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LA REGOLAMENTAZIONE DELLO SPORT TRA ANTITRUST E AIUTI DI STATO

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INTRODUZIONE

Il fenomeno sportivo ha assunto nel tempo un'importanza fondamentale sia come veicolo di comunicazione, sia come strumento di aggregazione sociale diventando in taluni casi uno strumento di rieducazione. Esso stimola la competizione, l'agonismo sociale, l'unità per il raggiungimento di un obiettivo comune; tuttavia accanto alla sua funzione di volano del benessere sociale sì è trasformato in un vero e proprio business. La sempre maggiore spettacolarizzazione degli sport principali e il volume economico di affari generato hanno reso lo sport oggetto di controllo non solo da parte delle istituzioni dei singoli Stati ma anche da parte dell'Unione Europea. La Comunità Europea, infatti, da un lato ha sviluppato politiche tese alla sua incentivazione, dall'altro l'armonizzazione ha portato all'applicazione ad esso delle regole della concorrenza.

Il presente elaborato ha quindi lo scopo di inquadrare l'ordinamento sportivo all'interno del diritto della concorrenza e dall'altro di evidenziare l'importanza degli aiuti di Stato in un settore, che seppur pieno di risorse per gli sport per così dire opulenti, ha necessità di intervento pubblico per il sostentamento delle discipline minori. Per poter svolgere questa analisi si dovrà necessariamente individuare e descrivere la disciplina dei singoli istituti, passando nei casi di vuoto normativo ad utilizzare le statuizione della Corte di

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Giustizia Europea e della Commissione per estrapolarne i principi guida da applicare ai casi concreti.

Nel primo capitolo si ripercorre l'evoluzione del concetto di sport e la nascita dell'ordinamento giuridico sportivo, mettendo in evidenza la sua autonoma configurazione rispetto agli altri ordinamenti. Tratteggiato, quindi, il diritto sportivo si inquadrerà all'interno della normativa italiana prima e successivamente di quella comunitaria.

Nel secondo capitolo si affronterà la disciplina del diritto della concorrenza la cui prima esperienza si fa storicamente risalire allo Sherman Act americano. Se ne svilupperà quindi la normativa applicativa, effettuando una puntuale ricostruzione degli articoli 101 e 102 TFUE per soffermarsi poi sulla giurisprudenza comunitaria, che ne ha chiarito l'ambito applicativo.

Nel terzo capitolo si tratterà il tema degli aiuti di Stato elencando ed esplicitando i requisiti di compatibilità con il diritto alla concorrenza.

Nel quarto ed ultimo capitolo si applicheranno le discipline singolarmente trattate al fenomeno sportivo, evidenziando i casi più significativi in cui la Commissione, gli Stati membri si sono trovati a far coesistere ragioni di antitrust, sport ed aiuti di Stato per finire con l'individuazione di profili di criticità nei confronti degli atleti di Stato.

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CAPITOLO PRIMO

IL DIRITTO SPORTIVO

1. L'evoluzione del concetto di sport

Secondo quanto è riportato all'interno della Carta Europea dello Sport (Consiglio d'Europa 1992): “si intende

per sport qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l'espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l'ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”.

Questa ad oggi è un'autorevole definizione data da un organo politico all'attività sportiva nella sua accezione generale. Si cercherà ora di capire come si è potuti arrivare a data definizione.

Lo sport ha origini molto antiche1. Le prime

testimonianze considerevoli le possiamo trovare parlando della Grecia arcaica, ai tempi della presenza delle città stato all'interno del territorio, le più importanti delle quali furono Atene e Sparta. In Grecia infatti si svolsero i primi giochi olimpici della storia, nell'anno 776 a.C., per l'appunto nella cittadina di Olimpia. Queste gare si svolgevano in onore della

1 M. SANINO, F. VERDE, Il diritto sportivo, Padova , CEDAM, 2011. pag.4ss. Sulle Olimpiadi antiche esiste notevole contributo di studi storici: A. FUGARDI, Storia delle Olimpiadi, Bologna, 1958; C. MARCUCCI, C. SCARINGI, Olimpiadi: storia delle Olimpiadi antiche e moderne, Milano, 1959; S. JACOMUZZI, Storia delle Olimpiadi, Torino, 1976.

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divinità Zeus, padre degli dei, e coinvolgevano atleti provenienti da tutta la Grecia. Nella maggior parte dei casi questi atleti erano direttamente impegnati nelle forze militari delle città stato; a questo proposito, gli storici sottolineano infatti come l'attività sportiva fosse parte integrante ed essenziale nell'addestramento delle forze militari. Corsa, pugilato e lotta, ad esempio, allenavano il corpo a gesta direttamente utilizzate sul capo di battaglia. Questi atleti erano considerati come una sorta di figure mitiche dalla popolazione che assisteva a tali competizioni, in un periodo dove l'ordine pubblico non godeva di grande stabilità, e la forza e il carisma erano doti essenziali nel guadagnarsi il rispetto del prossimo. I giochi panaellenici di Olimpia, nel tempo, furono anche teatro della nascita di una prima idea di professionismo nel mondo sportivo: i governi delle città intravidero in queste ricorrenze uno strumento per accrescere il proprio prestigio per due motivi:

· Il principio citato in precedenza, dove dimostrazioni di forza e potenza consentiva una maggiore stabilità;

· La presenza di un pubblico molto vasto ad assistere ai giochi.

Per questo motivo la figura dell'atleta si staccò in parte dall'aspetto militare, per occuparsi in maniera continuativa dell'allenamento sportivo. Uno scenario su molti aspetti simile a quello greco è possibile ritrovarlo anche all'interno della

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Roma antica in Italia. Anche in questo contesto storico l'allenamento e le competizioni sportive erano una parte integrante dell'addestramento di un soldato. Inoltre, per il popolo, erano occasione di svago e divertimento, come dimostrano i resti di numerose arene ed anfiteatri, dove si svolgevano la maggior parte delle manifestazioni sportive anche le più sanguinarie, come le lotte tra gladiatori. Quindi possiamo osservare come già in epoca arcaica lo sport avesse come obiettivi il miglioramento della condizione fisica e il raggiungimento di risultati riconosciuti.

Durante il medioevo lo sviluppo dello sport in Europa subì un rallentamento per poi riprendere nuovamente durante l'epoca rinascimentale, in particolare in Italia nella città di Firenze, dove venne inventato un primo gioco avente come strumento una palla, antenato quindi di molti sport odierni come calcio, pallacanestro, pallavolo ed altri. È in questo contesto che comincia a prendere piede il senso di piacere nel praticare uno sport, soprattutto perché l'epoca rinascimentale aveva nelle sue fondamenta proprio questo principio, oltre ad avere una connotazione maggiormente liberale rispetto all'età medievale.

Durante l'epoca della rivoluzione industriale lo sport riveste ancora maggiore importanza all'interno di una società più frenetica e in continuo movimento, come veicolo d'evasione dalla routine del lavoro quotidiano. È in questo

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periodo poi che il Francese Pierre de Coubertin2 ebbe l'idea dei

primi giochi olimpici dell'età moderna, che si svolsero ad Atene nel 1896. Questi giochi furono ideati come terreno di confronto tra nazioni, in alternativa a scontri armati, al fine di ottenere maggior prestigio, ricalcando quello che succedeva nella Grecia antica tra le città stato. Infatti grazie a ciò all'inizio del ventesimo secolo, lo sport diventò un importante mezzo atto ad instillare un senso di appartenenza ad una nazione, a creare un legame verso un entità astratta. Per le grandi potenze diventò urgente vincere più medaglie e più campionati rispetto alle rivali. Per le piccole nazioni diventò un elemento critico non tanto il vincere quanto il mostrarsi, avere delle prestazioni accettabili e sentirsi parte del club.

Nell'immediato periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, l'attività sportiva assunse ancora maggiore importanza per quanto riguarda da una parte il senso di appartenenza nazionale, e dall'altra come valvola di sfogo dallo stress della vita quotidiana e veicolo di socializzazione. Ed ancora tutt'oggi l'attività sportiva, a qualsiasi età, è una delle situazioni migliori dove una qualsiasi persona può confrontarsi e creare rapporti sociali con altri individui, come è evidenziato nella definizione di sport realizzata dal Consiglio

2 M. SANINO, F. VERDE, Il diritto sportivo, Padova , CEDAM, 2011, pag. 6. Per un approfondimento della Storia delle Olimpiadi moderne e dell'idea coubertiniana si vedano A. AMBROSO, Rassegna retrospettiva dello sport, Milano, 1933; R. FIORE, Olimpiadi, Milano, 1968; M. BORRELLI, Le Olimpiadi, Milano, 1972; P. GARGANO, Olimpiadi, Milano, 1984; P.PIAZZINI, Dalle antiche alle moderne Olimpiadi – Evoluzione tecnica e legislativa dello sport, in Riv. Dir. Sport, 1975.

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d'Europa.

Con lo sviluppo del consumismo, sempre nel ventesimo secolo, lo sport ha assunto anche il significato di prodotto a tal fine, in dottrina, è stato coniata la locuzione sport business, grazie alla sempre sua maggiore diffusione e allo sviluppo di mezzi di comunicazione di massa, alla nascita di società sportive, di atleti a contratto. Inoltre per gli sport con maggiore audience vi è una crescente spettacolarizzazione dell'evento sportivo in sé, esaltando sempre di più i vincitori e lasciando i perdenti quasi nell'indifferenza. Tutto ciò ha portato alcuni mali che si sono diffusi a partire da questo secolo nello sport, primo fra tutti il doping, cioè l'uso illecito di sostanze al fine di raggiungere risultati sempre migliori.

In maniera più approfondita è possibile constatare come lo sport a partire dal ventesimo secolo soprattutto, periodo del suo massimo sviluppo, abbia avuto una forte influenza sull'odierna società.

2. L'ordinamento giuridico sportivo

La dottrina3, nel suo tentativo di analizzare il fenomeno

3 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, Riv. Dir. Sport, 1949; Sulle pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV Congresso Internazionale di Sociologia, Roma, 1950, 455ss; Gli elementi degli ordinamenti giuridici, Riv. trim. dir. Pubbl. 1958; A. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva nell'ordinamento dello sport, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, I, Milano,1988.S. CASSESE, Istituzione:un concetto ormai inutile in Politiche del diritto, 1979; CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati in Rivista italiana di scienza giuridiche; MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti giuridici, Milano, 1985; DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell'ordinamento giuridico, Napoli, 1991.

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sportivo da un punto di vista giuridico-ordinamentale, si è spesso scontrata con una concezione statalistica e totalitaria del diritto, e per tale motivo è stata, in un certo senso costretta a subire delle teorie che prendevano esclusivamente in considerazione i rapporti che venivano ad instaurarsi tra lo sport e l'educazione fisica, tra sport dilettantistico e sport professionistico, tra istituzioni sportive e pubblici poteri.

Secondo questa teoria, non esistevano altri veri ordinamenti giuridici se non quello statale e quello internazionale: gli altri sarebbero pertinenze del primo, elementi integranti del suo sistema o, al massimo, suoi satelliti. Il diritto era inteso come una forza o una volontà che si irradiava unicamente dallo Stato. Sebbene in certe epoche, e soprattutto nell'antichità, l'unico ordinamento giuridico preso in considerazione dai giuristi e dai filosofi era quello statale, ciò non è avvenuto in virtù di una teoria, della quale non è possibile rinvenire le tracce, ma per una serie di circostanze di fatto che lasciarono nell'ombra altri ordinamenti, che non fu possibile mettere in rilievo e di cui non si poté usufruire a causa di quello che era il concetto generale del diritto in senso positivo: il diritto quale regola di condotta.

Che il diritto si presenti anche come norma e che sia necessario valutarlo anche sotto questo aspetto; che anzi tale punto di vista sia molto spesso, oltre che necessario, anche sufficiente, non esclude che tale definizione possa, e debba,

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essere superata, evidenziando altri aspetti del diritto, più fondamentali e, soprattutto, antecedenti, ai fini sia delle esigenze logiche del concetto che per un'esatta valutazione della realtà in cui il diritto va ad agire. È in questo clima culturale che ebbe origine la tesi della natura pattizia, e conseguentemente non giuridica, delle norme sportive, la quale solo successivamente acquisirà quella dignità scientifica che la porterà ad essere la base di partenza di numerosi studi di diritto sportivo, compresi quelli che ad essa si opporranno decisamente.

Solo con l'apporto fondamentale delle opere del Santi Romano e del francese Hauriou, la concezione statalistica del diritto entrò in crisi, e si fece strada l'idea della pluralità degli ordinamenti giuridici e della effettiva utilizzabilità di tale teoria per la spiegazione del fenomeno sportivo4.

In particolare il Santi Romano, respingendo quella che era la concezione dello Stato quale unico detentore della posizione del Diritto, affermò che lo Stato non è l'unica fonte del Diritto, in quanto esso non è l'unico ordinamento giuridico esistente, ma è un ordinamento tra gli altri.

Lo Stato, non è un'unione materiale di uomini, un aggregato di fatto e casuale, ma una comunità organizzata, cioè un ente giuridico, uno dei vari ordinamenti giuridici che la realtà ci propone. Egli è pervenuto a tale conclusione, partendo

4 S. ROMANO, L'ordinamento giuridico, Firenze, 1966. La cui teoria istituzionalistica ebbe eco anche in francia con M. HAURIOU, in Germania con M. WEBER.

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dal presupposto che dove c'è un ente sociale esiste un ordinamento giuridico; egli pone l'esistenza di corpi sociali o enti, cui dà il nome di istituzioni: ogni istituzione è tale in quanto un ente che ha una propria struttura ed una propria organizzazione e quindi un ordine; riduce ad unità gli individui che lo compongono, acquistando di fronte ad essi vita autonoma e formando un corpo a sé. Un'istituzione così intesa è un ordinamento giuridico.

Queste esperienze confluirono in seguito, venendosi ad arricchire di nuovi sviluppi teorici nel fondamentale saggio del Giannini5, dove l'autore si sforza di dare alla materia un

impianto organico ed efficiente. Attraverso una puntuale rivisitazione delle conquiste della teoria pluralista, contrapposta a concezione “monista” del Diritto, e prendendo spunto dall'analisi dei principali conflitti normativi che possono sorgere tra i diversi gruppi sociali, il Giannini cerca di giungere all'individuazione, sulla incerta linea di confine che divide la sociologia dal diritto, di quelli che sono gli elementi fondamentali di un ordinamento giuridico, identificandoli poi nella plurisoggettività, nell'organizzazione e nella normazione.

Analizziamo ora come vengano a presentarsi, negli ordinamenti sportivi, quelli che sono gli elementi propri di ogni ordinamento giuridico, iniziando dalla plurisoggettività.

5 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, Riv. Dir. Sport, 1949; Sulle pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti del XIV Congresso Internazionale di Sociologia, Roma, 1950, 455ss; Gli elementi degli ordinamenti giuridici, Riv. trim. dir. Pubbl. 1958.

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Sia l'ordinamento sportivo mondiale, così come gli eventuali ordinamenti sportivi nazionali, appartengono alla categoria che già il Santi Romano aveva identificato con la denominazione di ordinamenti “diffusi”. Caratteristica di questo tipo di ordinamenti è quella della non necessità di alcun tipo di atto formale per acquisire la qualità di soggetto di un tale ordinamento, ma è sufficiente un semplice atto di volontà del soggetto per aderirvi. È comunque importante evitare di confondere la qualità di soggetto dell'ordinamento sportivo con quella di soggetto di eventuali ordinamenti giuridici particolari a fini sportivi, aventi forma giuridica associativa chiusa, cioè, in pratica, di socio di associazione sportiva. È quindi lo svolgere un'attività sportiva che fa acquistare alla persona fisica la qualità di soggetto dell'ordinamento sportivo, per cui soggetto per eccellenza dell'ordinamento sportivo è l'atleta.

Il possesso della qualità giuridica di atleta, in assenza di una astratta nozione di tale condizione, e quindi la soggettività nell'ordinamento giuridico, si acquista pertanto col fatto. Da parte loro gli ordinamenti sportivi possono determinare delle differenziazioni all'interno della categoria degli atleti che danno luogo alle categorie degli atleti professionisti, dei dilettanti, degli anziani, dei giovani, degli allievi e simili. Vi sono inoltre persone fisiche che sebbene abbiano la qualità di soggetti degli ordinamenti giuridici sportivi, non sono

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qualificabili come atleti. Si tratta di tutti coloro che producono servizi per lo svolgimento delle attività sportive: i giudici di gara, gli arbitri, i giudici di campo, gli allenatori, i guardalinee, i medici sportivi e simili.

Riferendoci ora alla figura delle associazioni sportive, nell'ordinamento sportivo esse sono simili ai soggetti precedenti, con l'unica differenza di essere enti anziché persone fisiche. Dal momento in cui queste svolgono attività sportiva, nell'ambito dell'ordinamento sportivo, o svolgono funzioni che servono ad amministrare lo svolgimento della stessa, esse sono soggetti dell'ordinamento sportivo. Le medesime associazioni sportive fanno parte anche dell'ordinamento statuale, come enti di varia natura, forniti di una propria organizzazione e diversi dalle persone fisiche che li compongono.

Il secondo elemento degli ordinamenti giuridici, l'organizzazione, riferito all'ordinamento sportivo mondiale, deve essere collegato al fatto che quest'ultimo, essendo originario, ha piena libertà organizzativa. Lo sport, quindi, non solo vive in un complesso organizzativo nazionale, ma anche in un complesso organizzativo supernazionale: si svolge mediante organi o enti nazionali e si proietta nell'ambito internazionale attraverso organi supernazionali, che pongono le norme atte a disciplinare e regolare le manifestazioni sportive nell'organizzazione internazionale. Le organizzazioni

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nazionali ed supernazionali si fondono e si compenetrano nella unicità della visione e del fine, ossia nel criterio di una regolamentazione dello sport che debba valere in ogni luogo in cui si desideri praticarlo e in una regolamentazione generale e comune a tutti nella forma in cui debba svolgersi l'atletismo agonistico.

A livello internazionale, quindi, l'ordinamento sportivo è dotato di un'ampia autonomia; tale autonomia è stata alla base di un modello organizzativo caratterizzato, in un primo momento, dalla occasionalità e dalla spontaneità, e solo successivamente, con il progressiva emersione di esigenze economico-programmatiche, dalla stabilità e dalla necessità di codificarne i principi regolatori. L'organizzazione centrale è costituita dal Comitato Olimpico Internazionale e dalle Federazioni Internazionali per i singoli settori di attività sportiva. Essi stabiliscono la propria organizzazione, regolano le proprie funzioni tra cui quella di indirizzo politico generale, quella normativa e quelle che possono essere definite come ordinative.

La materia degli ordinamenti sportivi nazionali è, invece, soggetta all'ordinamento statale per cui, nel caso in cui non esistano norme statali particolari, la materia sportiva è svolta e si muove in ambito privatistico; pertanto vi saranno società sportive che potranno costituirsi in associazioni sportive private, riconosciute o meno, ma sempre a livello di

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istituti, che sono dello Stato.

Tra queste due posizioni estreme ve ne sono numerose intermedie che, in definitiva sono le più frequenti: solitamente si hanno regimi misti in cui, organi dello Stato, enti privati ed altri soggetti costituiscono un complesso di apparati addetti alla cura dello sport. Esiste un apparato centrale per l'attività sportiva e vari apparati sezionali a cui viene affidata l'organizzazione dei vari sport (federazioni, unioni, comitati). Tali soggetti hanno un potere di autorganizzazione: esistono infatti organi con funzioni normative, altri con funzioni giurisdizionali, nonché punitive o di coazione. Per tale ragione possiamo parlare di legiferazione sportiva, di tribunali e processi e sanzioni sportive, oltre che di misure di esecuzione forzata sportive.

Il terzo, ed ultimo, elemento che permette di affermare l'esistenza di ordinamento giuridico, si collega a quello che è il problema dei rapporti tra le normazioni di due ordinamenti. Che esista una normazione sportiva, intesa quale normazione propria degli ordinamenti sportivi in quanto ordinamenti diversi da quelli statali, è cosa di cui la scienza e la prassi giuridica sono convinte.

Da una visione esterna, la normazione sportiva risulta divisa in tre parti: una zona governata da norme dei diritti statali ed esclusivamente da esse; una seconda zona governata, al contrario, solo e soltanto da norme degli ordinamenti

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sportivi; ed una zona intermedia dove le due normazioni si trovano a contatto, e in alcuni casi arrivano a sovrapporsi, in altri escludersi mentre in altri ancora sono in conflitto tra loro. Un esempio esplicativo delle norme della prima specie, ossia dove l'ordinamento sportivo è retto da norme statali, si ha nelle norme di diritto amministrativo per l'edilizia sportiva, per l'istruzione fisica nelle scuole, per il regime tributario degli enti sportivi. Norme che, al contrario appartengono alla seconda categoria, dove esiste solo la normativa puramente sportiva, sono quelle inerenti lo svolgimento delle gare sportive, la determinazione dei punteggi, le funzioni degli operatori diversi dagli atleti, etc.

Infine, per le norme che appartengono alla terza specie, si possono ricordare le norme degli ordinamenti sportivi e degli ordinamenti statali per la polizia delle gare ai fini della pubblica sicurezza, quelle degli ordinamenti sportivi sulle sanzioni sportive, nonché quelle statali sulle qualifiche di alcuni organi o enti sportivi.

Risulta evidente come il punto di maggior interesse sia quello relativo alle norme che si vengono a trovare nella zona intermedia, ed ancora più in particolare per quelle norme dell'ordinamento sportivo e dell'ordinamento statale in conflitto tra loro.

Dal punto di vista dell'ordinamento statale, tali conflitti hanno una soluzione obbligata, ossia quella conforme al diritto

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statale. Lo Stato in quanto ordinamento sovrano non può rinunciare a far valere la propria sovranità, e ciò è quello che accadrebbe nella situazione in cui vi fossero delle norme dell'ordinamento sportivo che prevedessero sanzioni a carico di un atleta o prevedessero procedimenti nei confronti di beni, che andassero ad usurpare quelle che sono le prerogative proprie dell'ordinamento statale. In queste situazioni, tali norme dell'ordinamento sportivo verrebbero bloccate nella loro efficacia dalle norme degli ordinamenti statali, le quali escludono che possa essere applicata qualunque norma di pari contenuto che non provenga dallo Stato.

Nella realtà, però, non sono questi i casi che danno luogo a conflitti tra i due ordinamenti; i casi sono invece quelli dove:

1. norme dell'ordinamento sportivo contengono qualificazioni giuridiche di fatti che differiscono da quelle contenute in norme dell'ordinamento statale ( es. per una norma sportiva viene considerato fatto lecito o in alcuni casi dovuto, ciò che viene al contrario definito quale illecito in una norma statale );

2. norme che contengono la stessa qualificazione dei fatti, in entrambi gli ordinamenti, fanno derivare da essi diverse conseguenze giuridiche (es. uno stesso fatto nell'ordinamento statale comporta come conseguenza l'espulsione da una associazione sportiva, mentre per

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l'ordinamento sportivo viene prevista una sanzione grave, come può essere la squalifica);

3. norme che pur prevedendo le stesse qualificazioni per lo stesso accadimento, e facendo derivare da esso le medesime conseguenze giuridiche, stabiliscono però misure giuridiche differenti per la tutela dei diritti (es. nel caso in cui entrambi gli ordinamenti rivendichino la competenza di propri organi giurisdizionali).

I casi da analizzare sarebbero numerosi, ma già quelli esposti permettono di dimostrare come esistano dei casi in cui i conflitti non si risolvono, o si risolvono solo di fatto, attraverso la semplice inoperatività della norma di uno o dell'altro ordinamento, riproducendo anche in ambito sportivo la stessa situazione oggettiva di concorso di normazioni contrastanti.

3. Il diritto sportivo nell'ordinamento italiano

La formazione del diritto sportivo nazionale, inteso sia come normazione sportiva, sia come complesso, di svariati elementi costitutivi, ha origini piuttosto recenti, risale infatti alla seconda metà del diciannovesimo secolo, allorché furono create le prime associazioni sportive, poi riunite in federazione sia livello nazionale che a livello internazionale6. Ancora più

recente è la comparsa di un diritto sportivo inteso quale

6 R. SIMONETTA, L'organizzazione dello sport in Italia, Riv. Dir. sport, 1954; M. SAVINO, L'organizzazione dello sport in Italia, Riv. Dir. Sport, 1985.

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particolare settore della legislazione, in quanto l'interesse dei poteri pubblici verso lo sport si è rilevato piuttosto tardi, e cioè soltanto quando lo sport stesso ha finito per assumere un importante dimensione sociale ed economica.

Il primo intervento normativo nazionale avente ad oggetto il diritto sportivo fu di tipo organizzativo con la Legge Istitutiva del CONI n 46 del 19427, momento che appare

caratterizzato dal totale disinteresse dello Stato per le situazioni sportive, dal monopolio di fatto della giustizia interna circa contenzioso in materia, nonché quale motivo dominante informatore dell'intero periodo, la concezione idealistica e romantica dello stesso sport di evidente derivazione olimpica. Un'epoca in cui lo sport è ancora inteso nell'accezione di Ludus in cui tenacemente resistevano gli ideali olimpici della filosofia del dilettantismo in cui una regolamentazione della giurisdizione in materia sportiva non interessava in realtà ancora nessun governo.

In questa prima fase lo stato italiano dopo l'emanazione della legge istitutiva del CONI, attuata ventidue anni dopo, non ė più intervenuto in materia fino alle legge sul professionismo del 1981, lasciando le organizzazioni federali in una vera e propria deregulation. Sul piano fattuale dunque veniva a legittimarsi definitivamente il monopolio della giustizia endoassociativa, lasciando alle federazioni sportive

7 Legge n. 426, del 16 Febbraio 1942, Costituzione e ordinamento del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 112 del 11 Maggio194.

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una totale autodichia basata su un diritto pubblico negativo costituito dal totale disinteresse in materia dai pubblici poteri.

La concezione di homo ludens contrapposta a quella di

homo faber, in ragione della causa ludica del primo e di quella

economica del secondo si riflette sul piano sportivo: l'unica forma di sport concepita era quella dilettantistica, in cui nella competizione non vi era il fine di una ricompensa, configurando una vera e propria messa al bando del professionismo concepito come una forma anormale di esso. Questa visione cominciò a mutare intorno agi anni '70 quando cominciarono a confluire nello sport e segnatamente nel calcio interessi di carattere economico e iniziarono a profilarsi i primi contenziosi di carattere lavoristico, che misero da subito in evidenza l'impossibilità degli organi endoassociativa di far fronte a tali problematiche posto che essi non potevano prescindere ne dalla legge istitutiva del Coni ne potevano considerarsi esentati dall'osservanza dei principi costituzionali e dalle leggi comunque applicabili.

In questo mutato contesto il legislatore emana la legge 23 marzo 1981 n. 918, detta anche legge sul professionismo

sportivo, che segna una seconda fase caratterizzata dal riconoscimento della figura della “società sportiva professionistica”; “queste compagini societari” vengono costituite in forma di s.p.a. o di s.r.l. e possono stipulare

8 Legge del 23 marzo 1981 n. 91, Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 1981.

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contratti non solo con giocatori professionisti ma anche con allenatori, direttori tecnici e preparatori atletici, permaneva però il divieto di scopo di lucro non potendo ripartire gli utili tra i soci. Tale ultimo aspetto sarà poi modificato dalla legge 586/969. Tuttavia alla fine del 1995, viene emessa la storica ed

imprescindibile sentenza Bosman, e l'intero contesto di riferimento subisce un nuovo, progressivo e definitivo riassetto, dando così inizio ad una terza ed ultima fase che appare oggi innanzitutto connotata dagli estremi della sovranazionalità e della piena imprenditorialità. La struttura istituzionale dell'organizzazione sportiva italiana viene riscritta dal d. lgs. N. 242/199910, con lo scopo di mero “riordino” del

Comitato Olimpico Nazionale Italiano. L'emanazione del decreto, rientrava nel più ampio progetto di riforma e semplificazione della Pubblica Amministrazione che ha avuto inizio con l'emanazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 e con la successiva legge 15 maggio 1997, n.127 c.d. legge Bassanini bis. La relazione governativa sullo schema di decreto, individuava gli elementi fondamentali della nuova disciplina nella “garanzia che tutte le componenti del mondo sportivo possano dare il loro apporto all'attività di regolazione e di vigilanza del CONI nello svolgimento dell'attività

9 Legge 18 novembre 1996, n. 586 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 settembre 1996, n. 485, recante disposizioni urgenti per le societa' sportive professionistiche" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 272 del 20 novembre 1996.

10 Decreto Legislativo n. 242 del 23 luglio 1999, “Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.176 del 29 luglio 1999.

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professionistica e dilettantistica” e “nell'adeguamento a principi di democrazia interna nella composizione degli organi dell'Ente, relativamente ai quali è garantito l'accesso anche agli atleti ed ai tecnici sportivi”ed infine “nella distinzione fra Ente e Federazioni Sportive, realizzata attraverso il mutamento della natura giuridica di queste ultime, che diventano associazioni riconosciute a carattere privatistico” .

Il decreto si apre, all'art. 1, con il riconoscimento della personalità giuridica di diritto pubblico del CONI. La medesima disposizione conferma, poi, la soggezione dell'ente alla vigilanza dell'autorità ministeriale, individuata dal decreto nel Ministero per i beni e le attività culturali: tale vigilanza si concreta nel potere di disporre lo scioglimento della Giunta Nazionale e la revoca del Presidente del CONI, per gravi violazioni di norme, per gravi irregolarità amministrative, per omissione nell'esercizio delle funzioni, ovvero per impossibilità di funzionamento degli organi dell'ente e di nominare in loro vece un commissario straordinario (art. 13 D.lgs. 242/99). L'art. 2: “ Compiti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano sono l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale e l'indirizzo di esso verso il perfezionamento atletico con particolare riguardo al miglioramento fisico e morale”; le novità principali sono costituite da: eliminazione del rapporto organico tra Coni e Federazioni sportive nazionali, diritto di voto nelle assemblee

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federali e nel Coni di atleti e tecnici, ineleggibilità dei Presidenti Federali nella Giunta Nazionale. Tali poteri di vigilanza del Governo, sono, evidentemente, finalizzati alla garanzia del corretto funzionamento del Comitato. Importanti e significative innovazioni sono contenute nell'art. 2, che riconosce esplicitamente l'inserimento del CONI nell'ordinamento sportivo internazionale, attribuendogli un'ampia potestà statutaria. La L. n. 426/42, legge istitutiva del CONI, infatti, non conteneva alcun riferimento all'ordinamento sportivo internazionale, nel quale pure il CONI era concretamente integrato. Con il D.lgs. n. 242/99, invece, i principi dell'ordinamento sportivo internazionale e gli indirizzi del CIO sono evocati proprio nella disposizione dedicata alla potestà statuaria del CONI: caratteristica peculiare è, quindi, il suo conformarsi, per espressa indicazione del legislatore, alle indicazioni provenienti sia dall'ordinamento statale, integrato dal diritto comunitario, sia da quello sportivo internazionale.

Alla competenza dello statuto del CONI, secondo il Decreto Melandri, sono lasciate anche le seguenti materie: la determinazione dei compiti, della composizione e delle modalità di funzionamento del Comitato nazionale sport per tutti (art. 10, comma 3 – oggi abrogato), l'integrazione delle funzioni dei diversi organi (art. 5, comma 2, lett. h; art. 7, comma 2, lett. h; art. 8, comma 1; art. 12, comma 2, lett. c), la regolamentazione dei requisiti di eleggibilità (art. 6, comma 6)

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e delle procedure elettorali (art. 9, comma 3). Infine, il decreto tratteggia quelle che sono le diverse funzioni del CONI, che sono, comunque, più ampiamente definite all'interno dello statuto. In particolare, sono menzionati i compiti di organizzazione e potenziamento dello sport nazionale, di preparazione degli atleti e di approntamento dei mezzi idonei alle gare olimpiche. Al CONI sono, inoltre, attribuite funzioni di promozione della pratica sportiva, con l'espressa salvaguardia, peraltro, delle competenze delle Regioni e degli enti locali, e, su indicazione della Commissione bicamerale, le funzioni di prevenzione e repressione, nell'ambito dell'ordinamento sportivo, del doping e di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza nello sport.

Naturalmente, come la normativa vigente attesta, lo Stato ha la potestà di disciplinare per legge singoli aspetti dell'organizzazione e dell'attività sportiva e anche conferire determinati compiti ad amministrazioni pubbliche diverse. In assenza di tali previsioni “speciali”, tuttavia, in base alla disciplina generale del D.lgs. n. 242/99, le funzioni di governo e regolamentazione complessiva del settore spettano esclusivamente al CONI.

Il decreto, in realtà, non ha disposto un semplice riordino del CONI, ma ha determinato una vera e propria riforma dell'organizzazione sportiva italiana, i cui effettivi contenuti sono dipesi anche dalle modalità di esercizio

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dell'autonomia statutaria del CONI e delle Federazioni, riforma capace di superare le concezioni “pubblicistiche” che erano alla base della L. n. 426/42. Il decreto Melandri, infatti, ha prodotto l'effetto di radicare ancor più saldamente il CONI e le Federazioni nell'ordinamento sportivo internazionale e nazionale, sia attraverso il riconoscimento di un'ampia autonomia statutaria, sia attraverso una legittimazione maggiormente democratica degli organi. CONI e Federazioni costituiscono l'elemento di raccordo, rispettivamente generale e settoriale, tra la rete dell'organizzazione sportiva internazionale e la rete dell'organizzazione sportiva nazionale.

Le modifiche apportate dal decreto legislativo 8 gennaio 2004, conosciuto anche come “decreto Pescante” , appunto, intitolato “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242” hanno come obiettivo primario quello di eliminare tutte le disfunzioni che si erano create con il riordino del '99, senza per questo ripristinare il modello di funzionamento preesistente alla riforma.

Il decreto ha anche un altro scopo che è quello di coordinare il testo con le norme sopravvenute, soprattutto in materia di doping, riconoscimento della personalità giuridica e composizione del collegio dei revisori dei conti, nonchè in relazione al nuovo assetto gestionale determinatosi con la costituzione della “CONI Servizi S.p.A.”, ai sensi dell'articolo 8 del decreto n. 138/2002. La relazione governativa è una

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perfetta guida alla comprensione delle motivazioni che hanno condotto il Governo a modificare, seppur parzialmente, il precedente decreto. A meno di quattro anni dall'emanazione del decreto legislativo n. 242 del 1999, il bilancio sugli effetti di tale provvedimento sulla funzionalità del CONI e delle Federazioni e, conseguentemente, dell'intera organizzazione sportiva italiana, poteva essere considerato soltanto in parte positivo in quanto, accanto ad alcune evoluzioni sul piano organizzativo, rivelatesi di indubbia utilità, si sono prodotte situazioni di netta involuzione sul piano dello snellimento burocratico e della solidità dell'assetto istituzionale. Occorre, infatti, ricordare che le principali motivazioni alla base del provvedimento del '99 consistevano, da un lato, nell'assicurare maggiore base democratica ai provvedimenti relativi alle cariche elettive del CONI e delle Federazioni attraverso la partecipazione diretta degli atleti e dei tecnici, nonchè dei rappresentanti dell'organizzazione territoriale del CONI, e dall'altro, nella netta separazione tra CONI e Federazioni al fine di evitare il fenomeno che la relazione definisce “controllore-controllato”. Per quanto concerne il primo aspetto, auspicato dalla stessa organizzazione sportiva, si può affermare senza ombra di dubbio che l'innovazione è stata senz'altro positiva, anche in relazione agli opportuni accorgimenti adottati nello Statuto del CONI che hanno adeguatamente elevato i requisiti qualitativi per l'elettorato

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passivo degli atleti e dei tecnici, in conformità con le disposizioni del CIO. Il contributo di tali categorie, in particolare nell'ambito del Consiglio e della Giunta Nazionale del CONI, si è rivelato prezioso. Non altrettanto positivi si sono dimostrati alcuni effetti conseguenti alla privatizzazione delle Federazioni. A prescindere dagli oneri derivanti dai complessi adempimenti civilistici sia in fase di redazione degli statuti federali sia per l'obbligo di tenere le Assemblee annuali, l'attenuazione del legame CONI-Federazioni e il venir meno dell'unitarietà del rapporto avevano causato un indebolimento dell'intero sistema che si era sempre retto saldamente su tale relazione. Ciò anche in virtù del fatto che lo spostamento delle attribuzioni più importanti dal Consiglio Nazionale, in cui sono presenti i Presidenti federali, alla Giunta Nazionale, di cui non potevano far parte i Presidenti e i Consiglieri federali , ha determinato un affievolimento dell'interesse delle Federazioni che non si sentivano più decisive nelle determinazioni assunte dal CONI.

Il decreto n. 15 del 2004 ha infatti previsto un'apertura a rappresentanti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline associate (v. art. 6 comma 1 lett. c). Il CONI, fin dalla sue origine nel 1914, è sempre stata la Federazione delle Federazioni sportive, per libera scelta delle stesse e ciò ha comportato una stretta connessione tra CONI e Federazioni, in quanto esse costituiscono necessariamente gli strumenti

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operativi del CONI affinchè possa essere espletato il compito istituzionale della massima diffusione dello sport nel Paese. Ripristinare l'unitarietà tra CONI e Federazioni, lungi dall'essere una posizione di mera conservazione del precedente sistema, rappresenta il presupposto fondamentale per rafforzare il modello sportivo italiano e per far si che lo stesso possa rispondere adeguatamente alle nuove esigenze manifestatesi nel settore dello sport. Non è un caso, infatti, che nel decreto Melandri non trovasse posto la dichiarazione “Il CONI è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate”, che invece campeggia nel fondamentale articolo 2 del decreto n. 15 del 2004. Il decreto non intende, però, invertire l'avviato processo di privatizzazioni delle Federazioni, infatti, la natura privatistica non solo merita di essere mantenuta, ma deve essere ancor più accentuata soprattutto per un miglior espletamento delle funzioni gestionali e organizzative. Allo stesso tempo la riaffermata configurazione del CONI quale Confederazione delle Federazioni comporta la necessità di sottolineare il potere di controllo del CONI sulle Federazioni stesse, anche in relazione agli aspetti pubblicistici della loro attività e all'utilizzo dei contributi alle stesse destinati.

La tappa più importante per il riconoscimento dello sport, nell'ordinamento italiano, si ha con la riforma del Titolo V della Carta costituzionale, laddove all'art. 117, nel definire

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(nel quadro più complessivo dell'attribuzione della potestà legislativa) le materie attribuite alla legislazione concorrente, inserisce appunto tra quest'ultime anche l'ordinamento sportivo, un tema dal peso economico in continua crescita.

In definitiva, è solo da allora che la Costituzione prevede in sé l'esistenza palese di una materia definita e riconosciuta come ordinamento sportivo, attribuendone poi la disciplina (sia legislativa che regolamentare) a soggetti pubblici (Stato e Regioni), al primo riservando il compito di definire i principi fondamentali della materia, alle seconde affidando invece la concreta e dettagliata definizione della disciplina della materia medesima. Prima della citata riforma costituzionale, al contrario, il principio del pluralismo giuridico in ambito sportivo, era timidamente rappresentato soltanto dal velato e indiretto riferimento all'importanza dello sport, contenuto, tra le altre cose, negli artt. 2, 18 e 32 della Costituzione italiana: il primo, chiaro garante dei diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, quali indubbiamente devono ritenersi anche quelle sportive; il secondo, quale baluardo della libertà di associazione (e dunque anche di quella in ambito sportivo); e l'ultimo, infine, come principio cardine della tutela della salute dell'individuo, suo fondamentale diritto ed interesse dell'intera collettività, nel quale appunto si esplica anche la stessa pratica sportiva. Ciò

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detto, può dunque trovare conferma l'impressione che, prima del 2001, tutte le menzioni normative circa il fenomeno dello sport italiano, si concentrassero essenzialmente sul suo profilo sociale, quale forma di relazione all'interno della collettività e fine per migliorare la salute psicofisica dell'individuo. Inoltre, si è soprattutto ampliato il campo semantico del termine sport, cristallizzando così anche normativamente la sua crescente ed attuale importanza sotto il profilo economico e finanziario del Paese, compresa la conseguente e ovvia decisione dello Stato, di voler regolare direttamente ed intervenire con maggiore incisività in una materia sempre più fondamentale per il business italiano e mondiale.

4. Il diritto sportivo nell'ordinamento europeo

Il primo atto facente capo alla Comunità Europea, è rappresentato dalla relazione Adonnino, adottata dal comitato ad hoc su l'“Europa dei cittadini ”, a conclusione del vertice di Milano nel 1985, nella quale si promuove lo sport come strumento per valorizzare e sensibilizzare il cittadino rispetto al senso di appartenenza alla Comunità Europea. Da allora si sono susseguite le iniziative tese a favorire da un lato, il dialogo tra i rappresentanti del mondo sportivo e le autorità comunitarie e dall'altro, a promuovere azioni di comunicazione tra le stesse, proprio attraverso lo sport. Infatti, nonostante lo sport avesse ormai acquistato lo status, sebbene particolare, di

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soggetto di diritto europeo, e nonostante i ripetuti interventi della giurisprudenza comunitaria, che dimostravano la necessità di adottare atti definitivi in materia, i Trattati europei non contenevano alcuna previsione di competenze specifiche in tema di sport, in capo alla Comunità11. Ne derivava che

quest'ultima, sempre più spesso interpellata su questioni particolarmente delicate, non potesse far altro che declinare la propria competenza o al più, elaborare provvedimenti di soft law, non vincolanti ma puramente esortativi.

Negli anni novanta si registra una maggiore attenzione al fenomeno sportivo da parte del Consiglio e della Commissione, sia a causa del diffondersi del professionismo che di fatto ha reso lo sport un'industria rilevante per il PIL, sia a causa del dilagare del doping nelle attività sportive, sia per la presa di coscienza da parte delle stesse Istituzioni comunitarie, della rilevanza sociale dello sport e delle nuove implicazioni ad esso connesse.

La Commissione ha elaborato l'importante Comunicazione del 31 luglio 1991 sul delicato quanto controverso tema dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, ed in occasione della quale l'esecutivo di Bruxelles ha sottolineato come lo sport debba essere preso in considerazione in sede di sviluppo delle politiche europee in materia di salute, ambiente, turismo ed educazione.

L'anno decisivo per la definizione dei rapporti sport -

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Comunità Europea è senza dubbio il 1995, quando la Corte di Giustizia emette la storica sentenza Bosman12 che,

sconvolgendo letteralmente il mondo dello sport e le sue relazioni con l'ordinamento comunitario, costringe le Federazioni ad incisive modifiche delle proprie regolamentazioni tese da sempre, a garantire l'autonomia dell'ordinamento sportivo; la sentenza Bosman, inoltre, dà l'incipit ad un lento processo di comunitarizzazione dello sport, che porterà appena due anni dopo, alla Dichiarazione n. 29 allegata al Trattato di Amsterdam. Detta Dichiarazione costituisce un risultato importante a livello comunitario rappresentando il primo segnale politico del riconoscimento ufficiale del ruolo dello sport. Tuttavia, in questo contesto, lo sport viene ancora in considerazione da un punto di vista più sociale che giuridico, nel senso che se ne riconosce ed esalta il carattere aggregativo, quale strumento di formazione dell'identità delle persone, si invitano le Istituzioni a coinvolgere gli operatori del settore prima di prendere determinate decisioni, e si pone l'accento sull'importanza dello sport dilettantistico e delle sue caratteristiche specifiche, senza il quale non esisterebbe neppure lo sport professionistico. Inoltre, considerando che le Dichiarazioni annesse ai Trattati, a differenza di articoli e protocolli, non sono vincolanti per gli Stati Membri, e che la genericità che caratterizza tale Dichiarazione impedisce di comprendere a pieno quale sia il

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ruolo degli Stati, alcuni esponenti della dottrina, pur riconoscendo il valore “storico” di tale dichiarazione, nutrono dubbi sulla sua effettiva portata, tanto da considerarla un'occasione perduta per l'assunzione da parte della Comunità di un impegno più serio.

L'anno seguente, la Commissione su invito del Consiglio Europeo, riunitosi a Vienna, elaborava un ulteriore documento da sottoporre al Consiglio di Helsinki, avente ad oggetto il modello sportivo europeo, con l'obiettivo di descriverne l'organizzazione in Europa, i suoi recenti sviluppi e quelli futuri.

Nel Dicembre 1999, veniva così promulgata la Relazione di Helsinki, con l'obiettivo di “salvaguardare le strutture sportive esistenti e il ruolo sociale dello sport nell'ambito comunitario”. Dopo un'introduzione un cui ci si sofferma sulla “funzione sociale d'interesse generale dello sport”, minacciata da fenomeni quali la “violenza negli stadi, il doping, la ricerca di benefici finanziari rapidi a detrimento di un'evoluzione più equilibrata dello sport”, la relazione indica le linee guida da seguire per conciliare la dimensione economica dello sport con la sua dimensione popolare, educativa, sociale e culturale. Anzitutto la Commissione passa in rassegna e descrive i fenomeni (aumento della popolarità dello sport, internazionalizzazione dello sport, sviluppo senza precedenti della dimensione economica dello sport) che

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minacciano un approccio europeo allo sport basato su concetti e principi comuni e pur riconoscendo che detti fenomeni apportano tanto allo sport quanto alle società sportive elementi positivi, rileva che essi sono senza dubbio fonte di tensioni da non sottovalutare. Risulta evidente pertanto, quella che è la maggiore preoccupazione della Commissione: evitare che le nuove caratteristiche dello sport finiscano con il travolgere tutto e tutti e prevalere su i suoi valori fondanti. A tal proposito, essa richiama come dimostrazione del fatto che l'evoluzione economica che il settore sportivo sta subendo e le risposte apportate ai problemi che da essa derivano, da parte degli addetti ai lavori, non consentono di garantire la salvaguardia del ruolo sociale dello sport, la moltiplicazione delle procedure giurisdizionali in materia. Tuttavia, il vero elemento di massimo rilievo nella Dichiarazione in commento, è il contenuto del paragrafo 4 in cui si sottolinea la necessità di chiarire la struttura giuridica dello sport. A giudizio della Commissione, proprio in considerazione del fatto che il Trattato non riconosce una specifica competenza in materia di sport, è la Comunità che deve “vegliare affinché le iniziative

delle autorità pubbliche nazionali o delle organizzazioni sportive siano conformi al diritto comunitario, ivi compreso il diritto della concorrenza, e rispettino in special modo i principi del mercato interno”. La Relazione di Helsinki apre la

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dello sport, teso ad un riconoscimento (non ancora totale) di quella specificità tanto osannata dai vertici dell'ordinamento sportivo.

Questo cambiamento troverà ufficializzazione nella “Dichiarazione sulla specificità dello sport e la sua funzione sociale in Europa”, annessa alle conclusioni del Presidente del Consiglio europeo di Nizza, del 2000. Per la prima volta, si evidenziano e si esprime la volontà di voler effettivamente tutelare quelle caratteristiche peculiari e proprie dello sport, di cui si dovrà tener conto nell'attuazione delle future politiche comunitarie, che dovranno avere come obiettivo la salvaguardia della coesione e dei legami di solidarietà che uniscono tutte le pratiche sportive, dell'equità delle competizioni, degli interessi materiali e morali e dell'integrità fisica degli sportivi, specie se minorenni. La Comunità quindi, seppur ancor dotata di competenze e poteri indiretti, assume un ruolo e soprattutto una responsabilità sempre maggiori nella tutela delle funzioni sociali, educative e culturali dello sport.

Un altro aspetto di rilievo della Dichiarazione di Nizza è l'indicazione di una precisa strategia, ritenuta necessaria per soddisfare gli intenti espressi, che prevede il rafforzamento del ruolo delle federazioni sportive, senza tuttavia renderlo esclusivo, affinché si riescano a preservare anche le diversità esistenti in Europa.

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di indirizzo politico, non vincolante, che emerge una visione che va oltre la tradizionale concezione dello sport come settore di intervento trasversale per varie politiche comunitarie e si pone il problema di una sua disciplina coerente ed omogenea, posto il ruolo sociale che ad esso viene sempre più riconosciuto.

Un segno tangibile dell'impegno dell'UE è la dichiarazione nel 2004 dell'Anno Europeo dell'educazione attraverso lo sport, “per accrescere la consapevolezza sul

potenziale dello sport quale sociale di elevata ed estesa portata.” Tale iniziativa ha posto le basi per uno dei documenti

più importanti redatti in materia di sport dall'Unione Europea: Il Libro Bianco sullo Sport13, presentato all'opinione pubblica

l'11 luglio 2007, frutto di consultazioni e proposte che hanno coinvolto tutti gli esperti del settore, dalle Federazioni sportive ai Comitati Olimpici, dalle Istituzioni comunitarie agli Stati membri, compresa una consultazione online avviata nel febbraio 2007, rappresenta la prima iniziativa globale nel campo dello sport da parte della Commissione Europea. L'obiettivo di tale documento è quello di fornire un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell'Unione

13 Più approfonditamente: I libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azioni comunitarie in settori specifici. Talvolta fanno seguito ad un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a livello europeo. Mentre i libri verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte in un settore politico specifico e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione. Quando un libro bianco è accolto favorevolmente dal Consiglio, esso potrebbe sfociare in un programma d'azione dell'Unione nel settore di cui si tratta.

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Europea, migliorandone la visibilità nella definizione delle politiche europee e sensibilizzare maggiormente sulle necessità e specificità del settore sportivo. Inoltre, l'iniziativa è tesa a creare la massima chiarezza giuridica tra le parti interessate, perciò la Commissione nel rispetto del principio di sussidiarietà, dell'autonomia delle organizzazioni sportive e dell'attuale quadro giuridico comunitario, sviluppa il concetto di specificità dello sport nei limiti delle attuali competenze dell'UE. Per la prima volta, essa fa il bilancio della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e delle proprie decisioni in materia. Ancora una volta, punto di partenza è la dimensione sociale ed educativa dello sport, lo sport è una parte importante dell'attività umana, interessa la maggior parte dei cittadini europei ed ha un potenziale enorme di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente dall'origine sociale o dall'età. Oltre a migliorare la salute dei cittadini europei, lo sport svolge un ruolo ricreativo, culturale che permette addirittura di rafforzare le relazioni esterne dell'Unione.

La Commissione evidenzia poi, l'aspetto salutare dello sport, sottolineando che la mancanza di attività fisica comporta rischi e malattie che riducono la qualità della vita; vengono quindi incentivati gli Stati membri a promuovere l'idea di “vita attiva” in collaborazione con le Associazioni del settore, come l'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) e in attuazione di altri libri bianchi che si occupano di questo problema.

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Strettamente connesso al problema della tutela della salute è la lotta contro il doping. Si tratta, a parere della Commissione, di una vera e propria minaccia per lo sport in tutto il mondo, contro la quale bisogna unire le forze; pertanto, suggerisce collaborazioni con l'Agenzia Mondiale Antidoping (WADA), raccomanda che il commercio delle sostanze dopanti sia trattato alla stregua di quello delle sostanze stupefacenti e invita tutti i soggetti responsabili della sanità pubblica a tener conto dei rischi per la salute insiti nell'utilizzo di tali sostanze che hanno tra gli altri, anche l'effetto di minare alla radice il principio di leale competizione nuocendo anche all'immagine del settore sportivo.

La Commissione incoraggia poi il rafforzamento dello sport e dell'attività fisica attraverso diverse iniziative nel campo dell'istruzione e della formazione. Particolarmente interessante appare il progetto teso a facilitare il reinserimento degli sportivi professionisti nel mondo del lavoro alla fine della loro carriera.

Altri temi affrontati in questa sede dalla Commissione sono quello della tutela dei giovani talenti e della lotta alle forme di discriminazione basate sulla nazionalità, richiamando a tal proposito, la ormai consolidata giurisprudenza comunitaria.

La Commissione promuove inoltre, il volontariato e il principio in base al quale lo sport rappresenta uno strumento

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necessario a favorire l'inclusione sociale, l'integrazione e le pari opportunità; lo sport permette di creare nuovi posti di lavoro combattere fenomeni sociali in continua crescita quali il razzismo, la violenza e quindi invita gli Stati membri ad operarsi per migliore le infrastrutture e renderle agibili anche ai disabili. Uno sguardo è poi rivolto alle politiche di sviluppo dell'Unione Europea in cui lo sport assumerebbe, a parere della Commissione, un ruolo importante, potendo diventare fattore di dialogo con i Paesi partner, componente della diplomazia pubblica dell'Unione.

È opportuno dunque, creare anche sinergie e collaborazioni con le Nazioni Unite e i programmi da esse elaborati e già esistenti.

Il secondo capitolo è dedicato alla dimensione economica dello sport. Lo sport è un settore dinamico, in rapida crescita, il cui impatto economico è sottovalutato, e che può contribuire anche agli obiettivi di Lisbona. Esso può servire da strumento di sviluppo regionale e locale. Uno studio effettuato durante la Presidenza dell'Austria dell'Unione Europea, nel primo semestre del 2006 ha evidenziato come il fatturato dell'indotto sportivo fosse pari al 3.7% del PIL dell'Unione; i dati occupazionali parlano del 5.4% della forza lavoro impiegata nel comparto sport; numeri e cifre, questi, che testimoniano inequivocabilmente l'enorme dimensione raggiunta dallo sport nell'Unione. Nonostante l'aumento

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dell'importanza economica dello sport, la maggior parte delle attività sportive è svolta da strutture senza scopo di lucro, molte delle quali necessitano di aiuti pubblici per poter permettere l'accesso alle discipline sportive a tutti i cittadini14.

Da qui l'attenzione della Commissione, alla fine del presente capitolo, rivolta alla necessità di creare solide basi per il sostegno pubblico allo sport. È indubbio che plurime sono le fonti di reddito per le organizzazioni sportive, dalle quote di iscrizione alla vendita dei biglietti, ai più recenti fenomeni del merchandising e delle sponsorizzazioni. Nell'ambito dello sport professionistico sebbene i proventi di natura privata siano di grande portata, alcune organizzazioni hanno un accesso considerevolmente migliore di altre, alle risorse provenienti dagli operatori economici, anche se in alcuni casi è in funzione un sistema efficace di redistribuzione. Di contro, nello sport dilettantistico, pari opportunità e accesso alle attività sportive possono esser garantiti soltanto attraverso una forte partecipazione pubblica.

La Commissione comprendendo tale situazione si mostra a favore di un sostegno pubblico, purché esso sia disposto in conformità al diritto comunitario. Invita gli Stati membri a verificare modelli e forme di finanziamento sostenibile per un sostegno qualificato e duraturo delle organizzazioni sportive. Per ciò che attiene l'organizzazione

14 BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco e regole economiche nel diritto dell’Unione Europea, in Ib. (a cura di), L’Europa e lo sport, cit.

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dello sport, il Libro Bianco riprende sotto molti aspetti, tematiche e problemi già affrontati in passato dalla stessa Commissione ma anche dalla giurisprudenza comunitaria. La Commissione non ritiene realistico provare a definire un modello unico di organizzazione dello sport, considerato che certi valori e tradizioni che pur meritano di esser promossi, devono adattarsi agli sviluppi economici, sociali che, grazie anche all'emergere di nuovi soggetti, hanno portato a nuovi problemi di gestione, democrazia, rappresentanza degli interessi, ponendo nuove sfide per l'organizzazione dello sport in Europa.

Si riconosce l'autonomia delle organizzazioni sportive e delle loro strutture rappresentative, si favorisce un generale potere di autoregolamentazione delle stesse purché in linea con il diritto europeo. Ancora una volta la Commissione precisa infatti, che le disposizioni relative al mercato unico ed alla concorrenza si applicano allo sport quando questo costituisce a tutti gli effetti, un'attività economica. Tra gli altri, si ricorda anche l'applicabilità al settore dello sport di principi quali la non discriminazione e l'uguaglianza tra uomo e donna.

Alla necessaria incidenza del diritto comunitario si oppone però l'esigenza di garantire la specificità dello sport, da intendersi sia come specificità delle attività e regole sportive (come le gare distinte tra uomini e donne, la necessità di assicurare un risultato non prevedibile in anticipo, etc.) e sia

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come specificità della struttura sportiva, che comprende in particolare l'autonomia e la diversità delle organizzazioni dello sport, una struttura a piramide, l'organizzazione dello sport su base nazionale e il principio di una federazione unica per sport. Si tratta della c.d. sporting exception che la giurisprudenza dei Tribunali europei e che la stessa Commissione hanno ormai pacificamente riconosciuto, ma che non può intendersi mai come un modo per giustificare un'esenzione generale di un intero settore dall'applicazione del diritto europeo.

L'analisi della Commissione prosegue soffermandosi sulla questione della libera circolazione e della nazionalità; si ribadisce come le squadre nazionali svolgano un ruolo essenziale nel rafforzare l'identità nazionale e garantire la solidarietà con lo sport di base. Si ricorda come siano proibite le discriminazioni fondate sulla nazionalità e sia invece, riconosciuto il diritto a tutti i cittadini degli Stati membri a spostarsi e soggiornare liberamente sul territorio dell'Unione. La Commissione acconsente, inoltre, per quanto riguarda la libera circolazione degli sportivi, a restrizioni limitate e proporzionate (in linea con la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia), che riguardino il diritto di scegliere atleti nazionali per le gare cui partecipano le squadre nazionali; la necessità di limitare il numero di partecipanti ad una stessa gara e la fissazione di termini per i trasferimenti dei giocatori negli sport di squadra.

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Si conclude con un riferimento ai mezzi di comunicazione ed ai problemi connessi alla trasmissione dei diritti televisivi e al diritto della concorrenza. La Commissione accetta il sistema della vendita collettiva, il quale, seppur crei dei problemi di concorrenza, viene tollerato vista la previsione di un meccanismo di ridistribuzione del reddito dalle società maggiori a quelle minori e per il principio di solidarietà in esso intrinseco.

L'ultimo capitolo del Libro Bianco sullo Sport, è in realtà un insieme di proposte di azione della Commissione, che seguiranno tale documento; in particolare ci si impegna ad organizzare riunioni periodiche dei dirigenti e dei ministri in materia di sport. Essendo lo sport europeo caratterizzato da un gran numero di strutture complesse e diversificate, con vari tipi di status e forme di autonomia nei vari Stati membri, occorre iniziare un percorso basato sul dialogo tra tutti gli operatori del settore per lo sviluppo del quale è fondamentale il ruolo della Commissione stessa. Il dialogo sarà agevolato dall'esistenza del Forum Europeo dello Sport, ma soprattutto colonna portante di detta attività, sarà la cooperazione tra gli Stati. La Commissione ritiene da ultimo, che un dialogo sociale europeo nel settore dello sport sia uno strumento in grado di consentire alle parti sociali di contribuire all'organizzazione del rapporto lavorativo e delle condizioni di lavoro in modo attivo e partecipato.

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Il Libro Bianco contiene alla fine una serie di azioni che la Commissione intende realizzare o sostenere: esse nel loro insieme formano il Piano d'Azione dedicato all'eroe, fondatore di Giochi Olimpici Moderni, Pierre de Coubertin. Le proposte che figurano nel piano d'azione prevedono in particolare di: sviluppare nuovi orientamenti sull'attività fisica e realizzare una rete europea pluriennale per l'attività fisica benefica per la salute; facilitare un approccio europeo coordinato nella lotta contro il doping, ad esempio sostenendo una rete di organizzazioni nazionali antidoping; concedere un premio europeo alle scuole che sostengono attivamente le attività fisiche; avviare uno studio sul volontariato nello sport; migliorare le possibilità di sostegno all'inclusione e all'integrazione sociale tramite le attività sportive mediante programmi e fondi dell'UE; promuovere lo scambio d'informazione ed esperienze operative sulla prevenzione di episodi di violenza e razzismo tra la forza pubblica e le organizzazioni sportive; promuovere l'utilizzo dello sport come strumento nella politica di sviluppo dell'UE; elaborare insieme agli Stati membri un metodo statistico europeo per misurare l'impatto economico dello sport; effettuare uno studio sul finanziamento, con fonti pubbliche e private, dello sport di base e dello sport per tutti negli Stati membri nonché sull'impatto dei cambiamenti in corso in questo settore; eseguire valutazioni per ottenere una visione chiara delle

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