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Soluzioni a supporto compatto per modelli di evoluzione di cellule tumorali

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Academic year: 2021

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1 Elementi biologici e modelli matematici 1

1.1 Dizionario . . . 1

1.2 Modelli tumorali. Il punto di vista medico-biologico . . . 7

1.2.1 MTS . . . 9

1.3 Modelli matematici per tumori avascolari: ODE . . . 12

1.3.1 Un primo modello per gli MTS . . . 12

1.3.2 Principali ODE per l’evoluzione tumorale . . . 13

1.3.3 Derivazione di un’equazione generale per la crescita ontogenetica 15 1.4 Modelli per tumori avascolari: PDE . . . 18

1.4.1 Modello a frontiera libera . . . 18

1.4.2 Modello Casciari-Stirchos-Sutherland . . . 21

2 Soluzioni a supporto compatto per un modello di cancro al pan-creas 25 2.1 Definizione del problema e metodo scelto . . . 25

2.1.1 La scelta del cancro al pancreas e della densità spaziale . . . . 25

2.2 Scelta del modello matematico . . . 28

2.2.1 Equazione per la densità . . . 28

2.3 Ricerca di soluzioni a supporto compatto . . . 31

2.3.1 Studio in R . . . 31

2.4 Studio in Rn . . . 37

2.4.1 Il metodo Pucci-Serrin-Zhou . . . 37

2.4.2 Soluzione in Rn . . . 43

2.4.3 Una soluzione definita ovunque in Rn . . . 44

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Elementi biologici e modelli

matematici

1.1

Dizionario

In questa sezione raccogliamo e definiamo i termini biologici fondamentali per lo sviluppo del lavoro.

Tumore Tumore o cancro è un termine utilizzato per un largo insieme di malattie che possono attaccare ogni parte del corpo umano. La caratteristica principale che le accomuna è la rapida formazione di cellule anomale all’interno di uno specifico organo, che si sviluppano a discapito delle cellule sane. Le cellule anomale possono in una seconda fase invadere altri organi, diffondendosi tra-mite i vasi sanguigni: questo processo si chiama metastasi ed è la principale causa di morte per cancro. (www.who.int)

Fase avascolare-vascolare-metastatica Un tumore ha due fasi di sviluppo di-stinte: nella prima, detta avascolare, il blocco di cellule tumorali si sviluppa all’interno di uno specifico organo, sottraendo nutriente alle cellule. Nella se-conda, detta vascolare, il tumore sviluppa i propri vasi sanguigni in modo da ottenere nutriente in modo più diretto e capillare e continuare il suo processo di crescita. In seguito alla formazione di vasi sanguigni si verifica il fenomeno di metastasi, ovvero alcune cellule tumorali prendono la via dei vasi sanguigni e si stanziano in altre zone, installando nuove basi per lo sviluppo di altri blocchi tumorali. Questa fase è quella che genera i maggiori danni per il paziente. Angiogenesi Significa creazione di nuovi vasi sanguigni. La fase vascolare della

vita di un tumore prevede appunto angiogenesi. Tra le cure anti-tumorali che vengono sperimentate, alcune mirano proprio a bloccare l’angiogenesi per evitare l’insorgere del processo di metastasi.

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Nutriente Tutte le cellule necessitano di fonti di energie per svolgere le loro fun-zioni e riprodursi. Ottengono tale energia da nutrienti, ad esempio ossigeno e glucosio, che si diffondono all’interno dell’organismo principalmente attraverso i vasi sanguigni. Questo vale sia per le cellule sane che per quelle tumorali. È importante sia capire precisamente il ruolo dei nutrienti nella nascita e cresci-ta di cellule tumorali, sia le capacità di diffusione all’interno dell’organismo, poiché le cellule interne di un tumore in fase avascolare muoiono proprio per mancanza di nutrienti, che non possono viaggiare efficacemente attraverso il blocco tumorale proprio per la mancanza di vasi.

Necrosi Forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma cellulare. Apoptosi Forma di morte cellulare. Al contrario della necrosi, l’apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP) e gene-ralmente porta a un vantaggio durante il ciclo vitale dell’organismo (è infatti chiamata a volte morte altruista o morte pulita). Durante il suo sviluppo, ad esempio, l’embrione umano presenta abbozzi di mani e piedi palmati : affinché le dita si differenzino è necessario che le cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano.

MTS Multicellular Tumor Spheroids (Sferoidi Tumorali Multicellulari). Per studia-re l’evoluzione di un tumostudia-re in fase avascolastudia-re vengono coltivate popolazioni cellulari in vitro con fini sperimentali. In questo modo si può simulare la com-petizione tra cellule sane e tumorali per ottenere il nutriente. Un MTS, come suggerisce il nome, ha una crescita a simmetria sferica, il che ne facilita lo stu-dio. Le sue cellule si presentano in tre possibili stati: proliferativo, quiescente e necrotico.

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Mitosi È il processo durante il quale una cellula si suddivide in due cellule identiche tra loro, e identiche, dal punto di vista del DNA, alla cellula generatrice. Fagocitosi È il processo attraverso cui alcune cellule (dette fagociti) fagocitano,

ovvero inglobano rimuovendo, altre cellule. Ci interessa un unico tipo di fagocitosi, che è quella operata dai macrofagi sulle cellule morte.

Drug delivery È il termine con cui viene indicato lo studio di come vengano tra-sportati composti farmaceutici attraverso il corpo umano. Il fine di tale studio è sviluppare conoscenze chimiche e biologiche, tecnologie, informazioni speri-mentali con il fine di permettere il trasporto sicuro e non dannoso attraverso il corpo umano di medicinali, e di centrare la zona del corpo obbiettivo. Le tecnologie possono coinvolgere la fase di rilascio, assorbimento, distribuzione ed infine eliminazione del farmaco.

Tumore al pancreas Fonte: www.airc.it.

Cos’è Il pancreas è un organo a forma di pera situato in profondità nell’ad-dome, tra lo stomaco e la colonna vertebrale.

È suddiviso in tre parti: la più grande viene chiamata testa, quella mediana corpo e la parte più sottile è denominata coda.

Figura 1.2. 1. Testa 2. Processo uncinato 3. Istmo 4. Corpo 5. Faccia anteriore 6. Faccia inferiore 7. Margine superiore 8. Margine anteriore 9. Margine inferiore 10. Tubercolo pancreatico omentale 11. Coda 12. Duodeno (da www.wikipedia.org)

Il pancreas produce diversi ormoni molto importanti per l’organismo tra i quali l’insulina, che regola il livello degli zuccheri nel sangue, ed enzimi che consentono la digestione. Questi sono trasportati da appositi dotti attraverso il pancreas e poi nei dotti biliari, che li veicolano all’intestino.

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Evoluzione tumorale Circa il 70% dei tumori del pancreas si sviluppa nella testa dell’organo, e la maggior parte di questi ha origine nei dotti che trasportano gli enzimi della digestione.

Le cellule tumorali che crescono nel pancreas si diffondono purtroppo con grande facilità ai linfonodi vicini e ad altri organi quali i polmoni e il fegato, oppure possono diffondersi nell’addome dando luogo alla cosiddetta carcinosi peritoneale.

Inoltre il tumore del pancreas non si fa sentire fino a quando non ha raggiunto dimensioni notevoli o quando ostruisce vasi importanti. Questo, insieme alla posizione e ai rapporti con gli altri organi dell’addome, rende il tumore del pancreas una delle forme di neoplasia più difficili da curare.

Diagnosi Quando c’è il sospetto di un tumore del pancreas si possono fare diversi esami per verificare se il dubbio sia fondato.

Le forme più moderne di TC (tomografia computerizzata) spirale o elicoidale, sono in grado di rilevare i tumori del pancreas e dei linfondi, del fegato e dei dotti biliari.

Un altro esame è quello ecografico, sia esterno, dell’addome, sia interno, effet-tuato per via endoscopica attraverso lo stomaco e il duodeno.

In presenza di ittero (colorazione gialla della pelle) è necessario controllare se i dotti biliari sono ostruiti e se tale ostruzione è dovuta a un tumore. Per fare ciò si può ricorrere a tre diversi esami: la colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), la colangiografia transepatica percutanea e la colangio-risonanza magnetica. Quest’ultimo è il meno invasivo dei tre e permette di ottenere una buona definizione della sede dell’ostruzione; non consente però di effettuare una biopsia per cercare la presenza di cellule tumorali, cosa che è invece possibile con entrambe le altre metodiche.

Come si cura Una piccola percentuale di malati di tumore del pancreas viene identificata quando il tumore è ancora localizzato e viene dunque sot-toposta a un’asportazione chirurgica che ha qualche probabilità di successo, anche se l’intervento è complicato e gravato da molti rischi.

L’intervento chirurgico è diverso a seconda della localizzazione del tumore. Per i tumori della testa del pancreas è indicato l’intervento di duodenocefalopan-creasectomia (DCP) che prevede l’asportazione in blocco di duodeno, ultima parte di stomaco, via biliare e testa pancreatica. In caso di tumori del corpo e della coda queste porzioni di pancreas vengono asportate in blocco con la milza, senza intaccare organi del tubo digerente.

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La DCP è considerata l’operazione più complessa di tutta la chirurgia addo-minale, e tutte le operazioni descritte sono associate a una mortalità che può arrivare al 10% e comunque non sono sempre possibili, dato che la malattia si diffonde con rapidità.

Dopo l’intervento può essere necessario eseguire una chemioterapia, che rap-presenta anche l’unica arma a disposizione, insieme alla radioterapia, per i tumori che non sono operabili.

Chi è a rischio Le persone più a rischio sono quelle che si trovano nella fascia d’età compresa tra i 60 e gli 80 anni: il tumore del pancreas è assai raro tra chi ha meno di 40 anni.

I fumatori hanno un rischio che è circa triplo rispetto a quello di chi non fuma. Un altro fattore di rischio certo, anche se non ancora chiaro nei dettagli, è rappresentato dal diabete non insulino-dipendente (ovvero quello che in ge-nere si manifesta dopo i 45 anni di età) e da alcune malattie genetiche rare quali la sindrome di von Hippel-Lindau. Anche alcol e caffè sono sospettati di favorirne lo sviluppo, così come alcune esposizioni professionali a solventi di uso industriale e agricolo e a derivati della lavorazione del petrolio.

Esiste un chiaro legame con l’obesità: una revisione pubblicata dagli epide-miologi del Karolinska Institute di Stoccolma ha dimostrato che esiste una relazione in entrambi i sessi, soprattutto quando il grasso è stratificato sull’ad-dome e quando sono presenti l’intolleranza al glucosio, la resistenza all’insulina e il diabete.

La presenza in famiglia di altri casi o di tumori della mammella o del colon costituisce un fattore di rischio aggiuntivo, in genere riconducibile a specifi-che mutazioni genetispecifi-che ereditarie, specifi-che hanno un ruolo molto importante nello sviluppo della neoplasia. Infine, essendo un organo fondamentale per la dige-stione, anche la dieta ha un ruolo importante: un’alimentazione ricca di grassi e proteine animali sembra collegata all’insorgere della malattia.

Ricerca medica Data la gravità di questa patologia, la ricerca sta atti-vamente cercando una soluzione. I filoni più promettenti riguardano l’iden-tificazione di proteine specifiche espresse dal tumore, che potranno diventare bersaglio di terapie mirate. In questo senso vanno sia la recente identificazione di una proteina, chiamata palladina, che è rappresentata in maniera massiccia sulla superficie delle cellule neoplastiche, sia la scoperta di microRNA come firma genetica della malattia. Questi potranno in futuro essere molto utili per

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una diagnosi precoce dei soggetti più a rischio. Al momento, però, si tratta solo di riscontri di tipo sperimentale.

Alcuni farmaci biologici sono già utilizzati nella terapia del cancro pancreati-co. Sono in corso alcune sperimentazioni con farmaci in grado di potenziare l’azione del sistema immunitario contro il tumore. Nessuna di queste terapie appare al momento risolutiva anche se alcune hanno mostrato un allungamento dell’aspettativa di vita dei pazienti.

Quanto è diffuso Si stima che ogni anno si manifestino in Italia 5.500 casi tra gli uomini e 5.900 tra le donne (stime Registro tumori italiano 2012), con un aumento dei casi proporzionale all’età ed equamente distribuito tra i due sessi.

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1.2

Modelli tumorali.

Il punto di vista

medico-biologico

Un tumore attraversa diverse fasi nella sua vita prima di diventare dannoso per il paziente. Cerchiamo di percorrere velocemente i passi principali.

Nascita del tumore Sebbene le cause dell’insorgere di un tumore ancora non siano chiare, si è d’accordo sul fatto che si generi a partire da mutazioni genetiche che trasformano una cellula sana in una tumorale, vedi [MIN04]. I fattori che attivano tali mutazioni sono ancora sconosciuti, dal punto di vista matematico dobbiamo quindi concentrarci sulle conseguenze di tali mutazioni. La prima conseguenza è che le cellule tumorali che riescono a svilupparsi lo fanno con tassi di crescita superiori a quelli delle cellule normali, e tassi di morte inferiori. Questo dà vita a un blocco di cellule che si sviluppano molto velocemente.

Prima fase di sviluppo: fase avascolare Il blocco di cellule tumorali si svi-luppa all’interno di un organo, e molto velocemente rispetto alle altre cellule. Lo sviluppo continua fino al raggiungimento di una dimensione massima, che dipende dall’organo coinvolto, dall’organismo e da altri fattori. Il fatto che un organo abbia una dimensione massima possibile va ricercato nel rapporto tra nutriente consumato dalle cellule tumorali (un consumo più alto rispetto alle cellule normali, visti i tassi di crescita) e la velocità con cui il nutriente può diffondersi all’interno del blocco di cellule (basata sulla velocità di diffusione richiesta dalle cellule sane, quindi più bassa).

Seconda fase di sviluppo: fase vascolare Il passo determinante per lo svilup-po del tumore è l’angiogenesi. Una volta raggiunta la dimensione massima svilup-possibile il blocco di cellule tumorale inizia a sviluppare dei vasi sanguigni propri. In questo modo le cellule tumorali possono ottenere il nutriente in modo più efficace. Oggi uno degli obiettivi della ricerca medica è sviluppare farmaci in grado di bloccare l’angiogenesi (ci sono ovviamente delle controindicazioni) in modo da tagliare i ri-fornimenti al blocco di cellule tumorali, da cristallizzare il tumore in fase avascolare, rendendolo così molto meno offensivo per il paziente.

Terza fase di sviluppo: fase metastatica Attraverso i vasi sanguigni creatisi nei fenomeni angiogenetici alcune cellule tumorali viaggiano nel corpo e si stanziano in altre zone, installando nuove basi per lo sviluppo di altri blocchi tumorali. Questa fase è quella che genera i maggiori danni per il paziente.

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Dopo aver delineato a grandi linee le fasi principali della vita di un tumore, vediamo in cosa consiste la ricerca matematica in questo campo.

Comprendere il processo di nascita delle cellule tumorali Sono utili alla ricerca medica dei modelli matematici che tentino una descrizione dei processi di mutazione genetica che portano una cellula sana a trasformarsi in una tumorale. Una volta ottenuto il modello è possibile confrontare le simulazioni numeriche con i dati sperimentali, come solito nella ricerca interdisciplinare. Una review su questi temi è [MIN04].

Prevedere l’evoluzione del tumore in fase avascolare Sebbene la fase più dannosa per il paziente sia quella vascolare, risultati notevoli in termini di predi-cibilità sui tumori in fase avascolare sono di grande interesse anche da un punto di vista medico-biologico, perché possono aiutare il processo di diagnosi preventi-va1, e perché la fase avascolare racchiude molti degli aspetti tipici dello sviluppo

del tumore in tutta la sua esistenza. In aggiunta citiamo due aspetti sperimentali che spingono verso lo studio dei tumori in fase avascolare: i dati raccolti in questa fase sono alquanto costanti (rispetto alla fase vascolare), ovvero il comportamento dei tumori in questa fase è piuttosto regolare, mentre dopo si differenziano molto a seconda dell’organo coinvolto e dell’individuo; in secondo luogo è possibile riprodur-re in vitro e quindi studiariprodur-re ampiamente gli MTS (multicellular tumor spheroids), di cui parleremo ampiamente nel prossimo paragrafo, che riproducono abbastanza fedelmente lo sviluppo tumorale.

Bloccare l’angiogenesi Come spiegato, si suppone che l’angiogenesi sia il pro-cesso che permette al tumore di diventare fatale per il paziente. Tale ipotesi è supportata dagli esperimenti in vitro sugli MTS. I modelli matematici in questo settore potrebbero permettere di prevedere le conseguenze del blocco dell’angio-genesi, permettendo di controllare gli effetti benefici e arginare i danni collatera-li. Sullo stato dell’arte nella sperimentazione di farmaci anti-angiogenetici e sugli effetti indesiderati: http://www.cancer.gov/cancertopics/factsheet/Therapy/ angiogenesis-inhibitors; una review dei principali modelli matematici utilizzati è [MWO04].

Ottimizzare il trasporto dei medicinali attraverso il corpo verso la zona desiderata (drug delivery) Gli effetti di un medicinale nelle zone di passaggio

1Come sottolineato da Murray in [Mur01], l’interesse nel campo applicato dei risultati teorici è

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del corpo umano sono tutt’altro che trascurabili: vanno dunque analizzati da un punto di vista medico-biologico. Inoltre questo campo è già molto studiato anche dal punto di vista modellistico-teorico. Un’introduzione un po’ datata al concetto di modellizzazione in questo settore è [Jai01], mentre i risultati più recenti si trovano sulla rivista Advanced Drug Delivery Reviews.

Dal punto di vista clinico è normale che le fasi più interessanti siano quella vascolare e soprattutto quella metastatica, poiché sono quelle che causano i dan-ni maggiori nei pazienti, e le fasi fondamentali da comprendere per creare terapie antitumorali efficaci. Il modo di procedere della matematica, tuttavia, è partire dal-l’inizio dei problemi e da una modellizzazione semplice, per poi aggiungere dettagli e informazioni, in modo da costruire un quadro quanto più completo possibile. Ciò che si può affrontare in un primo momento è dunque la fase avascolare, studiando l’evoluzione di un blocco cellulare tumorale a discapito della popolazione di cellule sane, con le quali si spartisce i nutrienti, e questo va interpretato come il primo, necessario, passo verso la modellizzazione dell’evoluzione tumorale in toto. Nella prima parte di questo lavoro vederemo dunque come sono costruiti, che tecniche coinvolgono e quali aspetti biologici coinvolgono i modelli di evoluzione tumorale avascolare. Vediamo dunque come vengono costruiti alcuni tra i modelli principali e le tecniche matematiche coinvolte.

Innanzitutto, quando parliamo di modellizzazione di tumori in fase avascolare facciamo sempre riferimento alle sperimentazioni condotte su sferoidi a coltura in vitro. Vediamo cosa sono nel dettaglio.

1.2.1

MTS

MTS multicellular tumor spheroids, sono popolazioni cellulari coltivate in vitro con fini sperimentali, per riprodurre l’evoluzione di un blocco tumorale in fase pre-vascolare.

Dobbiamo immaginare una popolazione cellulare in crescita a cui vengono som-ministrati nutrienti (di solito glucosio e ossigeno).

Le osservazioni sperimentali sugli MTS hanno rilevato le seguenti considerazioni, che noi daremo sempre per buone:

1. Le cellule tumorali si possono trovare in due stati: vive o morte (ovvero in fase necrotica). Le cellule vive, poi, possono essere in stato proliferante oppure quiescente.

2. Le cellule si trovano nei tre diversi stati a seconda della distanza dal nutriente: quelle lontane sono in fase necrotiche, quelle vicine in fase proliferante, negli stati intermedi in fase quiescente.

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3. Le cellule proliferanti muoiono per fenomeni di apoptosi, ovvero di morte pro-grammata; le cellule quiescenti muoiono per denutrizione, e in minor parte per fenomeni di apoptosi.

4. Le cellule vive effettuano la mitosi, e il ciclo mitotico per le cellule in stato proliferante ha tempo molto minore di quelle per le cellule in stato quiescente. 5. L’aumentare della concentrazione del nutriente in una certa zona ha come ef-fetti: l’aumentare del tasso di proliferazione; l’aumentare del tasso di passaggio dalla fase quiescente alla fase proliferante.

6. Il diminuire della concentrazione del nutriente in una certa zona ha come effet-ti: il diminuire del tasso di proliferazione; l’aumentare del tasso di passaggio dalla fase proliferante alla fase quiescente; l’aumentare del tasso di morte delle cellule in fase quiescente.

In base a queste assunzioni è naturale aspettarsi che le cellule in stato proliferante si trovino vicino alla superficie del tumore, dove la concentrazione di nutriente è maggiore, e quelle necrotiche all’interno del tumore, dove si parla di nucleo necrotico e la concentrazione di nutriente è minore. Ricordiamo che stiamo sempre parlando di un tumore in fase avascolare, per questo si possono assumere tali condizioni sulla concentrazione del nutriente, perché il tumore non ha modo di rifornirsi di nutriente attraverso suoi canali vascolari.

In seguito a tutte queste considerazioni si modellizzano gli MTS appunto come sferoidi, ovvero blocchi cellulari che si sviluppano con simmetria radiale:

Un’ulteriore considerazione va fatta sulla dimensione del tumore: prima di tutto, sebbene il tumore cresca in volume, non si può dire lo stesso del nucleo necrotico, perché le cellule morte sono automaticamente rimosse dall’organismo dai macrofagi nel processo di fagocitosi. In secondo luogo uno dei principali risultati sperimentali dovuti allo studio degli MTS è proprio che essi sferoidi crescono fino a raggiungere una massa critica, poi si fermano. Questa massa critica è dovuta a un bilancio tra

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le cellule in fase proliferativa e in fase necrotica, ed è legata alla concentrazione di nutriente specifica della zona considerata:

Figura 1.3. Evoluzione nel tempo di un MTS

La zona esterna del tumore, dove è possibile la presenza di cellule in fase proli-ferante è chiamata anello esterno o anello percorribile (viable rim).

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1.3

Modelli matematici per tumori avascolari: ODE

In questa sezione presentiamo alcuni modelli matematici esistenti utilizzati per pre-vedere l’evoluzione tumorale. Cercheremo di mostrare la varietà degli approcci pos-sibili e la rilevanza, nello sviluppo dei modelli, delle considerazioni biologiche fin qui esposte.

1.3.1

Un primo modello per gli MTS

Vediamo come si sviluppa un modello per l’evoluzione di MTS nel modo più sem-plice possibile, come mostrato in [MBFV94], in linea con le descrizioni e assunzioni precedenti.

Le principali ipotesi di questo modello sono:

– le cellule sono considerate come elementi identici, trascureremo i dettagli mec-canici in cui le cellule sono coinvolte nelle fasi di divisione, proliferazione e morte. Considereremo quindi solo cellule in fase quiescente o proliferante; – il numero di cellule è abbastanza grande da poter essere rappresentato come

una funzione liscia del tempo;

– il volume degli sferoidi, che supponiamo essere sfere ideali, è direttamente proporzionale al numero di cellule;

– le cellule in fase proliferante sono strettamente contenuto nell’anello esterno, che consideremo un anello sferico ideale.

Oltre a queste assunzioni di base, scriviamo quelli che sono i cinque postulati del modello:

1. La popolazione cellulare di taglia N = N (t) consiste di due sottopopolazioni P = P (t), cellule in fase proliferante e Q = Q(t), in fase quiescente.

2. Una cellula in stato proliferante si suddivide in esattamente due cellule. Il tasso di crescita è caratterizzato da un tasso costante α ed è proporzionale alla taglia della sottopopolazione proliferante.

3. Le cellule in stato quiescente rientrano nello stato proliferante secondo una legge dipendente dal tempo g(t).

4. La morte delle cellule nella popolazione è caratterizzata da un unico tasso ω. 5. Lo spessore dell’anello esterno è costante durante tutta l’evoluzione dell’ MTS.

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I primi quattro postulati possono così essere descritti tramite equazioni:

(1.1)

N = P + Q;

P0 = gQ + αP − ωP ; Q0 = −gQ − ωQ. Da queste segue l’equazione:

(1.2) N0 = αP − ωN = αF N − ωN

dove

F = P N 6 1

è detta funzione di crescita. Grazie alle supposizioni preliminari possiamo sostituire a N , numero di cellule, V ovvero il volume, e ottenere:

(1.3) V0 = αF V − ωV.

Per ottenere l’espressione di F consideriamo il quinto postulato:

(1.4) F =

(

1 se R6 k

R3−(R−k)3

R3 se R> k

dove R è il raggio del MTS e k è lo spessore dell’anello esterno.

Una volta risolta (1.3) si ha modo di fare previsioni sull’evoluzione dell’MTS.

1.3.2

Principali ODE per l’evoluzione tumorale

Seguendo la linea esposta nel paragrafo precedente, cambiando e integrando gli assiomi fondamentali, si possono ottenere svariate modellizzazione dell’evoluzione di un MTS. In [Mar96] vengono presentate le principali ODE utilizzate per questo scopo. La curva che devono rappresentare si compone di tre fasi distinte: una iniziale di crescita esponenziale, una di crescita lineare e la fase di plateau.

Le equazioni che cerchiamo esprimono il tasso di ingrossamento del tumore V0 come differenza tra due parti, il tasso di crescita e quello di degradazione. Entrambi i tassi sono, seguendo la legge di allometria espressa per esempio da von Bertalanffy in [Ber57], proporzionali a una certa potenza del volume stesso, e quindi le equazioni assumono la forma:

(1.5) V0 = aVα− bVβ.

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Due parametri generalizzata V0 = aVα− bVβ Gompertz generalizzata V0 = aVα− bVαln(V ) Gompertz V0 = aV − bV ln(V ) α = 1 α = β Bertalanffy-logistica generalizzata V’= ( aVα− bV α < 1 aV − bVα α > 1 Logistica V0 = aV − bV2 α = 2 Bertalanffy V0 = aV 23 − bV α = 23 β = 1(α = 1)

Sono ovviamente tutte casi speciali dell’equazione più generale (1.5), ma ognuna presenta i suoi vantaggi, a seconda delle necessità del particolare tipo di problema considerato. Questo si capisce bene confrontando vari modelli con dei dati registrati nelle varie fasi di vita di un MTS. In [Mar96] viene proposto un confronto tra vari modelli (non solo quelli qui esposti), basato sul metodi dei minimi quadrati.

Viene registrato il volume di un MTS a vari tempi t1, . . . , tn, e si cerca la curva

V , al variare dei parametri del modello, tra le soluzioni dell’equazione differenziale considerata, che minimizza i residui quadratici pesati:

χ2 = n X i=1  V (ti) − Vi σi 2 ,

dove σi è la deviazione standard di Vi. Le funzioni V sono ottenute a volte

ana-liticamente, altre volte ricorrendo a metodi numerici di risoluzione di ODE. Per i dettagli sui metodi statistici, gli algoritmi e i programmi di risoluzione utilizzati, vedi [Mar96].

(16)

1.3.3

Derivazione di un’equazione generale per la crescita

ontogenetica

Il modello descritto viene presentato da West, Brown ed Enquist in [WBE01]. Ot-terremo come equazione governante il modello un caso particolare dell’equazione di Bertalanffy generalizzata, descritta nel paragrafo precedente, ma con procedimenti del tutto generali.

L’obbiettivo è ottenere un modello quantitativo basato su principi fondamentali che descrivono la suddivisione dell’energia metabolica tra i tessuti esistenti e la bio-massa (tumorale nel nostro caso) nascente. Vengono ricercati i parametri governanti la curva di crescita a partire da proprietà cellulari basilari, e infine si ottiene una curva universale che descrive la crescita di varie specie.

L’articolo citato si riferisce a biomasse generiche, sviluppando un’equazione che riesce a descrivere la crescita di organismi dagli uccelli ai mammiferi. Sembra quindi ragionevole2 supporre che la stessa equazione sia efficace per la modellizzazione dello

sviluppo di una massa tumorale. Vediamo allora che modello viene sviluppato e come.

Sviluppo del modello Lo sviluppo ontogenetico si basa sull’energia ottenuta da processi metabolici, e procede attraverso la divisione cellulare. L’energia e le sostanze di cui necessitano le cellule vi arrivano attraverso un sistema gerarchico di vasi; queste risorse sono poi trasformate in energia metabolica utilizzata per tutte le attività necessarie a mantenere in vita e sviluppare l’organismo. Durante la crescita, una parte dell’energia viene utilizzata per la produzione di nuovi tessuti. Quindi il tasso di trasformazione energetica è dato dalla somma di due termini, uno che rappresenta il mantenimento di tessuti esistenti, l’altro la creazione di nuovi. Questo si esprime attraverso l’equazione:

(1.6) B = NcBc+ Ec

dNc

dt .

B è il tasso di energia entrante, Nc è il numero di cellule, Bc il tasso metabolico

di una singola cellula; Ec è l’energia richiesta per la creazione di una nuova cellula.

Alcune semplificazioni del modello prevedono di ignorare le differenze tra i vari tipi di tessuti e considerare un consumo di energia medio per le varie cellule. Indi-cheremo con Vc il volume di una cellula, così che il volume totale dell’organismo è

dato da:

2

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(1.7) V = VcNc

e dunque la variazione di dimensione dell’organismo è data da: dV dt =  Vc Ec  B − Bc Ec  V.

Ora supponiamo che il tasso B dipenda dal volume secondo la potenza 3/4, ovvero:

(1.8) B = B0V3/4

che è la principale assunzione del modello, supportata da molti dati sperimentali su mammiferi, uccelli, pesci, molluschi e piante. Sebbene con qualche piccola variazio-ne, l’esponenete 3/4 descrive l’allometria di B dalla nascita alla crescita completa dell’organismo.

Otteniamo così l’equazione di riferimento: dV dt =  B0Vc Ec  V3/4− Bc Ec  V che riassumendo i parametri è:

(1.9) dV

dt = a V

3/4− b V

Il punto in cui l’organismo smette di crescere, in cui dVdt = 0, è:

VM = a b 4 = B0Vc Bc 4

che chiamiamo volume massimo.

Riscrivendo l’equazione (1.9) includendo VM si ottiene:

dV dt = a V 3/4 " 1 − V VM 1/4# che si risolve: (1.10) V VM = 1 − " 1 − V0 VM 1/4# e−4M 1/4at

(18)

Questo modello presenta vari punti di forza. L’equazione è molto generale, ad-dirittura parte da un articolo in cui si modellizza la crescita ontogenetica di un qualsiasi essere vivente e ha conferme sperimentali su vari tipi di organismi, dai molluschi ai grandi mammiferi. In secondo luogo è un’equazione matematicamente semplice, che si può risolvere esplicitamente ma che permette di considerare abba-stanza dettagli biologici al suo interno. Inoltre dipendendo solo dalla struttura delle cellule, ben si presta ad una evoluzione tumorale.

(19)

1.4

Modelli per tumori avascolari: PDE

Descriviamo alcuni modelli esistenti che non si limitano a ottenere un’equazione ordinaria per lo sviluppo del volume di un tumore, ma spingono le considerazioni biologiche più in là, fino ad ottenere delle condizioni più realistiche espresse da equazioni alle derivate parziali. Sebbene non riprenderemo tali modelli nel corso della tesi, sono molto utili per comprendere meglio i possibili approcci al nostro problema.

1.4.1

Modello a frontiera libera

Questo modello è descritto da Friedman in [Fri04]. Si basa sulle leggi di conserva-zione della massa e su un fenomeno di reaconserva-zione-diffusione del nutriente all’interno del tumore. Chiamiamo C(x, t) la concentrazione del nutriente (ossigeno o glucosio) che soddisfa un’equazione del tipo:

(1.11) ε0

∂C

∂t = ∆C − λC λ > 0 con ε0 un coefficiente positivo dato dal rapporto:

ε0 =

Tdiffusione

Tcrescita

dove Tdiffusione è il tempo di diffusione del nutriente all’interno del tumore e Tcrescita

è il tempo di raddoppiamento del volume del tumore. Tipicamente vale ε0 =

1min / 1giorno.

Assumeremo tutte le condizioni poste sulla crescita degli MTS, e le tradurremo in equazioni specifiche. Innanzitutto, il fatto che il tumore cresca in una zona non nota a priori, ma abbia una dimensione massima, rende il problema un problema a frontiera libera. Vedi [Fri82].

Introduciamo le funzioni del tempo: P la densità delle cellule in stato proliferan-te, Q la densità delle cellule in stato quiescenproliferan-te, M la densità delle cellule in stato necrotico, C come detto la concentrazione del nutriente cellulare. Introduciamo i tassi di cambio di stato per le varie cellule, che dipendono dalla concentrazione C:

P → Q a velocità KQ(C)

Q → P a velocità KP(C)

Q → M a velocità KM(C)

P → M a velocità KA(C)

Nell’ultima concentrazione KA(C) la A sta per apoptosi. Inoltre dobbiamo

(20)

tasso di proliferazione KN(C), dove N sta appunto per nascite. Indichiamo con Ω(t)

la regione occupata dal tumore e con ∂Ω(t) la sua frontiera.

Iniziamo a tradurre le informazioni in nostro possesso in equazioni. Abbiamo già introdotto l’equazione di diffusione (1.11) soddisfatta dal nutriente, ma trascuriamo per semplicità che il coefficiente ε0. Otteniamo così:

(1.12) ∆C − λC = 0 in Ω(t)

C = C0 su ∂Ω(t).

Grazie alle assunzioni fatte in 1.2.1, possiamo modellizzare i tassi di cambio di stato nei seguenti modi:

(1.13) KN(C) = KN · C; KM(C) = KM · (C0− C); KP(C) = KP · C; KQ(C) = KQ· (C0− C); KA(C) = KA· (C0− C).

Invece di dipendenze lineari si potrebbero chiaramente considerare altri tipi di dipendenze, eventualmente più adatte alla situazione studiata.

Introduciamo un’altra funzione che descrive il modello, il campo velocità ~v, che rappresenta la velocità con cui si muovono le cellule all’interno al tumore, velocità dovuta alla rimozione di alcune cellule e alla proliferazione di altre. Supponiamo che tale velocità sia data dalla legge di Darcy e quindi:

(1.14) ~v = ∇σ

dove σ è la pressione all’interno del tumore.

Un’assunzione fondamentale del modello è che la densità totale delle cellule all’interno del tumore sia costante:

(1.15) P + Q + M ≡ N costante.

Le conservazioni di massa per le concentrazioni P, Q, M diventano: ∂P ∂t + div (P ~v) = KN(C) − KQ(C) − KA(C) P + KP(C)Q. (1.16) ∂Q ∂t + div (Q~v) = KQ(C)P − KP(C) + KM(C) Q. (1.17) ∂M ∂t + div (M~v) = KA(C)P + KM(C)Q − KRM. (1.18)

Sommando le tre equazioni, tenendo in considerazione (1.14) e (1.15) otteniamo l’equazione per la pressione:

(21)

A questo punto abbiamo ottenuto tutte le equazioni fondamentali, accorpiamole e cerchiamo di ottenere il sistema in una forma ottimizzata. Rimpiazziamo M con N − P − Q, introduciamo le variabili di comodo:

c = C C0 , p = P N , q = Q N. Otteniamo dunque le equazioni:

∆c − λc = 0 in Ω(t); (1.20) c = 1 su ∂Ω(t); (1.21) ∂p ∂t + div (p∇σ) = (KN(c) − KQ(c) − KA(c)) p + KP(c)q in Ω(t); (1.22) ∂q ∂t + div (q∇σ) = KQ(c)p − (KP(c) + KM(c)) q in Ω(t); (1.23) ∆σ = −KR+ (KN(c) + KR)p + KRq in Ω(t); (1.24)

in cui scriviamo KX(c) = KX(C) per X = N, Q, A, M .

Aggiungiamo poi le condizioni per il moto della frontiera. Intanto assumiamo (vedi [Gre76]) che la pressione σ sulla frontiera del tumore sia uguale alla tensione superficiale, ovvero proporzionale alla curvatura media:

(1.25) σ = γk su ∂Ω(t)

con γ > 0. Inoltre il moto della frontiera libera è governato dall’equazione di continuità:

(1.26) ∇~v · ~n = Vn su ∂Ω(t)

dove ~n è la normale uscente e Vn è la velocità della frontiera libera nella direzione

normale.

Il problema è dunque: dato un dominio iniziale Ω(0) e dei dati iniziali p0(x),

q0(x) in Ω(0) tali che p0(x) > 0, q0(x) > 0 e p0(x) + q0(x) 6 1, trovare una famiglia

di dominii Ω(t) e delle funzioni p(x, t), q(x, t) che soddisfino le equazioni (1.20) -(1.26) e le condizioni iniziali, mantenendo i vincoli ovvero:

p(x,0) = p0(x), q(x,0) = q0(x)

p(x, t) > 0, q(x, t) > 0 p(x, t) + q(x, t) 6 1.

Il modello descritto è noto in letteratura con il nome M3, poiché sono coinvolti

(22)

vengono considerate solo cellule in fase proliferante o quiescente, e modelli ancora più semplici, M1, in cui si considerano solo cellule in fase proliferante. Il passaggio

dal modello M3 a M2 si fa supponendo che la costante KR sia abbastanza grande

da poter assumere che le cellule morte siano rimosse istantaneamente.

Come abbiamo notato per affrontare un problema complesso come quello a fron-tiera libera si devono fare numerose assunzioni, che possono limitare la possibilità attuale del modello di descrivere appieno la complessità del fenomeno biologico.

1.4.2

Modello Casciari-Stirchos-Sutherland

Il modello proposto è stato presentato da Casciari, Stirchos e Sutherland nel 1992, vedi [CSS92], [Roo07].

Questo modello considera l’interazione tra la popolazione cellulare in crescita, modellizzate come un MTS, e la concentrazione di diverse sostanze nutrienti e non nell’organismo: ossigeno (a), glucosio (b), acido lattico (c), diossido di carbonio (d ), bicarbonato (e), cloruro (f ) e ioni idrogeno (g). L’obbiettivo è trovare delle risposte quantitative sulla situazione del pH all’interno del tumore.

Equazioni per le specie chimiche all’interno del tumore Le equazioni di conservazione per le varie speci chimiche sono del tipo:

(1.27) ∂Ci

∂t + ∇Ni = Pi

dove gli indici i stanno per le lettere di riferimento a-g, Ci rappresenta la

concen-trazione della specie, Ni il flusso all’interno dello sferoide, Pi è il tasso netto di

consumo/produzione della specie chimica sia dovuto alla presenza delle cellule tu-morali che a reazioni tra le varie specie chimiche. L’obiettivo del modello è proprio trovare espressioni di Ni e Pi sulla base di considerazioni chimiche e dei dati raccolti

nelle sperimentazioni.

Per le molecole scariche (a, b, d ) il flusso è dato dalla legge di Fick:

(1.28) Ni = −Di∇Ci con Di > 0.

Per le molecole ioniche invece bisogna tenere in considerazione anche i moti migratori dovuti ai campi elettrici generati, e si ottiene:

Ni = −ziuiF Ci∇Φ − Di∇Ci

dove zi è la carica ionica, ui è un fattore di mobilità specifico, F è la costante di

(23)

Se supponiamo che la corrente elettrica netta sia zero, ovvero P zkNk = 0 otteniamo: (1.29) Ni = −Di  ∇Ci− ziCi P zkDk∇Ck P z2 kDkCk  .

Altre considerazioni fisiche possono portare a espressioni più esplicite del flusso (vedi [Roo07]).

Per ottenere i tassi di consumo/produzione delle specie cellulari c-g ci si basa su considerazioni biologiche, principalmente sul ciclo di Krebs:

Pc= 1 3Pa− 2Pb Pd= −kfCd+ krCeCg Pe= kfCd− krCeCg− Pa Pf = 0 Pg = kfCd− krCeCg− Pa+ Pc (1.30)

dove i parametri kf e kr sono derivati da considerazioni sulle reazioni chimiche.

Per le specie cellulari a-b invece ci si basa su esperimenti. Riportiamo ciò che hanno ottenuto Casciari, Stirchos e Sutherland in [CSS92], ma tali funzioni sono da considerare come indicative:

Pa = −Ω  Aa+ Ba CbCgm  Ca Ca+ Kma Pb = −Ω  Ab + Bb Ca  1 Cn g Cb Cb + Kmb (1.31)

dove Ω è il numero di cellule per unità di volume nello sferoide e gli altri parametri sono parametri di fitting.

Ciò di cui abbiamo bisogno sono le condizioni al bordo, rappresentato da r = R, raggio del MTS. Le imponiamo del tipo:

(1.32) er· Ni|r=R= Ki(Ci,out− Ci)

dove er è il versore nella direzione radiale, Ki è il coefficiente di trasferimento di

massa della specie i e Ci è la concentrazione della specie chimica i all’interno e

all’esterno del tumore.

Equazioni per le migrazioni cellulari e la proliferazione Le leggi che go-vernano la crescita dello sferoide si basano sulla conservazione di massa, come nel

(24)

modello precedente. Anche in questo caso introduciamo la velocità delle cellule ~v, e la esprimiamo in funzione

(1.33) div ~v = λF (Ca, . . . , Cg)

in cui λ è il massimo tasso di proliferazione possibile e F è la funzione di riscalamento che collega le concentrazioni alla proliferazione. Per trovare un’espressione di F Casciari, Sotirchos e Sutherland hanno condotto diversi esperimenti, concentrandosi sui livelli di ossigeno e glucosio. Hanno così trovato una possibile forma della F che dipende solo da questi due componenti e dagli ioni idrogeno. La forma è questa:

F (Ca, . . . , Cg) = G1 Ca Ga+ Ca Cb Gb+ Cb 1 Cn g

dove G1, Ga e Gb sono dei parametri di fitting positivi.

Un’osservazione biologica: il fatto che F sia strettamente positiva implica che negli sferoidi che stiamo considerando non ci può essere un vero e proprio nucleo necrotico, ma sempre una compresenza di cellule morte e proliferanti. Per questo tale modello può essere applicato solo ad un tumore nella fase pre-plateau.

L’equazione (1.33) si può risolvere supponendo una simmetria radiale della solu-zione, e si ottiene: v(r) = λ1 r2 Z r 0 F (Ci)d ¯r dR dt = v(R) = λ 1 R2 Z R 0 F (Ci)d ¯r (1.34)

dove sottolineiamo anche il valore di v(R) per indicare l’evoluzione della frontiera del tumore.

Le equazioni presentate formano un sistema chiuso e si possono quindi risolvere numericamente. Questo modello è un esempio di modello con molti parametri, ma realtivamente poche costanti fenomenologiche. Questo rende possibile confrontare il modello con i risultati degli esperimenti. Utilizzando il loro modello Casciari, Sotirchos e Sutherland sono riusciti a predire che nel mezzo dello sferoide si verifica una precipitazione della concentrazione di ossigeno e glucosio, avente come risultato una significativa diminuzione del tasso di proliferazione. Questo fenomeno sta alla base della formazione dell’anello percorribile (viable rim), la zona esterna del tumore in cui la concentrazione di nutrienti è più alta, e dove dunque il tasso di proliferazione cresce. La larghezza di tale zona è stata predetta abbastanza correttamente (con un margine di errore del 23%). Un’altra predizione del modello verificata dai dati sperimentali è il valore del pH: più basso nella zona interna del tumore e via via a salire, mantenendo comunque livelli più bassi dei tessuti circostanti.

(25)

Nel complesso questo modello è un esempio di vittoria matematica, per le pre-dizioni corrette che è riuscito a compiere. Sottolinea però alcuni dei rischi di un modello applicato alla biologia: i livelli di precisione dei risultati e di coerenza tra i vari esperimenti non sono nemmeno paragonabili con quelli tipici, ad esempio, della fisica. Inoltre l’abbondanza di parametri liberi deve avere una corrispondente inter-pretazione biologica: complicare un modello dal punto di vista matematico senza tenere in considerazione il punto di vista biologico è un grosso rischio per le capacità predittive del modello stesso.

(26)

Soluzioni a supporto compatto per

un modello di cancro al pancreas

2.1

Definizione del problema e metodo scelto

2.1.1

La scelta del cancro al pancreas e della densità spaziale

In questo secondo capitolo ci occupiamo del tumore al pancreas, e di un approccio sostanzialmente diverso alla fase avascolare di tale tumore. Descriviamo la funzione V (t), volume del tumore in funzione del tempo, come data da una densità spaziale u(t, x). Introduciamo dunque la funzione:

u(t, x) : [0, +∞] × Ω → R

che rappresenta la densità di cellule tumorali all’interno di uno specifico organo Ω, che è quindi un compatto di R3.

Il volume del tumore al tempo t è dato da: V (t) =

Z

u(t, x) dx.

Spieghiamo quali siano vantaggi e svantaggi nel considerare una densità spaziale del tipo descritto nello specifico problema della modellizzazione del cancro al pancreas. Che cosa guadagniamo Introduciamo una densità spaziale per avere informa-zioni locali dettagliate, per avere un modello predittivo efficace che tenga in conside-razione le differenze spaziali all’interno dell’organo, e che quindi possa prescindere dalla simmetria radiale. Avere un modello evolutivo affidabile di un tumore del-la testa del pancreas permetterebbe di creare dei test che possono individuare con affidabilità e anticipo l’eventuale sviluppo di un tumore, anche in fase avascolare.

(27)

Sottolineiamo a questo proposito che supporre un’effettiva utilità di un modello di questo tipo non pare utopistico, in quanto, come spiegato, i soggetti a rischio sono abbastanza individuabili: fumatori, con più di quarant’anni, con diete povere di frutta e verdura, obesi, e casi in famiglia. Dei controlli regolari associati a delle informazioni locali dettagliate sull’evoluzione del tumore potrebbero risultare in un efficace sistema preventivo.

Tuttavia è bene sottolineare che questi obbiettivi sono sulla lunghissima distanza, il modello presentato in questo lavoro non può che essere considerato un modello giocattolo per ora.

Un altro motivo per preferire un volume dato da una densità è il possibile utilizzo di informazioni ottenute dall’asportazione della testa del pancreas.

Sebbene la TC permetta di ottenere importanti informazioni, l’osservazione di-retta dell’organo in seguito all’asportazione (DCP) da parte di medici e anatomo-patologi è una fonte preziosissima di dettagli sullo stato di evoluzione del tumore. Ciò che può essere molto utile conoscere è la distanza del tumore dal bordo, dal-la frontiera dell’organo. Suldal-la base di questa informazione si potrebbero dedurre informazioni relative al radicamento del tumore all’interno dell’organo.1

Figura 2.1. Distanza dalla frontiera di un tumore alla testa del pancreas.

Con un modello dettagliato sulla distribuzione spaziale delle cellule tumorali si potrebbe scoprire quale distanza del tumore dalla frontiera permette di essere abbastanza sicuri che il tumore sia stato asportato in toto, e non in parte.

Infine, come ampiamente trattato nel primo capitolo, la modellizzazione di un tumore in fase avascolare è un primo passo verso la cruciale fase metastatica. In

1Queste intuizioni e spunti sono il frutto di una breve collaborazione dell’autore e del Relatore

(28)

questo lavoro cerchiamo di introdurre un mezzo particolare, la ricerca di soluzioni a supporto compatto, per modellizzare l’intero fenomeno.

Che cosa perdiamo Il primo aspetto che salta subito all’occhio è la perdita della distinzione tra cellule in fase proliferante, quiescente e necrotica. Questo è normale nella prima fase dello sviluppo di un modello: come visto in 1.4.1 la distinzione tra M1, M2 ed M3 rappresenta proprio le diversi fasi dello studio di un modello da

questo punto di vista. Si potrà recuperare questa distinzione in una seconda fase, utilizzando densità diverse.

Si perde la semplicità di un’equazione ordinaria, sostituita dalla complessità dello studio di un’equazione alle derivate parziali. Però, come vedremo, non si perdono gli studi biologici che hanno portato allo sviluppo di alcune equazioni differenziali: tali equazioni possono essere recuperate, e le condizioni che deve soddisfare la derivata temporale del volume sono le stesse che deve soddisfare un opportuno operatore applicato alla densità.

Quindi, in conclusione, cerchiamo il modo di ottenere equazioni per una densità spaziale. Lo faremo partendo da un modello particolare, scelto tra quelli esistenti, per la crescita nel tempo del volume del tumore. Poi vedremo come passare da questa equazione a una per la densità.

(29)

2.2

Scelta del modello matematico

Come equazione di riferimento scegliamo le equazioni di 1.3.2 del tipo due-parametri generalizzata:

V0 = f (V ) con

f (s) = a sα− b sβ

in cui a, b > 0, α > 0 e β > 0. Studieremo varie combinazioni di valori per α e β, in particolare i casi in cui uno dei due è uguale a 1.

Scegliamo queste equazioni perché particolarmente semplici e manipolabili dal punto di vista dei parametri, come già espresso nel capitolo precedente.

Vediamo come utilizzare queste equazioni per ottenere delle equazioni sulla den-sità del tumore.

2.2.1

Equazione per la densità

Supponiamo che il volume del tumore V (t) sia dato da una densità u, ovvero:

(2.1) V (t) =

Z

u(t, x) dx

Supponiamo inoltre che V soddisfi un’equazione differenziale del tipo due-parametri generalizzata:

(2.2) V0 = f (V ) = a Vα− b Vβ.

Vogliamo mostrare che u soddisfa l’equazione:

(2.3) (∂t− ∆)u = f (u).

a patto di accettare alcune semplificazioni che vedremo nel corso della dimostrazione. Dimostrazione. Suddividiamo l’operatore f in parte lineare e parte non-lineare:

f (s) = L(s) + N (s)

Discretizziamo poi lo spazio in N blocchi che indichiamo con Bj, j = 1, . . . , N .

In ogni blocco considero la densità uj, che soddisferà:

u0j = L(uj) + Nj(u)

(30)

Figura 2.2. Suddivisione in blocchi di una porzione di organo.

chiamare ajk i coefficienti di interazione tra due blocchi, così che:

Nj(u) = X k ajkN (uk) ? =X k aj−kN (uk)

? è la prima semplificazione del modello, stiamo supponendo che l’influenza su un blocco sia esercitata solo in base alla distanza nell’ordine da noi proposto.

È coerente con questa supposizione modificare l’operatore lineare tenendo conto dell’influenza su un blocco di due blocchi vicini:

L(uj) −→ uj+1− 2uj + uj−1+ L(uj)

In questo modo l’equazione discretizzata diventa: (2.4) u0j = uj+1− 2uj+ uj−1+ L(uj) +

X

k

aj−kN (uk)

Sommando su j e mandando h a zero si ottiene: ∂tu(t, x) = ∆u(t, x) + L(u)(t, x) +

Z

a(x − y)N (u)(t, y) dy = (2.5)

??

= ∆u(t, x) + L(u)(t, x) + N (u)(t, x) = (∆ + f )(u)(t, x) (2.6)

?? la seconda supposizione importante è che a(x, y) sia una funzione delta della differenza delle due variabili, ovvero:

a(x, y) = δ(x − y). Concludiamo dunque, come voluto:

(31)

Soluzione statica In questo capitolo cercheremo soluzioni che non dipendono dal tempo.

Perché abbiamo fatto questa fatica, per poi abbadonare la dipendenza dal tempo, che è il punto di maggiore interesse? Perché vogliamo svolgere un’analisi da un altro punto di vista. Invece di costruire un modello che segua l’evoluzione del tumore nel tempo, cerchiamo una una soluzione globale dell’equazione, che rappresenta lo stato del tumore a un tempo fissato. In un secondo momento perturberemo l’equazione per capire se lo stato di cui prima è stabile o no.

Seguiremo dunque i due passi:

Passo 1 Cerchiamo una soluzione a supporto compatto per la densità u(t, x) = u(x) che rappresenti lo stato finale dell’evoluzione tumorale, ovvero la dimensione del tumore massima possibile, in cui l’equilibrio tra nutrienti a disposizione e consumo delle cellule tumorali fa sì che il blocco tumorale non possa più crescere, e sia obbligato a entrare nella fase vascolare.

Questa soluzione rappresenta lo stadio più avanzato della fase avascolare del tu-more. Lo scopo di questo capitolo è proprio trovare le equazioni che possiedono una soluzione a supporto compatto.

Passo 2 Una volta scelto il modello adatto, l’obiettivo è capire la stabilità della soluzione, e questo è lo scopo del capitolo seguente. In questo modo è possibile iniziare ad introdurre una modellizzazione della cura antitumorale, e iniziare un’analisi delle risposte del tumore.

(32)

2.3

Ricerca di soluzioni a supporto compatto

Il nostro obbiettivo ora è cercare soluzioni a supporto compatto delle equazioni:

−∆u = f (u) = auα− buβ

ovvero dell’equazione:

(2.7) ∆u = −auα+ buβ

al variare di α, β > 0 e a, b ∈ R+0.

Affronteremo prima uno studio qualitativo dell’equazione in dimensione 1, poi utilizzeremo delle tecniche più sofisticate descritte in [PSZ99] per arrivare a risultati di esistenza in dimensione n.

Sottolineiamo che il caso che ci interessa di più è ovviamente n = 3.

2.3.1

Studio in R

Cominciamo ad affrontare un problema semplificato, ovvero il caso unidimensionale. L’equazione di riferimento diventa

u00 = auα+ buβ con α, β > 0 al variare di a, b ∈ R e con ab < 0.

Iniziamo con l’escludere il caso ovvio α = β. Ci soffermeremo in particolare sulle funzioni di Bertalanffy generalizzate:

1. α < 1, β = 1, a < 0 e b > 0 2. α < 1, β = 1, a > 0 e b < 0

perché biologicamente interessanti, come risulta dallo studio nel paragrafo 1.3.3. 1. Analizziamo il caso α < 1, β = 1, a < 0 e b > 0

Mostreremo che in queste condizioni non esistono soluzioni a supporto com-patto.

Teorema 2.1. Dati a, b ∈ R+0, α < 1 non esiste u ∈ C2(R, R) non banale tale

che:

(a) u(x)> 0 ∀x;

(b) u00 = −auα+ bu = f(u);

(33)

Dimostrazione. Dall’equazione (2) ricaviamo:  1 2(u 0 )2 0 = u0· u00= u0· f (u) = F (u)0 con F (s) = Z s 0 f (t) dt + c1 = − a α + 1s α+1 + b 2s 2 + c1 Otteniamo quindi: 1 2(u 0)2 = F (u) + c 2 e allora: (2.8) (u0)2 = 2F (u) + c = − 2a α + 1s α+1+ bs2+ c.

Per la condizione (3) sul supporto compatto otteniamo che: ∀x 6 x1∧ ∀x > x2 u(x) = u0(x) = 0 e necessariamente c = 0. (2.8) diventa dunque: (2.9) (u0)2 = − 2a α + 1u α+1+ bu2 = G(u) > 0. Osserviamo che G(s) = − 2a α + 1s α+1+ bs2 = sα+1  − 2a α + 1+ bs 1−α  e vale: G(s) 6 0 se 0 6 s 6  2a b(α + 1) 1−α1

In figura 2.3 il grafico della funzione G per α = 3/4.

Siccome per (2.9) deve valere G(u) > 0, concludiamo che per soddisfare le condizioni deve essere verificata:

u(x) >  2a b(α + 1) 1−α1 > 0 ∀x. Tale conclusione è in contrasto con (3).

(34)

Figura 2.3. La funzione G(s) nel cas0 α = 34 e a = b = 1.

2. Analizziamo il caso α < 1, β = 1, a > 0 e b < 0. L’equazione ora è:

(2.10) u00 = auα− bu = f (u)

Supponiamo di avere una soluzione a supporto compatto di tale equazione, e compiamo calcoli simili a quelli effettuati nel caso precedente:

 1 2(u 0 )2 0 = u0· u00= u0· f (u) = F (u)0 con F (s) = Z s 0 f (t) dt + c1 = a α + 1s α+1 b 2s 2+ c 1 Otteniamo quindi: 1 2(u 0 )2 = F (u) + c2 e allora: (2.11) (u0)2 = 2F (u) + c = 2a α + 1s α+1− bs2 + c. Siccome u è a supporto compatto otteniamo che:

∀x 6 x1∧ ∀x > x2 u(x) = u0(x) = 0

e dunque necessariamente c = 0; (2.11) diventa dunque:

(2.12) (u0)2 = 2a

α + 1u

(35)

Studiamo la funzione G. G(s) = 2a α + 1s α+1− bs2 = sα+1  2a α + 1− bs 1−α  G(s) = 0 ⇐⇒ s = 0 ∨ s =  2a b(α + 1) 1−α1 =: u∗

Possiamo allora supporre che la funzione u abbia derivata definita come segue:

u0(x) =          0 x 6 x1 pG(u(x)) x1 6 x 6 x∗ pG(u(x)) x∗ 6 x 6 x2 0 x > x2

dove x1, x2 sono da determinare, mentre la supposizione riguarda l’esistenza

del punto x∗ tale che:

u(x∗) = u∗.

Qualitativamente, stiamo imponendo che la funzione valga zero, poi a un certo punto cresca (derivata positiva) seguendo l’equazione differenziale considerata finché la derivata vale zero (questo capita per il valore u∗), e poi la funzione decresca fino a zero, dove poi rimane definitivamente.

Tutto sta nel dimostrare che il valore x∗ esiste. Faremo ben di meglio. Concentriamoci sul ramo a derivata positiva. Qui l’equazione differenziale è:

du dx = p G(x), dx = du pG(x) da cui: x(u) = x0+ Z u 0 1 2a α+1sα+1− bs2 2 ds integrando si ottiene: x(u) = x0+ 2 √ b(1 − α)arcsin r b(α + 1) 2a u 1−α 2 ! Da cui ricaviamo: u(x) = "s 2a b(α + 1)sin √ b(1 − α) 2 (x − x0) !#1−α2 = u∗ " sin √ b(1 − α) 2 (x − x0) !#1−α2

(36)

Ora poniamo x0 = x1 = 0 e troviamo il valore x∗: x∗ = √ 2 b(1 − α) · π 2 = π √ b(1 − α).

Notiamo che siccome la funzione u è simmetrica rispetto a x∗, troviamo la soluzione del problema semplicemente ponendo:

(2.13) u(x) =        0 x 6 0 u∗hsin √ b(1−α) 2 (x − x0) i1−α2 0 6 x 6 √ 2π b(1−α) 0 x > √ 2π b(1−α) dove il valore √ 2π

b(1−α) è il primo zero della funzione dopo x = 0.

Figura 2.4. La funzione u(x) nel caso α = 34 e a = b = 1.

I risultati visti si possono racchiudere nel seguente teorema, che in realtà è ora una semplice verifica:

Teorema 2.2. La funzione: u(x) =        0 x 6 0 u∗hsin √ b(1−α) 2 (x − x0) i1−α2 0 6 x 6 √ 2π b(1−α) 0 x > √ 2π b(1−α) soddisfa le condizioni: (a) u(x)> 0 ∀x; (b) u00 = auα− bu;

(37)

(c) Supp(u) è compatto.

Osserviamo che i procedimenti seguiti illuminano la strada per quel che segue, ovvero lo studio in dimensione n.

(38)

2.4

Studio in R

n

2.4.1

Il metodo Pucci-Serrin-Zhou

Per affrontare il problema in dimensione n introduciamo le tecniche esposte da P. Pucci, J. Serrin e H. Zou in [PSZ99].

L’articolo studia delle condizioni affinché le soluzioni di una disequazione diffe-renziale alle derivate parziali ellittica tipo:

div (A(∇u)u)6 f (u) e u > 0 div (A(∇u)u)> f (u) e u > 0

soddisfi il principio del massimo forte e un principio di supporto compatto. Diamo delle definizioni precise:

Definizione 2.1 (Principio del massimo forte). Una funzione u : D → R con D aperto connesso in Rn soddisfa il principio del massimo forte se vale u> 0 e:

u(x0) = 0 per un x0 ∈ D =⇒ u ≡ 0.

Definizione 2.2 (Principio del supporto compatto). Una funzione u : D → R con D aperto connesso illimitato in Rn, che contiene il complementare di un disco di

raggio R, cioè:

{x ∈ Rn: |x| > R} ⊂ D soddisfa il principio del supporto compatto se vale u> 0 e:

u(x) → 0 per |x| → ∞ =⇒ ∃R1 > R t.c. u(x) = 0 ∀|x| > R1

Questo principio è una specializzazione di quello precedente nel senso che se u fa 0 all’infinito e ∞ è nella parte interna di D, allora fa 0 su una parte del dominio. Se fosse esattamente analogo, la conclusione sarebbe u ≡ 0 in tutto D, ma così non è.

Veniamo ora ai risultati.

Consideriamo le equazioni:

div (A(∇u)u)6 f (u) e u > 0 (2.14)

div (A(∇u)u)> f (u) e u > 0 (2.15)

con D aperto connesso in Rn e n> 2.

(39)

A1 La funzione A(t) appartiene a C(0, ∞);

A2 La funzione Ω : t → tA(t) è strettamente crescente in (0, ∞) e Ω(t) → 0 se t → 0;

F1 f ∈ C[0, ∞);

F2 f (0) = 0, f è non decrescente in un intervallo [0, δ) con δ > 0.

Chiamiamo soluzione di (2.14) o (2.15) una funzione u ∈ C1(D) che soddisfi la

disequazione in senso distribuzionale. Sia F (u) la funzione integrale di f :

F (u) = Z u 0 f (s) ds, u > 0. Sia H(t) la funzione: H(t) = tΩ(t) − Z t 0 Ω(s) ds t > 0.

Osserviamo che per definizione, detta Ω−1 la funzione inversa di Ω, vale: H(t) =

Z Ω(t)

0

Ω−1(ω) dω, come risulta anche dalla figura 2.5.

(40)

H risulta essere strettamente crescente in [0, ∞). Teorema 2.3 (Principio del massimo). Se vale:

lim inf t→0 H(t) tΩ(t) > 0 e una tra f (s) ≡ 0 in [0, τ ) e : (2.16) Z δ 0 1 H−1(F (s))ds = ∞

e se u risolve (2.14), allora u soddisfa il principio del massimo forte. Osserviamo che

lim inf

t→0

H(t) tΩ(t) > 0

è una richiesta tecnica. Non segue dalle altre condizioni del teorema, come mostra l’esempio: A(t) =  t log1 t −1" 1 +  log 1 t −1# , in cui t ∈ (0,1), considerando δ = 1.

Teorema 2.4 (Principio del supporto compatto). Se f (s) > 0 per s ∈ (0, δ) e: Z δ

0

1

H−1(F (s))ds < ∞

allora u soluzione di (2.15) in un dominio D che contiene il complementare di un disco, ha il principio del supporto compatto.

Teorema 2.5 (Esistenza). Sia f (s) > 0 per s ∈ (0, δ). Sia DR= {x ∈ Rn : |x| > R}.

Allora se R è abbastanza grande, esiste una soluzione non banale di:

(2.17) div (A(∇u)u) = f (u) e u > 0

tale che u(x) → 0 se |x| → ∞.

Riformuliamo i risultati visti per il caso molto che ci interessa. Considerando l’equazione possiamo rientrare a piacimento sia nell’equazione (2.14) che in (2.15).

(2.18) ∆u = f (u) e u > 0.

(41)

F1 f ∈ C[0, ∞);

F2 f (0) = 0, f è non decrescente in un intervallo [0, δ) con δ > 0.

Mentre le condizioni A1-A2 sono ovviamente soddisfatte in quanto: A(t) ≡ 1 e Ω(t) = t. La funzioni H(t) è data da H(t) = tΩ(t) − Z t 0 Ω(s) ds = t2− 1 2t 2 = 1 2t 2 . e la sua inversa: H−1(s) =√2s s > 0. Osserviamo che: lim inf t→0 H(t) tΩ(t) = 1 2 > 0 quindi è verificata l’ipotesi del teorema 2.4.

L’integrale cruciale nelle ipotesi dei teoremi è: Z δ

0

1 p2F (s)ds

siccome bisogna solo verificarne la finitezza, consideremo analogamente: Z δ

0

1 pF (s)ds senza dover spiegare la semplificazione di un fattore √1

2 ogni volta.

Possiamo in conclusione riformulare i teoremi nel modo che ci servirà, e dimo-strare le versioni semplificate.

Teorema 2.6 (Principio del supporto compatto). Se f (s) > 0 per s ∈ (0, δ) e: Z δ

0

1

pF (s)ds < ∞

allora u soluzione di (2.18) soddisfa il principio del supporto compatto.

Teorema 2.7 (Esistenza). Sia f (s) > 0 per s ∈ (0, δ). Sia DR= {x ∈ Rn : |x| > R}.

Se R è abbastanza grande, esiste u soluzione non banale di (2.18) in DR tale che

(42)

Dimostrazioni

Vediamo un lemma.

Lemma 2.1. Se u, v risolvono (2.18) in un dominio limitato D con v 6 δ e vale u > v su ∂D, allora vale u > v su D.

Dimostrazione. Sia w = u − v> 0 su ∂D e supponiamo che la tesi non valga, e sia x1 ∈ D tale che w(x1) < 0.

Allora scegliamo ε > 0 tale che w(x1) + ε < 0 e consideriamo la funzione

wεmin (w + ε, 0). Siccome w > 0 su ∂D concludiamo che wε è una funzione

non negativa e a supporto compatto in D. Dunque, siccome è una funzione C1

è Lipschitziana, e possiamo considerarla come funzione test e ottenere: Z D ∆w · wε = Z D (f (u) − f (v)) · wε Z D ∇w · ∇wε = Z D (f (v) − f (u)) · wε.

Il membro di sinistra è strettamente positivo perché: (

∇w ≡ ∇wε dove w + ε < 0

∇wε ≡ 0 q.o. dove w + ε> 0

mentre il membro di destra è non-positivo, poiché quando w + ε < 0 vale: 0 6 u < v − ε < δ

quindi, siccome f è non-decrescente in (0, δ), vale f (v) − f (u)> 0 e dunque: (f (v) − f (u)) · wε< 0.

E questa conclusione è assurda.

Teorema 2.6, principio del supporto compatto. Dimostrazione. Definiamo: C = √1 2 Z δ 0 1 pF (s)ds < ∞. Definiamo la funzione w = w(r) come:

r = √1 2 Z δ w(r) 1 pF (s)ds.

(43)

Derivando otteniamo:

− w

0(r)

2pF (w(r)) = 1 per 0 6 r 6 C. Quindi w è di classe C1, vale 06 w 6 δ, w0 < 0 e 12(w0)2 = F (w).

Dunque è un semplice calcolo mostrare che:

(2.19) − |w0|0 = f (w).

Per definizione vale w(r) → 0 e w0(r) → 0 se r → C. Prolungando dunque w(r) ≡ 0 per r> 0 si ottiene che w risolve (2.19) in [0, ∞).

Ora sia u una soluzione di (2.18) in D che soddisfa le ipotesi del teorema. Esiste R0 > R tale che u(x) < δ se |x| > R0. Definiamo v(x) = w(|x| − R0) per ogni

x ∈ D0 = {x ∈ Rn: |x| > R0}.

Dunque per x ∈ D0 e r = |x| vale:

∆v − f (v) = −|w0|0 −n − 1 r |v

0| − f (v) = 0

utilizzando (2.19). Siccome 0 6 u(x) < δ = v(x) su ∂D0 e siccome u(x), v(x) → 0

quando |x| → ∞, possiamo applicare il lemma 2.1 (scambiando i ruoli di u e v) e ottenere:

0 6 u(x) 6 v(x) in D0.

In particolare u(x) = 0 quando |x|> R1 = R0+ C.

Teorema 2.7, esistenza.

Dimostrazione. Definiamo la funzione ef su [0, ∞):

e f =      f (u) 0 6 u 6 δ −u + f (δ) + δ δ 6 u 6 β u + ef (β) − β u > β dove β > δ è scelto in modo che:

Z β

0

e

f (s) ds = 0. Osserviamo che ef (γ) = 0 per γ = β − ef (β) > β.

Tutto questo viene fatto per utilizzare il teorema A di [FLS96], che assicura che, sotto queste condizioni, esiste una soluzione radialmente simmetrica di:

(44)

in Rn tale che u(x) → 0 se |x| → ∞ e inoltre u0(r) 6 0 per r > 0 e u(0) ∈ (β, γ). Sia R > 0 abbastanza grande in modo che u(x) = δ se |x| = R (ricordiamo che u è a simmetria radiale). Si ottiene dunque (poiché u debolmente decrescente) u(x) 6 δ per |x| > R.

Allora, per la definizione di ef , otteniamo che: ∆u = f (u)

in DR = {x ∈ Rn: |x| > R}, dove u non è banale poiché u(x) = δ > 0 per |x| =

R.

2.4.2

Soluzione in R

n

Il problema da affrontare è trovare soluzioni a supporto compatto dell’equazione:

(2.20) ∆u = auα− bu

con α < 1.

Applichiamo il macchinario sviluppato nel paragrafo precedente. Ora abbiamo: f (s) = asα− bs.

Verifichiamo che vale, con δ = ab

1 1−α: f (s) > 0 ∀s ∈ (0, δ) e calcoliamo: F (u) = Z u 0 f (s) ds = a α + 1u α+1 b 2u 2. Calcoliamo dunque: Z δ 0 1 p2F (s)ds = Z δ 0 1 q 2a α+1sα+1− bs2 ds =

Sono dunque verificate le ipotesi dei teoremi 2.6 e 2.7, perciò:

∃R > 0 t.c. ∃u soluzione non banale di ∆u = auα− bu in DR

tale che u(x) → 0 se |x| → ∞. Inoltre u soddisfa il principio del supporto compatto in DR, e quindi:

∃R1 > R s.t. u(x) = 0 se |x| > R1.

Ovvero abbiamo trovato una soluzione definita dappertutto tranne in un disco di dimensione fissata. È opinione dell’autore che questo ostacolo non sia facile da

(45)

aggirare. Anche se dal punto di vista matematico questo buco è una sconfitta, dal punto di vista modellistico il danno è arginabile: riscalando le coordinate si può fare in modo che il disco di raggio R occupi una piccola porzione del blocco tumorale, in posizione centrale rispetto all’organo, così che l’evoluzione del tumore stesso rispetti l’equazione voluta, tranne un nucleo interno, che può essere considerato il luogo dove il tumore si è originato.

2.4.3

Una soluzione definita ovunque in R

n

Siccome la soluzione trovata nel paragrafo precedente 2.4.2 non è definita in tut-to Rn, ma solo sul complementare di un disco, possiamo chiederci quali equazioni,

abbastanza simili in qualche senso a quella di partenza, ammettano soluzioni a sup-porto compatto. Per farlo semplifichiamo molto il problema, accettando di cercare anche solo soluzioni a simmetria radiale.

Formalmente ci stiamo chiedendo: Esistono F : R+ → R, u : R3 → R+ e un δ > 0 tali che:        ∆u = f (u) Rδ 0 1 √ F (s)ds < ∞ u(x) → 0 se |x| → ∞ ?

Se come detto accettiamo soluzioni di tipo radiale possiamo sostanzialmente cercare di ricondurci al problema in dimensione uno e ai conti sviluppati in quel contesto. Supponiamo: (2.21) ∆u = f1(u). Poniamo: u(r) = v(r) r così che, in coordinate sferiche:

∆u = ∆v r = 1 r2  r2 v r 00 = v 00 r . Abbiamo dunque ottenuto:

(2.22) v00(r) = r · f v(r)

r 

. A questo punto è sufficiente porre:

v00= r · fv r



(46)

ovvero: fv r  = av α r − b v r = ar α−1v r α − bv r da cui l’equazione: (2.23) f (u) = a r1−αu α− bu

Concludiamo allora che questa equazione ammette una soluzione a supporto compatto definita su tutto R3, a simmetria radiale.

(47)

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Figura

Figura 1.1. Struttura di un MTS
Figura 1.2. 1. Testa 2. Processo uncinato 3. Istmo 4. Corpo 5. Faccia anteriore 6.
Figura 1.3. Evoluzione nel tempo di un MTS
Figura 2.1. Distanza dalla frontiera di un tumore alla testa del pancreas.
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Riferimenti