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L'influenza della governance interna sui risultati aziendali delle water utilities:un'analisi empirica.

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea magistrale in

Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L’INFLUENZA DELLA GOVERNANCE INTERNA SUI

RISULTATI AZIENDALI DELLE WATER UTILITIES:

UN’ANALISI EMPIRICA

ANNO ACCADEMICO 2016-2017

RELATORE

Prof.ssa Giulia ROMANO

CONTRORELATORE

Prof. Lorenzo CORSINI

Candidato

Alessia GIAMBRA

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare la mia relatrice, la Prof.ssa G. Romano per la grande disponibilità, per i suoi preziosi consigli e per avermi trasmesso la passione e

l’entusiasmo necessari ad

affrontare al meglio questo lavoro. Un immensa gratitudine va alla mia famiglia, in particolare ai miei genitori che con il loro incrollabile sostegno morale ed economico, mi hanno condotto per mano fin qui.

Ringrazio inoltre le mie grandi amiche con cui ho condiviso l’intero percorso di studi, vivendone insieme le gioie, i sacrifici e i successi.

Un Grazie speciale va a Salvatore, il mio fidanzato, in questi anni ha sempre mostrato piena

comprensione, pazienza ma soprattutto fiducia nei miei confronti.

L’ultimo ringraziamento lo rivolgo a me stessa, poiché con tanti limiti e paure ho provato comunque ad impiegare al massimo le mie qualità.

Dedico questo lavoro ai miei nonni, i due angeli da cui sempre attingo tanta forza.

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Indice

INTRODUZIONE ... 8 CAPITOLO 1 – GLI OPERATORI DEL SETTORE IDRICO ITALIANO ED IL

CONTESTO ECONOMICO-ISTITUZIONALE ... 13

1.1 Il sistema idrico in Italia: gli interventi normativi e i soggetti competenti ... 13

1.1.1 Il numero dei gestori in Italia, i modelli di gestione del servizio e la distribuzione

territoriale ... 19

1.1.2 Le scelte strategiche dei gestori: Monoutilities e Multiutilies ... 23

1.2 Le peculiarità del settore idrico rispetto agli altri comparti dei servizi di pubblica

utilità ... 25

1.2.1 Gli investimenti del settore: la loro destinazione, il fabbisogno, gli obiettivi ... 29

1.2.2 L’impatto degli investimenti nel settore dei servizi idrici sull’economia del paese... 35

1.2.3 Le criticità e le proposte avanzate in tema di finanziamenti ... 37

1.2.4 La perequazione finanziaria e il fondo di garanzia ... 39

1.2.5 I finanziamenti del settore da parte del sistema creditizio: cenni ... 42 1.3. Modelli proprietari e diffusione dei titoli fra il pubblico: “società quotate, non quotate e chiuse” ... 45

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1.3.2 Alcuni limiti ed inefficienze della gestione pubblica e privata ... 50

1.4 Le società ad assetto proprietario misto: punti di forza e di debolezza ... 52

1.5 L’importanza della regolazione economica del settore e degli strumenti di governance aziendali ... 56

CAPITOLO 2 – L’IMPATTO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE SULLE PERFORMANCE DELLE AZIENDE IDRICHE ... 63

2.1 Il ruolo delle variabili interne di governance... 63

2.2 Il Consiglio di amministrazione ... 65

2.3 La letteratura esistente sul tema del Cda nelle aziende idriche ... 69

2.4 Le linee guida dell’OCSE sulla Corporate governance delle società ad evidenza pubblica ... 76

2.5 La “Riforma Madia” della Pubblica Amministrazione – Le società partecipate e i loro organi amministrativi ... 82

CAPITOLO 3 – ANALISI EMPIRICA ... 89

Premessa ... 89

3.1 Il Data set ... 90

3.2 La metodologia e le variabili ... 93

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6 CONCLUSIONI ... 118 BIBLIOGRAFIA ... 123

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INTRODUZIONE

Il lavoro si propone di analizzare la presenza di una connessione causale tra le variabili di governance interna, relative al Consiglio di amministrazione (Cda), e le performance conseguite dalle aziende idriche.

Si cercherà in particolare di capire se e come, alcune caratteristiche dei Cda, impattino sulle water utilities in termini economico-finanziari.

L’idea di questa prova finale nasce dalla volontà di affrontare e conoscere più da vicino un settore, quello idrico, che risulta essere sempre attuale poiché permette di gestire una risorsa indispensabile per la nostra società, l’acqua. L’acqua rappresenta la sacralità della vita umana e nello stesso tempo la risorsa vitale cui è legata la sopravvivenza del pianeta e quindi dell’intera umanità. La disponibilità di questa risorsa naturale ha condizionato da sempre le possibilità di sviluppo, e richiesto la creazione di complesse istituzioni sociali per disciplinarne l’uso.1 L’industria idrica ha oramai un’indiscutibile importanza economica, infrastrutturale, imprenditoriale e finanziaria per il Paese, testimoniata dal fatto che essa muove un sistema industriale complesso. Si ha infatti la presenza di numerose gestioni nelle varie fasi della “filiera” (acquedotto, depurazione e fognatura), di molteplici forme giuridiche (Spa, Spa Miste, Spa Pubbliche, aziende speciali, gestioni in economia) e di differente dimensione (grandi imprese, grandi gruppi, medie e piccole imprese) che trattano circa 8 miliardi di metri cubi di acqua l’anno per uso civile, agricolo ed industriale. Imprese che creano sviluppo, tecnologia, occupazione, indotto e PIL.

È un settore in profonda trasformazione che sta in questi ultimi anni ridisegnando i propri confini; numerosi sono, infatti, i fenomeni di fusione tra gruppi, le trasformazioni di assetti societari e le forme di aggregazione anche con aziende di altro settore (cd. fenomeno delle multiutilities); a ciò si aggiunga un quadro normativo di riferimento sempre mutevole.

L’Università di Pisa ha promosso da alcuni anni la partecipazione al modulo Jean Monnet European Water Utility Management (EWUM), che si pone

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l’obiettivo di diffondere la conoscenza degli aspetti gestionali delle aziende idriche, sostenendo l’innovazione nel settore. La mia partecipazione ai relativi incontri è stata un prezioso stimolo e uno spunto di rilievo per approfondire gli aspetti che ho trattato nella tesi.

Nel capitolo primo si è fatta una panoramica sui principali interventi normativi del settore che hanno portato ad un riassetto dal punto di vista organizzativo e gestionale. La nota Legge Galli che ha riorganizzato radicalmente il servizio idrico integrato (l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione di acque reflue) nell’ambito di un territorio omogeneo, definito “Ambito Territoriale Ottimale” (A.T.O.). Tramite essa vengono introdotte le Autorità d’Ambito territoriali ottimali (AATO), organi di controllo e tutela definiti dalle Regioni, appaltando per la prima volta la gestione ad una logica imprenditoriale, affidabile a imprese pubbliche o private, vincolandola alla copertura dei costi attraverso le tariffe.

Un primo tentativo, dunque, di improntare il servizio ad una maggiore efficienza, integrazione e unitarietà anche se di fatto è da qui che parte la frammentazione strutturale della gestione del servizio idrico.

Nel 2006 il D.l. n.152 del 2006 (Codice dell’ambiente), conferma e rafforza il modello della gestione d’ambito sia per il servizio idrico integrato che per quello dei rifiuti. Altro step importante è rappresentato dalla l. 191/2009 la quale dispone la soppressione delle AATO e l’attribuzione da parte delle regioni ed altri enti delle funzioni già esercitate dalle AATO. Un’ultimo importante intervento normativo affrontato nel capitolo è introdotto col D.L. 133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”) che è intervenuto sugli aspetti di governance del settore prescrivendo in materia di affidamento del servizio il principio dell’unicità di gestione del servizio idrico integrato.

Sempre nel capitolo 1 si osservano le caratteristiche delle water utilities in Italia, i modelli proprietari adottati mostrando pro e contro di ognuno, le peculiarità e le esigenze del settore idrico in termini di investimenti e finanziamenti. Questi ultimi sono temi ormai sempre più presenti nell’agenda della maggior parte dei

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paesi europei, per trovare le soluzioni più innovative atte a dare slancio allo sforzo di miglioramento delle infrastrutture idriche e dell’efficienza nel complesso.

Ma questo tentativo di miglioramento arriva anche attraverso elementi prettamente trasversali al settore, endogeni, come la governance “istituzionale” ossia la regolazione, e la governance invece “aziendale” che attraverso efficaci standard interni di governo societario impattano sui risultati conseguiti dalle aziende.

Così si introduce nel capitolo secondo il ruolo delle variabili interne di governance, focalizzandoci sul Cda quale organo di governo, di indirizzo strategico e di controllo. È l’organo più investigato in letteratura e ne abbiamo riportato in questo capitolo le più importanti evidenze empiriche e ricerche su molti aspetti, quali la numerosità, la dimensione, la struttura, la composizione e l’influenza politica sulla gestione. Ovviamente l’eterogeneità delle conclusioni cui questi studi hanno condotto, dimostra la complessità dell’argomento oltre ad evidenziare l’esistenza di variabili esterne in aggiunta a quelle interne che influenzano i risultati; quindi c’è la possibilità di incorrere in errate valutazioni nel tentativo di legarle ad aspetti di governance.

Nel proseguire la comprensione e la ricerca di ciò che costituisca un “buon Cda” in grado di influenzare al meglio le prestazioni, abbiamo messo in luce sempre nel secondo capitolo, i recenti interventi normativi a livello comunitario e nazionale. Questi forniscono i criteri guida da seguire per le società a partecipazione pubblica, che rappresentano la stragrande maggioranza delle water utilities. Le linee guida dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), dettano le regole che determinano una “good corporate governance” e abbiamo focalizzato l’attenzione su quella che riguarda il Consiglio di amministrazione. Poi a livello nazionale, assume rilievo il decreto della Riforma Madia, nello specifico l’articolo n.11 che ha ad oggetto “gli organi amministrativi e di controllo delle società non quotate a controllo pubblico”. Gli aspetti maggiormente regolati riguardano l’ampiezza dei Cda prevedendo così il numero massimo di amministratori, il principio dell’equilibrio di genere, il limite massimo

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di remunerazione degli amministratori, l’incompatibilità degli incarichi, e tutta una serie di disposizioni che mirano a contenere il dispendio di spesa pubblica.

Nel capitolo terzo, nonché ultimo capitolo, si è condotta l’analisi empirica su dieci aziende idriche che hanno composto il Data set. I dieci gestori del SII servono nel complesso il 22 % della popolazione, e sono localizzate al nord, centro e sud Italia. Classificabili tutti come “grandi” gestori, sono in parte di proprietà totalmente pubblica ed in parte partenariati pubblico–privati.

Il lavoro ci ha permesso di osservare, raccogliere, rielaborare i dati all’interno di un database sui diversi Cda e su 97 consiglieri in carica durante un periodo di 5 anni che va dal 2011 al 2015. L’obiettivo è provare a giustificare determinati variabili di risultato attraverso le variabili di governance che si è scelto di adoperare. Legare quindi aspetti quali la proprietà pubblica o mista, la dimensione del Cda, la presenza di donne e di amministratori connessi politicamente, la percentuale di laureati e l’età media a variabili dipendenti. Nello scegliere queste ultime, si è dato spazio a misure meno arbitrarie delle solite (ROI, ROE, ROA, profitti), utilizzando quindi le seguenti: investimenti, costo del denaro a prestito, canoni pagati agli Enti locali, numero di dipendenti.

Abbiamo condotto questa analisi nella consapevolezza che le dieci aziende selezionate non possono essere rappresentative della generalità delle utilities idriche italiane e che il periodo di 5 anni, permette di osservare solo in parte i cambiamenti e le caratteristiche negli amministratori rispetto ad un’analisi condotta su un periodo medio-lungo. Questo limite è dovuto al tempo a disposizione, poiché un’analisi su una più completa mole di dati avrebbe richiesto una diversa tempistica.

Si è quindi proceduto a commentare i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati, esponendo gli elementi più rilevanti ove presenti.

Grazie a questo lavoro di ricerca è stato possibile analizzare alcuni importanti fattori legati alle performance, risultati che saranno esposti dettagliatamente nelle conclusioni finali di questa tesi, e si spera che l’elaborato offra spunti per una più approfondita ricerca sulle relazioni di causalità oggetto dell’analisi.

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CAPITOLO 1 – GLI OPERATORI DEL SETTORE IDRICO ITALIANO ED IL CONTESTO ECONOMICO-ISTITUZIONALE

1.1 Il sistema idrico in Italia: gli interventi normativi e i soggetti competenti

Gli interventi mirati alla gestione, al controllo e all’uso delle risorse idriche sono regolati da un quadro normativo riconducibile alla L. n.36 del 5/1/94 (“Disposizioni in materia di risorse idriche”), nota come “legge Galli”. A questa hanno fatto seguito numerosi interventi normativi, alcuni dei quali di competenza regionale, che complessivamente costituiscono le linee guida per la corretta pianificazione delle risorse idriche. La “legge Galli” è stata abrogata dal c.d. “codice dell’ambiente” (D.lgs. 152/2006), che però ne ha confermato quasi totalmente i contenuti2.

La nota Legge Galli ispirata a principi di razionalizzazione, di integrazione e unitarietà, ha riorganizzato il servizio idrico integrato (l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione di acque reflue) nell’ambito di un territorio omogeneo, definito “Ambito Territoriale Ottimale” (A.T.O.). La scelta di una scala territoriale di ambito aveva l’obiettivo di superare la frammentazione della gestione delle risorse idriche (opere acquedottistiche, fognarie e depurative)3.

Nel 2006 (con il Codice dell’ambiente) il modello della gestione d’ambito è stato confermato e rafforzato sia per il servizio idrico integrato4 che per quello dei

rifiuti5.

Ai Comuni e alle Province ricompresi in ciascun Ambito Territoriale Ottimale, la Legge Galli aveva attribuito il compito, oltre che di organizzare il Servizio Idrico

2Di Gaspare G., “La gestione delle risorse idriche e il servizio idrico integrato nel decreto legislativo n.

152/2006, attuativo della legge di delega n. 308/15 dicembre 2004”, Amministrazione in cammino, 2006.

3 Viviani G., La normativa italiana in materia di acque, in Formative Seminars for Unipa Students, 2015. 4D.lgs. n. 152/2006, Norme in materia ambientale, art. 147 (Organizzazione territoriale del servizio idrico

integrato) e 148 (Autorità d’Ambito territoriale ottimale), al cui comma 5 si è resa obbligatoria la partecipazione degli Enti locali all’Aato.

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14 Integrato, anche di costituire le Autorità di Ambito territoriale ottimale (Aato) - oggi soppresse - cioè soggetti dotati di personalità giuridica pubblica in forma consortile con funzioni di programmazione, organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio6. Tali Autorità d’ambito operano con competenza nel proprio Ambito Territoriale Operativo (le porzioni di territorio che riflettono la mappa idrografica dei bacini d'acqua e che coincidono spesso con le province).

Le A.T.O. sono enti, governati da un'assemblea di sindaci (o loro delegati) del territorio di riferimento, che affidano il servizio idrico integrato ai gestori con una convenzione, secondo modalità diverse. Non esiste, infatti, un unico modello di gestione: gestori pubblici, privati e misti convivono sul territorio italiano sulla base di scelte storiche, politiche e organizzative delle amministrazioni pubbliche7.

L’orientamento iniziale delle Autorità d’Ambito è stato, in ossequio allo spirito privatistico della riforma, quello della concessione o della società mista9. Ma

secondo le ricerche condotte dall’Associazione “Studi e Ricerche per il Mezzogiorno” (SRM), nonostante la scelta fatta, le difficoltà incontrate sono state tali da far tornare sui propri passi molte Autorità d’Ambito per tentare poi la strada della gestione “in house”10.

La gestione degli A.T.O. ha però, si legge in un articolo11, generato nel tempo un alto grado di conflittualità tra Enti locali nonché elevati oneri di funzionamento. Viene, così avviato nel 2007 un “tormentato”, come viene definito nell’articolo, processo di ridefinizione degli ambiti volto, da un lato, a ridurne il numero (anche

6Si veda “LA DISCIPLINA GIURIDICA DEL SETTORE IDRICO” (2001) di Guido Molinari, reperibile

al sito https://www.diritto.it/articoli/amministrativo/molinari1.html

7Si veda Romano G., Guerrini A., Water Management in Italy Governance, Performance, and

Sustainability, Springer, 2014.

9 L’industria idrica italiana. Scenario economico finanziario, struttura territoriale e modelli di gestione a

confronto, a cura di Associazione studi e ricerche per il Mezzogiorno, Guida Editore, 2014.

10 Il modello dell'affidamento in house per la gestione dei servizi pubblici locali è stato introdotto

nell'ordinamento interno dall'art. 113, T.U.E.L., come modificato dall'art. 14 D.L. n. 269/03, convertito nella L. n. 326/03.

Nel dettaglio, l'art. 113, comma 5, lett. c), T.U.E.L., ha espressamente stabilito che l'erogazione del servizio pubblico locale può avvenire attraverso il conferimento della titolarità del servizio «a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.».

11 De Benedetto M., “Gli Ambiti territoriali ottimali e la programmazione locale. Il ruolo delle Autorità di

bacino e degli Enti di governo d’ambito. I rapporti con l’Aeegsi”, in Amministrazione in Cammino, maggio 2017.

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15 in vista della riduzione delle gestioni e dell’incremento degli investimenti), dall’altro a dirigerne il dimensionamento su base provinciale12, fino a giungere nel

2009 alla soppressione delle Autorità d’ambito13. Le Aato sono soppresse, si legge

nel citato articolo, ma è, invece, confermata la formula della gestione d’ambito che anzi si prepara a essere adottata come modello generale per l’organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.

Si vede infatti che già la L. n. 142/1990 aveva fatto un primo riferimento al carattere sovracomunale di funzioni da svolgersi in forma coordinata14.

Nell’attuale formula l’Ente locale è titolare di funzioni il cui esercizio è trasferito in capo all’Ente di governo d’ambito e le Regioni hanno il compito di individuare gli Enti di governo d’ambito a cui trasferire i poteri delle soppresse Autorità d’Ambito (L. 42/2010).

Come emerso dalla Relazione annuale dell’AEGGSI del 201515, tutte le

Regioni16 hanno provveduto a delimitare gli ATO e molte di esse hanno anche

proceduto a ridefinirne il perimetro territoriale, con una conseguente razionalizzazione del numero di ATO. Tuttavia, le scelte compiute a livello regionale non hanno ancora pienamente condotto verso modelli dotati degli auspicati caratteri di uniformità e omogeneità sul territorio nazionale, con divaricazioni tuttora sussistenti tra le diverse situazioni regionali. L’Aeegsi infatti

12 L. n. 244/2007, Disposizioni perla formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge

finanziaria 2008), art. 2, comma 38, dove è previsto che le Regioni provvedano a rideterminare gli Ato, con prioritario riguardo alla dimensione provinciale: «(…) le Regioni, (…) procedono (…) alla rideterminazione degli Ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi secondo i principi dell’efficienza e della riduzione della spesa nel rispetto dei seguenti criteri generali (…) valutazione prioritaria dei territori provinciali quali Ambiti territoriali ottimali ai fini dell’attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle Province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato»

13 L. n. 191/2009, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge

finanziaria 2010), art. 2, comma 186-bis: «Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorità d’ambito territoriale di cui agli artt. 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni».

14L. n. 142/1990, Ordinamento delle autonomie locali, art 19: «La legge regionale, nel ripartire fra i Comuni

e la Città metropolitana le funzioni amministrative, attribuisce alla Città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai Comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell’area metropolitana».

15 AEEGSI, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, Vol. I, Stato dei servizi, 2015. 16 Il Trentino Alto Adige non viene contemplato in tale indagine poiché non rientra nella

regolamentazione dell’Aeegsi, si veda nello specifico il link

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16 indica che vi sono alcune Regioni che, dopo aver consolidato una organizzazione con più ATO, sono passate alla aggregazione su scala regionale, in questo caso gli Ato esistenti sono divenuti Sub bacini (Toscana, Emila Romagna, Umbria, Abruzzo, Calabria); altre che avevano adottato tale soluzione fin dall’inizio e l’hanno confermata (Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna, Valle d’Aosta); altre ancora hanno mantenuto l’organizzazione con più ATO all’interno del proprio territorio (Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Lazio, Marche, Sicilia).

Il processo di aggregazione voluto dalla Legge Galli è stato importante, in quanto, come sostenuto dall’Associazione SRM, ha determinato l’aumento delle dimensioni societarie e la possibilità di ottimizzare gli investimenti. La spesa per un progetto molto impegnativo, difficilmente avvicinabile da una sola società, può diventare fattibile all’interno di un’azienda di maggiori dimensioni o addirittura di un Gruppo. La possibilità di condividere quelli che inizialmente erano punti di forza di una sola realtà territoriale, diffondere e implementare le best practices rende migliore la gestione del servizio in tutti i territori amministrati17.

Le funzioni in materia di regolazione e controllo dei servizi idrici sono state trasferite dal 2011 all’Autorità dell’energia elettrica e del gas (AEEGSI). L’AEEGSI è garante della diffusione dei vari servizi nei modi più efficaci e più efficienti possibili, al fine di tutelare gli interessi degli utenti, “attuando i principi comunitari di ‹‹recupero integrale dei costi›› e del ‹‹chi inquina paga››.”18

La normativa in materia di gestione del servizio idrico integrato è stata interessata da un recente intervento normativo19 introdotto con il D.L. 133/2014

17 Si veda Guerrini A., Romano G. & Campedelli, B., Water Resour Manage (2013) 27: 4559.

https://doi.org/10.1007/s11269-013-0426-9

Saal, D., Arocena, P., Maziotis, A., & Triebs T. (2013), Scale and Scope Economies and the Efficient

Vertical and Horizontal Configuration of the Water Industry: A Survey of the Literature, Review of

Network Economics.

18 AEEG, Relazione annuale sullo stato dei servizi idrici,2013.

19 La legislazione relativa al servizio idrico integrato, a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo

scorso è stata più volte interessata da interventi di novella normativa (basti pensare al d.lgs 31 marzo 1998, n. 112 e al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e ss. mm. ii.). Le modifiche introdotte dal d.l. n. 133/2014 sono dettate oltre che dall’esigenza di conformare il servizio idrico integrato ai criteri di efficienza ed efficacia, anche dalla necessità di adeguare la legislazione vigente agli obblighi comunitari, al fine di superare le procedure di infrazione che vedono l’Italia protagonista (2014/2059, 2004/2034, 2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio 2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014).

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17 (c.d. “Sblocca Italia”) che è intervenuto sugli aspetti di governance del settore prescrivendo in materia di affidamento del servizio il principio dell’unicità di gestione del servizio idrico integrato, l’obbligatorietà di adesione all’Ente di governo d’ambito da parte degli enti locali “al quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche”; imposizione alle regioni – che non vi abbiano già provveduto - ad individuare gli enti di governo d’ambito entro il termine perentorio del 31/12/14, con connessa attivazione dei poteri sostitutivi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri in caso di inadempienza. Si sostiene20 che il complicato processo di transizione

dalle Autorità d’ambito agli Enti di governo (durato più di quattro anni) ha trovato risposta, nel decreto «Sblocca Italia»: di fatto, Ente di governo è la denominazione in modalità univoca delle diverse possibili formule organizzative che, nel corso della transizione, sono state individuate dalle Regioni per lo svolgimento delle funzioni di governo degli Ato, come era richiesto dalla norma di abrogazione21 e

secondo quanto consentito dall’interpretazione resa dalla Corte costituzionale22.

Nella Relazione annuale 2015, l’AEEGSI dimostra che la maggioranza delle Regioni italiane (13 su 19 Regioni considerate) ha positivamente completato il processo di costituzione degli Enti di governo dell’ambito, come previsto dal decreto legislativo n. 152/06. Nelle sei regioni indicate (Lazio, Campania, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia), si riscontrano invece elementi di potenziale criticità. In un’ottica di continuità rispetto al quadro regolatorio precedente, la maggior parte delle Regioni italiane ha preferito riattribuire a Province e Comuni l’esercizio delle funzioni di organizzazione, affidamento e controllo della gestione del Servizio Idrico Integrato (SII) di cui questi risultano già titolari. Conseguenza di

20 De Benedetto M., 2015, Op.Cit.

21 L’art. 2, comma 186-bis, della l. n. 191/2009 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e

pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010) aveva soppresso le Autorità d’ambito territoriale di cui all’art. 148 del d.lgs. n. 152/2006, disponendo che «entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza».

22 Corte cost., sent. n. 128/2011, cons. in dir. n. 2, dove si riconosce «al legislatore regionale un’ampia sfera

di discrezionalità, consentendogli di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l’efficienza del servizio idrico integrato e del servizio di gestione ugualmente integrato dei rifiuti urbani, nonché forme di cooperazione fra i diversi enti territoriali interessati». Cfr. anche Corte cost., sent. n. 62/2012, cons. in dir. n. 3.2: «la legge regionale deve limitarsi a individuare l’ente od il soggetto che eserciti le competenze già spettanti all’Aato»

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18 ciò è stata la conferma, dice l’Aeegsi23, nella quasi totalità di casi, della delimitazione degli ambiti territoriali ottimali previgenti.

Tale riassetto, dove si è concluso, ha comportato una significativa razionalizzazione del numero dei soggetti competenti (in molte Regioni le AATO provinciali sono state sostituite da autorità/agenzie regionali).

Il Decreto “Sblocca Italia” ha nello specifico previsto: 1) l’obbligo, per gli Enti d’Ambito di adottare il Piano d’Ambito, scegliere la forma di gestione e disporre l’affidamento al gestore unico d’ambito entro il 30 settembre 2015; 2) il subentro del gestore unico del servizio idrico integrato agli ulteriori soggetti operanti all'interno del medesimo ambito territoriale24; 3) la cessazione ex-legge delle gestioni diverse dall’affidatario unico del servizio idrico integrato per l’ambito, con la sola eccezione delle c.d. gestioni salvaguardate, che proseguono a gestire il servizio fino alla scadenza naturale del contratto di servizio.

L’Aeegsi nella sua relazione25 riscontra rilevanti criticità a partire dalla sola

recente costituzione degli Enti di Governo d’Ambito Territoriale Ottimale (EGATO) da parte di alcune Regioni a cui si aggiunge una diffusa mancata adesione degli Enti locali agli EGATO e i ritardi da parte di questi ultimi negli affidamenti su scala d’ambito. L’Autorità evidenzia infatti 15 ATO per i quali l’Ente di governo dell’ambito non ha ancora provveduto all’affidamento del servizio. Tra questi si distinguono tre ambiti unici regionali (ATO Valle d’Aosta, ATO Molise e ATO Calabria) e alcuni ATO della Lombardia (tre), Liguria (due), Lazio (uno), Campania (due) e Sicilia (quattro), interessando complessivamente una popolazione pari a 11.613.796 di abitanti. Tuttavia, pur nei casi di presenza di affidamento al gestore d’ambito, la raccolta dati avviata dall’Autorità con determina 31 marzo 2015, ha consentito di evidenziare la diffusa permanenza di porzioni di territorio che, per uno o più servizi, non sono ancora serviti dal gestore affidatario, in ragione della presenza di gestori salvaguardati o di resilienti gestioni in economia che non hanno ancora consegnato gli impianti26.

23 AEEGSI, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, Vol. I, Stato dei servizi, 2015. 24 Art. 172, comma 2, del decreto legislativo n. 152/06.

25 AEEGSI, 2015, Op. Cit. 26 Aeegsi, Op. Cit.

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19 In questo scenario gli EGATO sono chiamati a esercitare un ruolo centrale di ulteriore responsabilità e indirizzo, ovvero il processo di aggregazione delle gestioni, in un disegno coerente con l’approdo alla “gestione unica” d’ambito.

1.1.1 Il numero dei gestori in Italia, i modelli di gestione del servizio e la distribuzione territoriale

Così come presentata dall’ ultima ricerca27 di Utilitalia28, la composizione

odierna dei gestori è la seguente: nel settore idrico integrato operano circa 1800 gestori, dei quali 1600 sono comuni a gestione diretta, localizzati principalmente al Sud.

Le società di gestione sono circa 220, delle quali 121 sono affidatarie d’ambito e gestiscono quasi l’80% della popolazione italiana.

I primi 15 operatori in termini di valore della produzione, tutti gestori d’Ambito, gestiscono circa il 45% della popolazione nazionale. Di seguito la Figura 1.1 mostra la situazione dei gestori al 31 Dicembre 2016.

Secondo l’ultimo rapporto meno recente (2011) elaborato dalla Conviri30, gli

assetti proprietari delle 115 società affidatarie, oggi 121 secondo la ricerca di

27 Utilitalia, Investimenti, innovazione ed incentivi per gli acquedotti in Italia. Il settore idrico mondiale ed

italiano tra prospettive di crescita e fabbisogno di investimenti, Maggio 2017.

28 Utilitalia è la Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell'Acqua, dell'Ambiente,

dell'Energia Elettrica e del Gas, rappresentandole presso le Istituzioni nazionali ed europee. Nasce dalla fusione di Federutility (servizi energetici e idrici) e di Federambiente (servizi ambientali). Offre servizi di assistenza, di aggiornamento e di formazione, oltre ad attività di consulenza su aspetti contrattuali, normativi, gestionali, tributari e legali.

30 CONVIRI (Commissione Nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche). Rapporto sullo Stato dei

(20)

20 Utiltalia, sono variegati, ma prevale la proprietà pubblica. Il grafico seguente mostra le diverse forme gestionali che anche oggi continuano a mantenersi con la stessa percentuale: 7 sono le società private, 23 sono le società a capitale misto con partner selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica, 11 sono le società con partner finanziario, 61 invece i gestori interamente pubblici. I 13 affidamenti indicati come “Non specificato” riguardano sia società affidatarie per le quali non è stata specificata la tipologia di affidamento, sia società che rientrano in tipologie previste dalle norme regionali di recepimento della Legge 36/94 difficilmente collocabili nelle forme previste dalla legislazione nazionale.

Grafico 1.1 – ITALIA – Forme gestionali delle società affidatarie del SII

Fonte: elaborazione SRM su dati Conviri, 2011

L’affidamento diretto ad una società a capitale interamente pubblico è una tendenza che è stata di fatto anche favorita dall’evoluzione normativa che ha imposto ed agevolato il diretto passaggio dalle gestioni in economia alle imprese partecipate dai medesimi Enti locali.

Osservando le forme societarie dei gestori, prevalgono le società per azioni, mentre le s.r.l. risultano presenti solo al Nord Italia.31

31 Blue Book (2015), I dati sul servizio idrico integrato, Utilitatis pro acqua, energia e ambiente, Anea,

(21)

21 Di seguito si riporta uno specchietto semplificativo del modello di organizzazione del Servizio idrico in Italia ad esclusione del Trentino dove ci sono anche le cooperative.

Fonte: Utilitalia

Da un punto di vista territoriale, al Centro ed al Sud prevalgono le aziende speciali e le gestioni in economia32. Nel Sud e nelle Isole permane un minor grado

di aziendalizzazione del servizio riconducibile ai ritardi nella definizione e applicazione del modello di regolazione locale. Le regioni in cui si verifica maggiormente questo fenomeno sono Lazio, Molise, Campania e Sicilia.33

Inoltre le aggregazioni tra società idriche nelle ATO non sono state per nulla agevoli. Le gare spesso non vanno a buon fine per vari motivi: la non condivisione

32La gestione in economia si ha quando l’amministrazione comunale provvede direttamente alla fornitura

del servizio idrico.

33 Blue Book (2015), I dati sul servizio idrico integrato, Utilitatis pro acqua, energia e ambiente, Anea,

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22 da parte dei gestori dei piani di ambito, la nascita di discordanze tra il gestore e gli enti locali territoriali e, non meno importante, la modesta appetibilità del settore idrico per il gestore privato34. Se da un lato queste criticità hanno reso difficile

l’applicazione della Legge Galli nel breve termine, l’Associazione SRM mette in evidenza che anche nel Mezzogiorno esistono eccellenze, si pensi ad aziende come Acquedotto Lucano (che ha aggregato le gestioni di oltre 100 comuni lucani).

Anche se le gestioni in economie prevalgono come si è detto al Sud, dall’ultimo censimento35 ISTAT la loro presenza si riscontra anche al Nord

soprattutto in Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria.

I gestori che nel 2015 operano in economia sono pari al 90% del totale. I dati che seguono derivano dallo stesso censimento ISTAT e descrivono più nel dettaglio come i settori dell’approvvigionamento, della distribuzione, della fognatura e depurazione risultano essere gestiti.

Il settore dell’approvvigionamento di acqua per uso potabile conta il 79,6% di gestori in economia. Il profilo dei gestori delle fonti di approvvigionamento è molto variegato: accanto ai gestori di sovra-ambito e ai grossisti di acqua per uso potabile che movimentano importanti volumi di acqua cedendoli ai gestori di rete, si riscontrano ancora gestioni di persone fisiche che, soprattutto in alcune realtà territoriali (Sicilia, Provincia autonoma di Bolzano, Lazio) amministrano piccole fonti di approvvigionamento d’acqua che viene venduta ai gestori della distribuzione.

Il settore della distribuzione dell’acqua potabile, si contraddistingue per una forte componente in economia, pari all’85,5% e in termini assoluti è il settore in cui, rispetto al 2008, si registra la maggiore diminuzione di soggetti operativi, pari a circa 500 unità. Il settore della fognatura risulta, ad oggi, il comparto in cui predomina la gestione comunale: ben il 90,7% gestisce in economia. Il 10% dei gestori specializzati operano sulle reti fognarie del 68,8% dei comuni. Il comparto della depurazione è quello in cui si ha il minor numero di enti gestori e, data la

34 Associazione SRM, op.cit.

(23)

23

specificità del servizio di trattamento delle acque reflue urbane, la maggior presenza di gestori specializzati non in economia (23,9%).

A livello regionale, l’Umbria è l’unica regione in cui i servizi di distribuzione e fognatura sono totalmente a carico di gestori specializzati mentre in Molise al contrario è in economia la quasi totalità delle gestioni delle reti di distribuzione e fognatura.

1.1.2 Le scelte strategiche dei gestori: Monoutilities e Multiutilies

I protagonisti del panorama italiano delle utilities idriche possono essere distinti in due gruppi: operatori monobusiness, che focalizzano la loro attività nel solo settore idrico (monoutility) ed operatori multiservizi, che sono attivi anche in altri comparti oltre quello idrico (multiutility), come ad esempio gas, rifiuti, energia.

Sempre più nel corso degli ultimi anni, con l’intento di migliorare la struttura economico, finanziaria ed organizzativa, si è assistito a processi aggregativi che hanno portato alla costituzione di grandi player nazionali. “Le grandi multiutility nate da questi processi di aggregazione, sono state create con capacità strategiche e finanziarie di ampio respiro ma allo stesso tempo conservando il legame con il territorio, con la capacità di interpretare le necessità locali e di interrelarsi con le comunità interessate, accentrando i diversi punti di forza in una sola realtà societaria e diffondendo i comportamenti virtuosi”.36

L’ampliamento dell’offerta di servizi nelle aziende multiutility comporta diversi vantaggi37, che vanno dallo sfruttamento delle economie di scala e di

sinergie che permettono l’efficientamento della gestione (come ad esempio lo sfruttamento ottimale dei costi di struttura) grazie alla crescita dimensionale, alla fidelizzazione del cliente e alla fornitura di un servizio completo e di qualità.

Lo sfruttamento ottimale dei costi di struttura si raggiunge poichè sul prezzo pagato dal cliente finale si ottiene un margine per ogni servizio fornito, con un

36 Intesa San Paolo, L’industria dei servizi idrici, Servizio studi e ricerche e SRM, febbraio 2013. 37 Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, Op. Cit., p. 26

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24

costo di gestione amministrativa del cliente che è unico ed uguale se si fornisce uno o più servizi. Riguardo la fidelizzazione, è possibile agire su un cliente che originariamente usufruisce solo del servizio idrico per offrirgli, per esempio, anche quello del gas. Ottimizzare l’accesso al cliente è il nodo fondamentale su cui si gioca la vera competizione all’interno del settore a livello nazionale ed europeo.38

Un business di questo tipo consente, secondo l’Assoc. SRM, di ottimizzare i flussi di cassa dei settori più ricchi indirizzandoli nella realizzazione degli investimenti in settori che hanno una generazione di cassa non sufficiente a coprire gli investimenti.

Il modello multiutility è stato considerato di successo per diverso tempo, ma negli ultimi anni molte local utilities hanno indirizzato nuovamente il loro business su un unico settore core.39

L’Associazione SRM mostra che le multiutility sono maggiormente diffuse nel Nord del Paese; nel resto d’Italia, e specie al Sud, il modello mono servizio risulta dominante, caratterizzato dalla presenza di società specializzate, con un forte consolidamento territoriale ed in cui è forte la componente societaria pubblica. Si tratta di aziende con una valida capacità di innovare strategicamente e operativamente le proprie attività, e contestualmente offrire una buona qualità del servizio.

Aspetto molto importante che scaturisce dalle integrazioni sia a livello orizzontale che verticale nel settore idrico, sono le economie di scopo. Esistono guadagni di efficienza nella gestione di più servizi contemporaneamente rispetto alla gestione specialistica. Si hanno economie di scopo quando la produzione congiunta di più output - nel nostro caso la gestione congiunta di più servizi - comporta una diminuzione dei costi complessivi, in particolare i costi della produzione congiunta sono minori della somma dei costi di produzione di equivalenti gestioni specializzate40. Economie di scopo positive possono avere

origine da due differenti fattori:

38Bruti Liberati E. e Fortis M. (a cura di), Le imprese multiutility. Aspetti generali e prospettive dei settori

a rete, Vol.3, il Mulino, 2001.

39 Associazione SRM (2014), Op. Cit.

40 Romano G., Guerrini A., Water Management in Italy. Governance, Performance, and Soustainability,

(25)

25

- la possibilità di suddividere costi fissi indivisibili che non sono specifici di alcun output fra i differenti servizi;

- complementarietà fra i costi di produzione dei differenti output41.

Seguendo la definizione di Baumol42, si hanno complementarità di costo quando il costo marginale sostenuto per produrre un bene diminuisce all’aumentare della produzione degli altri beni facenti parte di un dato insieme N che costituisce la gamma produttiva.

Per quanto riguarda le economie di scopo, alcuni studi hanno analizzato gli effetti della diversificazione nelle industrie legate all’acqua, come l'elettricità, il gas, e le industrie dei rifiuti urbani. “Le economie di scopo caratterizzano il settore dell'acqua e dipendono da fattori diversi dal costo del lavoro, quali i costi energetici, le spese generali, e costi discrezionali”43.

Alcuni analisti44 trovano significative economie di scopo tra le multiutilities

che hanno livelli di output inferiori alla media, evidenziando come, le imprese piccole e specializzate, potrebbero trarre vantaggio dalle riduzioni dei costi trasformandosi in multiutility con più di un servizio, come il gas, l'acqua e l'elettricità contemporaneamente. Il vantaggio di costo più elevato derivava dalla fornitura congiunta di acqua e gas.

1.2 Le peculiarità del settore idrico rispetto agli altri comparti dei servizi di pubblica utilità

L’idrico è un settore capital intensive a bassa redditività, e da come è emerso dallo studio di Althesys46, società specializzata nella ricerca economica e

41 Barabaschi N., Analisi delle strutture di costo dell’industria idrica italiana Le economie di scala, di

densità e di scopo, Quaderni di ricerca Ref., n.43/giugno 2007.

42 Baumol et al., Contestable Markets and the Theory of Industry Structure, New York: Harcourt Brace

Jovanovich, Inc. 1982.

43 Guerrini A, Romano G, Campedelli B (2013) Economies of scale, scope, and density in the Italian

water sector: A two-stage data envelopment analysis approach. Water Resour Manage 27(13):4559–4578

44 Fraquelli et al. (2012), Scope and scale economies in multi- utilities: evidence from gas, water and

electricity combinations. Appl Econ 36(18):2045–2057

46 Marangoni A, Le local italiane e il settore idrico. Gli investimenti e le performance delle imprese,

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26

consulenza strategica nel settore ambientale, energetico, utilities e infrastrutture, nell’idrico vi sono più investimenti ma più debiti rispetto agli altri comparti utility. Dagli studi in parola, emerge che:

- Il comparto idrico pare avere un livello di indebitamento superiore a quello degli altri settori. Ciò è indice anche della sottocapitalizzazione delle aziende di gestione dato che spesso gli asset risiedono nelle società patrimoniali o negli enti locali;

- Il ritorno sugli investimenti (ROI) è inferiore alla media degli altri comparti;

- Il settore idrico ha il maggiore rapporto tra Ebitda e ricavi, dati gli elevati Capex rispetto agli Opex47;

- Le aziende, nonostante la bassa redditività delle tariffe, stanno continuando a investire, data l’urgenza di adeguamento e rinnovamento degli impianti; - La bassa redditività del settore acutizza però la situazione di credit crunch con il rischio di contrarre gli investimenti piuttosto che accrescerli come sarebbe necessario.

Grafico 1.2 – Performance delle 100 maggiori utility italiane per settore

Fonte: Althesys, 2013

47 Per Capex, dall’inglese Capital Expenditure, è il costo per sviluppare o fornire asset durevoli per il

prodotto o il sistema. Gli Opex, (Operating Expenditure) è il costo necessario per gestire un prodotto, business o sistema.

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27

Le gestioni idriche sono inoltre caratterizzate da una bassa concentrazione ed un forte localismo. Rispetto alle quote di mercato che i primi tre operatori hanno in Inghilterra, Francia e Spagna, pari rispettivamente a 35%, 70% e 62%, in Italia la quota di mercato acquisita è del 26%.48

Se poi si considera il quadro tariffario, questo appare inadeguato, di gran lunga più basso rispetto alla tariffa media pagata in Germania, Inghilterra e Francia come si può vedere dal grafico.

Grafico 1.3 – Tariffe medie distribuzione e fognatura (€/mc)

Fonte: elaborazione Althesys su dati Utilitatis

Finora, lo sforzo richiesto al settore per elevare l’efficienza e migliorare i livelli di servizio è stato reso più arduo dalla lentezza negli incrementi tariffari e dal loro comunque insufficiente livello. I contenuti aumenti sono stati inadeguati a supportare il ciclo degli investimenti necessario a colmare il gap infrastrutturale49.

L’intervento dell’Authority in merito dovrebbe a tale proposito fornire maggiori certezze di finanziamento per i gestori per la necessità di sostenere da subito gli investimenti di cui necessita il settore.

Il Parlamento Italiano, con Legge 28 dicembre 2015, n. 221, è intervenuto sul alcuni elementi del servizio idrico integrato, atti ad incentivare da un lato gli

48 Marangoni A., Le local italiane e il settore idrico. Gli investimenti e le performance delle imprese,

Audizione nella 2° Conferenza Nazionale sulla Regolazione dei servizi idrici, Milano, Dicembre 2013.

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28

investimenti e dall’altro la maggior tutela delle fasce deboli degli utenti50. Nello

specifico con l'articolo 58 si prevede, l'istituzione, presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, di un Fondo di garanzia per il settore idrico, per gli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture idriche in tutto il territorio nazionale, alla cui alimentazione viene destinata una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, determinata dall'Aeegsi, indicata separatamente in bolletta. Con l’articolo 60 si prevede che l'Autorità, sentiti gli Enti di Ambito, assicuri agli utenti in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso alla fornitura a condizioni agevolate. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, l'Autorità dovrà definire le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni. Infine con l'articolo 61 si prevede che l'Autorità adotti direttive per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato, al fine di salvaguardare la copertura dei costi e garantire il quantitativo minimo vitale di acqua necessario51.

Il prezzo che i consumatori pagano per i servizi idrici dovrà trovare il giusto equilibrio tra l'accessibilità dei servizi da un lato e la necessità di recuperare i costi per i servizi idrici e garantire gli investimenti necessari per costruire, mantenere e rinnovare l'infrastruttura dall'altra. L’Europa spiega che in questo scenario, “il settore dell'acqua sostiene una maggiore trasparenza delle bollette per consentire ai clienti di comprendere i costi reali di fornitura di acqua potabile e di trattamento delle acque reflue. Infatti, sebbene l'accessibilità dei servizi idrici sia fondamentale per realizzare il diritto umano all'acqua e ai servizi sanitari, se il prezzo dei servizi idrici è artificiosamente basso, i costi di mantenimento dell'infrastruttura dovranno essere coperti da tasse o sovvenzioni o ulteriormente rinviate alle future generazioni. Il percorso verso la sostenibilità del settore dell'acqua è essenziale per uno sviluppo sostenibile delle nostre società, come dimostra l'agenda dell'ONU post-2015”52.

50 Mazzei A, et al., Lo stato dell’acqua. Manuale operativo per la regolazione del servizio idrico integrato,

2016.

51 Mazzei A., Op.Cit.

(29)

29

Con riguardo poi all’importanza del settore idrico sul livello di occupazione del Paese, negli ultimi dieci anni i livelli di occupazione nel settore dell'acqua sono rimasti piuttosto stabili. Questo rappresenta una grande forza del settore e sottolinea il suo ruolo di stabilizzazione nei periodi di crisi economica e di recessione, in quanto i posti di lavoro non possono essere delocalizzati53.

Una migliore competitività del settore europeo dell'acqua in tutto il mondo contribuirà anche alla creazione di posti di lavoro e alla crescita in Europa, poiché i servizi idrici sono anche fonti di innovazione tecnologica e organizzativa da esportare nei paesi extracomunitari.54 Guardando al futuro, i servizi idrici

dovranno garantire lo sviluppo di adeguate competenze e opportunità per i giovani professionisti nel settore dell'acqua attraverso apprendistati, tirocini e programmi di formazione.

1.2.1 Gli investimenti del settore: la loro destinazione, il fabbisogno, gli obiettivi

La consapevolezza che la riforma del settore idrico sia ancora largamente incompiuta trova espressione nella carenza di modernizzazione delle infrastrutture in una parte consistente del territorio nazionale55. Gli investimenti non sono

sufficienti a garantire l’efficienza delle reti e del servizio; e le tariffe molto basse da un lato e gli esiti del Referendum per la parte sulla remunerazione del capitale investito dall’altro rendono ancora complesso il finanziamento degli investimenti con risorse diverse da quelle pubbliche a fondo perduto56.

Ci sono ormai molti esempi di modalità alternative di finanziamento, dagli idrobond, Cassa depositi e prestiti, fondi specializzati nelle utility, e la possibilità di sfruttare i nuovi strumenti richiede il più delle volte la capacità di fare sistema da parte delle aziende. Una testimonianza di successo proviene da un consorzio di

53 De Carli A., Massarutto A., La valutazione economica delle politiche idriche: dall'efficienza alla

sostenibilità, Franco Angeli, 2010.

54http://italiasicura.governo.it/site/home/news/articolo370.html 55 Intesa San Paolo (SRM), Op. Cit.

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30

12 gestori in Veneto, che ha emesso per l’appunto obbligazioni sotto forma di hydrobond ottenendo le risorse finanziarie di cui necessitavano57.

Nel caso del servizio idrico, come è noto, le infrastrutture hanno natura demaniale, e dunque non possono essere offerte a garanzia. Parimenti, e in parte per gli stessi motivi, le aziende sono di sovente poco patrimonializzate, soprattutto in relazione agli investimenti che sono chiamate ad esprimere. Sono questi gli aspetti che, unitamente alle ridotte dimensioni delle gestioni, hanno a lungo frenato gli investimenti del servizio idrico58.

Come riporta un articolo del Sole 24 Ore: “Gli investimenti per la riqualificazione della rete idrica italiana si attestano su un valore medio di circa 32 euro per abitante l’anno contro l’obiettivo di 80 euro pro capite fissato dall’AEEGSI. Eppure bisogna fare in fretta. Il 60% delle infrastrutture idriche è stato messo in posa oltre 30 anni fa (il 70% nei grandi centri urbani) e il 25% di queste supera i 50 anni (il 40% nei grandi centri urbani). Al centro e al sud le perdite idriche nella rete si aggirano intorno al 45% a fronte del 26% rilevato al nord”.59

Gli interventi riguardano in buona parte il completamento della copertura del ciclo idrico integrato, in particolare per quel che concerne il sistema della fognatura e della depurazione, nonché la ristrutturazione delle reti esistenti, fondamentale per intervenire sul problema delle perdite idriche. A tal proposito si legge60 che “il 7% della popolazione italiana non è servito da un sistema fognario ed ancora più problematico è il tasso di copertura per il trattamento delle acque reflue che copre sotto l'80% degli abitanti. Anche se questo indicatore è aumentato lentamente nel tempo, dal 66,4% nel 1999 al 78,5% nel 2008.”

Ciò rappresenta una violazione permanente del regolamento ambientale. L'Italia è stata condannata diverse volte per il mancato rispetto della legislazione europea (ad esempio come la direttiva 91/271 / CE) in più di 1.100 agglomerati

57

http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture24/2014-10-28/risorse-idriche-debutta-veneto-094128.php?uuid=AbVcdeYK

58 Laboratorio Ref. Ricerche, Finanziamenti al servizio idrico: arrivano le garanzie del “Piano Juncker”,

Acqua N. 79, aprile 2017, pag.3

59 Amadore N., Acqua: in ritardo sulle infrastrutture, Il Sole 24 Ore; impresa e territori, 06/2017

60 Romano G., Guerrini A., Water Management in Italy Governance, Performance, and Sustainability,

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31

urbani. La mancanza di trattamento delle acque reflue ha esposto ed espone l'Italia a penali onerose compromettendo l'adempimento degli obiettivi europei di qualità dell'acqua 2015 (2000/60 / CE).61

In merito al problema delle perdite idriche si riporta, secondo dati Istat62, che nel 2015 è andato disperso il 38,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile dei comuni capoluogo di provincia (dal 35,6% del 2012), non raggiungendo pertanto gli utenti finali. La perdita giornaliera reale, al netto degli errori di misurazione e degli allacciamenti abusivi, ammonta a circa 50 m3 per

ciascun chilometro delle reti di distribuzione: un volume che, stimando un consumo medio di 89 m 3 annui per abitante, soddisferebbe le esigenze idriche di un anno di 10,4 milioni persone.

Ad oggi il Paese non dispone di un sistema informativo in grado di identificare il reale fabbisogno di investimento del servizio idrico. Il fabbisogno che emerge nei Piani degli interventi per il quadriennio 2014-2017 è ad oggi pari alla Regulatory Asset Base63 (RAB) media italiana, come peraltro riconosciuto anche da AEEGSI nella sua ultima Relazione al Parlamento64.

Già oggi dunque, in media, i gestori sono chiamati a realizzare un volume di investimenti pari al 100% della RAB65.

La stessa AEEGSI nel luglio del 2013 ha recepito la proiezione oramai consolidata di un fabbisogno di 65 miliardi di euro in trent’anni, ossia circa 2,17 miliardi di euro l’anno, corrispondenti a un flusso di 36 euro/abitante/anno a valori 2015. Tuttavia, tale stima, basata su una estrapolazione dai Piani d’Ambito (logica bottom-up), è ritenuta superata, in ragione della carenza di ricognizioni affidabili:

61 Guerrini A., Romano G., Op. Cit.

62 Istat, Censimento delle acque per uso civile, 2015.

63 Regulatory Asset Base, talvolta tradotta in italiano con il termine Capitale Investito Regolatorio o

Capitale Investito netto Riconosciuto, è il valore del CIN calcolato sulla base delle regole definite per le aziende fornitrici di servizi sottoposti alla regolazione dell’AEEGSI al fine della determinazione dei ricavi di riferimento. Si veda

http://www.ilsole24ore.com/fcsvc?cmd=checkcredit&chId=30&docPath=%252Ffinanza-e-

mercati%252F2011-11-64 Aeegsi, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, 2016.

65 Laboratorio REF Ricerche, Regole chiare e governo del settore: investire nell’acqua, investire in

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32

una situazione figlia soprattutto di una gestione politica della tariffa, ispirata alla massima secondo cui “si fa quel che si può”.

Dalle elaborazioni AEEGSI66 risulta che una parte significativa degli Enti

d’Ambito, che coprono una ampia maggioranza della popolazione interessata, ha predisposto schemi che prevedono una rilevante spesa per investimenti, che complessivamente ammonta a 4,5 miliardi di euro nel quadriennio 2014-2017.

Tali dati rappresentano solo una parte del fabbisogno nazionale di investimenti che secondo stime di settore67 si attesta intorno ai 4 – 5 miliardi di euro all’anno

(pari a circa 80 euro/ abitante/anno in linea con l’esperienza internazionale). Non a caso la dimensione degli interventi previsti dalla pianificazione risulta ad oggi ancora notevolmente distante da quella dei maggiori Paesi europei.

Non è fuori luogo, quindi, fare riferimento alle indicazioni offerte da Paesi come l’Inghilterra che hanno una dimensione comparabile in termini di popolazione residente, e una esperienza di regolazione e governo del settore assai più lunga. Il flusso annuale degli investimenti sviluppato dal settore idrico inglese è peraltro coerente con le esperienze di altri Paesi Europei, quali Germania, Danimarca, Francia, ai quali il nostro Paese debba aspirare a colmare il divario che ci separa dalle migliori esperienze europee.68

Grafico 1.4 – Investimenti nel settore idrico: un confronto europeo

Fonte: Utilitatis – Blue Book

66 Cfr. III Conferenza Nazionale sulla Regolazione dei Servizi Idrici, Intervento del Presidente, Milano,

24 novembre 2014.

67 BlueBook, 5 giugno 2015, Utilitatis. 68 Laboratorio Ref Ricerche, 2015, Op.Cit.

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33

Il flusso di investimenti, pari a circa 20 miliardi di sterline per ciascun periodo regolatorio (quinquennale), ha permesso al settore britannico di raggiungere una patrimonializzazione coerente con il fabbisogno: le immobilizzazioni nette a fini regolatori (RAB) sono oggi pari a 63 miliardi di sterline, corrispondenti a circa 1.100 sterline pro capite (poco meno di 1.500 euro/abitante).

Per l’Italia si può stimare che il patrimonio del servizio idrico si attesti oggi a circa 12/13 miliardi di euro, corrispondenti a circa 230 euro/abitante: un valore di quasi 7 volte inferiore a quello inglese.69

Sono valori che manifestano il ritardo infrastrutturale del Paese, quantificabile in un divario medio di RAB pro capite rispetto all’esperienza inglese di 1.200 euro/abitante, ovvero 75 miliardi di euro in minore patrimonializzazione70.

La misura del flusso annuale di investimenti necessari a traguardare un obiettivo di patrimonializzazione coerente con il fabbisogno espresso dal settore idrico inglese va dai 9,8 miliardi di euro l’anno nell’ambizioso scenario in cui l’obiettivo viene raggiunto nei prossimi 10 anni (entro il 2025) ai 6,2 miliardi di euro l’anno in uno scenario a 20 anni (entro il 2035), sino al più abbordabile valore di 5,4 miliardi di euro l’anno su un orizzonte di 30 anni (ovvero entro il 2045)71.

Il Sole 24 Ore in un recente articolo72 pone l’attenzione sull’aumento degli

investimenti nell’ultimo periodo. “Nel 2012 il settore idrico integrato ha investito in infrastrutture 961 milioni, saliti a 1 miliardo e 490 milioni nel 2015. Per il quadriennio 2016-2019 è programmata una spesa per investimenti di 7,8 miliardi finanziati con la tariffa idrica cui si aggiungono 2,2 miliardi derivanti da fondi pubblici. In tutto dieci miliardi che significa 2,5 miliardi l’anno. E 2,5 miliardi

69 Ref ricerche, Op. Cit.

70 Ref. Ricerche, Le infrastrutture idriche: un “patrimonio comune”, Laboratorio SPL Collana Acqua,

Contributo n.47, 2015.

Occorre precisare che il grado di patrimonializzazione delle diverse gestioni/territori presenta anche nel caso inglese una certa eterogeneità: tra i 13 gestori del servizio idrico inglese si va da un minimo di 220 euro/abitante ad un massimo di oltre 2.600 euro/abitante, a suggerire l’importanza di una valutazione puntuale dei fabbisogni quale attività propedeutica alla costruzione di scenari di investimento nei singoli territori.

71 Ref. Contributo n.47, Op. Cit.

72 Santilli G., “Il settore idrico volta pagina: dal 2016 al 2019 previsti investimenti per 10 miliardi”, Edilizia

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34

sono programmati per il 2017: 1.933 milioni coperti dalla tariffa e 567 da fondi pubblici”.

Nell’articolo si sostiene che questa crescita degli investimenti è il primo dato rilevante nel valutare gli effetti della regolazione tecnica nei servizi idrici affidata dal 2012 all’Aeegsi. L’obiettivo principale del sistema regolatorio è definire criteri tariffari stabili, orientati a premiare una maggiore efficienza gestionale e la realizzazione effettiva degli investimenti. Infatti una quota dell’aumento tariffario maggiormente legata alla spesa per investimenti scatta solo se la spesa è stata effettivamente realizzata e contabilizzata e non, come era col precedente sistema, sulla base di piani di investimento.

Questa è anche la ragione vera dell’impennata degli investimenti, oltre al fatto che la stabilizzazione del quadro normativo e regolatorio ha ricreato un afflusso di finanziamenti che si era interrotto nei primi anni del decennio73.

“Andranno quasi tutti al Sud i fondi degli investimenti 2014-2020 per il settore idrico: in particolare, si stima una disponibilità di 1,85 miliardi di euro a valere sul Fondo di Sviluppo e Coesione 2014-2020, che saranno destinati per l'80% al Sud”. Lo dice il rapporto74 “Sviluppo delle infrastrutture idriche”, il documento, a cura

di “Italiasicura”, la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, finalizzato a definire il quadro degli investimenti pubblici nel settore del Servizio Idrico Integrato. Nella nuova programmazione si stimano risorse nazionali e comunitarie per 2,4 miliardi di euro contro i 4,3 miliardi della programmazione 2007-2013.

Il Rapporto poi, riferendosi alla programmazione delle risorse europee, dice che l'Accordo di Partenariato75 2014-2020 ha previsto 517 milioni di euro per il

miglioramento del Servizio Idrico Integrato per usi civili e riduzione delle perdite di rete di acquedotto. Tali risorse saranno allocate attraverso i Por (Programma

73 Santilli G., “Il settore idrico volta pagina: in arrivo 10 miliardi di investimenti.”, Il sole 24 Ore, 8 luglio

2017.

74 Reperibile al link

http://www.e-gazette.it/sezione/utilities/rapporto-italiasicura-investimenti-settore-idrico-saranno-destinati-sud

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operativo regionale) nelle Regioni Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata e Puglia e nella Regione Sardegna.

La relazione dell’Aeegsi sullo stato dei servizi idrici e sull’attività svolta fino al marzo 2017, individua poi le dieci cause principali di intervento sulle infrastrutture che assorbono il 67% delle risorse complessivamente destinate agli investimenti pianificati. Il Sole 24 Ore riporta76 “Contrariamente a quanto racconta

la vulgata sul settore, che l’emergenza numero uno sia quella delle perdite idriche, questa causa di intervento si ritrova soltanto all’ottavo posto con un intervento dell’ordine dei 200 milioni. La principale causa di intervento, per un valore che supera il miliardo, è la inadeguatezza degli impianti di depurazione: tipologia che ha anche l’obiettivo di correre ai ripari spesso rispetto alle multe che sulla questione ci infligge l’Unione europea. Intorno al miliardo anche l’intervento per ovviare alla mancanza parziale o totale delle reti fognarie. Poco sopra i 900 milioni la terza causa di investimenti; la insufficienza o assenza di trattamenti depurativi. La distribuzione, cioè gli acquedotti, intervengono solo alla quarta voce con una spesa programmata inferiore ai 700 milioni”.

1.2.2 L’impatto degli investimenti nel settore dei servizi idrici sull’economia del paese

Nel 2009 un’associazione che raccoglie gli operatori statunitensi del settore dei servizi idrici, ha pubblicato uno studio77 sull’impatto degli investimenti nei

servizi idrici sull’economia degli USA. “In particolare dell’effetto che un nuovo investimento nelle infrastrutture dei servizi idrici, avrebbe provocato sul reddito e sulla spesa dell’intera economia. Lo studio calcola l’effetto moltiplicativo dell’investimento sul reddito e si spinge anche a misurare l’effetto relativo

76Santilli G., “Il settore idrico volta pagina: in arrivo 10 miliardi di investimenti”, Il Sole 24 Ore, 08/07/2017 77 C.W.C. (2009). Sudden Impact. An Assessment of Short-Term Economic Impact of Water and Wastewater

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all’incremento di nuovi posti di lavoro” come si scrive in un articolo pubblicato da Anea (Associazione nazionale autorità e enti di ambito)78.

Il documento fornisce i dati e dimostra che la realizzazione dei progetti nei servizi idrici produce un impatto economico immediato sulle economie locali, durante il periodo della realizzazione, in tre modi ben definiti79:

1. Con impatti diretti attraverso i posti di lavoro e l’acquisto di materiali e servizi direttamente legati alla costruzione e gestione del progetto;

2. Con impatti indiretti attraverso i posti di lavoro e l’acquisto di equipaggiamento, materiali e servizi dai fornitori indirettamente legati alla costruzione e gestione del progetto;

3. Con impatti indotti sostenuti dalla spesa dei redditi guadagnati dai lavoratori coinvolti dagli impatti diretti e da quelli coinvolti dagli impatti indiretti, spesso descritti come effetti del moltiplicatore.

Anche la stessa Anea nel suo articolo sostiene che gli investimenti nelle infrastrutture dei servizi idrici hanno effetti immediati, sostanziali e una vasta portata sull’economia. “A livello nazionale, un investimento di 1 miliardo di dollari triplica quasi i suoi effetti sulla domanda per beni e servizi arrivando ad un incremento stimato da 2,87 a 3,46 miliardi di dollari. La spesa per la ricostruzione delle infrastrutture idriche influisce su un vasto arco di settori dell’economia. Per completare i progetti delle infrastrutture sono necessari servizi d’ingegneria, attrezzature pesanti, trasporti e tubazioni, ma allo stesso tempo le imprese e le famiglie spendono denaro per beni e servizi in un vasto arco di settori. Per un investimento di un miliardo di dollari, si stima che l’impatto che avrà sull’aumento dell’occupazione vari fra 20.000 e 27.000 nuovi posti di lavoro.80” Queste

opportunità di nuovi posti di lavoro sono distribuiti, dice Anea, nell’intera

78AneA, a cura di Perruzzi P., Gli investimenti nei servizi idrici, un contributo alla crescita della domanda

e dell’occupazione, Working paper numero 2013/03, maggio 2013.

79 Lo studio utilizza i dati di un progetto di ricerca che ha investito 5 stati e che ha utilizzato un modello

input-output regionale che permette di differenziare fra impatti e di stimare gli effetti a livello locale, statale e nazionale. Questi modelli sono una tecnica per quantificare le transazioni fra industrie. Quando un’impresa di un’industria A riceve un ordine di 1 milione per istallare nuove tubazioni idriche, deve acquistare forniture e servizi da un’impresa dell’industria B, C e D. Il modello input-output cattura queste relazioni e rende possibile la stima degli effetti economici prima e oltre l’investimento iniziale.

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