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Gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA 1 Lo sviluppo delle normative antitrust

2. La regolamentazione della concorrenza nell'Unione Europea

2.2 Gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (successivamente TFUE) è inserito il capo I del titolo VII della parte III dal titolo "Regole di concorrenza", articolato in due distinte sezioni, la prima, sui comportamenti delle imprese; la seconda, sugli aiuti di Stato, esso risulta caratterizzato da una visione economica unitaria e da una valutazione coerente degli interessi coinvolti25.

La disciplina della concorrenza è contenuta negli articoli 10126 24 G. AMATO, Il potere e l'antitrust, Il Mulino, 1998, 6 ss. Il ruolo del diritto della concorrenza ha aumentato la sua importanza col passare del tempo: all'inizio dell'esperienza comunitaria esso era concepito più che altro come strumento di integrazione economica fra gli stati membri, mentre solo marginalmente gli era attribuito il ruolo di corpo normativo a tutela della competitività. È dal trattato di Maastricht che il diritto antitrust è stato definitivamente riconosciuto come principio fondante della Comunità: G. AMATO, op. cit., 46 s.

25 L. F. PACE, I fondamenti del diritto antitrust europeo: norme di competenza, Milano, Giuffrè, 2005.

26 Articolo 101 TFUE “1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni

e 10227 TFUE.

L'art. 101 (ex art. 81 TCE) proibisce gli accordi e gli altri comportamenti collusivi fra imprese restrittivi della concorrenza e idonei a pregiudicare il commercio tra Stati membri. Il divieto sancito dall'art. 101 TFUE è formulato in termini molto ampi, in modo da farvi rientrare non solo gli accordi, ma qualsiasi forma di collusione tra imprese idonea a restringere o eliminare la concorrenza, perché, secondo le teorie del mercato concorrenziale, le imprese sono tenute a competere fra loro e a non cooperare allo scopo di influenzare le condizioni di mercato a danno della concorrenza e, in ultima

di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: — a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, — a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e — a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.”

27 Articolo 102 TFUE “1.È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.”

istanza, dei consumatori28.

Nel divieto dell'art. 101 ricadono non solo gli accordi tra concorrenti, ma anche determinati accordi verticali, cioè fra imprese che operano a un livello diverso della catena produttiva o distributiva (come ad esempio gli accordi di fornitura). L'art. 101 TFUE, infatti, espressamente stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno, e individua, inoltre, un elenco, non tassativo, di accordi considerati restrittivi della concorrenza.

Come risulta evidente dalla lettura della norma, il primo paragrafo stabilisce il divieto di porre in essere determinate condotte idonee a restringere la concorrenza, il secondo prevede la nullità degli accordi quale sanzione per la violazione del divieto e il terzo stabilisce i criteri per beneficiare di un'esenzione dal divieto stesso.

La disposizione in esame si applica soltanto ad accordi o pratiche concordate fra due o più imprese indipendenti e alle decisioni adottate da associazioni di imprese.

28 A. PAPPALARDO, Il diritto comunitario della concorrenza. Profili sostanziali, Torino, Utet, 2007.

i) Campo di applicazione: ratione personae

Il primo passo per individuare l'ambito di applicazione delle norme sulla concorrenza è la nozione di impresa29. Con

particolare riferimento al quadro normativo, esso offre i seguenti elementi:

1. l'impresa è intesa in senso soggettivo, cioè riferita all'imprenditore, individuale o societario30;

2. essa deve essere punto di riferimento di “contratti” o “accordi” (art.101.1); deve poter intrattenere “rapporti commerciali con altri contraenti” (art.101.1.d) oppure essere destinataria di “misure” (art.106) o di aiuti (art.107) da parte degli Stati;

3. è passibile di certe sanzioni se tiene determinati comportamenti “intenzionalmente o per negligenza” (art. 23 del Regolamento 1/2003);

4. è soggetto passivo di sanzioni pecuniarie (ammende e penalità di mora) e di inibitorie (art.7.1 Reg. 1/2003); 5. gode della capacità processuale attiva e passiva.

Proprio per il fatto che il Trattato non fornisce una definizione univoca di impresa ciò ha costituito oggetto di approfondita riflessione da parte della Corte di giustizia e del Tribunale di Primo grado, da un lato, e della Commissione, dall'altro. Sulla

29 S. Bariatti, Le fonti del diritto della concorrenza dell'UE, in Disciplina della concorrenza nella UE, a cura di A. Frignani – S. Bariatti, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2013, p.83 ss.

30 La nozione oggettiva è accolta all'art.18 par4 Reg. 1\2003, che impone ai proprietari delle imprese l'obbligo di fornire informazioni richieste, così identificando l'impresa con i beni che possono formare oggetto di diritti di proprietà, cioè l'azienda.

base della prassi della Commissione e della giurisprudenza della Corte, si può definire l'impresa come un'organizzazione

unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, attraverso al quale viene esercitata un'attività economica, a titolo giuridico e dalle modalità di finanziamento. Si può trattare di una persona fisica, di una società, civile o commerciale, o ancora di un'entità giuridica che non riveste la forma di società: gruppi di interesse economico, fondazioni, associazioni, imprese pubbliche e così via. Non è richiesto che essa sia fornita di personalità giuridica, ma è sufficiente che essa possegga una limitata capacità giuridica, e cioè sia soggetto cui l'ordinamento attribuisce diritti e doveri31. Come

già sopra accennato, dunque, il divieto di cui all'art. 101, 1 paragrafo, si applica a tutti i soggetti che svolgono un'attività economica, indipendentemente dal loro status. Occorre quindi precisare cosa si intenda per attività economica: con questo bisogna fare riferimento ad ogni attività di produzione o di scambio non gratuito di bene o servizi; intendendo per

“bene” beni mobili e immobili, diritti d'autore e di proprietà

industriale, in breve tutti i diritti suscettibili di costituire oggetto di una valutazione economica; mentre per “servizi” si rimanda all'art. 57 TFUE32 secondo cui possono essere servizi 31 S. Bariatti, Le fonti del diritto della concorrenza dell'UE, in Disciplina della concorrenza nella UE, a cura di A. Frignani – S. Bariatti, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2013, p.84 ss.

32 ART. 57 TFUE “Ai sensi dei trattati, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: a) attività di carattere industriale; b) attività di

le attività di carattere industriale e commerciale, le attività artigianali e quelle dei liberi professionisti. Inoltre, secondo la prassi giurisprudenziale, sono da ritenersi imprese di servizi anche un ufficio pubblico per l'impiego che eserciti attività di collocamento o un'associazione sportiva o una federazione di associazioni sportive nella misura in cui esse esercitano attività economiche quali la conclusione di contratti relativi alla pubblicità, lo sfruttamento degli emblemi della competizione da essi organizzata come la conclusione di contratti per la ritrasmissione televisiva della competizione33.

Definizione di: accordo, decisione e pratica concordata

La nozione di accordo o di pratica concordata presuppone il coinvolgimento di almeno due parti che agiscano in base ad un comune consenso. Il termine

“accordo” deve essere interpretato in maniera molto ampia,

che ricomprenda qualsiasi tipo di consenso tra le parti in merito alle loro future condotte. Perché vi sia un accordo ai sensi dell'art. 101, paragrafo 1, è sufficiente che due o più imprese abbiano in qualche modo espresso la comune volontà di intraprendere una certa condotta sul mercato, a prescindere dalle modalità con cui tale intento sia stato manifestato (ad

carattere commerciale; c) attività artigiane; d) attività delle libere professioni. Senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini”.

33 Decisione della Commissione del 27 Ottobre 1992, casi IV/33.384 e 33.378 Distribuzione di pacchetti turistici in occasione della Coppa del mondo di calcio 1990.

esempio, in forma scritta o orale)34. Un effetto che deriva da

questa interpretazione volutamente ampia della norma è che il compito di repressione dei cartelli da parte delle autorità preposte alla tutela della concorrenza diviene più agevole per due ordini di motivi: in primo luogo, i partecipanti ad un cartello raramente si servono di accordi scritti con cui regolare gli aspetti della cooperazione limitandosi, nella maggior parte dei casi, a prevedere linee guida o semplicemente a concludere accordi in forma orale. In secondo luogo, il contributo individuale al funzionamento del cartello può di fatto variare da impresa a impresa, ad esempio, nel tempo, alcune imprese potrebbero ritirarsi da un cartello, per rientrarvi eventualmente in un momento successivo, mentre altre imprese potrebbero tenere un comportamento più attivo: difatti molti cartelli hanno durata prolungata si presentano con una struttura complessa.

Per risolvere questa complicazione, la Commissione ha elaborato il concetto di “accordo unico globale” in base al quale tutti i componenti di un cartello sono ritenuti responsabili, indipendentemente dal fatto che essi abbiano partecipato o meno attivamente all'attuazione di ogni singola fase del cartello, mentre l'intensità della partecipazione può essere presa in considerazione ai fini della quantificazione dell'ammenda35. Analogamente, il termine "decisione" è 34 E. M. MILANESI, Diritto della concorrenza dell'Unione europea, Napoli, Editoriale scientifica, 2004.

35 Si tratta, rispettivamente, della decisione della Commissione, del 30 gennaio 1995, Coapi, in GUCE 1995 L122/37; della decisione della Commissione, del 26 novembre 1986, Meldoc, in GUCE 1986 L348/50; della sentenza della Corte di

interpretato in maniera estesa, in modo da ricomprendervi anche raccomandazioni non vincolanti, ogni qualvolta l'adesione tacita da parte dei membri dell'associazione produca, di fatto, un apprezzabile effetto sulla concorrenza36.

Con il termine "pratica concordata" si intende una forma di coordinamento tra imprese che, pur non raggiungendo il livello di un accordo completo in tutti i suoi aspetti, consente, tuttavia, alle imprese di prevedere con un discreto margine di sicurezza la condotta che i concorrenti attueranno nel mercato e, di conseguenza, elimina o riduce quella naturale incertezza inerente al processo concorrenziale. Siccome le regole europee del diritto della concorrenza richiedono che ogni operatore nel mercato determini la propria politica commerciale in modo del tutto indipendente dagli altri operatori concorrenti, le imprese non devono mettere in atto alcuna forma di coordinamento che sia in grado di eliminare l'incertezza sulle loro future linee di condotta, poiché ciò ridurrebbe il rischio intrinseco alle scelte commerciali, proprio di ogni scenario competitivo37. La ragione dell'inclusione delle

pratiche concordate nella fattispecie di cui all'art. 101,

giustizia, del 19 febbraio 2002, in causa C-309/99, Wouters c. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, in Racc. I- 1577/2002.

36 G.MASTRODONATO, I principi della disciplina antitrust nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e nel dialogo fra le Corti, in Il Foro Amministrativo, 2013,pp. 3191-3229.

37 Sentenza della Corte di giustizia, del 16 dicembre 1975, cause riunite 40 a 48, 50, 54 a 56, 111, 113 e 114/73, Coöperatieve vereniging Suiker Unie UA et altri c. Commissione, [1975], in Racc. 1663 (punto 288); sentenza Tribunale di primo grado, del 24 ottobre 1991, in causa T-1/89, Rhône-Poulenc c. Commissione, [1991], in Racc. II-867 (punto 121)

paragrafo 1, TFUE si ricollega all'intento del legislatore di evitare che le imprese riescano ad aggirare il divieto di cooperazione tramite mezzi più informali di un accordo propriamente detto, soprattutto nel caso di cartelli in cui è spesso difficile provare la sussistenza di un accordo tra concorrenti: in molti casi, infatti, i membri di un cartello sono molto abili nel lasciare il minor numero possibile di tracce relative alla loro cooperazione. In questi casi, le autorità preposte alla tutela della concorrenza sono costrette ad avvalersi di prove indirette, come le condotte parallele sul mercato, al fine di provare l'esistenza di un cartello realizzato per mezzo di una pratica concordata. La Corte di giustizia38 ha

definito la "pratica concordata" come "una forma di

coordinamento dell'attività delle imprese che, senza esser stata spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno della concorrenza". In seguito la Corte

ha affinato la definizione perché possa trattarsi di pratica concordata è, quindi, necessaria la presenza di requisiti, tra i quali, una forma di coordinamento o collaborazione pratica fra le imprese; il coordinamento raggiunto attraverso un contatto diretto o indiretto fra le imprese in esame; e l'oggetto o l'effetto di tale contatto deve consistere nell'influenzare la condotta

38 Sentenza della Corte di giustizia, del 14 luglio 1972, in causa 48/69, ICI c. Commissione, [1972], in Racc. 619 (punto 64). Sul concetto di “pratica concordata” si veda BLACK, Concerted practices, joint actions and reliance, in ECLR, 2003, p. 219.

delle imprese sul mercato di riferimento. L'art. 101, paragrafo 1, TFUE si applica ad accordi, decisioni di associazioni e pratiche concordate, tutte fattispecie che implicitamente presuppongono un certo grado di libertà o autonomia decisionale. Ne consegue che, se le determinazioni delle imprese sono influenzate da interventi di enti pubblici, esse non possono essere ritenute direttamente responsabili delle violazioni commesse.

Si possono individuare due forme di interferenza da parte di soggetti pubblici nell'autonomia decisionale delle imprese, che possono sia riguardare misure che impongono comportamenti anticoncorrenziali, sia riguardare provvedimenti che restringono essi stessi il libero gioco della concorrenza. In questi casi viene meno la libertà di autodeterminarsi dell'impresa e allora non si applicano le disposizioni dell'art. 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto la restrizione della concorrenza non deriva da una condotta autonomamente posta in essere da parte dell'impresa. Per determinare se le norme in questione debbano in concreto applicarsi, bisogna distinguere le misure pubbliche vincolanti che impongono una condotta anticoncorrenziale da quelle non vincolanti39. Se ne ricava che le imprese non possono

giustificare le pratiche anticompetitive attuate sulla base di provvedimenti pubblici che non contengono veri e propri

39 S. Cassese, Regolazione e concorrenza, in G. Tesauro-M. D'Alberti (a crua di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000.

obblighi giuridicamente vincolanti. Sulla base di questi principi, la Corte di giustizia si è costantemente rifiutata di accettare come giustificazione di un accordo collusivo il fatto che misure statali non obbligassero le imprese a tenere un comportamento anticoncorrenziale, ma semplicemente richiedessero, facilitassero o approvassero un comportamento simile40. In particolari circostanze, persino misure nazionali a

carattere vincolante, che impongano condotte anticompetitive, potrebbero non essere sufficienti ad escludere l'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 1. Difatti, qualora le misure obbligatorie si riferiscano ad accordi o pratiche restrittive della concorrenza già in essere, i comportamenti conformi a tali misure, anche se siano obbligatorie, potrebbero integrare una violazione come quelle vietate dalle disposizioni oggetto di analisi.

La Corte di giustizia, nel caso Cognac41, ha stabilito che,

qualora la normativa nazionale elimini di per sé ogni possibile attività concorrenziale delle imprese, l'articolo 81, paragrafo 1 (ora art. 101, paragrafo 1, TFUE) non si applica, dal momento che la distorsione della concorrenza non sarebbe attribuibile

40 Decisione della Commissione, del 6 agosto 1984, Zinc producer group, in GUCE, 1984, L 220/27, in cui essa ha ritenuto che il fatto che le autorità degli Stati membri fossero a conoscenza di accordi di fissazione dei prezzi o avessero preso parte o approvato gli stessi non escludeva l'applicazione del diritto della concorrenza nei confronti delle imprese in questione.

41 Decisione della Commissione, del 15 dicembre 1982/896/CEE, UGAL/BNIC, in GUCE 1982 L379/1, confermata nelle successive sentenze della Corte di giustizia BNIC c. Clair e BNIC c. Aubert. Nel caso di specie la Commissione ha censurato accordi interprofessionali che fissavano prezzi minimi per la vendita di acquaviti di cognac, nonostante il fatto che tali accordi fossero stati estesi e resi obbligatori per gli operatori nella regione del Cognac attraverso un decreto Interministeriale.

alla condotta autonoma delle imprese interessate42. Per poter

invocare con successo questo precedente, è necessario dimostrare che il quadro regolatorio non lascia alcuno spazio di concorrenza suscettibile di essere eliminato o ridotto. La Corte di giustizia ha adottato un approccio simile nella causa relativa a presunte pratiche anticoncorrenziali riguardanti il mercato dello zucchero in Italia43.

Restrizione per effetto e per oggetto

Gli accordi e le pratiche concordate violano l'art. 101, paragrafo 1, TFUE solo nella misura in cui abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune. L'effetto restrittivo della concorrenza ha carattere oggettivo e non già soggettivo, avendo scarso rilievo sia l'intenzione delle parti, sia le conseguenze riferibili ai singoli accordi. Ne deriva la necessità di considerare anche la misura degli effetti delle intese sul mercato, con la conseguenza di dover procedere ad un'analisi del mercato per dimostrare che un accordo abbia l'effetto di produrre una restrizione della concorrenza. Perciò, secondo un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, l'impedimento, la restrizione o la distorsione devono essere “sensibili”: per la Corte di giustizia, infatti, non raggiungono la

42 La Commissione ha stabilito che le funzioni di controllo della qualità che le autorità avevano conferito al BNIC non richiedevano alcun accordo per la fissazione di prezzi minimi di vendita, come quello che era stato concluso dai membri del BNIC a beneficio delle loro politiche di vendita piuttosto che della qualità delle acquaviti 43 G. Bernini “In tema di norme a tutela della libertà di concorrenza: il caso Italia”,

soglia di sensibilità le intese c.d. de minimis, ovvero quelle tra imprese detentrici di una modesta quota di mercato, per la scarsa apprezzabilità degli effetti di tali intese sulla concorrenza.

Per comprendere la distinzione tra restrizione per

oggetto e per effetto risulta di particolare utilità l'analisi del

caso Beef Industry44. Ai sensi del deliberato della Corte, ai fini

dell'applicazione del divieto di cui all'art. 81, n.1, Trattato Ce (ora art. 101, paragrafo 1, TFUE) è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che quest'ultimo mira a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune. Nel caso in cui, invece, l'analisi delle clausole dell'accordo non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente entità,