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Università di Pisa
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Sociologia e management dei servizi
sociali
Anno accademico 2017/2018
Tesi di Laurea Magistrale
La cultura organizzativa nelle organizzazioni
democratiche. Oxfam: persone, etica, cultura
e democrazia
Candidato Relatore
Gabriele Chiavaro Prof. Matteo Villa3
Indice
Introduzione ... 5
Capitolo 1 ... 12
Organizzazioni e teorie organizzative ... 12
1.1 L’organizzazione come sistema razionale ... 16
1.2 Organizzazione come sistema naturale ... 23
1.3 Organizzazione come sistema cooperativo ... 27
1.4 Riassumendo… ... 30
Capitolo 2 ... 32
I meccanismi di differenziazione: La gestione dei ruoli in un’organizzazione ... 32
2.1 Specializzazione dei ruoli, interdipendenza e coordinamento ... 33
2.2 L’importanza delle risorse umane ... 42
2.3 Disfunzioni organizzative e crisi ... 48
Capitolo 3 ... 57
Democrazia ... 57
3.1 Democrazia: dalla polis greca alla concezione attuale: ... 63
3.2 Democrazia incompiuta? ... 68
3.3 Sense-makinge democrazia ... 75
Capitolo 4 ... 79
Oxfam vista da vicino ... 79
4.1 Oxfam: l’organizzazione come entità culturale ... 81
4.1.1 Osservazione partecipante: cultura organizzativa nella quotidianità ... 91
4.2 Oxfam: Una leadership innovativa ... 96
4.2.1 Una leadership al femminile ... 100
4.3 Osservazione partecipante: a proposito di leadership ... 102
4.4 Oxfam: Apprendere la democrazia... 106
4.5 Zone d’ombra ... 109
Conclusioni ... 113
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Introduzione
Il mio lavoro parte dall’idea di organizzazione democratica, analizzando quanto un assetto democratico possa essere utile ad un’organizzazione sia nel migliorare la propria efficienza, sia nel raggiungimento degli obiettivi.
Questi interrogativi sono stati sviluppati in seguito alla collaborazione con Oxfam, una ONG che si occupa di assistenza umanitaria. Le organizzazioni come Oxfam posseggono quattro elementi che le caratterizzano1:
- Il carattere associativo; - Assenza di scopo di lucro;
- L’interesse per i temi caldi dello scenario mondiale (soprattutto temi legati allo sviluppo e l’emergenza umanitaria);
- Vocazione internazionale.
Oxfam è un’associazione composta da persone (fisiche e/o giuridiche), dotata di un proprio apparato stabile e permanente. Essa propone un modello di gestione ispirato ai principi democratici tramite i quali le persone costituiscono la base di un sistema in cui ci si aiuta l’un l’altro,si prendono decisioni condivise, si superano i momenti di tensione attraverso il dialogo, all’interno del quale ognuno può esprimersi liberamente, a prescindere dal ruolo che riveste. L’idea della mia tesi è appunto osservare e descrivere come Oxfam applica questi principi. Attraverso la partecipazione attiva alle riunioni, ai meeting, alla quotidianità, ho riscontrato un modello di organizzazione che può essere riassunto in tre parole chiave, su cui discuteremo gran parte del nostro lavoro, ovvero: persone, cultura, etica.
Anche la leadership offre importanti spunti di riflessione in quanto, come vedremo, si propone in una forma più atipica. Si tratta di una leadership distribuita/condivisa, un modello che si allontana da un singolo ruolo formale o da quella figura dotata di carisma, per diventare un processo collettivo e dinamico portato avanti dai gruppi e dalle reti che cooperano per il raggiungimento degli obiettivi.
In questo modo si evince la capacità di Oxfam di unire leadership e cooperazione attiva dimostrando che più le persone, tendono ad una leadership di qualità, più efficace sarà l’organizzazione stessa. Si abilita così un processo virtuoso di crescita e responsabilizzazione
1
P. Mirabella, “L’uomo e i suoi diritti: una riflessione etica a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, Effata Editrice IT, 2009
6 nei singoli attori che permette di gestire ed affrontare la complessità attraverso l’ampliamento delle competenze, dei punti di vista e della flessibilità.
Attraverso l’osservazione partecipante mi sono potuto immergere nell’universo di Oxfam in cui, per un periodo di circa tre mesi ho preso parte alla quotidianità inserendomi nel gruppo con cui ho condiviso l’intera esperienza. Vivere l’organizzazione mi ha mostrato quanto sia importante l’aspetto culturale e di come questo si sia cristallizzato nell’organizzazione e nei suoi membri. L’obiettivo infatti è quello di capire come la cultura di questa organizzazione abbia generato un sistema virtuoso non solo della struttura gestionale ma anche dei rapporti umani. Vedremo, infatti, come la cultura democratica diviene un mezzo per ridurre le distanze tra singoli e muoversi in quella dimensione collettiva in cui i confini interni vengono ridotti; vedremo, inoltre, quanto essa si basi su valori specifici, condivisi da leadership e collaboratori, che spingono al cambiamento, al miglioramento e all’assunzione del rischio: e quanto essa sia un’organizzazione che, usando la creatività e l’apertura dialettica spinga se stessa a cercare un miglioramento costante.
Fatta questa dovuta premessa, si vedrà come Oxfam può essere considerata un modello per l’applicazione di principi democratici nella gestione dell’organizzazione, ma si terrà conto anche delle fragilità che il sistema democratico presenta e di quanto possa essere facile danneggiare quell’immagine costruita sotto il nome della democrazia che fa da cornice agli ideali che la Oxfam e organizzazioni simili perseguono.
Nel primo capitolo di questo lavoro ho iniziato utilizzando tre approcci organizzativi relativi allo studio delle organizzazioni, ovvero: organizzazione come sistema razionale, organizzazione come sistema naturale, e infine, organizzazione come sistema cooperativo. Essi si rivelano utili alla mia analisi, poiché permettono di descrivere, in maniera agevole, la struttura organizzativa di Oxfam.
Questa prima parte viene ulteriormente sviluppata nel secondo capitolo, in cui vengono descritti più nel dettaglio i meccanismi di differenziazione (ovvero l’importanza dei ruoli all’interno di un’organizzazione) e come questi siano legati ai concetti di coordinamento e controllo. Ho quindi analizzato i rapporti di interdipendenza che legano insieme le risorse umane e la leadership, sottolineando quanto la base costituente di Oxfam siano le persone che la tengono unita superando le crisi e le disfunzioni organizzative, e cercando di leggere in anticipo i possibili cambiamenti o le possibili opportunità.
7 Dal terzo capitolo in poi iniziamo ad addentrarci nell’intricato universo della democrazia, un termine che ha varie sfaccettature e che ha bisogno di essere analizzato con una certa attenzione. Il discorso inizia dalla singola persona, su come questa abbia, nel tempo, acquisito tale status, e su quanto i processi di democratizzazione abbiano portato l’individuo alla presa di coscienza e alla consapevolezza che egli si muove, opera e vive in una società organizzata, una società in cui lui stesso ha contribuito e contribuisce a costruire e tenere in piedi. Non bisogna però dimenticare che anche nella democrazia sorgono dei problemi che creano un distacco dall’ideale di organizzazione democratica, e la sua applicazione nella realtà: sussiste sempre una differenza tra democrazia ideale e democrazia reale che porta a chiedersi se in realtà il processo democratico sia un’utopia che l’uomo cerca di inseguire.
Nel quarto ed ultimo capitolo il quadro mostra un’immagine più definita in cui vengono trascritti i risultati della mia osservazione. Una “visione dal di dentro” che mi ha coinvolto in prima persona, portandomi a relazionarmi e interagire con un determinato gruppo sociale, all’interno del loro ambiente naturale, instaurando un rapporto personale con tutti i membri. Ciò è stato fatto allo scopo di descrivere e comprendere le azioni attraverso un processo di immedesimazione, cercando di capirne le motivazioni guardando attraverso gli occhi dell’altro. Questo processo mi ha permesso di costruire un’analisi che mette insieme i caratteri dell’organizzazione e quelli dei singoli, collegando questa parte di ricerca sul campo all’altro aspetto analizzato, quello della leadership femminile in particolare che, come vedremo, oltre alla costruzione di un clima positivo. si propone come alternativa in cui non si riscontra una discriminazione di genere, ma al contrario, le persone hanno pari opportunità perché ciò che conta è il come essi possono contribuire all’organizzazione.
Nonostante però l’immagine diventi sempre più chiara alcuni punti rimangono incerti e mettono in discussione le pratiche democratiche, evidenziando la fragilità di un sistema che presenta delle crepe che possono favorire (come vedremo) infiltrazioni autoritarie le quali, sotto le vesti della democrazia, possono agire indisturbate mettendo in crisi l’intera organizzazione con tutto il suo operato.
In particolare mi chiedo se il favorire le pratiche democratiche in Oxfam sia legato ad una questione etica, oltre che all’assenza di un obiettivo legato al mero profitto, creando così delle migliori condizioni per una gestione democratica.
Certamente la democrazia è uno strumento imperfetto, Oxfam però cerca di renderlo uno strumento da utilizzare a proprio favore: infatti, anche quando le situazioni si dimostrano
8 avverse, non smette di perseguire quel principio democratico che va a braccetto con la propria etica, mettendosi continuamente in discussione per cercare di crescere (in senso etico) sia come organizzazione che come insieme di tutti i singoli attori che operano per essa.
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Ringraziamenti
Ai miei genitori dedico questo lavoro conclusivo che senza il loro supporto costante non avrei mai potuto realizzare.
A Matteo Villa, mio professore di sociologia dell’organizzazione, mentore e amico, va il mio ringraziamento per il suo aiuto nonostante la distanza e gli impegni. Spero di averlo reso fiero di ciò che ho fatto.
Ringrazio infine gli amici e colleghi con cui ho condiviso questo lungo percorso, che le nostre strade possano portarci dove più desideriamo.
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Capitolo 1
Organizzazioni e teorie organizzative
Partendo da una definizione generale, un’organizzazione può essere definita come: <<un
gruppo di persone che cooperano in vista di certi fini>>2, oppure: <<entità sociali, guidate da
obiettivi, progettate come sistemi di attività deliberatamente strutturati e coordinati che interagiscono con l’ambiente esterno>>3
,o ancora: <<l’organizzazione è una forma di azione
collettiva reiterata, basata su processi di differenziazione e di integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali>>4.
Queste sono solo alcune delle varie definizioni di organizzazione:Se ci venisse chiesto che cosa è un’organizzazione probabilmente penseremo a quelle in cui abbiamo avuto un’esperienza diretta, penseremo all’azienda dove magari lavoriamo noi o i nostri genitori, considereremo organizzazione anche le banche, l’esercito e così via.
Come suggerisce Giuseppe Bonazzi, bisogna invece considerare l’organizzazione sia come struttura (vista nella dimensione statica, quindi la sua morfologia) sia l’organizzazione come processo (la sua dimensione dinamica). E’ errato, aggiunge Bonazzi, pensare alle organizzazioni come se fossero solo le grandi imprese o le grande burocrazie5.
Le organizzazioni hanno un ruolo di punta nel mondo moderno ed influenzano ogni aspetto della vita sociale:bisognerebbe essere in grado di <<sapersi muovere tra le organizzazioni>> così come <<i nostri antenati hanno imparato a coltivare i campi ed allevare il bestiame>>6. Forme organizzative esistevano anche in tempi più antichi, pensiamo ad esempio alle corporazioni medievali di mestiere. Nel tempo però queste sono scomparse, mutate e al contempo se ne sviluppano di nuove, visto anche il progressivo differenziarsi del mondo del lavoro, assumendo più o meno importanza e caratterizzando le varie epoche.
2
A. Pichierri, “Sociologia dell’organizzazione”, Laterza editore, 2011
3 R. L. Daft, “Organizzazione aziendale, Apogeo Editore, 2014 p 12 4
M. Ferrante, S. Zan, “Il fenomeno organizzativo”, Carocci editore, 1994
5
G. Bonazzi, “Come studiare le organizzazioni”, Mulino, 2006
6
13 Dalla rivoluzione industriale in poi si è avviata in un ritmo sempre più accelerato, la comparsa di nuove specie organizzative che hanno contraddistinto ogni fase di industrializzazione. In base all’epoca storica in cui nascono le organizzazioni è possibile riscontrare i tratti distintivi di esse. Diminuiscono le forme familiari di gestione economica ed aumenta la burocratizzazione delle forme produttive7.
Quindi ogni forma organizzativa porta con se’ caratteristiche strutturali dell’epoca in cui è sorta. A prescindere che un’organizzazione sia nata ieri o oggi, il settore di appartenenza avrà i tratti del periodo storico in cui è apparso.
E’ innegabile l’importanza che le organizzazioni rivestono e, vista la difficoltà nel trovare una definizione unica, si può correre il rischio di utilizzare un approccio che mostrerebbe solo una immagine incompleta della realtà.
Come riporta Giuseppe Bonazzi: <<una diagnosi medica ci dà informazioni su un paziente;
esso ha un dato peso, altezza, caratteristiche anatomiche>>. Queste, continua Bonazzi, <<però non ci dicono nulla sulla sua personalità, i suoi gusti, convinzioni, cultura; possono aiutarci a capire come curarlo ma avremo comunque solo un quadro parziale del paziente>>. Volendo
andare più a fondo, bisognerebbe conoscere quella persona, intervistarla, osservarla. Lo stesso bisogna fare con le organizzazioni; non esistono solo gli aspetti materiali in un’organizzazioni, vi sono anche aspetti immateriali e impalpabili. (Bonazzi, 2006: 16)
Un’organizzazione non è fatta solo dagli strumenti o dai macchinari presenti al suo interno o dalla sua “architettura”; se vogliamo andare a fondo, non bisogna trascurare i sentimenti e l’immaginario che essa suscita sia all’ interno, in quanto l’organizzazione è composta da persone che occupano dei ruoli e che interpretano quei ruoli, sia all’esterno con l’ambiente circostante in cui l’organizzazione è inserita. L’organizzazione può sembrare un’entità statica, siffatta concezione però precluderebbe una visione più articolata nascondendone la natura dinamica data dall’interazione continua tra l’organizzazione e l’ambiente esterno con cui bisogna fare i conti. Non bisogna però dimenticare che anche all’interno di un’organizzazione è presente una interazione tra individui, individui che portano avanti il loro lavoro con più o meno dedizione, che hanno delle proprie ambizioni, che mettono a disposizione la loro creatività, che hanno una loro personalità. Tutto ciò, infine, si traduce nel contributo che ognuno darà, in maniera diversa, alla creazione del clima organizzativo e della cultura associativa che ne scaturisce, seguendo ed interpretando determinate regole e mirando al raggiungimento dell’efficienza.
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14 Bisogna quindi tenere conto dell’idea che le persone, a prescindere dal loro ruolo, contribuiscono nel plasmare le organizzazioni in cui agiscono8, (Stefanini, 2013) ma bisogna aggiungere, che l’organizzazione stessa influenza e plasma i modi di vedere / pensare delle persone che agiscono in base alla considerazione e/o predisposizione che hanno verso l’organizzazione stessa. Ad esempio,un individuo può decidere di fare degli straordinari perché ha fiducia nell’obiettivo che l’organizzazione porta avanti, perché l’ambiente risulta gradevole. Può succedere però che vi sia un atteggiamento di riluttanza, vuoi perché l’ambiente risulta ostile e non facilita il lavoro, vuoi perché non ci si identifica più con la mission: queste semplici variabili possono portare ad un abbandono dell’organizzazione.
Per avere conoscenza di ciò, riprendendo il discorso trattato poco sopra, bisogna conoscere l’organizzazione, capire come funziona, come viene percepita, parlare con i collaboratori o i vari soci, capire se questa viene accettata o meno.
Le organizzazioni ancora, prima di essere dei mezzi per raggiungere diversi fini, sono l’esito di processi di costruzione sociale e rappresentazioni capaci di dare significato all’azione (Weick e Bougon, 1986). Questo aspetto rende l’organizzazione un’entità differente dalle istituzioni, dal mercato, dalle comunità anche se, vi è una costante relazione tra quest’ultime e l’organizzazione stessa. Ciò non significa che le istituzioni non si realizzano attraverso processi organizzativi, infatti “l’essenza delle istituzioni è l’organizzazione che riduce ad unità gli elementi che la compongono, portandola ad acquisire una propria individualità”9
La società è costituita da un gran numero di organizzazioni, soggetti collettivi dotati di personalità giuridica, economica e sociale. Alcuni soggetti sono legalmente riconosciuti come, ad esempio, le imprese, amministrazioni pubbliche, scuole, associazioni, partiti. Altri soggetti sono legittimati, ma non legalmente costituiti, come gruppi culturali e quelli religiosi. Vi sono inoltre organizzazioni potenti ma illegali, come la mafia. La società intera è quindi caratterizzata proprio dall’attività organizzatrice a cui fa riferimento ogni soggetto collettivo, ossia come organizzare le attività nel tempo, nello spazio e nell’impiego delle risorse10
.
In base a ciò possiamo distinguere, per esempio, le organizzazioni in base ai fini (gli enti no profit, le imprese pubbliche o private), al settore (servizi, industria), alla dimensione (organizzazioni/ imprese più o meno grandi o piccole), l’estensione geografica (multinazionali o organizzazioni locali). Possiamo distinguere anche organizzazioni semplici (un piccolo
8
A. Stefanini, “Le emozioni: patrimonio della persona e risorsa per la formazione”,, 2013
9
P. Virga, “Libertà giuridica e diritti fondamentali”, Giuffrè editore, 1947 p. 229
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15 laboratorio ad esempio), organizzazioni complesse (una grande burocrazia pubblica, una grande impresa), a rete (un distretto industriale).
Come ci dice Weick, quell’attività organizzatrice a cui fa riferimento l’organizzazione è una serie di prassi per regolare comportamenti e azioni che derivano da regolamenti, procedure, gerarchie, ma ciò è anche frutto di conoscenze, competenze, esperienze, memorie, pratiche individuali o di gruppo e anche dal fine che l’organizzazione si prefigge.
Non bisogna però pensare che le organizzazioni siano solo formali come le grandi imprese e le burocrazie pubbliche. Anche la famiglia per esempio può essere vista e studiata nei suoi aspetti organizzativi (Bonazzi, 2006: 18), o spostandosi in contesti più ampi di quest’ultima, un distretto industriale dove i soggetti coinvolti intrattengono tra loro delle interazioni costanti che hanno degli esiti anche a livello sociale, creando una rete di cui è possibile studiare gli aspetti organizzativi in quanto, infatti, essa <<è un’organizzazione di organizzazioni>> (Bonazzi, 2006)
Concludendo, possiamo guardare alle organizzazioni come un costrutto artificiale sociale, composto da un ibrido di elementi che interagiscono fra loro (persone, scopi, processi, tecnologia). Ma bisogna anche guardarle come un processo che aiuta a comprendere la realtà sociale. Questi processi, sono presenti ma non sempre sono visibili in quanto, appartengono ai riti, alle pratiche quotidiane dell’organizzazione. Anche quando si tratta di piccole organizzazioni questi processi e/o interazioni, rimangono invisibili e sono soltanto percepibili. Si possono “sentire” anziché “vedere”.
E’ stato detto anche che non bisogna guardare alle organizzazioni come sistemi statici: esse hanno sia una parte statica rappresentata dalla struttura il cui fine è stabilire e distribuire compiti e responsabilità agli organi aziendali, sia una dinamica in cui può essere ricompresa anche la struttura (che Bateson definisce “struttura nel tempo”, visto come un sistema che può essere anche flessibile e quindi può presentare degli elementi che possono essere soggetti a piccole variazioni)11 il cui fine è gestire, le modalità di interazione che la coordinazione dei compiti: entrambe le attività contribuiscono sia a stimolare gli individui a conformarsi con gli scopi dell’organizzazione, sia a far funzionare la struttura di quest’ultima.
Vedremo che l’organizzazione ha anche altre variabili come ad esempio, lo stile di leadership ovvero la modalità con la quale si esercitano funzioni direttive, di controllo, gestione e coordinamento delle risorse e dei sottoposti.
11
16 Nei paragrafi che seguiranno andremo ad approfondire alcune prospettive utili alla nostra analisi. Questi approcci non sono gli unici né si vuol far pensare che siano i più importanti; l’analisi che seguirà sarà legata all’esperienza all’interno di un’organizzazione, un’organizzazione no profit per essere precisi. Durante il periodo di collaborazione sono venute fuori determinate dinamiche ed elementi che hanno portato ad utilizzare alcuni approcci specifici:
- l’organizzazione come sistema razionale - l’organizzazione come sistema naturale - l’organizzazione come sistema cooperativo
Quello che vedremo più avanti è l’utilizzo di un approccio che non è altro che una commistione dei modi di osservare le organizzazioni. Partendo da una visione prettamente meccanica-razionale come se stessimo osservando una macchina composta da vari ingranaggi; successivamente andremo a considerare l’aspetto umano cercando quindi di non rimanere ancorati ad un approccio che renderebbe il lavoro troppo semplicistico e riduttivo anche perché, autori come Morgan ci fanno presente i limiti che un approccio meccanicistico può avere: forme organizzative che esercitano una forte resistenza in ambienti invece mutevoli e dove è necessario adattarsi; una burocrazia ottusa e priva di senso della realtà; effetti disumanizzanti sui dipendenti12.
1.1 L’organizzazione come sistema razionale
In questa prospettiva, le organizzazioni sono strumenti che hanno come scopo quello di raggiungere fini determinati. Il termine razionalità è utilizzato in senso tecnico o funzionale, e si riferisce alla misura in cui una serie di azioni è organizzata in modo tale da realizzare il fine con il massimo dell’efficienza.
In questo senso, una siffatta logica richiama una corrente di pensiero, il funzionalismo13, tramite il quale la società è intesa come un insieme di parti interconnesse, nessuna delle quali può essere compresa se isolata dalle altre. Un cambiamento all’interno di una delle parti viene considerato causa di un certo squilibrio, che a sua volta produce ulteriori mutamenti nel sistema che deve
12
G. Morgan, “Images: Le metafore dell’organizzazione”, Franco Angeli, 2002 p. 51
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17 necessariamente essere riorganizzato. E’ questa una delle chiavi di lettura in cui abbiamo voluto inquadrare l’esperienza con l’organizzazione Oxfam, ovviamente questa è solo una delle prospettive che possono essere utilizzate ma nel nostro caso specifico, abbiamo optato per una commistione di prospettive partendo da un approccio istituzionalista senza tralasciare però il suo sviluppo teorico più recente (neo’istituzionalismo). In questa analisi abbiamo avuto a che fare con una struttura dove l’assetto organizzativo è composto da una serie di parti interrelate che cooperano perseguendo un determinato fine. L’organizzazione quindi, può essere vista come un sistema sociale; perché quest’ultimo funzioni ed abbia la necessaria stabilità, serve assicurare una forma di istituzionalizzazione: non può esservi interazione sociale o comunicazione possibile, in assenza di una cultura condivisa. Il sistema si adatta all’ambiente esterno.
E’ proprio la cultura condivisa il collante che tiene unite le varie componenti e che si esplicita in questa forma di razionalità, dove le azioni sono mirate al raggiungimento dell’obiettivo o degli obiettivi. Un altro parametro interessante è l’omeostasi, termine che deriva dalla biologia, il quale si riferisce al fatto che il sistema risponde alle sollecitazioni in modo tale da mantenere costante il proprio stato interno. I funzionalisti, sulla stessa scia della biologia, si approcciano alle dinamiche sociali specificando che, ogni volta che interviene una perturbazione, il sistema risponde in modo da ripristinare l’equilibrio preesistente.
A tal proposito possiamo riportare una citazione di Talcott Parsons, studioso appartenente alla corrente funzionalista, che dice: <<Sono necessari molti complicati processi per mantenere il
funzionamento di ogni sistema sociale; se i suoi membri non intervenissero mai, una società cesserebbe di esistere molto presto>>14.
In tal senso Oxfam rappresenta un sistema dove gli individui sono interdipendenti, interagiscono, comunicano tra loro, e condividono una cultura organizzativa; un sistema che reagisce al cambiamento riorganizzando il proprio assetto e che ripristina la condizione di equilibrio.
Adesso, prima di proseguire con la nostra analisi, è doveroso andare a ritroso richiamando alcuni concetti analizzati da Max Weber. Per l’autore è importante fornire una “spiegazione comprendente” dell’agire sociale degli individui, cioè spiegare significa trovare le cause che provocano un determinato agire, comprendere vuol dire evidenziare il senso che il soggetto ha
14
T. Parsons citato in “L’immunità necessaria: Parsons e la sociologia della modernità”, di M. Bortolini 2005
18 dato al suo agire in rapporto a determinate cause15. Ciò che aggiunge Weber è anche il concetto “istituzionale”, per dimostrare le condizioni e i vincoli che certe istituzioni pongono all’agire umano e al senso che i soggetti danno al loro agire. In precedenza però abbiamo riportato questa affermazione: “l’essenza delle istituzioni è l’organizzazione che riduce ad unità gli elementi che la compongono, portandola ad acquisire una propria individualità”16. In questi termini, un sociologo classico come Weber ci aiuta a comprendere meglio le trasformazioni organizzative attraverso l’analisi dei concetti di potere e di burocrazia e di come questi evidenziano il carattere istituzionale delle organizzazioni e di comprendere meglio l’agire dei soggetti all’interno dell’organizzazione, il senso che essi danno al loro agire e perché agiscono in un modo o in un altro.
Partiamo dalle forme di potere. Innanzitutto Weber definisce il potere come: “la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza, da parte di un determinato gruppo di uomini”. L’autore distingue e propone tre forme di potere legittimato:
- Potere carismatico: carisma (come dono della grazia) qualità eccezionali, quasi sovraumane attribuite ad un capo. Secondo Weber questo potere nasce da una rottura con le istituzioni.
- Potere tradizionale o burocratico: legittimato da ordinamenti antichi esistiti da sempre;chi ha potere è rispettato in nome della tradizione.
- Potere legale o razionale: il potere viene affidato in virtù di una nomina legale, i principi di attribuzione sono applicati in modo equo nei casi simili. Questa forma di potere è prerogativa degli stati di diritto dove gli individui possiedono diritti riconosciuti.
Per Weber la burocrazia è un tipo ideale di organizzazione, una forma razionale per l’esercizio di un’autorità legalmente legittimata che consegue gli obiettivi per cui è posta in atto; essa è
<<il modo formalmente più razionale di esercitare il potere>>17.
Egli distingue razionalità rispetto al valore e rispetto allo scopo. Definisce razionale rispetto allo scopo, quell’agire che mira al raggiungimento di scopi voluti e considerati razionalmente; definisce razionale rispetto al valore, un comportamento valutato positivamente in quanto tale, a prescindere dal suo successo. Aggiunge anche il fatto che la decisione sul perseguimento di uno scopo può essere scaturita da una razionalità di valore, attraverso la credenza nel valore proprio
15 D. Triggiano, “Introduzione a Max Weber: da Economia e società a Sociologia della religione”, Meltemi
Editore, 2008
16
P. Virga, “Libertà giuridica e diritti fondamentali”, Giuffrè editore, 1947
17
19 dello scopo.18 Il concetto di scopo indica gli effetti specifici dell’agire, ritenuti dotati di valore a tal punto da non considerare le altre conseguenze dell’agire19
.
Secondo l’autore la burocrazia è superiore ad ogni altra forma di amministrazione, tanto che Weber stesso vede nella burocratizzazione una caratteristica della società moderna, un processo universale che affianca ogni struttura politico-sociale.
Il potere burocratico ha una caratteristica: esso a differenza dei poteri carismatico e tradizionale è acefalo perché riceve le direttive dal potere politico. La burocrazia, nella concezione weberiana, è uno strumento al servizio del potere politico.
Il processo di razionalizzazione della società è l'aspetto che qualifica più di ogni altro la modernità. Questo processo consiste in una trasformazione radicale, attraverso la quale i metodi di produzione, i rapporti sociali e le strutture culturali tradizionalmente basati sulla pratica personale, vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente. Sappiamo quindi che la concezione dell’autore sulla burocrazia è che essa mira alla realizzazione dei suoi scopi a prescindere dalla loro etica; a tal proposito possiamo riportare un esempio: il famoso processo di Adolf Eichmann, un burocrate al servizio di Hitler durante il periodo nazista accusato di essere tra i responsabili della “soluzione finale”. Quando l’uomo fu ritrovato in Sud America e portato in Israele per il processo, una sua frase ispirò Hannah Arendt nel suo saggio filosofico “La banalità del male”.
La frase pronunciata da Eichmann fu: “Stavo solo eseguendo gli ordini come avrebbe fatto qualunque altro soldato durante una guerra”.20
In questo senso la burocrazia può essere una forma molto pervasiva, per certi aspetti pericolosa, di tale processo di razionalizzazione: essa implica direttamente la gestione non tanto di oggetti, macchine o procedure, quanto piuttosto di esseri umani, i quali devono essere organizzati per conseguire finalità specifiche a prescindere dall’etica degli scopi in questione.
Il responsabile di un apparato burocratico è il funzionario che viene “diretto” da un capo politico. Secondo il modello weberiano, “i capi cambiano, i funzionari restano”.Vi sono casi però come lo spoil system (sistema delle spoglie o del bottino), apparso negli Stati Uniti nella prima metà dell’800 durante il mandato di Andrew Jackson, convinto che il governo federale
18
N. Luhmann, “Stato di diritto e sistema sociale”, Guida Editori, Napoli, 1990
19
Ibidem
20
20 avrebbe funzionato meglio grazie alla rotazione degli impiegati.21 Questo sistema si è evoluto nel tempo in base alle diverse giurisprudenze statali. Negli Stati Uniti, lo spoil system funziona solo per gli alti dirigenti e non per altri livelli di direzione. In Italia, fino alle sentenze della Corte costituzionale, si è protratto a lungo e in basso, nella piramide della dirigenza, quindi non solo per l’alta dirigenza.22
Si è consentito alle classi politiche di scegliere figure apicali come segretari generali, capi di dipartimento ecc. La nuova disciplina prevede però una durata massima degli incarichi, da tre a cinque anni, che possono essere rinnovati. In questi termini ci si distacca dall’affermazione di Weber sulla permanenza dei funzionari anche se, siffatto meccanismo permette di instaurare un forte legame tra l’organo di indirizzo politico e l’alta burocrazia, con il rischio di sottoporre a dura prova il principio di separazione tra politica ed amministrazione, perché se da un lato l’affidamento temporaneo di incarichi dirigenziali può favorire una scelta fiduciaria da parte dell’organo che deve attuare l’indirizzo politico, dall’altro si corre il rischio che questa fiducia sia basata solo su un mero accordo tra le parti.
Vediamo adesso il modello di Burocrazia secondo Weber:
egli propone un preciso ideal-tipo, ma bisogna ovviamente tenere a mente l’epoca vissuta dall’autore e il suo immaginario che si basava su un mondo maschile fatto di funzionari servitori dello Stato.
I punti che Weber elenca sono: - Fedeltà d’ufficio
- Competenza disciplinata - Gerarchia degli Uffici - Preparazione specializzata - Concorsi pubblici
- Sviluppo di una carriera - Attività a tempo pieno - Segreto di ufficio
21 C. Diotallevi, “Il licenziamento dei dirigenti privati e pubblici”, Edizioni Univ. Romane, 2010 p 134 22
P. Adami, A. Natalini, “Istituzioni locali, performance, trasparenza, il controllo di gestione in Italia”, Donzelli Editore, 2011 p 40, per approfondimenti vedi sentenze: 11 febbraio 2016, n 20, n 161, 2008, n 103, 2007
21 - Stipendio monetario fisso
- Non possesso degli strumenti del proprio lavoro
Nella figura del burocrate Weber riconosce che non esiste un uomo ideale per il modello da lui definito.
Per l’autore, un’organizzazione di questo genere può essere adatta a controllare in maniera efficace la produttività di un grande numero di individui; in più essa limita anche quello che possiamo definire “capriccio” individuale nelle decisioni, assicurando una buona competenza dei lavoratori, riducendo possibilità di corruzione e la possibilità di ottenere un incarico per legami di parentela o amicizie.23
Possiamo quindi riassumere la definizione organizzazione intesa come sistema razionale: sistema chiuso, dotato di variabili conosciute e controllabili, prestazioni regolari e costanti, raggiungimento dei fini a prescindere dalla loro etica.
Possiamo prendere come esempio il Taylorismo o Fordismo, organizzazioni che erano caratterizzate appunto da un sistema chiuso, una forte divisione e parcellizzazione del lavoro, nessuno spazio per l’iniziativa e processi standardizzati; tutto veniva concentrato all’interno di un unico agglomerato (la grande fabbrica), all’interno del quale il lavoratore veniva assorbito dallo stesso sistema di produzione. Tutto era prevedibile e conosciuto, le prestazioni erano anche qui regolari e costanti. Proprio come avviene per il funzionario burocratico ideal-razionale, in queste organizzazioni i lavoratori svolgono compiti in modo distaccato ed imparziale.
Questa però è solo una parte della spiegazione che richiama a quel “macchinismo culturale”24
che si rivela interessante per capire come nasce la fenomenologia organizzativa, ma si rivela troppo riduttiva se vogliamo guardare ad un contesto moderno come quello della nostra esperienza all’interno di Oxfam. Non possiamo quindi sposare solo una concezione meccanicistica e concepire le organizzazioni come macchine composte da ingranaggi e rotelle in quanto, esse sono formate da persone e quindi bisogna unire i due aspetti, ovvero, quello meccanicistico e quello umano.
Sicuramente all’interno delle organizzazione vi sono processi e pratiche ormai automatizzate, delle routinizzazioni e quindi si tratta di operazioni “prevedibili”, ma in una concezione moderna si è visto quanto sia importante la componente umana con l’iniziativa dei singoli, il
23
L. De Martis, “Tutto sociologia”, De Agostini, 2010 p 101
24
22 bisogno di leadership o l’importanza della motivazione. Ricordiamo che Federico Taylor, l’iniziatore dell’organizzazione scientifica del lavoro, disse ai suoi operai: “Voi non dovete pensare; in azienda ci sono altre persone che sono pagate per farlo” (Morgan, 2002). In questi termini la concezione prettamente meccanicistica la possiamo ritrovare nelle pratiche di routinizzazione che vengono espletate in modo “meccanico” appunto, il limite però come abbiamo evidenziato è che si rischi di sottovalutare e trascurare gli aspetti umani.
Prima di concludere questo paragrafo però bisogna aprire una breve parentesi sull’evolversi della burocrazia dopo Weber: l’analisi del potere burocratico è diventata una delle maggiori questioni della sociologia politica e della sociologia dell’organizzazione; l’orientamento delle ricerche, però, si distacca dal punto di vista weberiano. La ricerca, sotto l’impulso di sociologi come Merton o Gouldner, è stata dedicata all’analisi del funzionamento interno delle organizzazioni burocratiche, cercando di evidenziare contraddizioni, effetti perversi, disfunzioni di questo genere di sistemi.25
Non a caso nell’immaginario odierno l’idea di burocrazia genera spesso immagini mentali negative. Per questo è importante, come diceva lo stesso Weber, evitare la degenerazione burocratica che disumanizza qualsiasi organizzazione.26 Con ciò l’autore non vuole mettere in discussione la necessità di un gruppo dirigente, ma nella inamovibilità di tali dirigenti si può intravedere il rischio di una involuzione dell’apparato burocratico; inoltre Weber associa il potere con il sapere, fattore che può favorire coloro che dispongono di una elevata formazione e dei mezzi per raggiungerlo. La conoscenza dirige ogni campo nell’esperienza umana, esso non è caratteristica solo delle autorità culturali e costituisce una grandissima risorsa. Questo è un fattore a rischio di degenerazione plutocratica, tramite il quale alcuni gruppi privilegiati possono intaccare i principi democratici; è necessario tenere presente la conoscenza di cui sono dotati questi gruppi, oltre che tenere conto delle loro finalità. Si “acquisisce il sapere come potere, come dominio, come capacità di manipolare”27, il sapere come razionalità scientifica che plasma e trasforma la natura, il mondo e l’uomo stesso.
25
M. Lallement, “Le idee della sociologia”, Edizioni Dedalo, 1996
26
F. Tartaglia, Estetica della pubblica amministrazione, libreriauniversitaria edizione, 2011 p 83
27
23 1.2 Organizzazione come sistema naturale
Il modello naturale definisce l’organizzazione come un sistema costituito da parti
interdipendenti. Realizzare gli scopi prefissati è solo uno dei bisogni che
l’organizzazione deve cercare di soddisfare, e i cambiamenti, che nell’organizzazione
come sistema razionale sono assunti allo scopo di aumentare l’efficienza,
nell’organizzazione come sistema naturale sono più delle risposte che il sistema
attualizza cercando di sopravvivere e adattarsi all’ambiente. Possiamo quindi dire che
questo sistema pone l’attenzione alle interazioni ed alle strutture. (Bonazzi, 2006)
Concepire l’organizzazione come sistema naturale vuol dire che essa viene considerata
come un collettivo in cui i partecipanti hanno un interesse comune per la sopravvivenza
del sistema e si impegnano in attività collettive per garantire la sopravvivenza del
sistema stesso
28. In questa visione, le organizzazioni, sono più che semplici strumenti
per raggiungere obiettivi.
L’organizzazione come sistema razionale, abbiamo visto, si sofferma su concetti quali
la pianificazione e il controllo. Il modello naturale invece guarda all’organizzazione
come un sistema aperto che viene influenzato dai soggetti che operano al suo interno e
dall’ambiente esterno. Thompson aveva compreso che per studiare le organizzazioni
bisognava tenere presente entrambi i modelli. Guardare ad essa (l’organizzazione) come
una macchina costruita razionalmente per fornire prestazioni prevedibili, ma anche
come organismo naturale che si adatta all’ambiente esterno. Thompson aggiunge che le
azioni, da un lato, si radicano nei risultati che si desidera ottenere, dall’altro, guarda
all’efficacia di tali risultati. Qui le azioni non sono del tutto note, solo una parte di esse
è svolta in condizioni di certezza. Nella maggior parte dei casi si agisce in condizioni di
incertezza
29.
28
G. Cesarini, R. Regni, “Autonomia e empowerment. L’educazione e nuove frontiere dell’organizzazione”, Armando editore, 1999
29
24
Un esempio che possiamo citare è quello di Selznick, considerato il fondatore della
prima fase dell’istituzionalismo nell’analisi organizzativa.
30Prima di proseguire occorre un breve accenno al concetto di “istituzionalismo” per poter
approfondire la nostra analisi. Si tratta di una scuola di pensiero, presente sia nelle
scienze economiche che in quelle politiche e sociali, che rifiuta di vedere la società
come semplice aggregato di individui tendenti a massimizzare le proprie utilità secondo
criteri di razionalità, anche se limitata. Questo rifiuto scaturisce dal fatto che la corrente
di pensiero ha il suo focus nei condizionamenti che le istituzioni storiche (Stato,
università, esercito etc.) esercitano sui comportamenti umani sia a livello individuale
che collettivo.
L’istituzionalismo rientra quindi nell’ambito naturale con il quale l’organizzazione si
confronta e deve adattarsi, riorganizzando continuamente il proprio assetto. L’ambiente
esterno e le sue istituzioni interagiscono con l’organizzazione e questa ne viene a sua
volta condizionata; in questo senso l’istituzionalismo si allontana da una visione
riduttiva dell’ambiente considerato come semplice insieme di fattori produttivi.
Secondo questa corrente di pensiero sono sì gli uomini a creare le istituzioni, ma
successivamente sono queste ultime che “retroagiscono” sugli uomini stessi con vincoli,
prescrizioni o anche solo orientamenti e varie fonti di influenza. (Bonazzi, 2006)
Fatta questa breve premessa possiamo tornare a Selznick suddividendo il suo pensiero
in tre aspetti.
-
Il funzionalismo: le organizzazioni sono sistemi sociali che per sopravvivere
devono soddisfare alcuni bisogni fondamentali;
-
Le influenze: i centri di potere esterno, le istituzioni, esercitano delle influenze
sulle organizzazioni per portarle ad agire secondo il loro volere;
-
Pessimismo: il mutamento è il risultato di logiche degenerative presenti nelle
organizzazioni. Per la loro sopravvivenza le organizzazioni accettano i compromessi
con le istituzioni esterne, i quali però possono allontanarle dai loro scopi originari.
30
Selznick citato in “Come studiare le organizzazioni”, di G. Bonazzi, Il Mulino, 2006 p 95, l’autore cita Selznick
25
Selznick studia le organizzazioni pubbliche o semipubbliche che, pur essendo tenute a
dover seguire determinati obiettivi, sotto influenze esterne, si discostano da quegli
obiettivi. In un famoso studio sulla TVA (Tennessee Valley Authority), Selznick indica
come oggetto principale le organizzazioni formali che egli definisce come strumenti
orientati a raggiungere determinati fini. (Bonazzi, 2006 p 95)
Sappiamo che ogni organizzazione ha una sua catena di comando, competenze di vario
genere e divisioni del lavoro. Per garantirne il carattere formale è necessario avere la
possibilità di sostituire i soggetti nei vari ruoli senza che l’organizzazione entri in crisi.
Questa sarebbe la visione ideale secondo la letteratura del management.
Selznick analizza l’organizzazione considerando due elementi:
-
Il primo elemento è che l’organizzazione formale è solo una parte di struttura, in
quanto questa è composta da esseri umani che non sono soltanto esecutori di compiti
assegnati; essa quindi è il risultato di influenze reciproche tra aspetti formali e
informali.
31-
L’altro elemento è che l’organizzazione viene inserita in un contesto che non è
neutro ma esercita pressioni su di essa portandola, come detto precedentemente, a
continui adattamenti per garantire la propria sopravvivenza.
Questo porta Selznick ad individuare ciò che ha definito come il “paradosso di ogni
organizzazione” (Bonazzi, 2007). Ciò vuol dire che, per esistere, l’organizzazione ha
bisogno delle persone e dell’ambiente esterno ma, allo stesso tempo, questi fattori sono
anche continua fonte di tensioni, nei casi peggiori anche di rovina. Egli individua delle
fonti di perturbazione, partendo dal fatto che gli individui partecipano, nella loro totalità
di persone, a resistere alla spersonalizzazione. Questo genera una serie di processi che si
istituzionalizzano, all’interno dei quali le pratiche sociali si ripetono in modo regolare
divenendo strutture stabili a prescindere dal loro grado di formalità. Selznick considera,
infatti, che le deviazioni dalle norme sono aspetti che fanno parte delle organizzazioni
formali
31
26
Tra le istituzioni informali egli individua le cricche, attraverso cui alcuni membri
cercano di controllare o influenzare i processi decisionali (processo organizzativo).
Possiamo dire quindi che alcune decisioni, alcuni cambiamenti nell’organizzazione
(anche nella sua struttura formale), si spiegano osservando il ruolo delle pressioni
esercitate dalle cricche interne. Un concetto fondamentale, in questo caso utilizzato da
Selznick, è la recalcitranza dei mezzi, in base alla quale l’organizzazione viene definita
uno strumento imprescindibile per raggiungere determinati obiettivi ma, allo stesso
tempo, imperfetto, che deforma cioè l’obiettivo originario. Come abbiamo detto in
precedenza, in nome della sopravvivenza, i responsabili dell’organizzazione accettano
di spostarsi dagli scopi iniziali e dallo spirito dell’organizzazione stessa.
Prendendo come esempio il caso della TVA, un ente voluto da Roosevelt che consisteva
in una serie di opere pubbliche orientate a superare la crisi del ’29 e migliorare le
condizioni di vita delle popolazioni residenti, Seznick mostra la contrapposizione tra
interesse legato alle esigenze della popolazione e le richieste delle istituzioni locali. Alla
fine la TVA sotto le pressioni esterne, si trovò costretta a scegliere con chi schierarsi:
fare gli interessi della popolazione o adottare un programma che non comportasse le
ostilità dei rappresentati locali. Venne optato per un decentramento dei dipartimenti sul
territorio, cercando di coinvolgere più soggetti possibili (università, enti locali etc.). La
scelta si rifaceva al credo delle “radici dell’erba” o grassroots, che equivale al termine
Politica dal basso, prendendo in prestito la similitudine con le radici che affondano nel
terreno. In generale, designa un movimento, un consenso, un insieme di comportamenti
sociali radicati in una comunità da molto tempo.
32La TVA però dovette fare i conti con vari interessi contrapposti e dovette scegliere con
chi schierarsi: occuparsi di portare avanti un programma che tutelasse i più deboli
oppure scegliere un programma che mantenesse calme le eventuali ostilità degli
interessi locali. Questi ultimi, alla fine, furono quelli privilegiati. In questo caso, quindi,
le pressioni esterne costrinsero la TVA a modificare l’obiettivo iniziale costringendola
ad adattarsi e ad assecondare le volontà dell’ambiente.
32
A. Montanari, “L’illusione democratica. Attori politici e nuovi strumenti di comunicazione”, FrancoAngeli, Milano, 2014 p 106
27
Nel capitolo successivo vedremo però come l’istituzionalismo ha implementato la sua
teoria grazie ad autori come Merton, Rowan, Powell e Di Maggio e come questa nuova
corrente di pensiero post Selznick abbia dato nuovi spunti su come approcciarsi alle
organizzazioni.
1.3 Organizzazione come sistema cooperativo
Questo paragrafo vuole essere un’ulteriore spiegazione delle varie teorie organizzative
che si è deciso di trattare prendendo spunto dal pensiero di Chester Barnard.
Considerato il propugnatore di una visione cooperativistica (Albano, Marzano, 2003),
vogliamo soffermarci sulla lettura del suo pensiero ponendo l’attenzione proprio sulla
componente cooperativa delle organizzazioni.
Barnard pone alla base della sua visione di organizzazione il concetto di cooperazione,
pur non essendo l’unico che si concentra sulla questione. Un altro autore come
Durkheim, a suo tempo, riflettendo sulla divisione sociale del lavoro, stabiliva che nella
società a bassa divisione del lavoro vi è una integrazione garantita da una coscienza
collettiva (solidarietà meccanica). In contesti invece con una forte divisione del lavoro,
se questa da una parte differenzia e separa i compiti, dall’altra parte spinge anche a
cooperare divenendo un importante fattore di disintegrazione nelle società complesse
(solidarietà organica). (Bonazzi, 2006)
Con ciò possiamo dire che la cooperazione nasce nella sfera di scambio economico, ma
anche che si mantiene autonoma da quest’ultima. La cooperazione scaturisce dalla
volontà degli esseri umani che si associano, spinta dai più svariati motivi.
Nello specifico, la cooperazione costituisce una base fondamentale della vita sociale ed
organizzativa. Dal momento che l’individuo non è autosufficiente, all’interno di
un’organizzazione riceve da essa ciò che è necessario, e, tramite l’attività lavorativa,egli
genera un forte sentimento di dipendenza che lo porta a percepirsi come parte di un
28
tutto. Così l’organizzazione percepisce gli individui al proprio interno come cooperatori
dei quali non può fare a meno e nei confronti dei quali ha dei doveri.
33Un uomo trova un masso in mezzo alla strada. Non riuscendo a spostarlo, attenderà
l’aiuto di altre persone interessate anch’esse allo spostamento del masso. In questo caso
il fine comune coincide con quello personale e questa “condivisione” genera
collaborazione. Il fine organizzativo però non è la somma dei fini individuali: non
importa cosa significa un determinato fine per il singolo, in questo caso lo spostamento
del masso, ma conta ciò che significa per l’organizzazione nel suo complesso.
Se questi uomini non riuscissero a spostare il masso dovranno rivolgersi ad altri che non
hanno la stessa motivazione, ovvero sono disinteressati e quindi dovranno essere
motivati diversamente. Supponiamo che un contadino che guida un trattore passi da
quelle parti, ma non abbia alcun interesse a spostare il masso, fino a che i viandanti gli
offrono una somma di denaro come ricompensa; affinché il contadino venga motivato, e
quindi assuma anche lui lo spostamento del masso come fine comune, è necessario un
compromesso.
Il pensiero di Barnard si manifesta nella convinzione che l’uomo si propone degli scopi
per trasformare l’ambiente in cui vive, ma sperimenta continuamente l’esistenza di
limiti di varia natura. Per superare questi limiti l’uomo deve passare dallo sforzo
individuale alla cooperazione tra più individui. Dal momento in cui gli individui
cooperano tra loro, entrano in una realtà sociale differente che è quella
dell’organizzazione formale. (Bonazzi, 2006)
La parabola ci mostra alcuni aspetti interessanti: innanzitutto il gruppo è riuscito ad
organizzarsi, comunicando ed esprimendo il desiderio di collaborare per portare a
termine un obiettivo comune. Qui possiamo individuare, seguendo il pensiero di
Barnard, l’elemento informale ovvero la comunicazione tra gli individui; l’elemento
formale è invece la decisione di quelle persone di cooperare per raggiungere il loro
scopo. (Barnard citato in Bonazzi, 2006)
33
A. Cocozza, “Direzione risorse umane. Politiche e strumenti per l’organizzazione e la gestione delle relazioni di lavoro”, Franco Angeli, Milano, 2006
29
Da qui si genera il sistema cooperativo che, come abbiamo detto, non è costituito dalle
motivazioni dei singoli ma si riferisce a tutta l’organizzazione, la quale permette di
andare oltre quei limiti che l’individuo non organizzato difficilmente può riuscire a
superare.
Dobbiamo aggiungere, però, che un’organizzazione non può basarsi unicamente
sull’adesione tacita degli individui che ne condividono i valori e gli obiettivi a priori,
perché essi hanno anche una loro personalità che deve essere appagata. Non a caso
Barnard aggiunge la motivazione (Luhmann, 2005, p 12) tra i fattori organizzativi
importanti, distinguendo tra gli scopi dell’organizzazione e i moventi personali. Nel
caso della parabola, ad esempio, il contadino non è spinto dagli scopi organizzativi ma è
motivato dal compenso economico che egli riceverà se aiuterà a spostare il masso con il
proprio trattore. Proprio perché in una organizzazione la partecipazione dei membri
deve essere consensuale, il problema che si presenta ai manager o dirigenti è capire
come riuscire a motivare un gruppo di individui per portare avanti uno scopo comune
che in realtà è quello dell’organizzazione, ovvero che tipo di incentivi utilizzare di caso
in caso. All’interno dell’organizzazione quindi convivono scopi differenti e ciò
comporta la necessità di creare un ordine per far si che la struttura possa funzionare
attraverso specificazione dei compiti, dei poteri e responsabilità delle unità
organizzative e la costituzione di una rete di relazioni per preservare l’assetto
organizzativo. Riuscire a soddisfare le attese di coloro che lavorano nell’organizzazione
è un compito complesso che richiede l’impiego, in modo appropriato, di risorse umane
consentendo di accrescere la motivazione al lavoro, migliorando il rendimento generale
dell’organizzazione stessa.
Senza dubbio, per un’organizzazione, quello di riuscire a motivare i suoi membri, di
incentivarli, è un compito di difficile soluzione; possiamo però richiamare la “teoria
dell’autoderminazione” di Deci e Ryan la quale sostengono che gli ambienti sociali
promuovono motivazione intrinseca quando soddisfano tre bisogni psicologici innati
34:
-
Competenza: esigenza di sentirsi efficaci, capaci di affrontare le situazioni
34
30
-
Autonomia: sensazione di possedere una certa libertà di autodeterminazione
nello stabilire cosa fare e come farlo
-
Relazione: bisogno di accettazione, appartenenza, sentirsi apprezzati.
La motivazione intrinseca spinge a intraprendere un’attività perché è di per sé motivante
e l’individuo si impegna per raggiungere il risultato indipendentemente dal ritorno
economico. Non è detto che tutte le attività possono essere stimolanti ma, il successo di
un’organizzazione poggia sulla capacità di innovare, migliorare le performance
lavorative, sviluppare modelli nuovi di business ecc. Quale motivazione dovrebbe
stimolare così un’organizzazione? E soprattutto, cosa fanno realmente le organizzazioni
per avere dei lavoratori che mantengano alto il loro livello di motivazione?
L’ultimo aspetto è quello degli elementi formali ed informali presenti in
un’organizzazione. Tra gli individui che cooperano si è venuto a creare uno scopo
comune a partire dal quale si crea l’organizzazione, all’interno della quale essi, pur
conoscendosi anche da prima, decidono di ri-organizzarsi con tutto ciò che ne consegue
(divisione dei compiti, responsabilità etc.)
Creata l’organizzazione, nasce una osmosi tra livello formale e informale dei rapporti
umani. (Bonazzi, 2006) Entrambi i livelli sono interdipendenti, e può anche accadere
che un gruppo informale si crei all’interno di una organizzazione formale dandosi uno
scopo specifico e generando una nuova organizzazione formale interna alla prima.
Questi due aspetti quindi non si escludono ma sono interdipendenti: senza l’uno non
può esistere l’altro.
1.4 Riassumendo…
Abbiamo fin qui trattato l’organizzazione prendendo in considerazione tre specifici
approcci, per introdurre l’analisi che si svilupperà nei capitoli successivi.
31
Abbiamo visto l’organizzazione come sistema razionale: un sistema chiuso, con
variabili conosciute e controllate, prestazioni regolari e costanti, raggiungimento dei fini
a prescindere dalla loro etica.
Con l’organizzazione come sistema naturale si è visto che realizzare gli scopi prefissati
è solo uno dei bisogni che l’organizzazione mira a soddisfare. Nell’ottica di questa
visione il sistema è costituito da parti interdipendenti. Il sistema inoltre interagisce con
l’ambiente esterno il quale influenza l’organizzazione stessa, cercando di adattarsi e di
sopravvivere ai cambiamenti.
L’ultimo paragrafo invece, l’organizzazione come sistema cooperativo, ci ha spiegato
che cooperazione scaturisce dalla volontà degli esseri umani che si associano, spinta dai
più svariati motivi. Essa costituisce una base fondamentale della vita sociale ed
organizzativa.
Si è voluto proseguire seguendo questi approcci in quanto torneranno utili nella
trattazione della nostra analisi legata, ricordiamo, all’esperienza diretta avvenuta
all’interno di una ONG, la Oxfam, esperienza condotta presso un distaccamento a
Catania. Le tre prospettive si adattano a ciò che vogliamo far emergere dalla nostra
analisi, in quanto il lavoro con Oxfam ha mostrato che vi è una forte razionalità nel
perseguimento degli obiettivi, una esecuzione quasi meccanica dei compiti, e una
dinamica lavorativa conosciuta e rigida nei suoi schemi legati sempre al raggiungimento
degli obiettivi. Bisogna aggiungere, però, che vi è un rispetto dell’etica nel perseguire
gli obiettivi e che quindi, in questo senso, quel processo di burocratizzazione di cui
abbiamo discusso non ha attecchito l’essenza dell’organizzazione.
E’ soprattutto con la prospettiva “naturale” e “cooperativa” che si evincono aspetti
molto interessanti.
Dalla prospettiva naturale, l’organizzazione interagisce con l’ambiente esterno e le
istituzioni presenti. Queste ultime influenzano particolarmente l’operato di Oxfam che
deve ri-organizzarsi ogni volta per fronteggiare i vari cambiamenti, mostrando però una
capacità nel fornire risposte tempestive.
32
Dall’approccio cooperativo invece l’esperienza ha mostrato quanto sia importante
lavorare insieme per raggiungere un determinato fine, e quanto importante sia
soprattutto il fattore della comunicazione, il quale permette di superare quei limiti che
l’individuo non organizzato non potrebbe raggiungere da solo. E’ anche vero, però, che
all’interno dell’organizzazione possono venirsi a creare dei sottogruppi informali dotati
di un loro “codice”; questi gruppi possono essere utili in casi come, ad esempio,
organizzare meglio le attività. C’è da dire che possono crearsi anche dinamiche più
oscure che approfondiremo man mano che procederemo con la nostra analisi, come il
caso di Haiti del 2010 sul giro di prostituzione che alcuni operatori avevano creato
all’interno delle zone in cui davano assistenza, generando una sorta di “cricca” che
gestiva il traffico tra le mura dell’organizzazione. Andando avanti nella trattazione
richiameremo comunque le prospettive utilizzate quando discuteremo del caso specifico
relativo alla nostra esperienza.
Capitolo 2
I meccanismi di differenziazione: La gestione dei ruoli in un’organizzazione
La concezione classica dell’organizzazione si rivelò limitata al modello razionale che non concepiva modifiche nel contesto di riferimento e, visto che invece l’organizzazione si mostra un’entità che può presentare sempre opportunità nuove ridefinendo le proprie potenzialità e il legame con l’ambiente, se ne deduce che essa non presenta una struttura statica ma, al contrario, si manifesta in un continuo divenire, all’interno del quale possono migliorare le relazioni interne e quelle con l’ambiente esterno, e si possono fornire nuove risposte ai bisogni degli individui e dell’organizzazione stessa.
Si supera quindi la concezione classica per aprirsi ad un nuovo paradigma organizzativo che,dal momento in cui il contesto (precedentemente inquadrato) subisce sensibili modificazioni determina la necessità di scoprire diverse prospettive che diano soluzioni alle nuove
33 problematiche. Serve:“un approccio che elabora un modo di percepire e comprendere la realtà”35
.
La prospettiva teorica fondata sulla razionalità ha cercato di dare risposte alle domande concernenti le organizzazioni ma, nonostante i suoi limiti,ha permesso di ampliarne la base teorica.
Sappiamo che l’organizzazione come sistema razionale è intesa come uno strumento per raggiungere determinati fini. Il termine razionalità si riferisce al senso funzionale, per cui una serie di azioni sono organizzate in modo da realizzare scopi predeterminati con il massimo dell’efficienza. Quindi la razionalità non guarda tanto ai fini ma alla loro realizzazione.
Nel sistema razionale si considera l’esistenza di una struttura formalizzata, all’interno della quale le regole che gestiscono i comportamenti degli individui sono formulate in modo preciso ed esplicito. Si è visto però come un’organizzazione non si limita ad essere soltanto questo tipo struttura, e quanto la considerazione di essa come una macchina sia troppo limitante.
L’individuo inizia così ad essere considerato una variabile primaria all’interno dell’organizzazione, tanto quanto la definizione del ruolo e dell’importanza del soggetto stesso; questo processo evidenzia non solo le problematiche da risolvere nel rapporto tra organizzazione ed individuo, ma anche come mantenere quell’efficienza imprescindibile per il successo dell’organizzazione stessa.(Giudici, 2002)
2.1 Specializzazione dei ruoli, interdipendenza e coordinamento
Attraverso la divisione dei ruoli, l’organizzazione passa da un insieme indifferenziato di persone ad un sistema organizzato. Una divisione di compiti che man mano vengono distribuiti ai singoli individui.
Dividere i compiti consiste nella suddivisione di una serie di operazioni che sono necessarie a realizzare degli obiettivi. Queste operazioni vengono suddivise in compiti specifici che vengono attribuiti ai membri dell’organizzazione.
La specializzazione nasce per due motivi36:
35
34 - Lo svolgimento da parte di un soggetto di più compiti molto diversi tra loro comporta una dispersione di attenzione e produttività;
- La specializzazione dei ruoli comporta una maggiore efficienza per via dell’ottimizzazione delle abilità di ogni membro dell’organizzazione.
Prendiamo, ad esempio, l’esercito come organizzazione. Nel caso di una guerra, la fanteria occupa il territorio, l’aviazione invece lo controlla dall’alto. Per far sì che il territorio sia strutturato in questo modo, occorre una forte specializzazione dei ruoli, perché se un soldato ed un pilota si scambiassero i ruoli, il risultato non sarebbe affatto positivo: in base a ciò, ogni soggetto si specializza su determinati ruoli che non sempre sono intercambiabili.
La stessa cosa avviene all’interno di un’azienda nella quale i ruoli sono specializzati in base alla complessità ed alle dimensioni di quest’ultima. Una scarsa specializzazione dei ruoli riduce anche la capacità e l’efficienza dell’organizzazione; bisogna aggiungere però che, al contrario, con un’eccessiva specializzazione, si può arrivare ad avere una struttura molto complessa dove tutto si baserebbe in una serie di micro interventi che causerebbero difficoltà gestionali. Una siffatta organizzazione, con una forte parcellizzazione dei ruoli, potrebbe far aumentare il senso di alienazione degli individui e diminuire sia le loro motivazioni quanto il senso del loro ruolo; ciò che significherebbero ritornare ad una struttura basata su una logica fordista.
Per evitare di andare in contro a queste dinamiche, la struttura organizzativa predispone la divisione dei compiti e la specializzazione dei ruoli attraverso le unità organizzative. La persona singola che svolge mansioni è l’unità organizzativa di base. Quando più persone svolgono attività omogenee, vengono tutte raggruppate sotto la supervisione di un capo che esercita la sua autorità sui propri subordinati37; esso è anche responsabile del lavoro dei subordinati e possiede un certo grado di autonomia decisionale.
Man mano che le unità organizzative si aggregano, danno luogo ad unità sempre più complesse. Si viene a creare ciò che viene definito come linea38.(D’amico, 2008)
La linea gerarchica si riferisce al rapporto tra autorità e responsabilità che insieme tengono le unità sull’obbiettivo da raggiungere. Le linee gerarchiche sono diffuse nei vari sistemi organizzativi:l’assetto si può presentare come una sorta di piramide nei casi dove vi è una direzione generale e via via altri uffici e unità che possono essere più o meno semplici. Proprio durante l’esperienza di Oxfam, di cui si parlerà più avanti, si è potuto osservare un simile
36
A. La Bella, E. Battistoni, “Economia e organizzazione aziendale”, Maggioli Editore, 2008
37
R. D’amico, “L’analisi della pubblica amministrazione. Teorie, concetti e metodi”, Franco Angeli, 2008
38