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Spagna come "anomalia"? Nazione, religione e liberalismo nella letteratura femminile spagnola e italiana del XIX secolo

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE...3

CAPITOLO 1 - Il XIX secolo spagnolo nella storiografia. Nuove prospettive...13

1.1 Da rappresentazione a interpretazione della storia. “Regeneracionismo” e “Generación del '98”...14

1.2 Il “mantra” storiografico : La difficile modernità...21

1.3 Storiografia recente e nuove vie di investigazione...28

1.4 Dichiarazione d'intenti...35

CAPITOLO 2 - Processi politici e culturali in Spagna: dalla Guerra d'Indipendenza alla “decade moderada”...40

2.1 Un paese in rivoluzione : 1808-1848...41

2.2 Carlismo, liberalismo e discorso nazionale...53

2.3 Romanticismo e liberalismo. La donna nella rappresentazione nazionale spagnola. .58 2.4 Contesto culturale e letteratura femminile...69

CAPITOLO 3 - Liberalismo e condizione femminile attraverso gli occhi conservatori di Fernàn Caballero...77

3.1 Le contraddizioni nella vita e l'opera letteraria: una panoramica...78

3.2 Nazionalismo romantico e Costumbrismo ...85

3.3 Ruolo della donna. Un “angelo del focolare”...90

3.4 Scrittrice cattolica. Rapporto con la controrivoluzione carlista ...98

3.5 Fernán Caballero e il liberalismo moderato...104

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CAPITOLO 4 - Dall'emancipazione alla sottomissione : la parabola narrativa di

Gertrudis Gòmez de Avellaneda...116

4.1 Attraversare lo spazio pubblico liberale. Protagonismo femminile...117

4.2 L'Autobiografía : manifesto della propria personalità...124

4.3 Sab e Dos mujeres: dall'esotismo alla critica sociale. ...130

4.4 Gertrudis Gòmez de Avellaneda e il consolidamento del discorso sulla nazione...140

CAPITOLO 5 - La letteratura femminile in Italia e Spagna. Due progetti di costruzione nazionale...144

5.1 Contesto della scrittura femminile nel Risorgimento...145

5.2 Caterina Franceschi Ferrucci e la “perfetta donna italiana”...153

5.3 Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra azione e confinamento: la parabola del patriottismo risorgimentale...162

5.4 Per uno studio comparato tra Spagna e Italia: mito politico e costruzione nazionale...172

5.5 Spagna e Italia: il “mito orientale”...182

FONTI LETTERARIE...191

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INTRODUZIONE

Come mai il liberalismo spagnolo del XIX secolo è stato spesso lasciato ai margini della storiografia internazionale? Perché la stessa Spagna è stata per molto tempo dipinta come paese arretrato e un'anomalia nel panorama storico europeo? Possiamo parlare di una Spagna “moderna” nel senso di pienamente compartecipe della “nuova politica” del XIX secolo e quindi al processo liberal-borghese e nazionalistico? E le donne come parteciparono a questo processo politico e culturale? La letteratura femminile può essere utilizzata come fonte storiografica per cogliere caratteristiche di quei processi? Infine ha ancora un senso muoversi su un piano comparativo che rivaluta il Mediterraneo come spazio storiografico prima ancora che geografico? E se lo accettiamo allora quali connessioni politiche, culturali e narrative esistettero tra Spagna e Italia nel corso del XIX secolo ed in particolare nella sua prima metà?

Prima però di introdurre la struttura di questo lavoro che si interroga sui quei quesiti e cerca di inquadrarne le risposte tenendo insieme l'approccio suggerito dagli studi di genere, da quelli sul nazionalismo e sul liberalismo spagnolo, è necessario sottolineare come questo lavoro sia nato, o meglio, come sia nata l'idea di affrontare un tema di storia spagnola.

Durante l'anno trascorso in Erasmus in Spagna, nello specifico all'università di Valencia, ho avuto l'opportunità di studiare e frequentare diversi corsi inerenti alla storia contemporanea del paese che mi ospitava. Tra questi il corso di Storia della Spagna contemporanea della professoressa Maria Cruz Romeo era dedicato completamente al XIX sec. Mi sorprese il primo giorno di corso sentir precisare dalla stessa professoressa il periodo storico su cui verteva il corso e di conseguenza l'esame, avvertendo che non si trattava della storia del XX, del Franchismo, della Guerra civile, o della transizione alla democrazia dal 1975 e che, per questo, bastava aspettare il secondo semestre per poter affrontare quei temi così gettonati da studenti e storiografia. Rimasi decisamente sorpreso perché sembrava che di quel secolo a pochi importasse davvero. Ma allo stesso tempo mi piacque la nettezza con la

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quale la professoressa marcò questa distinzione, proprio perché sembrava immediatamente affermare l'importanza e la specificità di un secolo su cui feci la mia tesi triennale, anche se si trattava di storia italiana in quel caso.

Nonostante tutto , ripeto, rimasi molto sorpreso visto che da noi, in Italia, lo studio di questo periodo è stato posto sotto i riflettori degli storici da parecchio tempo e continua fortunatamente ad esserlo tutt'oggi. La lezione seguente capii lo stato della situazione. Gli studenti erano praticamente dimezzati di numero. Troppo noioso un secolo di fallimenti, tutto sommato lontano dal 1936, anno dello scoppio della guerra civile che porterà alla vittoria del fronte franchista.

Mi son proposto, sotto suggerimento della professoressa Maria Cruz Romeo, di continuare una ricerca iniziata con buoni risultati già durante il corso da lei tenuto, e l'ho fatto con grandissimi stimoli. Ho preso alcuni romanzi di scrittrici donne che scrissero intorno alla metà del XIX sec. con l'intento di studiare e di approfondire da un lato il nesso importante e il rapporto tra religione cattolica e governo liberale, come si sviluppò, quali caratteristiche ebbe, come fu possibile l'interazione tra essi. Quale fu lo scontro culturale e politico tra due forme politico culturali apparentemente opposte. Dall'altro approcciare quel fu il ruolo delle donne in quello specifico passaggio storico. Come interpretarono e vissero quella transizione.

Ma sopratutto se, attraverso le loro opere, la loro sensibilità, la loro vita vissuta, trasparisse la trasformazione. È quindi un modo per poter approfondire il carattere della rivoluzione liberale dal punto di vista delle donne, delle escluse dalla vita politica, ma nonostante questo pienamente parte della società e della rappresentazione della comunità stessa.

Per fare questo bisogna partire dalla definizione di “cultura” data da Peter Burke che la intende “come un sistema di significati, atteggiamenti e valori condivisi, unitamente alle forme simboliche (azioni, manufatti) in cui essi si esprimono e si traducono1. E ancora, per

dirla alla Benedict Anderson, le società sono prima di tutto “immaginate”, narrate attraverso una simbologia condivisa, di cui il contesto culturale diventa immediatamente una declinazione e una interpretazione. Questo lo sfondo su cui si muove la tesi, dunque mettere in relazione storia e cultura non con l'obbiettivo di leggere linearmente gli avvenimenti i

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cambi o le trasformazioni attraverso quello che ci ha lasciato la letteratura o l'arte, come mere testimonianze di fatti; bensì a partire dalla convinzione che la storia è anche rappresentazione e narrazione, punti di vista diversi che si declinano anche nel contesto culturale.

La letteratura allora diventa ciò che compartecipa direttamente alla definizione stessa di una classe sociale, uno status economico e perfino categorie di appartenenza, quindi di auto- percezione e rappresentazione e diventa quindi un ulteriore e significativo bacino di fonti storiografiche nel momento in cui manifesta e mette in scena sentimenti, idee, emozioni, passioni, valori e credenze in relazione ad una comunità, ad un pubblico, ad una società sempre in divenire. Questa “traduzione” presenta un immaginario collettivo che in parte interpreta ma che allo stesso tempo aiuta a forgiarsi e a cambiare, che è quindi in grado di entrare nell'evoluzione della politica, delle scelte politiche. Insomma i valori e la cultura dipingerebbero e stabilirebbero i confini dell'appartenenza (non fattori razziali o socioeconomici).

In questo senso fare largo uso della letteratura come nel caso di questa tesi, non persegue l'obbiettivo di raccontare la storia a partire da ciò che scrivevano certe scrittrici riportando linearmente una certa visione dei fatti, ma vuole farne uso nella consapevolezza che attraverso quelle narrazioni possiamo risalire ad una visone più complessiva ed esauriente della società e della politica del tempo. Dando agli autori e alle autrici un ruolo non solo di testimoni ma di interpreti di un senso comune più largo della semplice individualità artistica. Così un romanzo può diventare testimonianza di una comunità' in divenire, fattore di interpretazione della contemporaneità, traccia di uno o di tanti rivoli che costituiscono la pluralità di un contesto, e perfino co- plasmatore di un senso comune proprio nel secolo della diffusione della stampa In questo senso, secondo l'impostazione culturale, le categorie sociali, i tratti compositi di una società o di una comunità divengono reali nel momento in cui entrano in relazione con la rappresentazione linguistica e culturale che esse hanno sulle persone.2

I romanzi di cui parleremo non raccontano, non testimoniano semplicemente, ma agiscono nella storia. Da questi presupposti mi sono mosso concentrandomi su un preciso periodo storico, su pochi decenni, perché altrimenti la ricerca sarebbe stata enorme e il lavoro

2 Rimando a una vasta bibliografia di base sul tema: B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi A.M. Banti, Le questioni dell'età contemporanea, Editori Laterza, Roma-Bari 2010; C. Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1987.; L. Hunt , La storia culturale nell'età globale, Edizioni ETS, Pisa 2010; P. Burke, La storia culturale, Il Mulino, Bologna 2009.

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spropositato per gli obbiettivi di una tesi magistrale. Ritengo però che da questi studi si possano trarre indicazioni di fondamentale importanza per l'analisi del XX secolo spagnolo. Sul Franchismo stesso ad esempio , di cui la religione cattolica, il nazional-cattolicesimo come materializzazione politica, fu un asse portante ed imprescindibile per il consenso.3

Non può bastarci come storici limitarci a considerare il cattolicesimo come segno di arretratezza che confluì nell'arretratezza del regime franchista di cui fu promotore ed elemento di legittimità agli occhi del popolo spagnolo. Il senso culturale profondo della religione cattolica va studiato perché non rimase granitico ma si trasformo' costantemente nel corso dell'800. Non fu semplice retaggio dell'Antico Regime, tutt'altro. Fu un elemento che si inserì nelle dinamiche politiche e culturali della Spagna ottocentesca ma anche dell'intera Europa4 e

su questo aspetto vorrei incentrare parte del mio lavoro.

Chiaramente questa ipotesi cozza profondamente con un'impostazione storiografica invece maggioritaria che al contrario ritiene che l'arretratezza spagnola, la sua difficile modernità, fosse frutto di un prolungamento dell'Antico Regime ben oltre la fine della monarchia assoluta5. Ossia dopo la costituzione di Cadice. In poche parole la Spagna

nonostante apparenti fughe in avanti sarebbe rimasta ancorata a concezioni del passato dal quale non riusciva a separarsi; e una tra queste zavorre sarebbe stato il potere espresso dalle gerarchie ecclesiastiche della penisola, la cultura che esso esprimeva.

Proprio per enfatizzare la necessità di rimettere in discussione alcuni dogmi storiografici, questo lavoro prende le mosse dalla letteratura femminile. Se vi è infatti un metro interessante di studio e valutazione della interazioni tra cultura e politica, tra cultura e storia questo è proprio il ruolo delle donne contemporanee. A questo scopo lo studio di autrici come Fernàn Caballero e Gertrudis Gòmez de Avellaneda, seppur da punti di vista opposti, può essere di grande aiuto per orientare la nostra ricerca.

Ciò che più di tutto mi ha sorpreso è stata la minor quantità di materiale bibliografico

3 In questa direzione I. Saz, España contra España. Los nacionalismos franquistas, Marcial Pons, Madrid,

2003; A. Botti, Cielo y dinero, el nacionalcatolicismo en España (1881-1975), Alinaza Editorial, Madrid, 1992.

4 Uno sguardo europeo necessario alla formulazione di tesi e argomentaziioni sul rapporto tra religione e

nazione è stato postulato in H.G. Haupt, D. Langewiesche (a cura di), Nacion y religion en Europa. Sociedades multiconfesionales en los siglos XIX y XX, CSIC, Zaragoza, 2010.

5 P.Aubert (a cura di), Religión y sociedad en España (siglos XIX y XX), Colección casa de Velazquez, Madrid,

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sull'800 spagnolo nelle biblioteche italiane in comparazione con la grande mole di lavori e di studi sul XX sec. Basta guardare gli scaffali di una biblioteca generalmente ricchissima come quella della Scuola Normale Superiore di Pisa per rendersene conto chiaramente. Da lì mi sono reso conto che le tappe più “divulgate” della storia di quel paese, quelle su cui ha lavorato maggiormente la storiografia, sono state infatti fondamentalmente due: la prima è l'età moderna quando, in particolare tra XVI e XVII sec., l'Impero su cui non tramontava mai il sole era il grande protagonista politico, la più grande potenza economica, il paese dell'Inquisizione, dell'intolleranza controriformista. La seconda tappa è il XX secolo con la guerra civile (1936-1939) che da il la all'avventura politica tragica della dittatura franchista che ha segnato indubbiamente la storia di quel paese fin nel profondo e la transizione alla democrazia dopo la morte del dittatore nel 1975. Negli scaffali delle biblioteche italiane e' incredibile notare questa bipartizione della maggioranza degli studi sulla storia di quel paese. Filippo II, l'inquisizione e tutto ciò che riguarda la storia moderna fino agli albori del XIX

sec. sono stati studiati con grandissima efficacia e oggi abbiamo a disposizione una quantità di

materiale storiografico notevolissimo.

Cos'è successo quindi a questo benedetto XIX secolo? E' stato tutto sommato superficialità degli storici, reale inconsistenza storiografica? Cos'ha determinato, e in parte ancora determina una marginalizzazione della storia di quel secolo 6?

Nel primo capitolo si cerca di dare l'idea di come si possa diradare la nebbia di questo interrogativo andando in primo luogo a leggere alcuni intellettuali spagnoli che alla fine di quel secolo, dopo la perdita delle ultime più importanti colonie dell'Impero, trassero le loro conclusioni elaborando una rappresentazione estremamente negativa del XIX secolo, una sorta di pietra tombale posta sopra una secolo intero che lasciò un'eredità pesante e indirizzante per la successiva storiografia. Proprio da qui ci concentreremo sostanzialmente sulle interpretazioni storiografiche principali che hanno definito il XIX sec. spagnolo, i loro cicli, le fasi di rinnovamento fino ad oggi, le posizioni rispetto all'interpretazione della rivoluzione liberale e la sua reale capacità di trasformare politica e società andando poi ha

6 Una panoramica introduttiva su tema della rivoluzione liberale spagnola e sulla necessaria e rinnovata

attenzione storiografica sul XIX sec. In J. Millán e M. C. Romeo, “¿Por qué es importante la revolución liberal en España? Culturas políticas y ciudadanía en la historia española” in M. Burguesa, Christopher Schmidt-Novara (a cura di), Historias de España contemporánea. Cambio social y giro cultural, PUV, Valencia, 2008, pp. 17-44.

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dichiarare senza troppi giri di parole qual è l'impressione che ne ho tratto e quali siano oggi le strade su cui si sta muovendo la storiografia rispetto al secolo delle rivoluzioni borghesi7.

Dopo aver inquadrato la produzione storiografica si passerà alla focalizzazione della cornice storica e culturale dell'800 spagnolo dentro la quale intendiamo muoverci, cercando di sottolineare innanzitutto i confini cronologici che dalla costituzione di Cadice del 1812, che chiudeva simbolicamente la cosiddetta Guerra di indipendenza spagnola, caratterizzano la prima metà del XIX secolo fino alla prima parte del regno di Isabella II, ossia alla decade degli anni '50. Questo secondo capitolo non potrà esimersi dalla descrizione degli sviluppi delle diverse anime del liberalismo che definirono la rivoluzione liberale. Ma leggere il liberalismo significa anche leggere le sue manifestazioni, concretizzazioni storiche che sono anche le costituzioni che si redigono: le differenze tra loro rispecchiano cambiamenti ed equilibri nella società e nel quadro delle diverse forze politiche in campo. Si prenderanno quindi in considerazione la costituzione di Cadice del 1812, una costituzione di rottura rispetto alla concezione monarchica assolutista, quella del 1834, in realtà' una "carta otorgata" ossia concessa dalla corona, quella del 1837, frutto della vittoria della rivoluzione liberale di fronte al ritorno dell'assolutismo e quella del 1845, di grande importanza poiché segna un passaggio fondamentale verso l'egemonia del cosiddetto liberalismo moderato, con decise influenze cattoliche. In generale quello che emerge e' un quadro davvero complesso aperto a tante possibilità ma che arriva infine alla decisiva affermazione dello Stato liberale monarchico non più assolutista.

Il fattore religioso ha di per sè in questo contesto un ruolo non marginale sia dal punto di vista simbolico e di immaginario collettivo sia nel senso più materiale delle istituzioni e delle gerarchie che entrano in rapporto con la rivoluzione liberale. Qual è il ruolo di quella cultura considerata dalla storiografia un segno importante di conservazione e causa di ritardo nella modernizzazione culturale e politica della Spagna, una delle colonne portanti del futuro Franchismo8? Qual è il rapporto tra rivoluzione liberale e confessione cattolica nel processo di

formazione e consolidazione dello stato liberale spagnolo della prima metà del XIX sec.? La

7 E.J.Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi. 1789-1848, Il Saggiatore, Milano, 1963.

8 Sul tema del rapporto tra cultura, gerarchie cattoliche e politica rispetto al regime franchista si veda A. Botti, Cielo y dinero : el nacionalcatolicismo en España (1881-1975),Alianza , Madrid 1992.

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convinzione è che seguendo la parabola del cattolicesimo spagnolo si possono cogliere connessioni politiche, sfaccettature e dettagli che possono certo aiutarci a comprendere meglio il ruolo di costante protagonista che ha assunto nella storia come punto di riferimento rappresentativo, culturale e politico confermato dalla presenza costante della confessionalità delle costituzioni stesse.

Successivamente darò uno sguardo d'insieme a quel contesto culturale che di quel periodo storico è frutto e nel quale si muovono quelle “attrici” sulle cui opere si concentreranno i capitoli successivi. Il rapporto tra classicismo e romanticismo con uno sguardo rivolto alla novità che rappresenta quest'ultimo nel campo dell'emersione e dell'affermazione di una nuova sensibilità e le sue diverse declinazioni nella visione del mondo. Sviluppare e dare un senso storico dell'idea per cui la cultura romantica instaura un ponte tra la vita, la propria biografia, e l'arte letteraria in questo caso. La letteratura che non si legge ma prima di tutto si vive, si mette in scena direttamente. La centralità della biografia delle scrittrici assume quindi un ruolo centrale per approfondire il nesso tra letteratura, cultura e società', politica. In questo senso che tipo di letteratura si sta formando? è una semplice propaggine del secolo passato? Ci sono elementi di novità? E quali? Che ruolo hanno le donne in tutto questo? Come scrivono le donne nella prima metà del XIX sec.? Ecco alcune delle domande principali.

Giungiamo quindi alla prima scrittrice in questione. Cecilia Böhl de Faber, meglio conosciuta come Fernàn Caballero.9 Gia il fatto di firmare le sue opere e venderle con un

nome maschile suscita di per sé una certa curiosità. Siamo al cospetto di una donna estremamente conservatrice, fortemente cattolica, convinta fermamente nella distinzione di genere della società', nella partizione indiscutibile dei ruoli. La donna non può quindi che rimanere al posto che per natura le è stato assegnato, ossia quello della casa, della vita domestica, dell'educazione che le spetta impartire ai figli, di cui rappresenta il solo punto di riferimento. Mentre all'uomo è concesso, anzi stabilito un ruolo prettamente pubblico, che

9 Sulla scrittrice di orgine tedesca ma cresciuta fin da bambina in Andalusia si veda J. Herrero, Fernán Caballero: un nuevo planteamiento, Gredos, Madrid, 1963; Id., Los origines del pensamiento reaccionario español, Alianza, Madrid, 1988; X. Andreu, “La mujer católica y la regeneración de España. Genero nación y modernidad en Fernán Caballero” , in Melanges de la casa de Velazquez, n 42, 2012; M.Mayoral (a cura di), Escritoras románticas españolas, Fundación Banco Exterior, Madrid, 1990.

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riguarda evidentemente la politica e la cultura. Sarà proprio la contraddizione della posizione e della biografia di Cecilia, donna che scrive ma che rinnega quelle che si dedicano alla cultura, non può che lasciare aperto il tema del cambiamento che sta pian piano trovando spazio. Cercheremo di far emergere questa contraddizione attraverso alcune sue opere significative come La Gaviota (la gabbianella), o Un verano en Bornos (Un'estate a Burnos) nelle quali le protagoniste femminili nella narrazione incarnano e descrivono lo stereotipo della donna come la vorrebbe l'autrice.

Come si diceva precedentemente il nesso tra liberalismo e cattolicesimo ci parla direttamente di trasformazione di entrambi nella cornice della rivoluzione liberal-borghese spagnolo in contrapposizione all'Antico Regime. Attraverso la dialettica e la successiva trasformazione di entrambi si possono trarre decisive indicazioni e suggerimenti sull'interpretazione della società e della politica della penisola. Fernan Caballero, attraverso il suo “occhio conservatore” profondamente cattolico, e le sue opere che ne riflettono perfettamente il senso, ci illumina sulle increspature che accompagnano una profonda trasformazione della società spagnola della prima metà del XIX secolo.

Gertrudis Gòmez de Avellaneda affronta il tema della donna dal punto di vista opposto.10 Qui l'autrice cerca di riempire quello spazio libertario che si è aperto in Spagna,

provando a mettere in discussione, decisa e incontrovertibile, il ruolo prestabilito e classico della donna nella società. Abbiamo scelto quest'autrice proprio perché esempio lampante di quella scrittura femminile che nella prima metà del XIX sec. costituisce un ramo non indifferente nel contesto culturale del tempo. Non solo quantitativamente ma anche qualitativamente il lavoro di queste donne, tra le quali abbiamo scelto Gertrudis, ci parlano di uno spazio politico-culturale in divenire, di una lotta per l'affermazione della propria soggettività.

10 L'interpretazione classica della critica letteraia arriva perfino a vedere nei romanzi della scrittice

ispanocubana un primo esempio di letteratura femminista. In generale è importante sottolineare la sua propensione a proporre un modello di femminilità diverso da quello tradizionale. M.I Gonzalez Ascorra, La evolución de la conciencia femenina a través de las novelas de Gertrudis Gómez de Avellaneda, Soledad Acosta de Samper y Mercedes Cabello de Carbonera, Peter Lang, New York/Berna, 1997; L. Guerra, "Estrategias femeninas en la elaboración del sujeto romántico en la obra de Gertrudis Gómez de Avellaneda", Revista Iberoamericana, n. 51, 1985, pp. 707-722.

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L'ultimo capitolo invece intende mettere in confronto, ai fini di una lettura più ampia dei fenomeni avvenuti in Spagna inseriti quindi in una cornice di riferimento più estesa e complessa, le due autrici spagnole con due autrici italiane a loro contemporanee e per molti aspetti simili rispettivamente le une alle altre. Si tratta di Caterina Franceschi Ferrucci e Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Sono intellettuali, scrittrici, letterate, fondamentalmente patriote, attive nel campo della formazione dell'ideale nazionale italiano, di quel tessuto nazionale senza il quale il progetto del Risorgimento non avrebbe certamente avuto il successo che ottenne. Si tratta quindi di dare uno sguardo al contesto culturale italiano della prima metà del XIX, sottolineare il ruolo delle donne così come ho fatto per quanto riguarda il contesto spagnolo, prendere in esame alcune opere delle due autrici per far emergere l'idea della donna nel contesto della formazione del discorso nazional-patriottico italiano.

Dopodiché passare alla comparazione tra questo discorso che sta plasmando l'identità dei futuri italiani, con il discorso liberale che negli stessi anni si stava sviluppando nel regno Spagnolo. Ci sono somiglianze? Qual è lo spazio della donna nei due discorsi? Si può parlare di arretratezza, ritardo per quel che riguarda le letteratura mediterranea?

Nazione spagnola e nazione italiana sono quindi costruzioni che si avvalgono di discorsi ben precisi , di una distinzione di genere della società ben marcata. Se vogliamo in Italia si fa ancora più violenta vista la necessità impellente di concretizzare la nazione, di giungere all'Unità e all'indipendenza, mentre nel paese iberico si era progressivamente consolidato un ordine monarchico lungo tutto l'arco dell'età moderna. La necessità che è emersa di andare al di là dei confini della storia spagnola e proporre una comparazione tra due paesi del bacino mediterraneo poggia su diversi basi.11 In primo luogo è importante

considerare sempre i contesti che studiamo all'interno di una cornice che non si ferma ai confini nazionali. In secondo luogo, ed emergerà nel corso del lavoro, c'è una vicinanza nel modo in cui vengono entrambi rappresentati dalla cultura centro e nord europea nel corso del secolo: poggiando principalmente sul pittoresco, e sul carattere “mediterraneo” e quindi passionale ad esempio delle donne, i due territori venivano circoscritti entro confini geografici che diventavano immediatamente morali, civili, di paesi ai margini della “modernità” e quindi

11 Le suggestioni su una rinnovata comparazione sono presenti nella storiografia da tempo: F. García Sanz, “De

la indiferencia simpática al descubrimiento del Mediterráneo. Panorama de la historiografía italiana sobre la historia contemporánea de España”, in Ayer, n. 31, 1998, pp. 115-126.

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“orientali” e “meridionali”.12 Addentrarci in quello “spazio mediterraneo” narrato, stereotipato

e rinchiuso nei suoi confini geografici deve portare la storiografia ad assumere quello come uno spazio di indagine in cui osservare i diversi contesti, la posizione della donna, il suo ruolo nella politica e nella società, che tipo di risposte venivano avanzate nei confronti di quelle rappresentazioni, e come questo ci interroga profondamente sul processo di nazionalizzazione di Italia e Spagna.13

Il liberalismo spagnolo, la rivoluzione liberale che porta alla sconfitta del modello assolutista in favore di un nuovo campo di possibilità espresso dallo Stato liberale, quindi messo sotto la lente d'ingrandimento seguendo le suggestione degli studi degli ultimi vent'anni sul tema, che cercano di scardinare quella storiografia imperante fino agli anni '80, figlia del rigurgito anti-franchista, della sacrosanta ventata di aria nuova per gli studi storici che si apriva con la fine della dittatura. Ma forse troppo offuscata da queste legittima volontà' di cambiamento e critica al recente passato dittatoriale, per poter scorgere nel secolo che aveva preceduto la dittatura non solo una causa del declino, ma la sua complessità, importanza, specificità.

12 Per quanto riguarda la Spagna, come ha sottolineato Marcella Aglietti, una serie consistente di stereotipi

sull'arretratezza e la decadenza della Spagna ha caratterizzato l'approccio alla modernità politica da parte dei liberali spagnoli fin dalla fine del XVIII e per tutto il XIX secolo. Si tratta della cosiddetta leyenda negra, un complesso di stereotipi consolidatesi nel corso dei secoli e che legava la storia della Spagna a quella della sua decadenza morale, civile e politica. Un fenomeno di diffamazione internazionale in grado di influenzare le risposte politiche che nel XIX sono rivolte al liberlaismo e al nazionalismo. M . Aglietti, “Simboli , archetipi e rappresentazioni dell'istituto legislativo nella panflettistica politica spagnola dell'Ottocento”, in Storia contemporanea, n. 38, 2010, pp. 7-42; R. García Cárcel, La leyenda negra. Historia y opinión, Alianza, Madrid, 1998. Per quanto riguarda invece l'Italia rimando a N. Moe, Un paradiso abitato da diavoli. Identità nazionali e immagini del mezzogiorno, L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2004.

13 Sulla rinnovara centralità del Mediterraneo come campo di indagine si veda il volume : M. Petrusewicz, J.

Schneider, P. Schneider (a cura di), I sud. Conoscere, capire, cambiare, Il Mulino, Bologna, 2009. In particolare l'introduzione e il saggio ivi contenuto di Edmund Burke III, Elementi di modernità nel Mediterraneo nel lungo XIX secolo, pp. 71-88.

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CAPITOLO 1

Il XIX secolo spagnolo nella storiografia. Nuove prospettive

Come si accennava nell'introduzione, in questo capitolo si darà una panoramica del dibattito storiografico intorno al XIX secolo spagnolo ed in particolare del liberalismo che lo caratterizzò. Come mai gran parte degli studi storiografici ha per lungo tempo sottovalutatoº1 la portata della rivoluzione liberale spagnola fino a definirla un fallimento politico? Da dove nasce quell'impostazione? E come oggi sembra orientarsi la storiografia sull'Ottocento iberico?

Quella della Spagna è inoltre una storia strettamente legata a rappresentazioni e stereotipi di lungo corso e che trovarono nel XIX secolo (come nel XX) alcuni momenti topici duranti i quali trasformarsi, ristrutturarsi e, a volte, radicalizzarsi. Il campo della percezione, del racconto e dell'interpretazione della storia fu quindi un campo privilegiato in cui questi stereotipi trovarono applicazione e che permisero alle diverse forze politiche di giocare su una presunta “decadenza”. Il Franchismo stesso si servì apertamente di certe rappresentazioni negative del XIX secolo per presentarsi come l'avamposto del cambiamento.1 In questo senso

non è certo trascurabile né eludibile il fatto che il grande rinnovamento negli studi della storia avvenne dalla fine degli anni '60 in poi, ossia quando il Regime di Franco si stava avviando al capolinea. Fin a quel momento è chiaro che gli spazi di agibilità che la dittatura concedeva agli studi e alle interpretazioni storiografiche non erano, per usare un eufemismo, dei più estesi. Così, dopo gli anni più feroci della dittatura di Franco, l'idea di una “specificità” spagnola nel senso di un'anomalia economica e politica rispetto soprattutto ai vicini francesi,

1 Oggi sembra un fatto evidente che al trionfo del regime di Franco nel 1939 coincise un colpo di spugna,

nelle Università spagnole, a quello che rappresentò i primi decenni del secolo e il progressivo avanzamneto economico e sociale del paese. Si veda P. Ruiz Torres, “Revolución, Estado y Nación en la España del siglo XIX: Historia de un problema”, in Ayer, n. 36, 1999, pp. 15-18.

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rappresentò un asse portante della storiografia degli anni Sessanta che arrivava a interpretare il regime come risultato di una mancata rivoluzione borghese nel XIX secolo.2

Il punto da cui vorrei partire è che la formazione di questo paradigma storiografico, che ebbe una fortuna praticamente incontrastata per alcuni decenni, non può essere compresa se non la si lega con un bagaglio storico di rappresentazioni negative che riproponevano periodicamente lo stereotipo della “decadenza”.Questa confluenza è il punto di partenza per poter leggere gli avvenimenti liberali, la rivoluzione, il passaggio da Antico Regime a “nuova politica” e la struttura socio-economica nella loro complessità, evitando dunque di ridurli a semplificazioni troppo spesso forvianti.

1.1 Da rappresentazione a interpretazione della storia. “Regeneracionismo” e “Generación del '98”

Quando si parla di storiografia spagnola contemporanea si deve partire da una data simbolo, dal 1898. In quell'anno l'Impero spagnolo fu militarmente umiliato dalla potenza emergente del tempo, gli Stati Uniti d'America. La sconfitta militare cocente e la conseguente perdita delle colonie di Cuba, Porto Rico e le Filippine sconvolse letteralmente l'intero paese che tutto d'un tratto vide con i propri occhi il decadimento di quella che ancora, nonostante i molti problemi interni, speravano fosse una potenza mondiale in grado di tener testa a qualsiasi altra potenza del tempo. Non era così e lo shock psicologico si tradusse immediatamente nell'opinione degli intellettuali spagnoli del tempo che non esitarono ad esprimere, con tutta la forza che le loro penne potevano sprigionare, la delusione profonda che quell'evento aveva provocato. Una delusione che si riflesse quindi in interpretazioni della storia recente del regno spagnolo, La grande delusione quindi abbraccia l'intero XIX sec. indicato come il secolo della decadenza, dell'arretramento politico, culturale ed economico

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della Spagna3. Una data simbolo che ha definito una generazione di intellettuali, la

cosiddetta “Generaciòn del '98”, costituita essenzialmente da scrittori, poeti, novellisti del calibro di Miguel de Unamuno, o Ramiro de Metzu, accomunati dalla sensibilità profonda nei confronti della loro patria che si vedeva perduta sia politicamente

Ma la sconfitta militare del 1898 non rappresenta altro che il culmine di un dibattito già da anni presente nel panorama intellettuale spagnolo, come ad esempio nelle opere di autori come Joaquin Costa4, ma che a sua volta affondava le radici in un processo lungo e

complesso di intreccio tra rappresentazioni provenienti “da fuori” e autorappresentazione nazionale che non fu mai risolto fino in fondo. Lo stereotipo del paese pigro, svogliato, di una mentalità cavalleresca e nobiliare immutata, quindi non affine alle nuove professioni borghesi e alla gestione delle moderne attività economiche, contraddistinto inoltre da un fanatismo religioso fin dai tempi dell'inquisizione5, si era consolidato nel corso dei secoli, si era

rafforzato durante l'epoca dei Lumi6, e nel corso del XIX si interconnetteva alla costruzione al

piano simbolico di costruzione del discorso sulla nazione in maniera ambigua. Da un lato infatti rappresentò spesso un fattore di stimolo al rilancio “positivo” della propria storia in senso nazionalistico, ma dall'altro fu facilmente introiettato dalle élites politiche fino a diventare un utile strumento di discredito dell'avversario che diventava così il responsabile dell'arretratezza e del fallimento del paese intero.7

3 La storiografia ha trattato con grande assiduità il tema della crisi del 1898. Lo ha fatto perché rappresenta

certamente un passaggio epocale per la storia di Spagna. Per molti era quello l'epicentro del terremoto politico, sociale e culturale che sanciva il definitivo e più lampante fallimento del sistema della restaurazione borbonica, e che apriva le porte ad una nuova stagione politica che arriverà fino al franchismo. Una panoramica completa ed esaustiva sul tema in J. Pan- Montojo (a cura di), Màs se perdio' en Cuba. España, 1898 y la crisis de fin de siglo, Alianza, Madrid, 1998.

4 È importante sottolineare questo aspetto dell'argomentazione. Il 1898 è stato preso come data simbolo di una

generazione che non si riconosceva più nel progetto politico del liberalismo spagnolo di fine secolo, che aveva perso l'anima della Spagna più autentica. Questo risveglio nazionalistico che caratterizzò il passaggio di secolo e che poi si concretizzerà nella travagliata prima metà del XX sec., passa dalla penna di tanti importanti intellettuali che già prima della sconfitta militare avevano sollevato il tema della decadenza. Tra questi Costa uno dei capostipiti e ispiratori della corrente intellettuale della generazione del '98. Per approfondire la sua opera e il suo pensiero si veda O. I. Mateos Y De cabo, Ilustración y regeneracionismo en Joaquín Costa: una reflexión crítica, in O. I. Mateos Y De cabo, (a cura di), La España del 98: Política, Pensamiento y cultura en el fin de siglo, Dykinson, Madrid, 1999.

5 Gli studi sul tema della lunga durata degli stereotipi sulla Spagna sono molti e molto approfonditi. Su questi

aspetti specifici del carattere spagnolo si veda ad esempio J.N., Hillgarth, The mirror of Spain, 1500-1700, The Formacion of a Myth, University of Michigan, 2000, pp. 528-544.

6 M. Aglietti, “Simboli , archetipi e rappresentazioni dell'istituto legislativo nella panflettistica politica

spagnola dell'Ottocento”, cit., pp. 14-15.

7 Ivi., pp. 17 ss. Qui si affronta proprio la persistenza della leyenda negra nel contesto político del XIX secolo

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La persistenza di questa leyenda negra, attualizzata e strumentalizzata nel nuovo contesto politico del XIX secolo a seconda degli interessi in campo, costituisce inoltre il retroterra culturale di quella corrente intellettuale detta “regeneracionista”, un grande movimento di opinione che dal 1890 in poi mette in discussione le istituzioni e il funzionamento del sistema sociale e politico della Restaurazione (1875-1923), definito come un regime oligarchico e clientelare che bloccava ogni aspirazione democratica nel paese. Già intellettuali come Costa enfatizzarono quella decadenza con l'obbiettivo di superarla, auspicando una “rigenerazione” totale della patria.

Gli scrittori della “generaciòn del 98” , che nonostante il nome non furono un gruppo organizzato né un circolo di condivisione stretta di idee, rispetto agli intellettuali del “regeneracionismo” interpretarono il tema della decadenza da un punto di vista più intimo e legato alla percezione della storia e della cultura nazionale. Quello che ne scaturì fu una letteratura di fitta critica nei confronti del proprio recente passato che si interrogava direttamente sulle prospettive di un paese alla soglia del XX sec.

Dando uno sguardo più nello specifico, Miguel de Unamuno, forse il massimo esponente del gruppo di scrittori della “generazione del 98”, approccia il tema della decadenza sottolineando da un lato la decadenza politica del sistema liberale parlamentare (“Nuestro parlamento, esa catedral de la mentira (..) todo se cimenta sobre la mentira”) e dall'altra la condizione di mediocrità' della stessa società spagnola8.

Altri al contrario identificavano l'eccessiva influenza della cultura straniera come la causa principale, il nucleo principale, della decadenza nazionale. Tra questi si può annoverare Marcelino Menendez y Pelayo, grande studioso cantabrico e professore prima nell'Università di Barcellona e poi in quella di Madrid9, che rilanciò la centralità della confessione cattolica in

campo politico come volano della crescita e del rilancio della nazione10. Nella sua opera

principale, Historia de los heterodoxos españoles, del 1882 scrive:

nella lotta politica; i giudizi sulle costituzioni, sui governi e sugli uomini politici erano costantemente condizionati dai fantasmi della decadenza. Questo retroterra culturale rimase quindi forte e presente nel secolo liberale per trovare poi l'acme con il 1898, che diede avvio ad una nuova codificazione e declinazione del paragimagma del “desastre”.

8 Cfr. España. Reflexiones sobre el ser de España, Real Academia de la Historia, Madrid, 1997, p. 371. 9 A. Santoveña, Marcelino Menendez Pelayo. Revisión critico-biografica de un pensador católico, Universidad

de Cantabria, Santander, 1994.

10 Sul ruolo della congessione cattolica come elemnto simbolico nazionale di lunga durata si veda A. Botti, Cielo y dinero, cit.

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Ni por naturaleza del suelo que habitamos , ni por la raza, ni por el carácter, pareceríamos destinados a formar una gran nación. Sin unidad de clima y producciones, sin unidad de costumbres, sin unidad de culto, sin unidad de ritos, sin unidad de familia (…). España debe su primer elemento de unidad en la lengua, en el arte, en el derecho, al latinismo , al romanismo.

pero faltaba otra unidad más profunda: la unidad de creencia; solo en ella se legitiman y arraigan sus instituciones. Sin un mismo Dios, sin un mismo altar, sin unos mismos sacrificios (…).

Esta unidad se la dio a España el Cristianismo (…). El día que acabe de perderse , España volverá al cantonalismo de los Arevacos y de los Vectones, o de los reyes de Taifas. A este termino estamos caminando mas o menos apresuradamente, y ciego será quien no lo vea. Dos siglos de incesante y sistemática labor para producir artificialmente la revolución , aquí donde nunca pudo ser orgánica, han conseguido no renovar el modo de ser nacional sino viciarle, desconcertare y pervertirle (…). No non queda ni ciencia indígena, ni política nacional, ni, a duras penas, arte y literatura propia. Cuanto hacemos es remedo y trasunto débil de lo que en otras partes vemos aclamando.11

Se andiamo ancora oltre quel pugno di grandi scrittori che vissero direttamente lo shock del 1898, all'interno della corrente “regeneracionista” si possono includere anche intellettuali di qualche anno posteriori ma che diedero contorni ancora più definiti al tema del fallimento della nazione spagnola.

Una di queste formulazioni definì la decadenza a partire da un isolamento culturale e dalla mancanza di quelle influenze politiche e culturali straniere che avrebbero permesso di fare il salto di qualità anche alla Spagna che rimaneva invece un paese drammaticamente influenzato, per non dire dominato, dalla cultura cattolica. Questa posizione è tenuta da Ortega y Gasset che nella sua opera più' significativa, España invertebrada, sottolinea la necessità per il suo paese di raggiungere quella modernità, della maggior parte degli altri paesi europei, fatta di avanzamento economico, culturale, educativo e nelle forme politiche.

11 M. Menendez y Pelayo, Historia de los heterodoxos españoles, in I. Saz Campos, España contra España. Los nacionalismos franquistas, Pons, Madrid, 2003, pp. 68-69.

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Gravitan sobre nosotros tres siglos de error y dolor (…) España es un dolor enorme, profundo, difuso. (…). Hemos visto en torno, año tras año, la miseria cruel del campesino, la tribulación del urbano, el fracaso sucesivo de todas las instituciones.12

E ancora,

Si creemos que Europa es la ciencia , España es la inconsciencia.(...). Necesitamos hacer otra España, hacer de ella otra cosa distinta de la que hoy es.13

Come recenti studi sottolineano , la questione del '98 deve anche essere letta dal punto di vista dell'impatto che quell'evento storico traumatico, ossia la cocente sconfitta militare, suscito' nel processo di rappresentazione della nazione spagnola e della sua storia. L'ansia con la quale molti intellettuali (Unamuno e Costa su tutti) interpretarono e organizzarono il problema nazionale a partire dalla rappresentazione di una Spagna fallita, arretrata, a pezzi e di un liberalismo al potere completamente incapace di affrontare di petto le sfide del tempo, produsse un'immagine per molti versi distorta e certamente iperbolica dovuta anche alla costante comparazione lineare con gran parte del contesto europeo occidentale 14.

La cosa che e' significativo sottolineare e' il fatto che queste interpretazioni e rappresentazioni del paese e della sua storia sono rimaste vive e forti nella storiografia per molto tempo15. La crisi del '98, quindi, oltre che avere un impatto determinante nello sviluppo

politico ed ideologico ha anche tracciato una linea ferma per la storiografia spagnola16 ,

influenzata per molto tempo da queste rappresentazioni di una Spagna arretrata politicamente

12 Questo estratto dall'opera magna di Ortega y Gasset e' citato in España. Reflexiones sobre el ser de España,

Real Academia de la Historia, Madrid, 1997, p. 373.

13 Ivi, p. 373-374.

14 Sul tema dell'invenzione del '98 si veda J. Pan-Montojo, Mas se perdiò en Cuba, cit., pp. 340-352 ; poi I.

Saz e F. Archilés, Estudios sobre nacionalismo y nación en la España contemporánea, Prensas Universitarias de Zaragoza, Zaragoza, 2011.

15 Un esempio di questa percezione dell'importanza fondamentale di quella generazione di intellettuali in S.

Juliá, Historias de las dos Españas, Santillana, Madrid, 2004.

16 Il secolo XIX come fallimento è stato al centro della trattazione sia della storiografia franchista in senso

antiliberale, sia nel campo della storiografia marxista nel senso del fallimento della rivoluzione borghese. S. Catalanyud, J. Millan, M. C. Romeo, Estado y periferias en la España del siglo XIX. Nuevos Enfoques. PUV, Valencia, 2009, pp. 128-133.

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ed economicamente, non al passo degli altri paesi europei, fallita dal punto di vista della politica internazionale dopo la sconfitta contro gli Stati Uniti e la conseguente perdita delle ultime colonie: Cuba, Porto Rico, Filippine. In questo senso si sarebbe stati attratti da un gioco di rappresentazioni che proviene da una grave crisi di identità, considerando perciò' questo “gioco” una verità' storica assodata, la cui veridicità era assicurata dallo spessore intellettuale di chi trasmetteva questo messaggio, piuttosto che inserirlo in un processo di affermazione di un discorso puramente nazionalista, ossia come un elemento per la costruzione di una identità nazionale ben definita17. Questo immaginario, questa

rappresentazione negativa della nazione, oltre che condizionare totalmente le grandi ricostruzioni storiografiche, fu il risultato di una crisi di identità forte, che si basa sulla presa d'atto di una mancanza, di un percezione di qualcosa di incompleto e che dà spazio alla creazione di una contrapposta prospettiva di “rigenerazione”.

Tornando ai demiurghi di questa narrazione storica della decadenza nazionale è fondamentale osservare che sostenitori si trovano anche nelle fila della sinistra repubblicana spagnola. Manuel Azaña, grande protagonista della II repubblica spagnola (1933-1936) così propose il “problema spagnolo” in una conferenza del 1911:

Mientras así nos íbamos muriendo, que pasaba fuera? La razón triunfaba (…) se revolucionaba el concepto de universo (…). en la historia de las ciencias aplicadas faltan los nombres españoles; ninguna de estas modificaciones y manipulaciones de las fuerzas naturales se ha inventado en nuestra casa; (…) por la razón de que el telégrafo eléctrico y los motores a vapor y la vacuna y las aplicaciones de la electricidad no son cosas que se hagan o descubran casualmente, ni por inspiración de Dios.18

La decadenza quindi viene da lontano e affonda le radici in una cultura cattolica che non permise l'espandersi e il diffondersi della voce della scienza moderna. Cattolicesimo quindi come un chiaro fattore di ritardo ed ostacolo alla modernità. E ancora parlando della

17 A. Santoveña, Menendez Pelayo y las derechas en España, Santander, 1994, p. 247. 18 M. Azaña, Discursos politicos, Critica, Barcellona, 2003, pp.31-37

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situazione catastale e della casa in Spagna suggeriva di guardare all'Inghilterra come punto di riferimento politico imprescindibile19.

Poi però si concentrava sullo Stato-nazione e diceva:

El estado moderno tan fuerte, tan poderoso, con su organización complicadisima (…) non es una creación de nuestros días , sino el resultado , el fruto, de una obra lenta de varios siglos. (…)Pues bien, todo esto inmenso poder , este absolutismo del Estado debe encaminarse y conducirseen pro de nuestra obra; para que el mismo Estado, a cuyo amparo viven todavía los privilegios, sea en reparación magnifica, el restaurador del alma del pueblo.20

Una presa di posizione tanto forte ha dato certo alla rappresentazione negativa della storia spagnola, in particolare quella recente, una legittimità ancor più marcata e difficile da mettere in discussione.

Il processo di maturazione del dibattito su questa decadenza si basa quindi sulla critica e sull'opposizione al sistema liberale del tempo e sulla ricezione della nuova ideologia positivista che pose questa questione dal punto di vista del rinascimento, della decadenza e della comparazione con altre nazioni, che in questo modo si convertono in vere e proprie categorie, “specie” (in questo caso però politiche e nazionali e non animali) con le quali compararsi e scontrarsi. Tralasciando quindi le condizioni specifiche di sviluppo e creando una vera e propria scala comune attraverso la quale la Spagna si posizionava evidentemente dietro (all'Inghilterra o alla Francia per esempio). Da qui la sensazione di una forte decadenza politica, economica e sociale che rendeva impellente e improrogabile una “rigenerazione” (termine anche questo di derivazione scientifico-biologica). Questa sorta di percezione deve essere tenuta bene in conto e in considerazione per poter comprendere lo sviluppo della storiografia spagnola e dell'interpretazione della storia che viene proposta da questi intellettuali. Quella che sembrava una situazione politica piuttosto in linea con la stabilità delle altre nazioni europee alla fine del XIX sec., si trasformò in un'anomalia terribile, in un

19 Ivi, p. 33. 20 Ivi, p. 37.

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liberalismo malsano mai capace di dare quella svolta economica che invece aveva caratterizzato altri paesi europei21. La sconfitta militare quindi come prova lampante di un

fallimento e lo Stato nazione incapace di trasformare la società, di essere quell'attore protagonista del cambiamento e della svolta storica che caratterizzava invece il continente europeo.

La rinascita della nazione quindi parte dall'ammissione del fallimento storico dello Stato nazionale fino ad allora conosciuto, la presa d'atto della presenza di privilegi non più sostenibili visto che già troppo tempo si era perso per trasformare la Spagna in un paese davvero moderno. Occorreva quindi rimettere in discussione l'apparato stesso dello stato nelle mani di poche élites “que viven acampadas sobre el pais”.Questa prospettiva ha saputo perdurare per molto tempo nella storiografia spagnola al pari delle interpretazioni dei “regeneracionistas” e anzi molto più in là di queste.22

1.2 Il “mantra” storiografico : La difficile modernità

Intorno alla valutazione “politica” del secolo da parte di questi intellettuali generalmente inseriti nella corrente dei “ regeneracionistas” si è creato un dogma storiografico ancora molto seguito oggi. Il punto di partenza che ereditiamo è che al passaggio di secolo si ha una concezione ben definita della nazione spagnola; meglio, emerge evidentemente la presenza di un discorso nazionalista che ha ben presente di che cosa stia parlando, che lascia da parte le specificità territoriali della penisola e ne disegna i confini politici e culturali utilizzando la scure della storia come riferimento rappresentativo.

Se dobbiamo provare a sintetizzare in poche pagine le colonne portanti delle cosiddette interpretazioni dominanti degli anni '70 e '80 del secolo passato si deve partire

21 S. Catalanyud, J. Millan, M.C. Romeo, Estado y periferias en la España del siglo XIX. Nuevos Enfoques,

PUV, Valencia, 2009, pp 12-13.

22 Cfr. P. Ruiz Torres, “Revolución, Estado y Nación en la España del siglo XIX: Historia de un problema”, in Ayer, n. 36, 1999, pp. 19-33.

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dalla posizione di centralità assunta dallo Stato, della macchina statale, come protagonista della storia, della nazionalizzazione, dell'impulso al capitalismo, caratteristiche con cui vengono tradizionalmente definiti i regimi liberal-borghesi del XIX sec. Questa storiografia pose l'attenzione quindi su chi dirigeva lo Stato, attivando ricerche di tipo sociale che potessero specificare le caratteristiche dei governi e il loro riflesso nella società. La rottura avvenuta nel 1808, con la frattura storica dell'assolutismo dinastico e l'apertura di una fase nuova coincidente prima con l'invasione napoleonica e la scrittura della costituzione di Cadice del 1812, non avrebbe coinciso con l'apertura rivoluzionaria paragonabile per esempio a quella francese. Il caso spagnolo quindi è stato letto per molto tempo come qualcosa che si sarebbe discostato da quella grande ondata di rivoluzioni borghesi e liberali che caratterizzò l'800 europeo. La rottura avvenuta con l'invasione napoleonica e la successiva nascita delle

Cortes non fu il preludio di un cambiamento profondo ma un'occasione persa che permise al

vecchio ordine di riadattarsi perfettamente alla nuova situazione istituzionale e politica senza perdere la sua centralità23.

Ecco quindi che l'accento viene immediatamente posto su quelle élites politico-economiche di origine feudale che, in stragrande maggioranza, continuarono a tessere la tela politica ed economica della penisola. In pratica la conferma di quel fallimento assoluto del liberalismo spagnolo che fin dall'inizio, e non solo durante la Restaurazione borbonica (1874-1923), aveva mancato l'appuntamento con la trasformazione europea e quindi con la storia.

La continuità tra Antico Regime e stato liberale negando la rottura, averebbe quindi avuto un'ulteriore conferma dalla presa d'atto di un'arretratezza economica generale della penisola che i governi precedenti non erano riusciti a risolvere efficacemente e che adesso si sommava alla complessa transizione politica e sociale. Ecco allora che il fattore economico come ulteriore elemento di ritardo e fronte di fallimento24. Il liberalismo, così come la fine

improvvisa dell'Antico Regime, si sarebbero prodotte in un momento sfavorevole in cui l'economia spagnola non era in grado di sostenere il cambiamento profondo trainato dalle nuove istituzioni che si stavano formando. L'economia arretrata inoltre non garantiva quella necessaria convergenza di interessi tra queste istituzioni, Parlamenti, Costituzioni e la società

23 S. Catalanyud, J. Millan, M Cruz Romeo, Estado y periferias en la España del siglo XIX. Nuevos Enfoques.

PUV, Valencia,2009, pp 13-23.

24 La posizione piu accesa a sostegno di questo fallimento economico si trova in J. Nadal, El fracaso de la revolucion industrial en España. 1814-1913, Ariel, Barcelona, 1975, p. 424.

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che doveva rappresentare25.

Per ultimo, come si diceva ad inizio paragrafo, la relazione profonda tra Stato-liberale e nazionalizzazione è stato uno dei perni dell'argomentazione classica, della lunga durata della narrazione “regeneracionista”, e quindi del fallimento storico dello Stato liberale ottocentesco anche dal punto di vista del rilancio dell'idea di nazione, della coagulazione intorno alla comunità nazionale.

Concludendo si può affermare che l'asse fondamentale su cui lavora la storiografia classica rispetto al tema del liberalismo poggia essenzialmente sul rapporto tra stato-nazione-modernità-democrazia.

Andando più nello specifico due grandi interpretazioni storiografiche hanno segnato gli anni '70 e sono state la base di partenza per ogni studio sul XIX sec. spagnolo ancora oggi; sono quelle degli storici Josep Fontana e Miguel Artola. Nonostante le differenze entrambi condividono la tesi di fondo per cui la fine dell'Antico Regime, sancita dalla rivoluzione esclusivamente politica del liberalismo, non fu seguita da quell'appoggio sociale necessario a trasformare veramente un'epoca, ovvero creare, in quel contesto storico, uno Stato-nazione moderno comparabile con gli altri esempi Europei.26

A questa lettura comune di un fallimento della rivoluzione sociale arrivano però da percorsi di ricerca distinti. Per Fontana siamo di fronte ad un secolo, il diciannovesimo, in cui l'azione pubblica dello Stato non apporto' benefici allo sviluppo economico, anzi spesso le politiche prese minarono la possibilità stessa di una trasformazione. In pratica si sarebbe compiuta una rivoluzione politica, una rottura definitiva con l'assolutismo e la formazione di uno Stato liberale compiuto. Però lo stato liberale spagnolo non fu in grado di dare l'avvio a quel processo di modernizzazione economica e sociale che invece si poteva osservare in altri paesi europei come Francia e Gran Bretagna. Anche Fontana, appartenente alla corrente storiografica di stampo marxista pone sempre come punto riferimento la rivoluzione francese, studiando i processi spagnoli sempre con in mente le trasformazioni d'oltralpe 27. Partendo poi

dall'analisi della situazione economica in Catalogna, segnalando qui già la presenza nel XVIII

25 S. Catalanyud, J. Millan, M.C. Romeo, Estado y periferias en la España del siglo XIX. Nuevos Enfoques.

PUV, Valencia,2009, p. 15.

26 P. Ruiz Torres, “Revolución, Estado y Nación en la España del siglo XIX: Historia de un problema”, in Ayer,

n. 36, 1999, pp. 25-30.

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sec. di una borghesia e di una nascente industria, sottolinea il fatto che i cambiamenti politici dei primi anni del XIX secolo, con la perdita delle colonie del sud America, avevano messo di fronte i governi a scelte importanti che però non vennero prese con sufficiente decisione lasciando l'industria spagnola in uno stato di marginalità, e non rompendo definitivamente la continuità tra l'agricoltura feudale. Le nuove forze sociali che nel paese si stavano diffondendo non trovarono una valida rappresentazione nelle politiche liberali. Mentre le strutture sociali e agricole caratteristiche del feudalesimo continuavano ad essere presenti con tutta l'ipoteca che poneva di fronte alla reale possibilità di cambiamento radicale che la rivoluzione liberale avrebbe dovuto apportare.

La stessa mobilitazione popolare che caratterizzò quegli anni, e che Fontana fa coincidere con il liberalismo più radicale e repubblicano (con un chiaro riferimento al modello della rivoluzione francese), e col fenomeno controrivoluzionario del carlismo (che tratteremo dettagliatamente nel terzo e nel quarto capitolo), si tradusse in una chiusura sociale del liberalismo spagnolo che ben presto si stabilizzo' intorno alle inclinazioni più moderate e quindi più conservatrici. Se infatti lo Stato liberale era nato anche per compiere la trasformazione da feudalesimo a capitalismo, ben presto le resistenze al cambio sociale delle classi conservatrici, messe in discussione anche da una mobilitazione sociale non insignificante, chiusero il capitolo della trasformazione per adagiarsi su posizioni inequivocabilmente conservatrici e tradizionaliste. Uno stato quindi che si basava su un vero e proprio patto tra oligarchie proprietarie, provenienti dal precedente regime prettamente feudale, che non permise la realizzazione della trasformazione capitalistica28.

Lo stesso Fontana tiene a precisare il fatto che non si parla di “fallimento” bensì di “ritardo” dello sviluppo economico, sociale e politico spagnolo. Lo fa basandosi su dati che presenta come incontestabili e che farebbero a suo avviso naufragare la tesi secondo la quale la Spagna nel suo insieme non si discosta dalle altre nazioni europee e che, proprio per

28 Per approfondire l'impostazione storiografica di Josep Fontana si guardi Id, La quiebra de la monarquía absoluta, Esplungues, de Llobregat, Ariel, 1971; Id, La revolución liberal. Política y Hacienda en 1833-1845, Instituto de estudios fiscales, Madrid, 1977; Id, La época del liberalismo, Vol 6, in J. Fontana, Ramon Vilares (a cura di), Historia de España, Pons, Madrid, 2006; J. Fontana, La quiebra de la monarquía absoluta, Esplungues de Llobrega, Ariel, 1971; Id, Cambio económico y actitudes políticas en la España del siglo XIX, Esplungues de Llobrega, Ariel 1974; Id., La época del liberalismo, vol. 6 in Josep Fontana y Ramon Villares (a cura di), Historia de España,, Barcelona, Critica y Marcial Pons, 2007.

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questo, si deve parlare di un secolo di normalità, riconducibile all'alveo del contesto europeo.29 A supporto della sua tesi concorrerebbero diversi fattori come ad esempio il debole

processo di nazionalizzazione che non avrebbe creato nessun substrato culturale comune, limitandosi ad interpretare la nazione come organizzazione verticale, dall'alto, dal punto di vista meramente amministrativo. In secondo luogo i limiti del processo di crescita agraria per cui lo stesso stato spagnolo non fu capace di dirigere la crescita economica, poiché le sue politiche si rivelarono assenti o insufficienti.30

Miguel Artola invece non partiva da questa secca sovrapposizione tra Antico Regime e sistema feudale, puntando invece su una società più complessa e differenziata già' alla fine del XVIII dove, se è chiaro che c'erano ancora segni consistenti di sfruttamento agricolo di tipo feudale, dall'altro canto era evidente una chiara differenziazione sociale ed economica. Non saremmo quindi in presenza di un feudalesimo asfissiante per le nuove sensibilità proprietarie e l'individualismo borghese. Nonostante questo l'aristocrazia avrebbe potuto integrarsi in maniera vantaggiosa con la nuova proprietà individuale e non feudale, che manterrà una posizione rilevante nel XIX sec. È intorno alla categoria di proprietà che quindi si gioca la definizione del cambiamento per questi storici, e le politiche attuate dal nuovo stato liberale andarono nella direzione di una sostanziale continuità con l'Antico Regime. Lo stato liberale quindi sarebbe stato controllato da quella classe di proprietari che mantennero inalterato il loro peso politico ed economico nel corso del XIX sec., conservando i loro canali di influenza. Solo con lo svilupparsi della mobilitazione sociale più strutturata e consapevole, frutto del lento avanzamento verso il capitalismo, con una nuova società urbana, nelle prime decadi del XX sec., si metterà in questione l'ordine politico liberale fino alla sua straordinaria realizzazione e manifestazione durante la breve parentesi della II repubblica.31

È evidente che qui è presente una impostazione politica della storiografia che esaltava la Repubblica in contrapposizione al passato decadente e al fallimento dello Stato liberale precedente e caratteristico del “secolo borghese”. Solo con la seconda repubblica si sarebbe quindi manifestata quella straordinaria forza rivoluzionaria che il liberalismo spagnolo aveva soffocato sotto il manto grigio del conservatorismo e tradizionalismo. Le élites proprietarie,

29 J. Fontana, La época del liberalismo.Vol.6, in J. Fontana e R. Villares (a cura di) Historia de España,

Critica, Barcellona, 2007, pp. 409-439.

30 Ivi., pp. 425 ss.

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grazie anche all'aiuto della Chiesa cattolica che diede la sua legittimazione culturale, avrebbero garantito stabilità ai danni dell'economia capitalistica che poteva esplodere, della società moderna, e infine della democrazia.

A questo proposito vale la pena citare la tesi di Manuel Tuñon de Lara come esasperazione dell'impostazione strutturalista32 . Egli drasticamente arriva a definire il secolo

XIX come fallimento dello Stato liberale esemplificato dalla formazione della restaurazione borbonica e del suo blocco di potere che sarà protagonista della scena politica fino alla rivoluzione civile e alla presa di potere di Franco nel 1939. In generale interpreta la storia del XIX come una sorta di anticamera alla tragedia del franchismo e del XX sec. 33. Si definisce

uno strutturalista nel senso che per lui la storia va studiata nel suo complesso di interconnessioni tra vari settori e aspetti che creano insieme una struttura ben determinata. Ogni piano e' in funzione dell'altro. Non si può spiegare una parte senza il tutto. La società' a suo modo di vedere non cambia come invece dovrebbe cambiare in seguito ad una vera rivoluzione liberale. Rimane egemone la grande proprietà e la borghesia emergente rimane confinata in determinati territori più sviluppati come la Catalogna e i Paesi baschi34.

Così lo storico riporta lo sdegno condiviso e percepito dalla “generazione del '98” rispetto alla crisi del sistema spagnolo:

Esta crisis era múltiple y polifacética: crisis del sistema porque ya no había imperio; crisis económica porque se habían perdido esas fuentes de negocios...mercados..; crisis política porque los partidos que se turnaban en el ejercicio del poder, el conservador y el liberal, asentados en el aparato caciquil, salían maltrechos y desprestigiados de la derrota; crisis social, porque el desarrollo de la industria en algunas zonas aumentaba el peso de la clase obrera, que, en proceso de toma de cociencia, se enfrentaba con unos patronos intransigentes (…) y la industria se enfrentaba, en su desarrollo, con los grandes propietarios agrarios de Andalucía y Castilla, cuya hegemonía en el poder político era evidente.35

32 M. Tuñon de Lara, Estudios sobre el siglo XIX español, Madrid, siglo XIX, p. 188. 33 Ivi, p.10

34 Ivi, p.48 e ss.

35 “Questa crisi e' multiple e a più facce : crisi del sistema perché non c'e più l'impero; crisi economica perché si erano perse quelle fonti di commercio..mercato; crisi politica perché i partiti che si alternavano alla gestione del potere il conservatore e il liberale, basati sul sistema caciquile, uscivano malconci e senza prestigio da quella sconfitta; crisi sociale perché lo sviluppo dell'industria aumentava il peso della classe operaia che, in un processo di presa di coscienza si scontrava con padroni intransigenti(...) e l'industria si

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Per concludere gli studi dalla fine degli anni settanta del XX secolo si incentrarono in particolare sulla questione della transizione da feudalesimo a capitalismo, così come su un nuovo studio sulle realtà locali incentivato dalla creazione delle autonomie con la costituzione democratica del 1978. Fino alla prima parte degli anni ottanta quindi l'impostazione era quella di una storia concepita come scienza sociale. La storiografia condizionata da un marxismo struttural - economicista tendeva a dimenticare, a dare meno peso agli studi sul breve periodo privilegiando invece le trasformazioni sul lungo periodo. Ecco quindi che il XIX sec. è stato studiato particolarmente nella sua seconda metà, quella che più di tutte aveva attirato l'attenzione degli intellettuali “regeneracionistas” e repubblicani, di cui abbiamo parlato precedentemente, proprio perché era quello che loro stessi avevano vissuto ed erano dunque in grado di darne direttamente una valutazione che assumeva forza e consistenza storica proprio perché di “prima mano”.

Liberalismo fallito; riforma agraria fallita e quindi economia arretrata; rivoluzione industriale nulla o solo accennata; fallimento della rivoluzione politica e quindi vecchie gerarchie e poteri provenienti dall'Antico Regime rimasti al potere; meccanismo di consenso e di funzionamento della macchina politica statale ben lontana dall'avanzamento democratico che stava avvenendo negli altri paesi sviluppati d'Europa; presenza storica ingombrante e mai messa in discussione delle gerarchie cattoliche nella vita pubblica; debole nazionalizzazione. Sono questi i cardini teorici che legittimerebbero la definizione del XIX sec. spagnolo come un secolo di fallimenti chiari ed inequivocabili, tali da creare una crisi nazionale fino alla dittatura franchista come conclusione prevedibile e storicamente comprensibile di un lento ma chiarissimo declino condensato benissimo nel secolo “borghese”.

Dal profondo e drammatico lamento espresso dai “regeneracionistas” e dalla “generaciòn de '98, arriva un grande pianto per la cara patria che, perduto il suo splendore, attraversa una landa desolata e desolante. 36 La Spagna non avrebbe quindi raggiunto, o forse

scontrava, durante il suo sviluppo, ai grandi proprietari agrari di Castilla e dell'Andalusia, la cui egemonia nel potere politico era evidente.” M. Tuñon de Lara, La España del siglo XX, Vol.I, Laia, Barcelona, 1974, p.16.

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