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Indice
Introduzione
Capitolo 1. Quadro generale sull’evoluzione e le tematiche della crisi
europea
1.1. La crisi dei subprime e le implicazioni per l'Eurozona
1.2. Il circolo vizioso banche-debito sovrano
1.3. Strumenti derivati e azzardo morale
1.4. I limiti delle norme di vigilanza
1.5. l’Unione Bancaria come soluzione alla crisi
Capitolo 2. L’Unione Bancaria Europea
2.1. Aspetti generali
2.2. Single Supervisor Mechanism
2.2.1.
Struttura del Single Supervisory Mechanism
2.2.2.
Funzionamento del Single Supervisory Mechanism
2.3. Il Comprehensive Assessment
2.3.1.
Asset Quality Review
2.3.1.1. I “Workblocks”
2.3.2.Stress Test
2.3.2.1. Gli scenari dello stress test
2.3.3.
I risultati del Comprehensive Assessmment
2
Capitolo 3. Il sistema bancario italiano nel contesto del Single
Supervisory Mechanism
3.1. Quadro generale
del sistema bancario italiano
3.2. Il campione e la metodologia
3.3. La redditività delle banche
3.4. Il TIER 1 e la patrimonializzazione delle banche italiane
3.5. Il punto debole dei bilanci italiani: le Non Performing Loans
3.6. L'efficienza nelle banche italiane
3.7. Il continuo aumento della rischiosità bancaria
3.8. Una sintesi dei risultati
Conclusioni
Bibliografia
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Introduzione
Negli ultimi anni i mercati sono stati colpiti da una serie di crisi che hanno compromesso profondamente la stabilità del sistema finanziario; le cause sono da ricercarsi all'interno del sistema stesso, ovvero negli intermediari che, nella ricerca di profitti sempre crescenti, hanno messo in atto delle strategie operative (vedi i mutui sub-prime) ad altissimo profilo di rischio. Queste strategie, sviluppate nei mercati americani, hanno portato al crollo del sistema nel momento in cui sono venute a galla le falle di questo meccanismo perverso; da lì a poco la crisi è arrivata in Europa dove si è trasformata in crisi dei debiti sovrani e ha contagiato anche l'economia reale. Da quel momento in poi, siamo nel 2010, la crisi diventa anche affar nostro, ed ecco allora che le istituzioni europee iniziano a collaborare per cercare di trovare delle soluzioni condivise per uscire da una situazione di dissesto che, nel giro di pochi anni, è diventata globale. La collaborazione europea giunge alla conclusione di ritenere necessaria una riforma del sistema bancario viste le condizioni di dissesto in cui versavano le banche; questa riforma si materializza con l'annuncio della nascita dell'Unione Bancaria Europea che segna l'inizio di un percorso di riforme in campo istituzionale con lo scopo di stabilizzare i mercati e prevenire l'insorgere di nuove crisi. L'Unione Bancaria diventa quindi un progetto attraverso cui rifondare e rilanciare i mercati bancari, prima di procedere in questo senso però la Banca Centrale Europea, che è al centro di questo progetto, ha voluto attraverso una valutazione approfondita controllare qual è lo stato di salute del sistema, per avere un quadro generale sulle condizioni in cui versano gli intermediari europei così da potere attivare in maniera mirata le azioni di recupero necessarie.
Così nel nostro lavoro parleremo, all'interno del primo capitolo, dell'evoluzione storica della crisi cercando di fornire delle spiegazioni teoriche su quelle che sono le cause che hanno contribuito ha trascinare il nostro sistema in una così delicata situazione. Poi nel secondo capitolo descriveremo l'Unione Bancaria, vista da molti come la soluzione ottimale per ristabilire una situazione di equilibrio nei nostri mercati; dunque approfondiremo la struttura della Union
4 Banking descrivendo le strutture da cui è formata e le funzioni che svolgerà in futuro, inoltre sempre all'interno del stesso capitolo, approfondiremo l'aspetto relativo al comprehensive assessment, ovvero la valutazione approfondita che la BCE ha svolto prima di assumere il ruolo di autorità di vigilanza per avere un resoconto sulle condizioni in cui versano gli intermediari europei; valutazione che ha portato alla bocciatura di due dei nostri intermediari quindici intermediari esaminati e segnalando così delle lacune in capo al nostro sistema bancario. Quindi, terminata la descrizione delle problematiche manifestatesi in ambito internazionale e quali sono state le soluzioni intraprese in ambito europeo, all'interno del terzo capitolo descriveremo la condizione del sistema bancario italiano dal 2007 al 2013, descrizione effettuata tramite una disamina di alcuni indici di bilancio relativi agli aspetti più rilevanti dell'attività bancaria (Tier 1 ratio, NPL/TA, NPL/TC, Cost to Income ratio, Sofferenze/Patrimonio Netto); prenderemo in considerazione i livelli di redditività del nostro comparto e cercheremo, attraverso la regressione lineare, di capire se e in che modo le determinanti analizzate, ovvero patrimonializzazione, incidenza dei NPL, efficienza e rischiosità, incidono sulle prestazioni del nostro comparto. Infine al termine del terzo capitolo forniremo, sulla base dei risultati ottenuti, le conclusioni al nostro lavoro tentando di proporre anche delle soluzioni per rilanciare il nostro sistema bancario.
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1.
Quadro generale sull’evoluzione e i tematiche della
crisi europea
1.1. La crisi dei subprime e le implicazioni per l'Eurozona
La crisi che ha investito l’Europa negli ultimi anni è di certo un evento di dissesto senza eguali nella storia del vecchio continente1, anche se le cause
principali del crollo possono essere ricercate in altri contesti, ovvero la crisi americana dei sub-prime, gli squilibri che sono emersi dal sistema bancario europeo mostrano un circolo vizioso che, con la riduzione della liquidità causata appunto dal crollo di Lehman Brothers & Co., ha mostrato tutti i suoi punti di debolezza. Comunque è giusto prima di focalizzare l’attenzione su quello che è il contesto europeo fare un piccolo excursus sull’evoluzione della crisi, così da capire quali sono state le dinamiche che hanno portato l’Europa sull’orlo del precipizio.
La recessione, perché di questo ormai si tratta, parte negli Stati Uniti a causa della scoppio della bolla speculativa dei sub-prime, cioè il mercato ipotecario ad alto rischio, avvenuto nel 2007, l'esplosione della bolla dei mutui venne amplificata dal fatto che le banche statunitensi, al fine di ridurre l'esposizione rispetto a questi prodotti finanziari altamente rischiosi, vendevano a terzi i mutui stessi attraverso diversi strumenti finanziari come ad esempio le Asset Backed Securities2 (ABS). In questo modo le banche scaricavano su altri soggetti
(inizialmente investitori istituzionali, ma poi anche banche e risparmiatori) i rischi corsi all’interno di queste operazioni. La cartolarizzazione dei mutui sub-prime (ovvero la creazione di titoli garantiti dai mutui ipotecari), sempre più diffusa, moltiplicava spesso i rendimenti in quanto chiedeva un ulteriore rendimento ai soggetti a cui si rivendevano i derivati dei mutui
1P. De Grauwe, Crisis in the Eurozone and how to Deal with It, Centre for Economic Policy Research, London, 2010, pag. 6.
2 C. Whalen,The Subprime Crisis: Cause, Effect and Consequences, Networks Financial, Indiana University, 2008, pag. 3.
6 secondari. Queste operazioni hanno infettato l'intero sistema finanziario mondiale di titoli derivati, che a causa dell’enormità delle perdite apportate presero il nome di titoli “tossici”. Successivamente, la forte svalutazione di questi strumenti innescò difficoltà gravissime in alcuni fra i più grandi istituti di credito americani. Bear Sterns, Lehman Brothers e AIG vennero ridotti al collasso e poi messi in sicurezza dall'intervento del Tesoro statunitense di concerto con la Federal Reserve. Anche banche europee, come la britannica Northern Rock (quinto istituto di credito inglese) e grossi istituti finanziari come la svizzera UBS, la franco-belga Dexia e la nostra Unicredit furono investiti dalla svalutazione dei titoli immobiliari, venendo successivamente o nazionalizzati o costretti a ricapitalizzarsi.
Ritornando al mercato nella sua globalità, dopo diversi mesi di debolezza e perdita di impieghi, il sistema è collassato tra il 2007 e il 2008 causando la bancarotta di un gran numero di intermediari che si è tradotta in una forte riduzione dei valori borsistici delle banche e della capacità di consumo e risparmio della popolazione con effetti recessivi sull'economia3.
Il collasso del mercato dei subprime è, dunque, una delle cause alla base della crisi che poi ha investito l’Eurozona, infatti le banche europee corrotte dai cosiddetti titoli tossici sono uscite fortemente indebolite dallo scoppio della bolla delle cartolarizzazioni, manifestando così le lacune intrinseche che il sistema covava dentro di sé. Quindi, nel tentativo di arginare le perdite del sistema bancario, gli stati sovrani si sono mobilitati assicurando iniezioni di liquidità a tutto il comparto, ma questa manovra si è rivelata un'arma a doppio taglio; infatti ha creato in capo agli investitori la paura riguardo alla solidità degli stati e la solvibilità riguardo al loro debito sovrano, tali considerazioni si sono tradotte, infatti, in tensioni sui mercati dei debiti sovrani che si sono intensificate a partire dall’ inizio del 2010.
La crisi ha colpito l’Europa nella sua totalità manifestando però aspetti più stringenti nelle economie del sud dell’ Unione, ovvero Portogallo ,
7 Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, (questo quintetto proprio per la situazione problematica nella quale si trova viene denominato con l’acronimo di P.I.I.G.S.).
Le preoccupazioni riguardo alla crescita del livello di debito dei governi hanno attraversato il mondo con un'ondata di declassamento del debito dei governi europei, questi eventi conducono i ministri dell'economia europeiad approvare, a Maggio 2010, un piano di recupero, creando così il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (European Financial Stability Facility, EFSF), meccanismo composto da una serie di aiuti erogati dai governi europei alle banche dei rispettivi sistemi nazionali che ammonta a 1.240 miliardi di euro (10,5% del Pil Ue). I tre maggiori mercati bancari europei beneficiati dagli aiuti furono quelli Germania, Francia e Gran Bretagna, ciò accade perché le banche di tali paesi risultano quelle più esposte ai titoli tossici4.
Le evidenze che emergono dalla crisi dell’eurozona mostrano come una condotta sregolata da parte del sistema bancario(moral hazard, cfr. § 1.3.) abbia acceso i riflettori sul rischioso collegamento tra banche e stati sovrani. Infatti è proprio questo legame banca-stato, che è alla radice delle persistenti difficoltà del sistema ad uscire dalla crisi.
1.2. Il circolo vizioso banche-debito sovrano
Il legame tra banche nazionali e debito sovrano è stato un elemento chiave della crisi finanziaria globale. Prova ne è il fatto che negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la crisi è scoppiata, il governo dovette intervenire pesantemente per sostenere le banche contro la recessione.
Per capire come gli stati sono legati al loro sistema bancario è utile rivedere le modalità con cui la crisi si è manifestata, il tracollo del debito sovrano dell’eurozona è iniziato in Grecia alla fine del 2009 quando emerge un deficit di
8 bilancio nelle finanze greche pari al 12,7% del Pil nascosto, tra l’altro, alle autorità europee. Questa notizia si concretizza nel declassamento dell'affidabilità finanziaria greca sul suo debito da parte delle maggiori agenzie di rating, suscitando forti preoccupazioni circa la possibilità di default della Grecia. Le difficoltà del debito sovrano si diffondono rapidamente al sistema bancario nazionale con un forte deterioramento delle prospettive di crescita economica, un deprezzamento dei titoli di Stato detenuti in portafoglio e problemi di funding. Questi eventi sono stati come catalizzatori, accelerando la comparsa di problemi che si stavano addensando in altre economie. Tra aprile 2010 e aprile 2011, la Grecia seguita da Irlanda e Portogallo diventano incapaci di rivolgersi ai mercati obbligazionari e sono costrette a richiedere gli aiuti internazionali che provenivano dal già citato ESFS. Nell’estate del 2011 le tensioni si spostano sul mercato spagnolo e italiano. Serve precisare che, in alcuni di questi paesi, il contagio è avvenuto da parte delle banche nei confronti del debito sovrano: per esempio in Irlanda e Spagna le finanze pubbliche erano in ordine prima della crisi, ma hanno sofferto della difficoltà del settore bancario nazionale dovuto allo scoppio della bolla immobiliare. In Grecia, invece, l’elemento scatenante della crisi era proprio la fragilità del debito pubblico. Indipendentemente dalle cause, ciò che è accaduto è che alcuni paesi nel tentativo di rafforzarsi, visto il tracollo del mercato dei subprime, sono caduti in una spirale negativa che ha manifestato le difficoltà dei debiti sovrani e le fragilità del sistema bancario conducendo i Governi in recessione economica.
Dopo aver visto come gli stati europei sono finiti nelle rete della crisi, è utile capire quali sono i canali attraverso cui il rischio sovrano viene trasmesso alle banche, tale rischio può colpire sia dal lato delle attività così come dal lato delle passività. Iniziamo osservando quali sono le modalità di trasmissione dal lato dell'attivo, un peggioramento/miglioramento del merito creditizio nazionale, così come percepito dai mercati, può causare perdite/utili sui portafogli di titoli sovrani delle banche, inoltre si possono avere effetti anche in capo ai prestiti delle banche nei confronti dei governi stessi. In questo senso, le esposizioni sovrane non sono concettualmente diverse da crediti nei confronti di qualsiasi
9 altro debitore, anche se molto più rilevanti, tipicamente, infatti, le banche hanno grandi quote di debito pubblico nazionale (Home Bias) questo perché le partecipazioni verso altri debiti sovrani sono limitate a livello regolamentare. Un altro motivo della massiccia presenza di titoli di debito pubblico si può ricondurre alla normativa vigente (CRD IV), che permette un trattamento preferenziale delle esposizione nei confronti dei governi rispetto a quelle sui mutuatari privati. In primo luogo, le autorità nazionali possono (e di fatto lo fanno) scegliere di applicare ponderazioni per il rischio ridotte per le esposizioni nei confronti degli stati sovrani. Tali pratiche hanno trovato una grande diffusione anche perché i requisiti di Basilea II prevedono per le esposizioni verso i titoli sovrani denominati in euro una ponderazione per il rischio pari a zero, questo “vantaggio” di ponderazione è, poi, valido sia per lo standardized approach che per i sistemi IRB(Internal Rating Based). Il perché delle banche che investono in titoli di debito sovrano può essere ricercato, anche, nel fatto che tali titoli possono essere utilizzati come garanzie all’interno delle operazioni di finanziamento con la Bce, l’effetto di tali garanzie è ovviamente proporzionale al merito creditizio dello Stato che ha emesso i titoli5. Inoltre la normativa di
Basilea III inserisce i titoli di stato all’interno del capitale di alta qualità utilizzato nel computo del Liquidity Cover Ratio (LCR), che non è altro che un buffer anticiclico che risponde alla necessità di contrastare la procilicità con cui le crisi si manifestano. Il collegamento banche-debito pubblico è innescato anche dal lato delle passività. Diversi governi hanno introdotto sistemi di garanzia utilizzando, come dicevamo sopra, i titoli di stato per garantire le obbligazioni bancarie dopo il crollo di Lehman Brothers, tali titoli quando poi incorrono svalutazioni del merito creditizio di uno stato portano alla riduzione del valore delle garanzia offerta per ottenere fondi, e ciò compromette le capacità di funding delle banche che non possono più utilizzare i titoli di stato da loro detenuti per ottenere liquidità.
5G. Grande, A. Levy, F. Panetta, A. Zaghini, Public guarantees on bank bonds :Effectiveness and distortions, Cheltenham, 2013.
10 Quando si parla di collegamento tra debito sovrano e banche, è utile distinguere tra titoli di debito nazionale e altri titoli di debito. In generale, i legami con le esposizioni nazionali hanno implicazioni più pervasive per la stabilità finanziaria, in quanto possono alimentare il circolo vizioso banca-debito sovrano (nelle modalità di cui sopra) a differenza delle esposizioni nei confronti di un governo appartenente all’area euro. Infatti quest’ultime esposizioni possono essere utilizzate per diversificare la propria posizione visto e considerato che l’acquisizione di titoli di debito di governi dell’area euro non incide sulle passività.
Ovviamente, bisogna precisare che, il nesso di causalità può anche essere invertito, e quindi, una crisi bancaria può innescare un aumento del rischio sovrano. In effetti, ci sono prove che le crisi bancarie possono influenzare le crisi dei debiti sovrani6 .Infatti, una crisi finanziaria può richiedere l’intervento statale
a sostegno del proprio sistema bancario. La crisi mostra infatti come durante il periodo 2008-2009 la grandezza di questo supporto è stata senza precedenti, in alcuni casi (Irlanda, Islanda, e più recentemente Cipro) la dimensione del deficit bancario era così grande da compromettere la stabilità dell’intero paese.
Dunque, una volta che uno shock indebolisce la posizione di uno stato sovrano, o del sistema bancario sarebbe necessaria una serie di manovre volte ad auto-rinforzarsi. È ampiamente dimostrato che le tensioni nel mercato del debito sovrano incidono sulle condizioni di finanziamento delle banche, dei prestiti alle famiglie e imprese7. Per tale via, la stretta creditizia indebolirà l'economia,
portando ad un calo del merito creditizio dei prenditori e ad ulteriori tensioni sul debito del sovrano, dovuti alla caduta fiscale, inoltre, fattori di offerta e di domanda contribuiranno a deprimere la crescita del credito, con effetti negativi sul margine di interesse delle banche.
6 C. M. Reinhart, K. S. Rogoff, From financial crash to debt crisis, NBER, Working Paper,No. 15795, 2010.
7 U. Albertazzi, T. Ropele, G. Sene, F. M. Signoretti, “The impact of the sovereign debt crisis on the activity of Italian banks”, Bank of Italy Occasional Papers No. 133, 2012.
11 Per concludere, possiamo dire che, le cause che hanno dato luogo a questo circolo vizioso sono da ricercare nei comportamenti tenuti dalle banche prima dello scoppio della crisi, è infatti, come riporta Di Iasio8le banche che hanno alle
spalle solidi governi sono incentivate maggiormente all’acquisto di titoli di stato stranieri, questo perché se si dovesse manifestare una situazione di inadempienza da parte degli stati sovrani, le banche esposte verso tali soggetti sarebbero salvate dall’intervento dei governo nazionali, possiamo dire quindi che la presenza di un stato finanziariamente solido favorisce comportamenti di moral hazard da parte del sistema bancario. Un’analisi statistica della Banca dei Regolamenti Internazionali9 (BRI) mostra come le banche situate in paesi con un rating pari a tripla A, sono quelli con le maggiori esposizioni verso i debiti sovrani dei paesi più colpiti dalla crisi (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna).
In definitiva si può dire che le banche, una volta ricevute le iniezioni di liquidità da parte delle istituzioni europee, non potendo più investire nel mercato dei derivati poiché, come abbia già detto, eccessivamente rischioso e non volendo investire nel credito a causa della scarsa qualità del merito creditizio dei prenditori presenti sul mercato hanno deciso di investire in titoli di stato, da sempre la forma "più sicura" d'investimento.
Prima di spiegare più nel dettaglio il perché della crescente esposizione nei confronti dei titoli sovrani da parte del sistema bancario, è opportuno precisare che, le banche, prima dello scoppio della crisi nel 2008, stavano riducendo le loro esposizioni nei confronti dei titoli sovrani da diversi anni, ma nell'autunno del 2008, dopo il default Lehman Brothers, ripresero gli acquisti per i motivi di cui sopra. Questo calendario di eventi dimostra che in condizioni normali le banche non hanno alcun incentivo ad investire sui titoli di Stato, nonostante il trattamento preferenziale previsto dalle normative vigenti all’epoca. Inoltre questo ci fa capire come l’indebitamento in titoli del debito pubblico sono una conseguenza della crisi e non una causa.
8 G. Di Iasio, Risky liquidity: Shadow banking and sovereign bonds, Bank of Italy, 2013.
9 A. van Rixtel, G. Gasperini, Financial crises and bank funding: recent experience in the euro area, BIS Working Papers, No. 406, 2013.
12 Ma quali sono le motivazioni che hanno spinto verso una ripresa degli investimenti in questo tipo di strumenti? La risposta può essere ritrovata in uno studio di Battistini Pagano e Simonelli10, i quali propongono tre ipotesi, le quali
non si escludono a vicenda:
Moral Suasion: ovvero, gli emittenti sovrani ad alto rischio esercitano pressioni sul proprio sistema bancario affinché tramite l’acquisto dei bond stimoli la domanda dei titoli di stato.
Carry Trade: le banche sottocapitalizzate provano ad uscire dalla crisi attraverso operazioni di carry trade, ovvero utilizzano i titoli di stato come garanzia per ottenere liquidità a buon mercato dalla BCE e investire in obbligazioni ad alto rendimento.
Re-nazionalizzazione: ovvero le banche cedono assets stranieri per reinvestire in attività nazionali, quali appunto i titoli di debito nazionale. Gli autori mostrano come le banche dei paesi fiscalmente vulnerabili (P.I.I.G.S.) hanno aumentato le loro partecipazioni nei confronti dei governi nazionali in concomitanza dell’aumento del rischio paese mentre i paesi dell’Europa core non hanno intrapreso tali operazioni. Battistini et al. leggono le operazioni delle banche dei paesi core all’interno dell’ipotesi 3, mentre per i paesi fiscalmente deboli come operazioni che fanno capo alle ipotesi 1 e 2. A sostegno di ciò, anche Archarya e Steffen11 sottolineano che tali comportamenti sono presenti,
soprattutto, nelle banche con bassi livelli di Tier1. I due provano, inoltre, a spiegare l’acquisto di titoli di stato italiani spagnoli portoghesi, ecc., da parte delle grandi banche adducendo come motivazione per tali operazioni non tanto una delle ipotesi di Battistini Pagani e Simonelli, ma piuttosto è, secondo Archarya e Steffen, un tentativo di dare un segnale di fiducia alle economie che versavano in una situazione di tensione finanziaria. A supporto di queste considerazioni vi sono i dati riferiti all’acquisto di partecipazioni di debito
10 N. Battistini, M. Pagano, S. Simonelli, Systemic risk and home bias in the euro area, European Commission, European Economy, Economic Papers, No. 494, 2013.
11 V. Acharya, S. Steffen, The “greatest” carry trade ever? Understanding Eurozone bank risks, NBER Working Paper, No. 19039, 2013.
13 pubblico italiani per tre categorie di intermediari differenti ovvero: le banche locali, le succursali e le filiali di banche estere, come emerge dall’analisi tutte le categorie hanno aumentato gli investimenti in sovereign bond (titoli di stato), ciò va contro l’ipotesi di moral suasion di cui si parlava prima. Questo è vero per il periodo che va da Agosto 2008 a estate 2011. Infatti nel 2011 le banche domestiche iniziano ad investire pesantemente in titoli di stato, questo anche perché partono i programmi di Long Term Refinancing Operations da parte della BCE. In definitiva possiamo dire che sulla base delle evidenze riportate, l’ipotesi che risulta più veritiera su quelle che sono le ragioni per investire in titoli di stato va ricercata in un tentativo di rinazionalizzazione (ipotesi 3 Battistini Pagani e Simonelli). Un argomento a favore di questa ipotesi è che gli intermediari finanziari dei paesi con squilibri nel debito pubblico sanno che nel caso in cui il loro Stato andasse in default, essi stessi sarebbero in serie difficoltà vista la diretta esposizione attraverso diversi canali nei confronti del debito pubblico nazionale. Precisiamo che, le crisi di stato non sempre sono seguite da una crisi del sistema bancario, mentre, a causa della grandezza delle esposizioni delle banche rispetto ai propri governi, questi ultimi difficilmente riuscirebbero a sopravvivere ad un crollo del sistema bancario domestico.
Banca d’Italia in diverse occasioni12 prova a fornire 2 ulteriori spiegazioni al
fenomeno dell’investimento in titoli di stato da parte delle nostre banche, ovvero motivi precauzionali: nella seconda metà del 2011, quando con l’ascesa della crisi del debito sovrano, i mercati rimasero congelati. Le banche dell’eurozona, specialmente quelle dei paesi più in difficoltà, grazie anche all’iniezione di liquidità ricevuta tramite le LTRO, hanno deciso di investire in titoli governativi che garantivano una maggiore grado di liquidità qualora le tensioni sui mercati fossero perdurate; e motivi di rendimento: in Italia, infatti, lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato e i rendimenti dei prestiti ai clienti (nazionali) si amplia considerevolmente a favore del primo. Ciò in una fase critica per l’intero
14 sistema ha permesso di sostenere i margini d’interesse degli intermediari erose dalle perdite sui crediti.
Il fenomeno descritto sopra è comunque una conseguenza che dipende dalle pratiche messe, in atto negli anni precedenti alla crisi, dagli intermediari. È utile, quindi, descrivere quelli che sono i comportamenti e le motivazioni che portano le banche a compiere azioni dannose per loro e per l’intero sistema di cui fanno parte.
1.3. Strumenti derivati e azzardo morale
Non si può negare che l'attuale crisi finanziaria ha dato una forte scossa al paesaggio politico. Paese dopo paese, vediamo i governi presi dal panico che tentano di dare risposte istintive, vedi salvataggi e nazionalizzazioni senza
precedenti. Per citare uno scrittore di quelli che si sono occupati dell’argomento, possiamo
segnalare Summers13, il quale dice che i comportamenti da intraprendere devono essere volti verso un rafforzamento del ruolo dei governi per salvare il mercato dai sui eccessi e dalle sue carenze. Il libero mercato, come provano i fatti, ha fallito ed ora necessita una maggiore regolamentazione e una capacità di gestione a livello macroeconomico più attiva. Il moral hazard ha svolto un ruolo centrale negli eventi che portano alla crisi e dobbiamo tenere presente questo ruolo se le riforme future devono essere ben progettate e prevenire ulteriori disastri. La comprensione di questo fenomeno è fondamentale per capire come “funziona” l’economia e se questo famigerato azzardo morale è così radicato a livello di sistema. Comunque prima di proseguire nella disamina del problema è utile definire quello che per la teoria è il moral hazard. Questo consiste in una forma di opportunismo post-contrattuale, che può portare gli individui a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per quest'ultima, di verificare la presenza di comportamenti scorretti14. L'azzardo
13 L. Summers, Beware Moral Hazard Fundamentalists, Financial Times, 2007.
14P. Krugman, The Return of Depression Economics and the Crisis of 2008, W.W. Norton Company Limited, 2009.
15 morale è presente anche in macroeconomia, ovvero, quando gli operatori economici possono sentirsi incentivati a intraprendere comportamenti eccessivamente rischiosi qualora essi possano, poi, contare sul fatto che i costi associati a un eventuale esito negativo delle loro azioni ricadano sulla collettività, o su altri operatori o categorie di operatori. Fenomeni come questi sono una caratteristica pervasiva e inevitabile del sistema finanziario e dell'economia più in generale, tenerli sotto controllo dovrebbe essere uno dei compiti principali delle istituzioni (vedi Autorità di vigilanza). In realtà, non è esagerato dire che l’assetto istituzionale attuale, ovvero le tipologie di contratto in uso e le modalità in cui le aziende e i mercati sono sviluppati sono alla base della presenza di tali comportamenti. Agire secondo azzardo morale può implicare una maggiore assunzione di rischi: se posso assumere dei rischi che saranno sopportati da una seconda parte, allora li assumerò; ma se devo sopportare “io” le conseguenze delle mie azioni rischiose, agirò in maniera più responsabile. Così, il controllo inadeguato di tali pratiche comporta rischi socialmente eccessivi, e l'eccessiva assunzione di rischi è certamente un tema ricorrente nella crisi finanziaria attuale. Prova ne è lo scandalo dei mutui subprime di cui si discuteva sopra. In passato, una banca avrebbe concesso un mutuo al fine di tenerlo fino alla scadenza. Se il titolare del mutuo fallisce anche la banca incapperà in una perdita. È quindi interesse della banca valutare con attenzione i rischi in capo ai debitori. Tuttavia, se una banca concede un mutuo col fine di rivenderlo attraverso le cartolarizzazioni, l’incentivo a valutare la rischiosità del debitore è seriamente indebolita. Infatti, se il mutuo viene venduto ad un terzo soggetto, grazie appunto alle cartolarizzazioni, la banca non avrà alcun interesse nel valutare la possibilità di inadempienze sul mutuo stesso, visto che ha incassato il valore del prestito tramite la cessione del rischio ad una terza controparte. È questo il sistema che è alla base della crisi scoppiata nel 2007 sfociata poi nella crisi dell’eurozona. Sfortunatamente, questo schema Ponzi gigante è riuscito ad andare avanti finché i prezzi delle case hanno continuato a salire e nuovi operatori hanno continuato a entrare nel mercato. Una volta che i tassi di interesse sono saliti e i prezzi delle case hanno cominciato a scendere l’intero sistema è collassato su se stesso.
16 Quindi possiamo dire che i comportamenti di moral hazard, così per come descritti, sono alla base delle ragioni teoriche utilizzate per spiegare il massiccio utilizzo dei derivati, la scelta di tali forme d’investimento è dovuta al cambiamento delle logiche di fare impresa in seno agli intermediari che si sposta da un orientamento volto a tutelare gli stakeholders, ad uno che si preoccupa solo degli shareholders e della massimizzazione della loro remunerazione. Vitale15
osserva che il principio della massimizzazione del valore dell’impresa, che ha
dominato negli ultimi venti anni, è estraneo o marginale a tutta la migliore teoria manageriale. L’impresa moderna non è solo un centro di produzione e di accumulazione del profitto. L’impresa è un’equazione complessa dove non c’è solo la proprietà. Eppure, la massimizzazione del valore dell’impresa quale paradigma manageriale dominante, portata avanti dalle grandi investment banks, è diventata una formula che giustifica qualunque cosa e che altera la corretta concezione e gestione delle imprese bancarie. In tale contesto evolutivo l’intermediario bancario consolida i caratteri e i connotati tipici dell’impresa e dell’organizzazione volta alla massimizzazione del profitto, prima ancora di quelli tipici dell’istituzione, riconducibili all’offerta di credito ai soggetti meritevoli, alla produzione di passività liquide e non rischiose, all’assorbimento del rischio di credito16.
Quindi possiamo dire che le banche per perseguire una maggiore redditività si sono spinte, grazie agli strumenti di ingegneria finanziaria come i derivati, oltre i confini dell’attività tradizionale. Llewellyn17 aggiunge che è proprio questo “sconfinamento” alla base dell’instabilità finanziaria del sistema. L’intenso ricorso alle operazioni di cartolarizzazione e al mercato dei derivati creditizi è, dunque, da ricondurre a strategie aziendali eccessivamente focalizzate su una prospettiva di tipo shareholder value, in cui la funzione obiettivo della gestione
15M. Vitale, Passaggio al futuro, Milano, Egea, 2010.
16M. Onado, La banca come impresa, Il Mulino, Bologna, 1996.
17D.T., Llewellyn, Financial Innovation and a new Economics of Banking: Lessons from the Financial
17 bancaria è segnatamente condizionata dal perseguimento di sempre più elevati valori di return on equity (ROE)18.
Nell’ambito di tale innovativo modello di business, proteso alla ricerca di livelli crescenti di ROE, il volume dell’intermediazione finanziaria e la velocità di circolazione delle risorse si impongono quali condizioni essenziali per il successo del modello di business. La cartolarizzazione dei crediti rappresenta una scelta strategica di sviluppo dei processi di intermediazione finanziaria che consente alla banca di acquisire velocemente risorse liquide e aumentare i volumi di intermediazione. Tuttavia è giusto precisare che a condizionare lo sviluppo dimensionale dell’impresa bancaria non è soltanto la disponibilità di liquidità ma anche la dotazione di capitale proprio regolamentare, prevista dalle regole di Basilea, un livello insufficiente del capitale può vincolare l’impresa bancaria nella scelta di un livello inferiore di attività. Questo evidenzia lo stretto legame esistente tra il grado di rischiosità assunto e la consistenza delle risorse patrimoniali, che vincola l’intermediario bancario ad operare scelte di composizione degli investimenti coerenti con il livello di esposizione ai rischi19.
La cartolarizzazione e il mercato dei derivati hanno rappresentato, per molte imprese bancarie, una soluzione volta ad attenuare i costi impliciti ed espliciti della regolamentazione in termini di adeguatezza patrimoniale e detenzione di riserve di liquidità. Tutto ciò si traduce in un incentivo per porre in essere operazioni di arbitraggio regolamentare volte a sfruttare le differenze esistenti tra il livello di rischio effettivo del portafoglio crediti della banca e le misurazioni di rischio definite dalle norme di vigilanza prudenziale. Proprio per avvalersi di tali vantaggi che gli intermediari hanno posto in essere operazioni rischiose rivelatesi, in seguito, fatali per la stabilità finanziaria. Infatti, per gestire il rischio le imprese bancarie fanno affidamento sempre più su complessi modelli di credit risk per valutare, controllare e ridurre i rischi di credito, cercando al contempo di orientare coerentemente le scelte di composizione del portafoglio con le linee
18P. Mottura, Crisi sub-prime e innovazione finanziaria, Bancaria 2, 2008.
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strategiche aziendali di risk management20. Tuttavia, l’attuale crisi finanziaria ha messo in risalto non solo l’inefficacia di taluni modelli di risk management aziendali e le loro fragilità sistemiche, ma anche l’eccessiva opacità e l’uso opportunistico, moral hazard appunto, che può essere fatto dal management aziendale, con il risultato di ampliare le dimensioni sistemiche del rischio stesso. Questa lasciva gestione del rischio viene aggravata dalla consapevolezze delle banche di essere troppo grandi per fallire, ovvero “too big to fail ”. Precisiamo che, il principio del “too big to fail” fa riferimento al fatto che il superamento di determinate soglie dimensionali da parte degli intermediari finanziari alimenta fenomeni di moral hazard, in quanto gli intermediari finanziari, avendo assunto dimensioni troppo grandi, non possono essere lasciati fallire, al pari di qualsiasi altra impresa, proprio per la loro rilevanza sistemica.
Quindi, la cartolarizzazione e il ricorso ai derivati creditizi può attenuare il rigore della valutazione dei fidi. Si creano incentivi a generare crediti di bassa qualità (vedi mutui subprime) che vengono successivamente cartolarizzati e collocati presso il pubblico degli investitori. Quindi, la consapevolezza del ricorso al mercato secondario dei prestiti e, quindi, alla funzione di risk transfer dello stesso, ha incentivato gli intermediari bancari a porre in essere comportamenti opportunistici tesi a mitigare i processi di valutazione del merito di credito e di affidamento, con il risultato di compromettere l’efficienza allocativa del mercato creditizio e del mercato mobiliare21.
Possiamo dire che dunque, l'azzardo morale ha incentivato le banche a smorzare i criteri di selezione dei mutuatari, ovvero ad abbassare le soglie di accettabilità delle richieste di affidamento, con il risultato di concedere prestiti anche a soggetti privi delle capacità economiche e finanziarie, attuali e prospettiche, di estinzione dei mutui nel corso del tempo22, a ciò si aggiunge la possibilità di
20A. Sironi, A. Resti, Rischio e valore nelle banche .Misura, regolamentazione e gestione, Egea, Milano,
2008.
21D. Duffie, Innovations in credit Risk Transfer: Implications for Financial Stability, Working Paper
255, Bank for International Settlements, 2008.
22G. Dell’Ariccia, D. Igan e L. Laeven, Credit Booms and Lending Standards: Evidence from the
19 scaricare il rischio assunto tramite la concessione dei mutui al mercato grazie al, già visto, sistema delle cartolarizzazioni.
In definitiva, quindi, il ricorso alla securitization quale forma di risk transfer perde di sostanza e si configura come un’operazione di tipo contabile, volta ad occultare e rendere di difficile quantificazione l’effettiva esposizione al rischio di credito delle banche23. Inoltre le interconnessioni del sistema bancario hanno
condotto in molti casi ad una concentrazione dei rischi nell’ambito del sistema finanziario, piuttosto che ad un loro frazionamento e distribuzione al mercato dei capitali24.
In conclusione, in base a quanto esposto nel presente paragrafo, per interrompere questo tipo di pratiche serve un maggiore impegno a livello regolamentare affinché si possa ritornare a modelli “più sostenibili” di fare banca, e sulla scorta di questo tipo di considerazioni che a livello europeo si è pensato ad una riforma dell’apparato istituzionale. Tale riforma si è concretizzata nella creazione di un nuovo impianto normativo che pone le basi per l’Unione Bancaria Europea.
1.4. I limiti delle norme di vigilanza
Da quanto detto ci accorgiamo che la causa principale dello scoppio della crisi finanziaria nel 2007, che poi è sfociata nelle tensioni nell’eurozona, è da imputare all’eccessiva assunzione di rischi da parte degli intermediari. Quei rischi che l’impianto normativo di Basilea si era prefissato di potere governare attraverso il sistema dei requisiti patrimoniali, ma l’evidenza storica mostra come tale obiettivo non sia stato raggiunto e anzi nasce il dubbio che sono proprio le lacune normative di tale impianto alla base delle scelte imprudenti delle società bancarie che sono, poi, sfociate nei comportamenti di azzardo morale di cui si parlava sopra.
23 V.V. Acharya, P. Schnabl e G. Suarez , Securitization Without Risk Transfer, NBER Working Paper 15730, 2010.
20 Comunque prima di continuare la trattazione, è opportuno puntualizzare che la crisi finanziaria, originatasi nel sistema bancario e finanziario degli Stati Uniti e diffusasi in tutto il mondo, si è sviluppata nel contesto regolamentare del vecchio accordo sul capitale (Basilea I) e non del nuovo accordo (Basilea II). La ridotta sensibilità ai rischi dei coefficienti patrimoniali, l’incapacità di cogliere le varie forme di innovazione finanziaria e gli incentivi di arbitraggio regolamentare a sviluppare operazioni fuori bilancio hanno rappresentato i principali limiti e aree di criticità dell’accordo di Basilea I. Tuttavia, la crisi finanziaria ha messo in rilievo talune criticità di Basilea II, criticità che hanno dato la spinta alle autorità di vigilanza e ai vari organismi di coordinamento e cooperazione internazionale per innovare il vecchio modello normativo, dando alla luce l’impianto normativo di Basilea III (CRR e CRD IV).
Ritornando a noi, dunque, l’Autorità di vigilanza e le autorità politiche hanno messo in discussione il sistema di regolamentazione bancario, Basilea 2, ritenendolo, a torto o a ragione, responsabile della crisi economica e finanziaria che ha colpito il mondo intero25.
Come sintetizzato dal Comitato di Basilea, i fattori alla base della crisi finanziaria riguardano gli intermediari di molti paesi, i quali hanno fatto un uso eccessivo della leva finanziaria, ciò è stato accompagnato, inoltre, da una graduale erosione del livello e della qualità del capitale. Allo stesso tempo anche il fatto che molte banche hanno tenuto riserve di liquidità insufficienti ha contribuito a creare instabilità finanziaria. La crisi è stata infine amplificata dal processo di deleveraging posto in essere dalle banche nel tentativo di salvare il salvabile . Un altro dei punti deboli venuto in risalto dalla crisi è stato sicuramente la composizione del capitale delle banche. Lo schema normativo di Basilea II consentiva alle banche di computare nel patrimonio di vigilanza un’ampia gamma di strumenti – ibridi e innovati- i quali non posseggono lo stesso valore, in termini di capacità di assorbire le perdite, delle forme più tradizionali di patrimonio, come il capitale sociale versato e le riserve utili, che
21 sono ritenuti dalla nuova normativa gli unici strumenti inseribili nel capitale primario di classe 1.
Negli anni recenti molte banche hanno conseguito un aumento del proprio coefficiente patrimoniale mediante l’emissione di strumenti ibridi e solo secondariamente con l’aumento di vero e proprio patrimonio (ovvero azioni, sovraprezzi su azioni e riserve di utili). La spinta verso strumenti ibridi è stata giustificata da diversi fattori : il vantaggio di natura fiscale, questi strumenti si qualificano come debito per le autorità fiscali e sono un costo fiscalmente deducibile e per il profilo rischio- rendimento che per alcuni di questi strumenti è stato particolarmente gradito ad investitori che non hanno voluto investire nel capitale di rischio tradizionale delle banche attratti dai maggiori rendimenti di questi strumenti . Prendendo spunto da questi problemi il Comitato di Basilea ha modificato la composizione del patrimonio di base, migliorando la qualità degli strumenti che vengono computati nel patrimonio al fine di rafforzare la capacità delle banche internazionali di fronteggiare le perdite. Le novità del Comitato sottolineano l’importanza di una definizione della componente predominante del patrimonio di base (Tier 1 ) che includa solo elementi con la più forte capacità di assorbire le perdite. L’obiettivo della nuova normativa (Basilea III) è quello di raggiungere un equilibrio tra l’obiettivo di ridurre i rischi di inabilità del sistema e quello di sostenere la crescita dell’economia. Dunque, al centro del nuovo quadro prudenziale c’è l’intervento sulla qualità degli strumenti finanziari che possono essere inclusi nel patrimonio di vigilanza, i quali devono garantire alti livelli di qualità, ma non solo, la normativa prevede anche una più adeguata calibrazione del peso di alcuni rischi e dunque, del patrimonio che le banche sono tenute ad accantonare per fronteggiarli. La crisi ha infatti mostrato come alcuni rischi (in modo particolare il rischio di mercato e di controparte), insiti in alcuni prodotti finanziari come i già citati derivati, sono stati ampiamente sottostimati. Gli strumenti individuati per prevenire gli eccessi che hanno contribuito a sviluppare la crisi sono i requisiti patrimoniali che tengano in
22 considerazione il valore al rischio o le correlazioni tra attività in condizioni di stress26.
Altro punto debole del sistema di Basilea II è stato il forte impatto pro ciclico della normativa. Tale fenomeno è legato alla tendenza dei requisiti patrimoniali della banca ad accentuare le fluttuazioni in dipendenza del ciclo economico. Ciò è collegato al fatto che i requisiti patrimoniali sono fondati sul rating, questi rating tendono ad diminuire in corrispondenza delle fasi economiche di recessione, e, al contrario, tendono ad aumentare nella fasi di crescita economica. Nella fase di recessione, il peggioramento dell’economia reale ha, quindi, determinato un peggioramento della qualità del portafoglio prestiti degli intermediari, che sono stati costretta o a reperire nuove fonti di finanziamento sul mercato per lasciare invariata l’offerta di credito, o a contrarre l’offerta di credito o, ancora, a vendere le proprie attività accentuando la fase negativa dell’economia.
Il Comitato ha risolto tale problema grazie alla creazione di cuscinetti (buffer) destinati ad incrementarsi nelle fasi di crescita e a ridursi nelle fasi recessive. Questa è sicuramente una misura volta ad introdurre una prospettiva macroprudenziale nell’ambito delle regolamentazione. Questo fenomeno insieme all’eccessivo livello di leva finanziaria, che ha caratterizzato molte grandi banche internazionali, ha svolto un ruolo di rilievo nel corso della recente crisi. L’eccessivo livello di leva finanziaria ha portato numerose istituzioni finanziarie, spinte dalla necessità di accrescere il proprio coefficiente patrimoniale, a ridurre gli attivi in misura rilevante. Durante le fasi più acute delle crisi, il settore bancario è stato costretto a ridurre il proprio rapporto di indebitamento con una velocità tale da aumentare le perdite, ridurre il capitale, contrarre l’offerta di credito e amplificare il ribasso dei prezzi delle attività finanziarie in portafoglio27 (questo processo è quello del, già citato, deleveraging).
26 G. Carosio, La riforma delle regole prudenziali, Banca d’Italia, 2010, pag. 2.
23 È per tale ragione che il Comitato ha deciso di introdurre un requisito massimo di leva finanziaria, il leverage ratio28, l’introduzione di questo indicatore avrebbe
duplice finalità: da un lato quella di contenere il livello di indebitamento nella fasi di crescita economica, dall’altro potrebbe rimediare alle eventuali carenze dei modelli interni di valutazione del rischio, infatti tale requisito è rappresentato dal rapporto minimo tra capitale di elevata qualità (Tier 1) e il totale dell’attivo, attivo che viene calcolato senza le ponderazioni per il rischio previste per gli altri ratios proprio per prevenire eventuali arbitraggi conseguibili attraverso, appunto, i modelli interni.
L’altro grande problema che le banche hanno affrontato nel corso della crisi finanziaria è stata la gestione della liquidità. La liquidità, è la capacità della banca di far fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa, è fondamentale per l’equilibrio di gestione di qualsiasi azienda, ma per le banche ha un rilievo cruciale perché esse producono moneta e, con i prestiti, creano potere d’acquisto per il pubblico questa attività si fonda sulla fiducia della clientela e sulla capacità della banca di onorare i propri impegni. Il rischio di liquidità si riferisce alla probabilità di sfasamenti temporali tra entrate e uscite che possono compromettere la redditività e la reputazione dell’intermediario. Questo disallineamento delle scadenze è stato senza dubbio al centro della recente crisi (come pure di molte altre crisi precedenti). Ma questa volta, la recessione ha mostrato come il crollo della fiducia nei confronti del sistema bancario e il corrispondente aumento del rischio di controparte possano generare una caduta della liquidità dei mercati e provocare situazioni di elevata tensione per gli intermediari. Se prima della crisi i mercati delle attività finanziarie godevano di una liquidità elevata e a costo contenuto, al modificarsi delle condizioni si è assistito al veloce inaridirsi della stessa e il sistema bancario si è trovato di fronte a gravi difficoltà a livello operativo. Il Comitato ha risposto a tale problema attraverso l’introduzione di due requisiti regolamentari: il primo Liquidity Cover Ratio (LCR) volto a ridurre il rischio di “raccolta” a breve
24 periodo, questo requisito richiede che le banche si dotino di un cuscinetto di attività liquide in grado di coprire deflussi di cassa attesi in un orizzonte di 30 giorni, senza ricorrere al mercato, il secondo Net Stable Funding Ratio (NSFR) più orientato a fronteggiare squilibri strutturali nella composizione per scadenze delle passività e attività di bilancio29.
Nel corso della crisi, così come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, sono state molte le istituzioni finanziarie salvate da interventi governativi poiché si temeva che il loro fallimento avrebbe generato una crisi sistemica. Come osservato dal Comitato di Basilea, la prociclicità ha amplificato gli shock nel tempo, l’elevata interconnessione tra le banche e le altre istituzioni finanziarie ha favorito la trasmissione degli shock nello spazio. Il problema è stato quindi di quelle banche che sono caratterizzate da un profilo di rischio sistemico, che per le dimensioni e il grado di interconnessione con gli altri istituti sono state di una rilevanza tale che il loro fallimento avrebbe conseguenze sull’intero sistema (ovvero le già citate banche "too big to fail"). Partendo da questa considerazione il Comitato si è posto come obiettivo quello di sviluppare sistemi che aiutino le autorità di vigilanza nazionali a misurare la rilevanza di ogni istituto in modo da ridurre le probabilità che crisi di singole istituzioni possano trasformarsi in crisi sistemiche. Detto ciò, si capisce che il quadro normativo di Basilea 2 necessitava di un riesame approfondito per modificare le norme al fine di:
ridurre lo spazio per la discrezionalità;
aumentare gradualmente i requisiti patrimoniali minimi;
ridurre la pro ciclicità;
introdurre norme più severe in materia di voci fuori bilancio;
intensificare le norme sulla gestione della liquidità;
Inoltre, un quadro normativo solido in materia prudenziale dovrebbe basarsi su regimi di vigilanza forti. Le autorità dovrebbero essere dotate di poteri che le
29 G. Carosio , Indagine conoscitiva sulle problematiche relative all’applicazione dell’Accordo di Basilea 2, Banca d’Italia, 2010.
25 permettano di intervenire qualora una banca abbia una gestione del rischio e un meccanismo di controllo inadeguato nonché una scarsa solvibilità delle posizioni di liquidità.
Comunque, come detto nel precedente paragrafo, anche la “governance” societaria, è stata uno dei fallimenti più evidenti della crisi attuale. È chiaro che negli ultimi anni sono stati fatti notevoli passi in avanti in materia, ma è lampante che tra le cause della crisi non possiamo non evidenziare l’interesse degli istituti finanziari ad operare in una prospettiva di breve periodo, finalizzata a realizzare il massimo possibile a scapito di una prospettiva di lungo periodo, della prudenza e della qualità del credito.
Il nuovo impianto normativo, ovvero quello di Basilea III, come abbiamo appena visto, si prefissa di correggere quegli aspetti che la crisi recente ha segnalato come punti di debolezza, ma appare evidente come non sia sufficiente la sola modifica dell’impianto regolamentare, infatti, come l’esperienza insegna, gli intermediari tentano e, probabilmente tenteranno, di trovare nuovi canali per raggiungere rendimenti maggiori e minori oneri per il rispetto dei requisiti patrimoniali. Ciò che serve è dunque una riforma che non riguardi solamente i controllati ma che si occupi anche dei controllori così che non ci sia più la possibilità per le banche, o meglio per i manager delle stesse, di mettere in atto operazioni che, vista la forte interconnessione del mercato, possano compromettere la stabilità dell’intero sistema finanziario. Sulla scorta di queste considerazione che nell’ultimo anno le autorità di vigilanza nazionali insieme alle istituzioni di livello europeo hanno intrapreso un percorso di riforme volto ad instituire una nuova autorità di vigilanza per il comparto bancario, tale istituto prende il nome di Single Supervisory Mechanism, e s’inserisce nel quadro delle riforme che nei prossimi anni guideranno gli stati dell’Unione verso la nascita dell’ Unione Bancaria Europea (Banking Union).
26
1.5. L’Unione Bancaria come soluzione alla crisi
È chiaro dunque che la recente crisi ha reso manifesto il bisogno di colmare un buco a livello istituzionale, ovvero la mancanza di un’unione bancaria che andrebbe ad inserirsi, tra l’altro, come completamento di un iter iniziato con l’Unione Monetaria Europea. Infatti la letteratura spiega la Banking Union come un passo, per certi versi, obbligato poiché la situazione della politica finanziaria europea è una rappresentazione perfetta di quello che è il trilemma finanziario elaborato da Schoenmaker30,la domanda alla quale il trilemma prova a dare una
risposta è: come possiamo raggiungere la stabilità finanziaria in un sistema bancario transfrontaliero?
La stabilità finanziaria è chiaramente un bene pubblico, in quanto come la teoria ci insegna, il produttore non può escludere nessuno dalla consumare il bene (non escludibile) e il consumo di uno fa non incide sui consumi di altri (non rivalità). Cardine della questione è, per quel che ci riguarda, se i governi possono ancora produrre questo bene pubblico a livello nazionale nei mercati finanziari globalizzati di oggi. Il trilemma finanziario prova a dare una risposta affermando che in un sistema di più stati, (vedi l’Unione Europea), stabilità finanziaria, integrazione finanziaria e politiche finanziarie nazionali sono incompatibili. È possibile combinare solo due dei tre elementi, ma non tutti insieme pena il fallimento del sistema stesso. A ciò aggiungiamo il fatto che la stabilità finanziaria è strettamente legata al concetto di rischio sistemico, riprendendo Acharya31, una crisi finanziaria viene definita come sistemica se molte banche
falliscono insieme, oppure se il fallimento di una provoca il fallimento di molte altre banche. La descrizione di tale problema riflette perfettamente la crisi dell’eurozona, dunque le colpe delle tensioni del sistema bancario sono state imputate alle politiche finanziarie nazionali ed è per tale motivo che a livello comunitario si è pensato di creare un’istituzione che si occupi della politica finanziaria in maniera accentrata tale apparato è appunto l’Unione Bancaria. Tale
30D. Schoenmaker, The financial trilemma, Duisenberg School of Finance, Amsterdam, 2011.
31 V. Acharya, A theory of systemic risk and design of prudential bank regulation, Journal of Financial Stability, 2009.
27 organismo oltre a dare una soluzione al trilemma di Schoenmaker, dovrebbe permettere di risolvere altre lacune manifestatesi con il tracollo europeo.
Ovviamente questa è solo una spiegazione delle ragioni teoriche che sono alla base dell'Unione Bancaria, ovviamente vi anche altri motivi alla base di questo progetto. Innanzitutto vanno sottolineate le ragioni congiunturali, viste le acute tensioni che hanno caratterizzato i mercati finanziari dell’area dell’euro: tensioni sui titoli sovrani di alcuni paesi, squilibri negli attivi delle banche di altri. Il circolo vizioso banche-sovrani necessitava soluzioni rapide, proposte concrete, la dimostrazione dell’Europa di saper agire in modo concertato. L’unione bancaria come soluzione ai problemi congiunturali risponde all’obiettivo di spezzare il circolo vizioso, nelle due direzioni: dalle banche al sovrano, dal sovrano alle banche. Quanto al contagio dalle banche al sovrano, va rammentato come sistemi di supervisione non improntati alle migliori pratiche abbiano permesso una crescita non sostenibile dell’intermediazione, la concentrazione delle esposizioni in settori di attività economica incisi da bolle speculative. Gli effetti della crisi finanziaria globale hanno dimostrato la fragilità di questo modello aggressivo di business, hanno richiesto cospicui interventi di finanza pubblica, hanno accresciuto il rischio sovrano. Considerazioni differenti vanno fatte però nel caso dell’Italia, infatti come vedremo dopo, gli interventi pubblici sono stati minimi nel confronto internazionale e dove l’intermediazione ha beneficiato di una attenta attività di vigilanza. Se il problema del contagio tra banche e debito sovrano fosse stato una questione unicamente nazionale, probabilmente non si sarebbe pensato a costituire l’Unione bancaria32. Ma così non è, in un mercato finanziario integrato, come abbiamo visto, gli squilibri di un paese si trasmettono rapidamente alle economie degli altri. Serve una visione della supervisione più alta, che consideri l’interesse europeo, che prevenga la formazione di squilibri globali.
Considerando l'altra direzione del circolo vizioso, quella che va dal sovrano alle banche. Forti squilibri delle finanze pubbliche si sono negativamente riflessi sulla
28 situazione degli intermediari bancari, specie di quelli con cospicui investimenti in titoli di Stato; ne hanno risentito le valutazioni di tali intermediari da parte delle agenzie di rating; sono risultate alterate le condizioni di accesso ai mercati del capitale e della liquidità, con una consistente lievitazione dei relativi costi di funding. Sotto tale profilo, l’affiancamento di un unico e credibile meccanismo per la risoluzione delle crisi si porrà quale naturale complemento alla nuova architettura di vigilanza, contribuendo a spezzare il legame perverso tra condizioni della finanza pubblica di singoli stati e stabilità bancaria33. D’altra
parte, la disponibilità a mettere in comune risorse per la costituzione di una rete di sicurezza europea sarebbe difficile da ottenere senza controlli comuni: potrebbero insorgere, così come è accaduto in passato, fenomeni di azzardo morale e dubbi sull’effettiva efficacia delle azioni di vigilanza condotte dalle autorità nazionali. Un meccanismo unico di supervisione diviene il presupposto imprescindibile per la costituzione di un fondo unico per la risoluzione delle crisi.
Per quanto riguarda, invece, obiettivi più di lungo periodo, l’Unione Bancaria tende a risolvere, come abbiamo già detto ad inizio paragrafo, la contraddizione del trilemma finanziario, ovvero la presenza di grandi intermediari in mercati transnazionali e un sistema di supervisione a responsabilità nazionale. La permanenza di sistemi di vigilanza nazionali, dunque, avrebbe potuto condurre ad una eccessiva segmentazione del mercato unico, ostacolando il conseguimento di benefici connessi a una maggiore concorrenza: una più efficace diversificazione del rischio e un minore costo dei servizi bancari e finanziari. Come già dimostrato dagli eventi connessi alla crisi finanziaria e dalle considerazioni fatte fin qui nella nostra trattazione, troppo spesso le autorità nazionali, portatrici di sistemi di vigilanza non sempre conciliabili, hanno privilegiato il perseguimento, quantomeno nel breve periodo, di interessi prettamente nazionali. Inoltre va ricordato che la frammentazione dei mercati finanziari, acuitasi anche a causa del calo della fiducia sullo stato di salute degli
29 intermediari, ha inciso sulla fluidità e l’efficacia del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Quindi per ristabilire la fiducia nei mercati e con la volontà di spezzare tutti quei comportamenti dannosi per la stabilità sia dal lato delle banche che dal lato delle autorità di vigilanza, si è deciso di puntare su un’autorità a livello centrale così da poter controllare con maggiore rigore e vigore quelle che sono le istituzione bancarie più importanti per il sistema, nella speranza di non doversi mai più ritrovare in una così persistente e duratura situazione di stallo dell'intero sistema finanziario.
30
2.
L'Unione Bancaria Europea
2.1. Aspetti generali
L'Unione Bancaria è la naturale prosecuzione dell'iter iniziato vent'anni or sono; ciò che sorprende, quando si parla di questo argomento, è la rapidità con la quale i vari membri dell'Eurozona abbiano preso le decisioni che hanno di fatto portato alla nascita di questo organo istituzionale. Tale rapidità è, sicuramente, ascrivibile alla delicata situazione in cui versava e versa tutt'ora il sistema finanziario europeo, ciò non deve però sminuire lo sforzo fatto dagli Stati per dare una risposta valida alla crisi che ha, appunto, interessato l'Europa.
Se vogliamo indicare un punto di partenza del percorso formativo del nuovo organismo europeo, possiamo indicare il rapporto de Laroisière34 come rampa di
lancio. Pubblicato a febbraio 2009, questo documento è stato recepito dalla Commissione nel maggio dello stesso anno e ha ispirato le proposte che sono state alla base del cammino che porta alla formazione dell'Unione Bancaria a livello europeo. Le raccomandazioni contenute all'interno del rapporto vengono, infatti, tradotte dalla Commissione europea nell'istituzione dell' European Systemic Risk Board (ESRB), organismo che si occupa della vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario dell'Unione, contestualmente il Consiglio europeo, nell'ambito dell' European System of Financial Supervisors (ESFS), introduce tre nuove autorità ovvero: l' European Banking Authority (EBA) che si occupa della vigilanza bancaria, l'European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA) per la sorveglianza del mercato assicurativo, e l'European Securities and Markets Authority (ESMA) per la sorveglianza del mercato dei valori mobiliari. Attraverso la creazione di queste autorità si è cercato di dare quindi una risposta immediata a quella che era la situazione di dissesto in cui si trovava il sistema finanziario europeo, ovviamente il perdurare delle condizioni di instabilità ha reso chiaro che tale sforzo non era
31 sufficiente per contrastare le perturbazioni dei mercati e che servissero ulteriori misure per riportare la fiducia all'interno del sistema finanziario.
Di conseguenza, la Commissione ha deciso di agire annunciando quella che, viste le condizioni in cui versano gli intermediari, è l'unica riforma per cercare di spezzare il circolo vizioso che ha colpito i nostri mercati. Così nel giugno del 2012, dopo aver già sollecitato la necessità di questo passo, la Commissione35 dà
inizio ai lavori per la costituzione della Banking Union. Per capire meglio il percorso dell'Unione Bancaria è opportuno precisare che si tratta di un insieme di istituzioni, per l'esattezza tre, che avranno il compito di prevenire e gestire le situazioni di crisi che possono manifestarsi sui mercati. L'Unione Bancaria, anche in seguito alle considerazioni fatte nel precedente capitolo, risulta essere un passo obbligato per avere un controllo efficace sugli intermediari che oramai non si limitano più ad effettuare operazioni all'interno dei propri confini nazionali ma interagiscono con l'intero sistema creando meccanismi di interdipendenza che necessitano controlli di maggiore portata ed estensione; è chiaro, dunque che tale controllo non può essere lasciato nelle mani delle singole autorità nazionali, ma serve una serie di istituti che a livello europeo abbiano tutti i poteri necessari per assicurare un maggiore level playing field, ma soprattutto la stabilità finanziaria. Preciso che quando si parla di level playing field mi riferisco al contesto di norme che regolano gli intermediari che risiedono nei vari stati dell'Unione e agli atteggiamenti delle autorità di vigilanza più o meno severi che possono comportare situazioni di arbitraggio, le quali non contribuiscono a creare una sana concorrenza. Questi problemi saranno dunque risolti attraverso la formazione di un'Unione Bancaria che ha il compito di creare un mercato in cui tutti i partecipanti sono sottoposti alle stesse pratiche di vigilanza, inoltre tale insieme di istituti non avrà limiti di confine così da controllare con maggiore attenzione quegli intermediari che vengono, proprio per la loro importanza, definiti cross-border.
35 H. Van Rompuy, Relazione del Consiglio:Verso un'autentica unione economica e monetaria, Consiglio Europeo, Bruxells, 2012.
32 Il processo di formazione della Banking Union è, dunque, iniziato nel 2009, ma è la data del 15 ottobre del 2013 a segnare la svolta, ovvero la data in cui la Commissione adotta il regolamento (UE) 1024/2013 attraverso il quale si conferiscono i poteri alla Banca Centrale Europea (BCE) in materia di vigilanza prudenziale, tale regolamento di fatto dà vita alla prima delle tre istituzioni che faranno parte della Banking Union cioè il Single Supervisory Mechanism (SSM), o se preferiamo il Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU). Prova ne è il fatto che, in concomitanza con l'adozione del regolamento 1024/2013, la BCE dà il via al Comprehensive Assessment (cfr. par. 2.2.), cioè, una valutazione approfondita della solidità delle banche europee avviata, appunto, a novembre 2013 e che è durata 12 mesi; giusto in tempo per l'investitura ufficiale della Banca centrale europea come nuova autorità di vigilanza.
L'Unione Bancaria è composta da un insieme di istituzioni o come vengono definiti dagli addetti ai lavori da tre pilastri, ovvero:
Il Meccanismo Unico di Vigilanza (Single Supervisory Mechanism): cioè un nuovo sistema europeo di vigilanza bancaria, costituito dalla BCE e dalle autorità di vigilanza nazionali dei paesi partecipanti.
Il Meccanismo di risoluzione delle crisi unico (Single Resolution Mechanism – SRM): organismo che persegue l’obiettivo principale di un’efficiente risoluzione delle banche in dissesto contenendo al minimo i costi per i contribuenti e l’economia reale.
Il Sistema comune di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes – DGSs): ovvero un fondo creato attraverso i contributi delle banche che sarà utilizzato per coprire le spese di salvataggio degli stessi intermediari contribuenti.
Occorre precisare che la velocità di realizzazione di qui si parlava è d'ascrivere solamente al primo pilastro, poiché il cammino da seguire per creare un organismo unico a livello europeo incaricato della gestione degli intermediari in dissesto, visti e considerati i molteplici interessi che ruotano in capo ai vari sistemi bancari facenti parte dell'Eurozona, è ancora lungo.