sanzionatorio erano gli stessi. Veniva meno solo la clausola della sussidiarietà prevista dall’art. 38 st. lav. non ripresa dall’art. 171 del cod. privacy64. Sul piano

61 P. Salimbeni, Sub. art. 4, in De Tamajo, Mazzotta, Commentario breve alle leggi sul

lavoro, Padova, 2013, p. 724; T. Padovani, Il controllo a distanza dell’attività lavorativa svolta mediante elaboratori elettronici, in Riv. it. dir. lav., 1985, II, p. 252 ss.

62 Ex art. 4, co. 2, St. lav. 63 Codice Privacy.

64 Cass., sez. III, 16 ottobre 2009, n. 40199, in Dir. e pratica lav., 2009, p. 2664 ss.;

Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2009, n. 40200. Cfr. M. Grotto, La rilevanza penale del controllo datoriale attraverso gli strumenti informatici, in Dir. inf., 1, 2014, p. 57 ss.

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applicativo la giurisprudenza ha ritenuto integrato il “reato di pericolo” sussistendo tutti gli elementi costitutivi, anche nel caso di mera disposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l’attività dei lavoratori, in quanto per la punibilità non è richiesta la messa in funzione o il concreto utilizzo di tali strumenti65. Dall’altro lato ha negato la sussistenza del reato, quando l’installazione di queste apparecchiature è avvenuta con il consenso di tutti i lavoratori anche in difetto di autorizzazione sindacale66.

Gli artt. 4 e 38 st. lav. non implicavano il divieto dei controlli difensivi del patrimonio aziendale rispetto ad azioni delittuose da chiunque commesse, tanto che potevano essere utilizzati gli elementi probatori acquisiti tramite riprese filmate anche se l’imputato fosse stato un lavoratore subordinato67.

Alla questione dei controlli difensivi è collegata la questione dei controlli preterintenzionali quando il datore avesse riscontrato comportamenti illeciti pur avendo ottemperato alla procedura di cui all’art. 4, co. 2, st. lav.. La dottrina sosteneva che le rivelazioni dovevano essere effettuate in coerenza con le legittime finalità dell’impiego di tali strumenti e ottemperare alle esigenze organizzative, produttive o attinenti

65 Cass. pen., sez. III, 12 novembre 2013, n. 4331; Cfr. diversamente, Cass. pen., sez.

III, 15 dicembre 2006, n. 8042; Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2009, n. 40199; Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2012, n. 22611.

66 In proposito, Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2012, n. 22611, in Foro it., 2012, 11, II,

p. 593.

67 Cass. pen., sez. V, 18 marzo 2010, n. 20722, riguardo la condanna di una commessa

per appropriazione indebita, in quanto sorpresa tramite una telecamera, mentre sottraeva denaro dalla cassa dell’esercizio commerciale. Cfr. R. Galardi, Il controllo sugli accessi ad internet al vaglio della Cassazione nella giurisprudenza di merito (App. Milano 30 settembre2005), in Notiz. Giur. lav., 2006, p. 100 ss.

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alla sicurezza del lavoro fermo restando che “l’utilizzazione, anche casuale, dell’impianto per finalità di controllo dei lavoratori dovesse considerarsi sempre illegittima”68. Parte della giurisprudenza

diversamente preferiva la “soluzione positiva argomentando indirettamente dall’inutilizzabilità dei dati acquisiti in violazione dell’art. 4, co. 2, st. lav.”69.

La giurisprudenza penalistica riteneva, ad ogni modo, che l’eventuale carattere difensivo del controllo lo rendesse legittimo a prescindere dall’osservanza dei requisiti previsti dall’art. 4 st. lav. se dettato dalla legittima esigenza di difendere il patrimonio aziendale o diretto ad accertare condotte illecite.

Per quanto riguarda i controlli indiretti, in molti hanno sostenuto la configurabilità del reato di cui agli art. 4, co. 2, e art. 38 st. lav. nei casi in cui il datore di lavoro senza preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, avesse installato delle telecamere che, seppur destinate al controllo degli utenti, rendessero comunque possibile il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti.. In tali ipotesi è stato ritenuto irrilevante che l’installazione delle telecamere avesse preceduto l’organizzazione della rappresentanza sindacale perché in questo caso la questione avrebbe riguardato la permanenza degli apparecchi in precedenza installati70.

68 P. Lambertucci, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza

del lavoratore: i controlli a “distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (c.d. Jobs Act), WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 255/2015, p. 1.

69 Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Riv. it. lav., 2010, II, p. 504, con nota di Galardi,

richiamata anche da Lambertucci, nota 36.

(36)

Lo Statuto dei lavoratori nonostante approvato in un contesto tecnologico ben diverso è comunque riuscito attraverso il “filtro” giurisprudenziale, a rappresentare un vero e proprio punto di riferimento normativo essenziale per la disciplina delle nuove forme di controllo a distanza, realizzabili a mezzo di “apparecchiature” anche “elettroniche” o “telematiche”, ben diverse da quelle utilizzate negli anni ‘7071. Un

intervento legislativo risultava in realtà improrogabile per evitare un’inammissibile interpretazione in malam partem della norma, soprattutto per rispondere alle nuove esigenze emergenti con l’evoluzione tecnologica.

71 A. Rossi, La libertà e la professionalità dei lavoratori di fronte alle nuove

tecnologie informatiche, in QG, 2, 1983, p. 220; cfr. A. Bellavista, Il controllo sui lavoratori, Torino, 1995, p. 103 ss.

(37)

2 L’INTERVENTO DEL JOBS ACT SUI CONTROLLI A DISTANZA

2.1 Necessità di una riforma

L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori è stato riformulato1 dall’art. 23

del decreto legislativo n. 151 del 20152 intitolato “Semplificazioni in materia di lavoro e pari opportunità” e poi corretto con l’art. 5, co. 2, decreto legislativo n. 185 del 2016, la cui modifica è divenuta simbolo della riforma attuata dal Jobs Act, che è stata una risposta del legislatore alle crescenti proteste delle imprese, determinate dall’avvento delle nuove tecnologie e dal fatto che il precedente art. 4 st. lav. aveva ormai risvolti applicativi anacronistici e paradossali a causa dell’imprescindibile uso degli strumenti informatici e dell’evoluzione tecnologica sempre in rapida crescita, che hanno finito con il rendere la modalità dei controlli in presenza inadeguati, facendo nascere nuove esigenze di controllo. Questa inadeguatezza ha condizionato fortemente l’evoluzione interpretativa degli artt. 2 e 3 dello Statuto, con riferimento

1 I sindacati sono dell’opininone che questa riforma stia realizzando una situazione di

subalternità del lavoratore. Ad esempio, Lattuada, segretario generale CGIL Lombardia, e Gorla, Segretario Generale Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, sostengono che “la riforma del lavoro che il Governo sta realizzando, tramite la legge delega 183/2014, prevede uno smantellamento, decreto dopo decreto, del valore del lavoro che la nostra Costituzione pone a fondamento della Repubblica a garanzia della libertà e della possibilità di partecipazione attiva delle persone alla vita sociale del Paese”. Guida al Jobs Act., in I quaderni di wikilabour, Milano, 2015, 39 - 40.

2 A. Stanchi sottolinea che la notizia della riforma dell’articolo in esame ha portato

con se accese polemiche riguardo una “intollerabile intrusione” nella vita privata dei lavoratori. Nel Jobs Act il nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, G. al Lav., Milano, numero 38, 2015, p. 39 ss.

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