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La securitisation: aspetti operativi e di vigilanza

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati

Finanziari

Tesi di laurea

La securitisation: aspetti operativi e di vigilanza

Relatore:

Candidato:

Prof.ssa Paola Ferretti

Giulia Cini

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Indice

Introduzione ... 1

CAPITOLO 1: La securitisation e la Vigilanza ... 3

1.1 Definizione, origine ed evoluzione ... 3

1.1.1 La Crisi finanziaria del 2007 e il ruolo della cartolarizzazione ... 5

1.2 La Normativa italiana ... 9

1.2.1 Legge n. 130/1999 ... 9

1.2.2 Decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016 (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze) ... 19

1.3 La Vigilanza prudenziale: da Basilea 2 a Basilea 3 ... 20

CAPITOLO 2: Gli aspetti tecnico-operativi della cartolarizzazione ... 39

2.1 Obiettivi ... 39

2.2 La cartolarizzazione tradizionale: struttura e soggetti coinvolti ... 42

2.3 La natura dei titoli emessi ... 52

2.4 Le tipologie di cartolarizzazione ... 57

CAPITOLO 3: Le criticità e le implicazioni della cartolarizzazione

sull’economia ... 67

3.1 I Non Performing Loans ... 68

3.1.1 Definizione ... 68

3.1.2 La gestione delle sofferenze a livello tecnico e normativo ... 69

3.1.3 Panorama del settore ... 77

3.2 Le difficoltà delle PMI e la cartolarizzazione come soluzione ... 81

3.2.1 Come sbloccare il credito? ... 85

Conclusioni ... 91

Bibliografia ... 93

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Introduzione

La securitisation, tradotta in italiano in cartolarizzazione, è l’operazione che maggiormente identifica il fenomeno di innovazione finanziaria che ha investito il mercato mondiale negli ultimi decenni e l’impatto che ha generato, ha attirato l’attenzione e lo studio degli economisti. La cartolarizzazione è intesa come la trasformazione di attività creditizie illiquide in strumenti finanziari negoziabili sul mercato dei capitali, proponendo nuove interazioni tra gli operatori con lo scopo di soddisfare le necessità sempre più complesse del mercato finanziario.

La presente tesi esamina la securitisation nei suoi aspetti operativi e di vigilanza in modo tale da delineare le criticità e le implicazioni che sono emerse con il suo utilizzo fino a giungere all’approccio odierno dopo anni di perplessità sulla sua struttura, natura e efficacia, perché, come ben sappiamo, è una delle principali cause che ha contribuito allo scoppio della crisi finanziaria del 2007 e le indagini concordano nell’individuare in essa la responsabilità di aver innescato distorsioni nei meccanismi di intermediazione, nella caduta della fiducia nei confronti del mercato e nella non capacità degli intermediari di far fronte a situazioni di instabilità diffuse e persistenti.

È possibile trasformare lo strumento della cartolarizzazione da causa della crisi a soluzione per la ripresa economica?

L’obiettivo della tesi è quello di analizzare nel dettaglio l’operazione e le proposte recentemente fatte sulla base del contesto di riferimento, mostrando i possibili benefici che potrebbe apportare se costruita adeguatamente.

In questo modo, il Capitolo I si apre con un breve excursus temporale sul ruolo assunto dalla securitisation durante la crisi, per poi prendere visione sia della Normativa italiana: la Legge n. 130/1999 che ha introdotto in Italia l’istituto della cartolarizzazione e il recente Decreto Legge n. 18/2016 che racchiude una nuova implementazione della

securitisation come tecnica di risanamento dei bilanci bancari dai crediti deteriorati

(GACS); sia del quadro di Vigilanza internazionale (Basilea 2 e 3) che traccia gli approcci per la determinazione dei requisiti di capitale che devono assolvere i soggetti coinvolti nell’operazione (tema in continua revisione).

Nel Capitolo II si analizzano gli aspetti tecnico-operativi, facendo riferimento alle fasi della struttura, i soggetti coinvolti, la natura dei titoli emessi e le diverse tipologie che si sono susseguite, senza dimenticare i principali obiettivi perseguiti.

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Concludendo, nel Capitolo III, con due importanti temi attuali, la presenza persistente dei

Non Performing Loans nei bilanci delle banche e la morsa creditizia delle Piccole Medie

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CAPITOLO 1: La securitisation e la Vigilanza

1.1

Definizione, origine ed evoluzione

Nella sua definizione più classica si concretizza nella selezione da parte dell’originator di un portafoglio di attività difficilmente smobilizzabili, presenti nel proprio bilancio, in grado di produrre flussi di cassa periodici, e nella sua conseguente cessione ad una società veicolo (Special Purpose Vehicle) appositamente creata, la quale attraverso l’emissione di strumenti finanziari, raccoglie le risorse necessarie per pagare il prezzo del portafoglio acquistato. Il rimborso e la remunerazione dei titoli emessi sono garantiti dalla idoneità del pool di attivi sottostanti a generare flussi di cassa, quindi l’acronimo con il quale vengono identificati gli strumenti finanziari ravvisa la natura dei crediti ceduti: in particolare sono MBS (Mortgages Backed Securities) se il sottostante ha natura immobiliare (mutui ipotecari residenziali o commerciali) oppure ABS (Assets Backed

Securities) se il sottostante ha natura finanziaria (crediti al consumo, crediti per leasing,

finanziamenti di automobili, etc.).

La cartolarizzazione nacque negli Stati Uniti nel corso degli anni Settanta e venne impiegata inizialmente con lo scopo di smobilizzare i mutui ipotecari presenti nei portafogli di istituzioni finanziarie, con l’obiettivo di soddisfare l’esigenza di liquidità. Il termine securitisation apparve per la prima volta nel 1977, nella rubrica “Heard of the

street” del Wall Street Journal, per descrivere un’operazione portata a termine dalla Bank of America e dalla Salomon Brothers consistente nell’emissione di MBS1. Questi sono gli anni in cui la cosiddetta baby boom generation2 aveva raggiunto l’età per acquistare casa,

comportando un aumento esponenziale della domanda dei mutui ed un incremento del prezzo nel settore residenziale.

Per sopperire alle crescenti difficoltà che stava riscontrando il mercato nel cedere finanziamenti e reperire liquidità, il Governo istituì agenzie specializzate, con il compito di erogare garanzie per il rischio di insolvenza dei mutuatari e farsi controparte nelle operazioni di cartolarizzazione dei crediti. È degno di nota che le origini delle suddette

Government-Sponsored Enterprise (GSE) sono da ricollegare alla Grande Depressione,

1 E. Monti, Manuale di finanza per l’impresa,Isedi, Milano, 2011, p. 358.

2 Un baby boomer è una persona nata tra il 1945 ed il 1964 in Nord America, che ha contribuito

a quello che fu un sensibile aumento demografico avvenuto negli Stati Uniti in quegli anni, conosciuto, per questo, come baby boom.

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quando gli alti tassi di disoccupazione determinarono, in un effetto a catena, elevati livelli di sofferenza sui crediti incrementando i pignoramenti delle case con la conseguente depressione dei valori delle stesse, portano infine ad una contrazione dell’economia. Pertanto, prima che si diffondessero le operazioni di cartolarizzazione, le agenzie governative sostenevano già il mercato secondario ipotecario, ponendosi come Special

Purpose Vehicle.

Quando si parla di GSE si fa riferimento alla Federal National Mortgage Association, nota come Fannie Mae, la Government National Mortgage Association, nota come

Ginnie Mae, e la Federal Home Loan Mortgage Corporation, Freddie Mac.

Fu la Ginnie Mae a inventare per prima nel 1970 un complesso meccanismo di cartolarizzazione, che venne subito adottata dalle altre che la resero ancora più sofisticata, diventando molto presto le protagoniste del mercato dei mutui immobiliari3.

Riguardo al contesto normativo ci furono importanti interventi legislativi, il più rilevante fu il Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act (DIDMCA) emanato nel 1980, che di fatto realizzò la liberalizzazione del mercato: tutte le banche potevano finanziarsi a tassi di mercato; ciò introdusse una nuova competizione fra gli intermediari bancari e un diffuso orientamento a intraprendere attività sempre più complesse e rischiose (sviluppando così anche il mercato della cartolarizzazione). Dal punto di vista delle politiche economiche, era diffusa una politica dei mutui “per

tutti”, con lo scopo sociale di facilitare l’acquisto della casa alle “minoranze”.

In tale contesto era evidente come la cartolarizzazione offrisse numerosi vantaggi: consentiva di sostenere pienamente le politiche di offerta del credito ipotecario, poiché permetteva di generare nuova liquidità da immettere nel circuito del credito.

A favorire definitivamente la diffusione della securitisation fu l’abolizione del

Glass-Steagall Act nel 1999, sancendo la fine della separazione tra banche commerciali e banche

di investimento, che incoraggiò il passaggio da un modello bancario classico, Originate

To Hold (OTH) a un modello innovativo, Originate To Distribuite (OTD) dove si scinde

la funzione di prestito dalla gestione del rischio.

Dagli anni Novanta il mercato della cartolarizzazione si sviluppò a ritmi crescenti, interessando classi di attività sempre più ampie e assumendo forme tecniche sempre più

3 Nel 2008 Fannie Mae e Freddie Mac servivano indirettamente circa 55 milioni di cittadini

statunitensi, tre quarti dei mutui statunitensi erano di loro proprietà e le due compagnie detenevano nei propri bilanci mutui per una cifra superiore ai 5,5 mila miliardi di dollari (pari all’intero debito pubblico statunitense). La Ginnie Mae invece non assunse mai un peso determinante nel settore, nel 2006 aveva emesso obbligazioni solo per il 4% del totale.

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complesse, come le strutture sintetiche. Molti economisti ravvisarono nella struttura del mercato finanziario che si venne a creare negli Stati Uniti, il seme della crisi finanziaria del 2007. Ad oggi si calcola che più del 75%4 del mercato immobiliare statunitense venne rifinanziato con la tecnica della securitisation.

In Europa, il ruolo di pioniere fu svolto dalla Gran Bretagna; la prima operazione risale al 1985, con la cartolarizzazione di mutui residenziali da parte della Bank America

Finance International. Oggi il mercato inglese è il secondo mercato mondiale di ABS.

Per quanto concerne l’Italia, la Legge n.130 del 30 aprile 1999 introdusse formalmente la tecnica della cartolarizzazione e il successo fu immediato: nel 2003 l’Italia fu il secondo Paese Europeo per cartolarizzazioni dopo la Gran Bretagna.

1.1.1 La Crisi finanziaria del 2007 e il ruolo della cartolarizzazione

Fino ai primi anni del 2000 il mercato dei mutui e dell’emissione di MBS era dominato dai mutui Agency, erogati in favore di mutuatari affidabili che rispondevano a determinati requisiti di accesso; a livello marginale invece i mutui Non-Agency concessi a mutuatari sempre meno affidabili: mutui Jumbo, mutui Alt-A e mutui Subprime.

A partire dal 2002 si assiste a una crescita esponenziale del credito di bassa qualità, dove la quota più consistente era rappresentata dai mutui subprime definiti anche mutui NINJA (No Income, No Job, No Assets) perché concessi a mutuatari assai poco affidabili, in quanto non prevedevano come garanzia né il reddito (income), né il lavoro (job), né il patrimonio (asset) e nel 2006 arrivano ad ammontare al 45% del totale dei mutui concessi. I fattori che stimolarono il boom dei mutui subprime, con la conseguente crisi finanziaria, sono riconducibili alle dinamiche del mercato immobiliare statunitense e allo sviluppo delle cartolarizzazioni. In particolare, a partire dal 2000 fino alla metà del 2006 i prezzi delle abitazioni crebbero in maniera costante e significativa, generando una vera e propria bolla immobiliare. Tale dinamica fu favorita dalla politica monetaria espansiva della

Federal Reserve che per tutto il periodo 2001-2005 alimentò la crescente domanda di

credito e di consumo delle famiglie, promuovendo per anni una politica di bassi tassi di interesse che facilitò l’emissione di mutui a basso costo e rese molto appetibile l’indebitamento da parte delle famiglie.

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La bolla immobiliare, inoltre, rese conveniente la concessione di mutui da parte delle istituzioni finanziarie che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il denaro prestato attraverso il pignoramento e la rivendita dell'abitazione. Il tutto in uno scenario di deregulation, di liberalizzazione, che nel 2000 coinvolse il mercato degli strumenti finanziari innovativi con Commodity Futures Modernization Act5 esentando molte operazioni finanziarie dal controllo delle autorità di vigilanza che nel 2004 coinvolse le grandi banche di investimento, le cosiddette big five (Lehman Brothers,

Bear Stearns, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Morgan Stanley) che vennero esentate del

rispetto dei vincoli sul rapporto di leverage massimo. Provvedimento che portò presto all’instabilità delle banche, le quali affamate di profitti grazie alla cartolarizzazione, elevarono il loro leverage senza tenere realmente conto del rischio di subire perdite ingenti.

Solitamente il rapporto tra il capitale impiegato in attività e capitale proprio era del 5 a 1, ottenuta l’esenzione, il rapporto aumentò sensibilmente. Il caso di Bear Stearns è alquanto significativo: la banca arrivò a reggere un rapporto tra impieghi e capitale del 33 a 1, esponendosi al rischio di vedere azzerato il proprio patrimonio ad ogni minima perdita sugli investimenti6.

Anche il ruolo delle agenzie di rating fu determinante nella crisi finanziaria: a fronte dell’opacità dei prodotti generati dalle operazioni di securitisation che si presentavano complessi, poco liquidi, non standardizzati, scambiati prevalentemente over the counter; il giudizio di rating assunse un'importanza crescente in quanto strumento di riferimento condiviso per la valutazione di tali prodotti.

Il rating esprimeva i risultati di stime basate su modelli di valutazione, pertanto assoggettati ai limiti che le ipotesi alla base dei modelli stessi potevano presentare. Tali limiti furono evidenti in seguito allo scoppio della crisi subprime, quando divenne chiaro che le agenzie avevano utilizzato modelli non sufficientemente sofisticati, basati su ipotesi e scenari troppo ottimistici. In quella circostanza fu palese, inoltre, che le agenzie

5 Nello specifico, con questo provvedimento venne eliminato ogni controllo della SEC sui derivati over the counter (scambiati cioè in mercati deregolamentati), e in particolare su quello dei Credit Default Swap (CDS). Se nel 1999 i CDS

ancora praticamente non esistevano, dopo l’entrata in vigore del Commodity Modernization Act il mercato dei CDS ebbe un’impressionante impennata, raggiungendo alla fine del 2007 la sproporzionata cifra di 45 mila miliardi di euro, diventando così un mercato immenso ma poco trasparente.

6 V. Cusseddu (a cura di), La cartolarizzazione e l’esplosione della crisi finanziaria, in Capire la

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avevano assegnato rating troppo generosi (anche per effetto di conflitti di interessi che creavano incentivi in tale direzione) e si erano dimostrate troppo caute nel rivedere il proprio giudizio sugli emittenti che incominciavano a manifestare i primi segnali di crisi7. All'inizio del 2004, la FED cominciò a innalzare i tassi di interesse in risposta alla ripresa dell'economia statunitense, i mutui divennero sempre più costosi e aumentarono i casi di insolvenza delle famiglie incapaci di restituire rate sempre più onerose, così la domanda di immobili si ridusse, con conseguente scoppio della bolla immobiliare e contrazione del valore delle ipoteche a garanzia dei mutui esistenti8.

Le istituzioni finanziarie più coinvolte nell'erogazione dei mutui subprime registrarono pesanti perdite. A partire da luglio 2007 e per tutto il 2008 si susseguirono vari

downgrading dei titoli cartolarizzati coinvolgendo anche quelli “buoni” che persero

valore diventando illiquidabili. Le società veicolo furono costrette a richiedere fondi alle banche originators che avevano garantito linee di liquidità, ma in un contesto di scarsa chiarezza circa la distribuzione di tali titoli cartolarizzati, venne a mancare la fiducia nel mercato interbancario, che sperimentò un forte aumento dei tassi e una significativa contrazione della disponibilità delle banche a concedere credito. Dalla crisi di fiducia si sviluppò dunque una crisi di liquidità.

Le banche subirono pesanti perdite non solo per l'esposizione verso le società veicolo, ma anche per le esposizioni verso soggetti che avevano il possesso diretto dei titoli per motivi di investimento.

Le circostanze condussero alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi verso il fallimento, che fu evitato grazie all'intervento del Tesoro.

L’unico caso in cui l’amministrazione statunitense decise di lasciar fallire un importante banca d’affari – forse per dare finalmente un avvertimento agli attori finanziari – fu il caso della Lehman Brothers, che avviò le procedure fallimentari il 15 settembre 2008. Il suo fallimento rappresenta l’evento più significativo della crisi, segnando in modo eclatante il passaggio dalla crisi localizzata nei titoli tossici delle banche commerciali statunitensi alla crisi di più ampia portata di tutto il sistema finanziario.

I fattori e le circostanze che scatenarono la crisi sembrano potersi ricondurre al fenomeno del moral harzard insito nella cartolarizzazione, ovvero l’assunzione di rischi eccessivi

7 Vedi Approfondimenti sulla crisi finanziaria del 2007-2009 su www.consob.it. 8 Ibidem.

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da parte degli operatori che l’innovazione finanziaria incontrollata non solo rese possibile, ma incentivò9.

Nel campo delle assicurazioni il termine moral hazard è usato per descrivere la situazione che si crea quando un soggetto decide di assicurarsi contro la possibilità che si verifichi un evento non desiderato, perché una volta ottenuta la protezione su un determinato rischio, l’assicurato si comporterà in modo meno prudente, aumentando la probabilità che si realizzi l’evento indesiderato10.

Nel campo della finanza, l’azzardo morale è esasperato. La possibilità di ricorrere a strumenti di trasferimento del credito ha portato gli operatori a investire in attività estremamente rischiose che in condizioni normali non avrebbero altrimenti intrapreso. Un esempio di strumento sono i Credit Default Swap11, grazie ai quali gli operatori si ritrovarono ad assumere rischi elevatissimi (concedendo credito di bassa qualità), proprio perché sapevano di essere protetti dal rischio di insolvenza dei debitori. Ad aggravare la situazione è stato poi l’utilizzo patologico di suddetto strumento diventato un vero e proprio gioco d’azzardo, passando da esser un’assicurazione a favore del creditore a uno strumento di scommessa sull’insolvenza di debitori da parte di soggetti terzi, estranei al rapporto di credito.

Il principale problema della cartolarizzazione fu rappresentato dalle incredibili distorsioni che produsse: se la funzione era quella di contenere i rischi per il singolo operatore, il risultato reale fu quello di farli aumentare a dismisura sull’intero sistema, perché trasferire il rischio non significa eliminarlo e la rete fittissima di interconnessioni che si creò tra i vari operatori finanziari alla fine divenne canale di propagazione della crisi.

9 V. Cusseddu, op.cit.

10 L’esempio classico che spiega questa situazione è quello di un soggetto che acquista

un’automobile, e che si vuole assicurare dal rischio di furto. È consolidata l’idea che dal momento in cui ottiene un’assicurazione che rimborserà totalmente il valore dell’auto in caso di furto, il proprietario si comporterà in modo meno vigile di quanto non facesse prima della stipula del contratto assicurativo.

11 CDS sono derivati sul rischio di credito che offrono la possibilità di coprirsi dall'eventuale

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1.2

La Normativa italiana

1.2.1 Legge n. 130/1999

Rispetto alla diffusione delle operazioni di cartolarizzazioni in Europa, la definizione in Italia di un quadro regolamentare ad hoc, è avvenuta con notevole ritardo con la Legge n. 130 del 30 aprile 1999 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 111 il 14 maggio 199912 (nel prosieguo legge n. 130/99). Un ritardo più che ventennale rispetto ai più avanzati sistemi legislativi di common law, prima fra tutte la Spagna con la legge n. 2/81. La mancanza di una regolamentazione specifica ha limitato le potenzialità e la diffusione di questo strumento, generando incertezza sulla sua strutturazione e il sostenimento di costi elevati. Prima dell’entrata in vigore della legge, le operazioni di securitisation erano strutturate mediante complesse architetture contrattuali basate sull’intervento di soggetti giuridici di diritto estero e su princìpi della normativa esistente, come la legge sul factoring13. In particolare, l’operazione si basava su una cessione di crediti ad una società di factoring con il ruolo di SPV, la quale cedeva a sua volta i crediti ad un altro veicolo estero incaricato dell’emissione dei titoli. Si verificava così una doppia cessione, la seconda era finalizzata a sfruttare il regime normativo favorevole dei paesi c.d. “off-shore” che ammettevano una capitalizzazione minima delle società ed nessun limite per le emissioni obbligazionarie14.

La legge n.130/99 cerca di colmare la lacuna del sistema giuridico italiano, eliminando gli impedimenti normativi, civili e fiscali. Il testo non disciplina nei dettagli tale operazione, ma lascia ampio spazio di operatività, limitandosi a esser descrittiva, fissando le caratteristiche principali e prevedendo opportune deroghe a princìpi generali in modo da salvaguardare il buon fine della operazione.

L’art. 1 della legge in questione ha voluto chiarire l’ambito di applicazione dell’operazione, stabilendo che la cartolarizzazione del credito deve essere realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco nel caso in cui si tratti di una pluralità di crediti. La norma non pone limiti per

12 Successivamente modificata con legge 14 maggio 2005, n. 80, con d.lgs 13 agosto 2010, n. 141

e con d.lgs 14 dicembre 2010, n. 218.

13 Legge 21 febbraio 1991, n. 52, Disciplina della cessione dei crediti di impresa, pubblicata G.U.

del 25 febbraio 1991, n. 47.

14 F. Cuccovillo, P. Messina, Le operazioni strutturate sui crediti: aspetti legali e finanziari, in

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l’esistenza di tali attività (possono essere esistenti o futuri) e circa la loro qualità, rendendo possibile operazioni di crediti in bonis o in sofferenza.

A fronte della cessione di crediti futuri, il legislatore non delinea i limiti per la loro identificazione, cosa che invece viene disposta dalla legge sul factoring, la quale specifica che saranno tali, i crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi (legge 21 febbraio 1991, n. 52, comma 3), ma questa disposizione non può esser applicata alle operazioni di cartolarizzazioni.

A tal proposito si è pronunciato il Ministro del Tesoro stabilendo che i crediti futuri si intendono <<i crediti non ancora esistenti, in quanto generabili nel normale esercizio dell’attività del cedente>>15. Con tale formulazione deve ritenersi ammessa la possibilità

di cedere tutti i flussi di cassa generabili dal normale16 esercizio dell’attività d’impresa. Si ritiene che possano esser individuati: a) nei crediti maturati e non fatturati, ossia crediti derivanti da contratti già conclusi per servizi prestati; b) nei crediti derivanti da contratti già conclusi per i servizi non ancora prestati; c) infine, nei crediti futuri derivanti dai contratti che l’originator prevede di concludere17.

Nel caso in cui la cessione abbia come oggetto una pluralità di crediti, la norma richiede che siano “individuabili in blocco” sulla base di criteri predeterminati18, tali da assicurare

l’omogeneità giuridico-finanziaria, e diretti al soddisfacimento dell’interesse dei portatori dei titoli.

La legge non pone preclusioni alla cartolarizzazione dei c.d. bad loans, cioè crediti inesigibili o di difficile recupero, anzi proprio in questa direzione sembrano esser orientate le operazioni di cartolarizzazioni in Italia alla fine degli anni Novanta. Difatti il settore bancario in quegli anni era alle prese con problemi di adeguatezza del patrimonio, di ratios patrimoniali, di incidenza delle sofferenze sui crediti; e pare difficile pensare che il legislatore non abbia avuto come obiettivo preminente lo smobilizzo dei bad loans al fine di facilitare il superamento delle problematiche specifiche degli istituti di credito19.

15 Art. 1, com. 1, lett. h), decreto del Ministero del Tesoro 13 maggio 1996 sui criteri di iscrizione

degli intermediari finanziari nell'elenco speciale di cui all'art. 107, comma 1, del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385; modificato dall’art. 2, del decreto del Ministero del Tesoro 4 aprile 2001.

16 La nozione di “normalità” impone di ricorrere ad un criterio probabilistico di ragionevole

prevedibilità in ragione della precedente concreta attività d'impresa svolta dall’originator.

17 F. Cuccovillo, P. Messina, op.cit., p. 13.

18 Ad esempio: la forma tecnica dei crediti, i settori economici di destinazione, la tipologia della

controparte, l’area territoriale.

19 G. Fauceglia, Le problematiche giuridiche, in C. Porzio (a cura di), Securitization e crediti in sofferenza problemi gestionali, contabili e normativi nella recente esperienza italiana, Bancaria editrice, Roma, 2001, p. 337.

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In realtà, l’esperienza dei paesi stranieri sottolinea come la cartolarizzazione non possa esser snaturata a mera tecnica di maquillage dei bilanci aziendali, anche perché proprio la scarsa qualità dei portafogli ceduti funge da ostacolo per la corretta diffusione dell’operazione.

I maggiori ostacoli per lo sviluppo della securitisation in Italia erano legati, non tanto alla fase di cessione del portafoglio crediti a una società terza, quanto piuttosto alle fasi successive finalizzate alla raccolta di fondi necessari per l’acquisto della cessione per mezzo di emissioni di strumenti finanziari collocabili nel mercato secondario, perché la normativa civilistica imponeva uno stretto rapporto tra l’emissione di titoli obbligazionari e il patrimonio della società. Ai sensi dell’art. 2410 c.c. il valore delle obbligazioni emesse non può esser superiore al capitale versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato; è evidente che tale limite inficiava l’economicità dell’operazione ed era in netto contrasto con il connotato di thin capitalization proprio del veicolo, il quale si trovava costretto a immobilizzare un capitale di importo pari all’emissione di strumenti finanziari andando incontro a costi eccessivamente elevati per portare a termine l’operazione di cartolarizzazione.

Il legislatore ha così previsto con l’art. 5, comma 2 l’inapplicabilità dei limiti quantitativi alla raccolta di risparmio tra il pubblico prescritti dalla normativa vigente, sancendo l’irrilevanza del rapporto tra indebitamento derivante dall’emissione e il patrimonio della società veicolo nel caso di operazioni di securitisation.

Altro ostacolo importante è il principio generale della responsabilità patrimoniale consacrato dall’art. 2470 c.c. per cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, rendendo evidente il conflitto esistente tra la normativa e l’esigenza di autonomia patrimoniale posta dalla tecnica di cartolarizzazione, infatti come si evince dall’art. 1, comma 1, lettera b, i sottoscrittori dei titoli non sono tutelati dal patrimonio della società emittente ma dai flussi finanziari provenienti dai pagamenti dei debitori ceduti. Il legislatore prevede, come ulteriore tutela ai sottoscrittori, a sancire con l’art 3, comma 1, l’esclusività dell’oggetto sociale delle Special Purpose Vehicle alla sola realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazioni, precludendo ogni altra e diversa attività imprenditoriale e la segregazione patrimoniale con dell’art. 3, comma 2, nel quale <<i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi>> portando al c.d. “limited recourse”,

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ossia l’esigibilità limitata dei crediti incorporati nei titoli emessi dalla società di cartolarizzazione.

Prendendo in considerazione l’art. 2 della legge n. 130/99 si può notare uno dei nodi problematici della legge: il comma 6, senza un’apparente motivazione, esclude la possibilità che il servizio di riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento, ovvero il servicing, possa esser reso da un cedente che non sia una banca o un intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’art. 106 del TUB, stabilendo una chiara limitazione soggettiva al soggetto servicer.

Tutto ciò è in contrasto con la prassi internazionale in materia di securitisation, in cui il contratto di servicing è pensato proprio per permettere all’originator, qualsivoglia natura abbia, di mantenere il rapporto con i debitori ceduti, propri clienti; invece suddetto comma va a minare l’operazione stessa e la sua convenienza economica.

All’articolo 2, poi si chiarisce la natura dei titoli emessi definendoli “strumenti finanziari” soggetti alle disposizioni del d.lgs n. 58/1998 (TUF). Nell’ambito del TUF, non è prevista una categoria a sé per i titoli che derivano dalle operazioni di cartolarizzazione ma vengono fatti rientrare nella categoria dei contratti derivati di credito, intesi come quella <<famiglia di contratti che ha per oggetto l’assunzione di un rischio di credito, senza peraltro trasferire il credito sottostante e senza ricorrere ad un negozio di garanzie reali o personali>>20.

La particolarità dei suddetti titoli sta nel fatto, come osserva Rucellai (1999), che il pagamento del capitale a scadenza e degli interessi risulta condizionato dal pagamento del capitale e degli interessi di un titolo di riferimento emesso da un terzo; determinando un’affinità molto stretta con i credit linked notes (titoli legati al credito). Inoltre ritiene che i titoli emessi dalle società di cartolarizzazioni non possano rientrare nella fattispecie delle obbligazioni, perché per quanto possa esser ampia questa categoria, essa presuppone che l’emittente risponda in proprio, con il proprio patrimonio, dei titoli emessi i quali restano titoli di massa (frazioni uguali di un prestito unitario).

Ulteriore argomento a sostegno della negazione della natura obbligazionaria dei titoli in questione si potrebbe trarre dalla disposizione dell’art. 6, com. 1, legge n. 130/99 la quale precisa che <<ai fini delle imposte sui redditi, ai titoli indicati nell’articolo 5 si applica lo stesso trattamento stabilito per obbligazioni emesse da società per azioni>>. Il bisogno di prevedere specificatamente l’applicabilità della disciplina tributaria cui sono soggetti i

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titoli obbligazionari ai titoli emessi dalla società di cartolarizzazione, dimostrerebbe che questi ultimi non sono riconducibili ai primi, dal momento che se così fosse, la disposizione presa in esame risulterebbe superflua.

L’art. 2 prosegue prevedendo l’obbligo per la società cessionaria o emittente (se diversa dalla cessionaria) di redigere un prospetto informativo fissandone il contenuto minimo nel caso in cui i titoli oggetto dell’operazione di cartolarizzazione siano offerti ad investitori professionali.

Il prospetto deve fornire indicazioni in merito ai soggetti che partecipano all’operazione in particolare con riferimento: al cedente, alla società cessionaria, ai soggetti incaricati di curare l’emissione e il collocamento dei titoli, la riscossione dei crediti ceduti e i servizi di cassa e di pagamento, e infine fornire eventuali rapporti di partecipazione tra il soggetto cedente e la società cessionaria21.

Tale documento, risponde alla funzione di garantire la trasparenza e l’informazione relativa ai principali rapporti giuridici ed economici sottostanti, rappresentando un significativo elemento di tutela degli investitori, i quali avranno a disposizione tutti gli strumenti atti per consentire una valutazione appropriata dell’operazione.

Nel caso invece, che l’offerta di collocamento sia rivolta al pubblico (art. 2, comma 4), l’operazione dovrà esser sottoposta a valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi (società di rating) e dovranno esser altresì osservati gli adempimenti prescritti dagli artt. 94 e ss. del TUF i quali fissano linee generali in ordine alle informazioni che il prospetto deve contenere22 e l’approvazione del suddetto da parte della Consob.

Ancora, la Consob con delibera n. 12175 del 1999 ha delineato, per gli operatori incaricati di esprimere il rating: i requisiti di professionalità, i criteri per assicurare l’indipendenza23 degli stessi e l’informazione sugli eventuali rapporti esistenti tra questi e i soggetti che a

21 V. art. 2, com. 3, legge n. 130/99.

22 In particolare si rinvia al comma 2 che cita <<Il prospetto contiene, in una forma facilmente

analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell'emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell'emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi recante i rischi e le caratteristiche essenziali dell’offerta>>.

23 Non viene concesso di effettuare la valutazione del merito creditizio agli operatori che: a)

controllano o sono controllati da uno dei soggetti che partecipano all'operazione; b) sono controllati dal medesimo soggetto che controlla uno dei soggetti che partecipano all'operazione; c) sono collegati ad uno dei detti soggetti.

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vario titolo prendono parte all’operazione, cercando di eliminare il problema del conflitto d’interesse.

Tema altrettanto discusso è l’opponibilità della cessione ai debitori cedenti (e ai terzi) che nella prassi civilistica italiana individua nella notifica al debitore ceduto un elemento essenziale per l’opponibilità della cessione (art. 1264 c.c.). Nell’ambito di operazioni di

securitisation risulta molto problematico effettuare la notifica alla pluralità di debitori che

normalmente vengono ceduti, così la legge n. 130/99, all’art. 4, comma 1, risolve prevedendo per le cessioni di crediti in operazioni di cartolarizzazione l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 58, commi 2, 3 e 4 del TUB. In questo modo, l’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti è a carico della società cessionaria (SPV) che ne deve dare notizia mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (contenente indicazioni sul cedente, cessionario e data di cessione), producendo così gli effetti di opponibilità civilistici; e ancora i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo a favore del cedente vengono compresi nella cessione conservando la loro validità a favore del cessionario senza bisogno di alcuna annotazione, alleggerendo così il costo di transazione, esonerandolo dall’onere di far annotare nei registri immobiliari l’avvenuto trasferimento a suo favore delle ipoteche costituite a garanzia dei crediti ceduti, nonché delle garanzie personali.

Per l’efficacia della cessione riguardo ai terzi il comma 2, dell’art. 4 prevede, in conformità alle esigenze di tutela degli investitori, che dalla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale non saranno più ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi.

Importante deroga alla disciplina fallimentare è contenuta nei commi 3 e 4 dell’art. 4, rispettivamente per ciò che concerne il fallimento dei debitori ceduti e quello dell’originator.

Si evince che i pagamenti effettuati dai debitori ceduti, dichiarati falliti, alla società cessionaria sono esenti da revocatoria fallimentare disposta dall’art. 67 della legge fallimentare; invece i pagamenti effettuati dal cedente, dichiarato fallito, alla società veicolo rimangono soggetti a revocatoria, prevedendo una riduzione dei termini di azione, sostituendo due e un anno con sei ed a tre mesi.

Nell’ultimo caso, la revoca sarà diretta a dichiarare la cessione inefficacia, raggiungibile solo a condizione che il curatore provi che il cessionario era o avrebbe dovuto essere a

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conoscenza dello stato di insolvenza del cedente. L’obiettivo di tali disposizioni è quello di isolare il rischio del portafoglio da quello del cedente e del cessionario, in quanto la segregazione dei crediti ceduti rappresenta uno degli scopi fondamentali dell’operazione. Un altro fattore che ha contribuito come incentivo all’avvio in Italia delle operazioni di

securitisation è stata la previsione di disposizioni fiscali e di bilancio molto agevolate.

Per quanto riguarda il regime fiscale, i titoli emessi vengono equiparati alle obbligazioni emesse dalle società per azioni con azioni negoziate nei mercati regolamentati italiani e titoli similari (art. 6, comma 1, legge n. 130/99). Ne deriva l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 12,50% ai sensi del decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239. La disciplina contabile e fiscale transitoria per le operazioni di cartolarizzazione effettuate entro due anni dall’entrata in vigore della legge in commento, viene affrontata nel terzo e quarto comma prevendo che: le perdite di valore sugli attivi ceduti, sulle garanzie rilasciate e sugli accantonamenti effettuati a fronte delle garanzie, possono essere imputati direttamente alle riserve patrimoniali e devono essere trasferiti al conto economico a quote costanti nell’esercizio in cui è stata effettuata l’operazione e nei quattro anni successivi; in modo tale da prevedere la possibilità di distribuire nel tempo tali costi. Come ultimo articolo (art. 7) la legge prevede l’applicazione delle disposizioni, nei limiti della comparabilità, anche alle operazioni di sub-participation (com. 1, lett. a) e la cessione dei crediti a fondi comuni di investimento (com. 1, lett. b).

Le operazioni di sub-participation, di frequente utilizzo nella prassi anglosassone, si sostanzia in una duplice operazione di finanziamento: una, posta in essere dai sottoscrittori dei titoli a favore della SPV, l’altra, effettuata dal veicolo a favore dell’originator. Il veicolo emettendo titoli, ottiene denaro necessario per finanziare l’originator e quest’ultimo, ricevuto il finanziamento, si obbliga a restituirlo alla società emittente e, per suo tramite, ai portatori dei titoli riservando loro i flussi di cassa provenienti da un portafoglio di crediti specificatamente individuato, facente parte del patrimonio dell’originator stesso24. In questa operazione non avviene nessuna cessione,

per questo motivo il secondo comma dell’art. 7 precisa che <<i richiami al cedente e al cessionario devono intendersi riferiti, rispettivamente, al soggetto finanziato e al soggetto finanziatore>> perché interviene un accordo autonomo tra i due, cui il debitore rimane estraneo.

24 G. Guerrieri, Commento sub. Art. 7, in A. Maffei Alberti (a cura di), Commento alla legge 30 aprile 1999, n. 130. Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti, in Nuove leggi civili commentate, n. 5, 2000, p. 997 ss.

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Le disposizioni presenti invece alla lett. b) prevedono come possibile schema di cartolarizzazione <<le cessioni a fondi comuni di investimento, aventi per oggetto crediti, costituiti ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58>>. In tal modo, viene introdotta anche in Italia (presente già in Francia e Spagna) la possibilità di articolare l’operazione mediante la costituzione di un fondo comune chiuso, ovvero un patrimonio autonomo privo di personalità giuridica, avente natura di comproprietà tra i sottoscrittori delle quote di partecipazione al fondo, gestito da intermediari specializzati dotati di personalità giuridica alla stregua dell’articolo 39 del TUF. La cartolarizzazione degli attivi avviene, in questa ipotesi, mediante l’emissione delle quote del fondo (le quali costituiscono valori mobiliari negoziabili) sul mercato di capitali.

È indubbio che la legge in commento sia un passo in avanti per lo sviluppo del marcato delle cartolarizzazioni, tuttavia risulta ancora a tratti lacunosa, come per quanto riguarda la mancanza di una disciplina specifica per la cartolarizzazione sintetica e repackaging. Difatti il mercato italiano della cartolarizzazione è contraddistinto dalla presenza di

securitisation di tipo tradizionale, mentre hanno trovato sporadica diffusione le

operazioni più innovative.

Degno di nota, allora, è l’introduzione dell’art. 7-bis25 che disciplina l’emissione dei covered bond sul mercato italiano. Il nuovo articolo accompagnato dal Regolamento di

attuazione adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze con decreto n. 310 del 14 dicembre 2006, ha reso realizzabile l’emissione di covered bond, i quali potrebbero affermarsi come valida alternativa alle cartolarizzazioni tradizionali, rispondendo all'esigenza di contenere i costi della provvista e di conseguire vantaggi regolamentari. La scelta del legislatore di adottare un “ritaglio normativo”, nell’ambito della disciplina delle cartolarizzazioni non deve indurre a sostenere l’identicità delle due operazioni ma ha il preciso scopo di estendere alle obbligazioni garantite la normativa sulla separazione patrimoniale di cui alla legge n. 130/9926.

Nella prassi più comune un’operazione di covered bond consiste nella cessione da parte dell’originator di una fetta del proprio attivo patrimoniale a una società veicolo, la quale richiederà un finanziamento alla banca cedente per l’acquisto degli assets trasferiti, e

25 Modifica della legge n. 130/99 introdotta dall'articolo 2, comma 4-ter del Decreto Legge 14

marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, recante disposizioni in materia di obbligazioni bancarie garantite.

26 P. Messina, Profili evolutivi della cartolarizzazione. Aspetti di diritto pubblico e privato dell’economia, Giappichelli Editore, Torino, 2009, p. 168.

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questa otterrà il denaro dopo che la banca stessa avrà emesso delle obbligazioni garantite sul mercato, i cosiddetti covered bond.

La normativa, a differenza di quanto previsto per le operazioni di cartolarizzazione, delinea gli attivi oggetto di cessione, individuando tre categorie: i crediti fondiari e ipotecari, i crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni o garantiti dalle medesime, anche individuabili in blocco, nonché i titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti della medesima natura.

Si dispone, che sia un’operazione riservata a banche, le quali devono rispettare i criteri previsti dalle Disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia del 15 maggio 2007 recante <<Disciplina delle obbligazioni bancarie garantite>>. In particolare le banche emittenti devono esser dotate di elevata patrimonializzazione27 in considerazione delle specifiche caratteristiche del mercato dei covered bonds e dell'esigenza di tutelare i creditori diversi dai portatori delle obbligazioni garantite, dato che per i primi la garanzia patrimoniale viene attenuata per effetto della cessione di attivi bancari di elevata qualità.

L’emissione è sottoposta al rispetto del rapporto massimo tra obbligazioni bancarie garantite e attività cedute, ovvero la banca emittente deve assicurare in ogni momento al portatore dei titoli che il valore dei covered bond in suo possesso non sia superiore a quello delle attività, se così non fosse la banca emittente dovrà procedere al reintegro delle attività cedute per riportare il rispetto dell’obbligo. Per stabilire in concreto se il rapporto massimo venga o meno rispettato, il legislatore con l’art. 3, del d. m. n. 310/2006 fornisce tre diversi parametri, ciascuno dei quali dovrà essere distintamente osservato.28 Il tratto caratteristico dei covered bond è la prestazione di garanzia da parte della società cessionaria, di cui si occupa specificatamente l’art. 4 del Regolamento di attuazione ove si legge che <<La garanzia, nei limiti del patrimonio separato, è irrevocabile, a prima

27 La Disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia del 15 maggio 2007, Sez. II, par. 1 dispone

che le banche emittenti e/o cedenti l'emissione di obbligazioni garantite devono far parte di gruppi bancari aventi i seguenti requisiti: i) un patrimonio di vigilanza consolidato non inferiore a 500 milioni di euro; e ii) un coefficiente patrimoniale complessivo a livello consolidato non inferiore al 9%. Nel caso di banche non appartenenti a un gruppo bancario, i requisiti sono riferiti rispettivamente al patrimonio di vigilanza e al coefficiente patrimoniale complessivo individuale.

28 i) il valore nominale complessivo delle attività incluse nel patrimonio separato deve essere

almeno pari al valore nominale delle obbligazioni bancarie garantite in essere; ii) il valore attuale netto delle attività incluse nel patrimonio separato deve essere almeno pari al valore attuale netto delle obbligazioni bancarie garantite in essere; iii) i proventi generati dagli attivi inclusi nel patrimonio separato, al netto dei costi della banca cessionaria, devono essere sufficienti a coprire gli interessi e i costi dovuti sulle obbligazioni bancarie garantite, tenendo anche conto degli eventuali contratti derivati di copertura del rischio legati all’operazione.

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richiesta, incondizionata ed autonoma rispetto alle obbligazioni assunte dalla banca emittente>>.

“L’irrevocabilità” si riferisce all’impossibilità di far cessare la garanzia prima della scadenza del prestito, per volontà della cessionaria; “incondizionata” ovvero non sottoposta a condizione e immediatamente escutibile senza bisogno che i creditori diano alcuna prova in merito alla sussistenza dei presupposti per richiederla; ed “autonoma” rispetto alle obbligazioni emesse dalla banca emittente.

Quanto alle disposizioni in materia fallimentare, viene richiamata l’applicazione dell’art. 4 comma 3 e 4 in modo tale da isolare sia il finanziamento subordinato concesso dalla banca cedente al veicolo, sia la garanzia prestata dal veicolo a favore dei sottoscrittori, dalla possibilità della revocatoria fallimentare.

Le operazioni in questione presentano una struttura molto articolata e rilevanti profili di responsabilità, pertanto è previsto un organo di controllo denominato “asset monitor”: società di revisione chiamata a vigilare sulla regolarità dell’operazione con le disposizioni di legge, sull’integrità delle garanzie e a redigere annualmente un’apposita relazione di controllo valutando l’impatto dell’operazione sull’equilibrio economico-patrimoniale della banca.

Si vuole evidenziare che la legge n. 130/99 ha rimosso molti vincoli conseguendo all’effetto positivo di sviluppare un nuovo mercato, quello dei crediti. Al di là delle limitazioni, sicuramente riscontrabili nel disposto legislativo (tra le quali vi è da segnalare la mancata previsione di agenzie governative in grado di sollecitare e garantire operazione di cartolarizzazione), occorre riconoscere come nel complesso questa sia una “buona

legge”, che però deve essere considerata non certo quale punto di arrivo, bensì di partenza

per la crescita del mercato finanziario italiano, finalizzata dunque ad intensificare quanto più possibile il riscorso a tali operazioni e a consentire all’Italia di competere maggiormente con altri sistemi industrializzati.

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1.2.2 Decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016 (Garanzia

Cartolarizzazione Sofferenze)

Il Decreto legge n. 18 del 14 febbraio 201629 (in seguito Decreto-Legge) successivamente convertito in legge 8 aprile 2016, n.49, apporta tra le altre cose, la GACS ovvero lo Schema di garanzie pubbliche sulle cartolarizzazioni di prestiti in sofferenza, che contribuirà ad agevolare le banche nelle attività di smobilizzo dei crediti deteriorati e facilitare lo sviluppo di un mercato italiano dei non performing loans, nell’ambito di operazioni di securitisation ai sensi della legge n. 130/99.

La GACS formalizza l’accordo raggiunto il 26 gennaio 2016 tra il Governo italiano e la Commissione Europea per risolvere il grave problema degli NPLs (Non Performing

Loans). Si stima che l’incidenza dei crediti in sofferenza sul totale crediti emessi dagli

istituti di credito italiani sia del 17%, soglia molto superiore alla media europea che si aggira intorno al 6%. Da qui nasce la necessità del Governo italiano di trovare un’intesa per lo smaltimento dei crediti inesigibili e lo strumento risolutivo che viene scelto è la cartolarizzazione; così dopo anni di forti critiche, l’operazione di cartolarizzazione viene finalmente rivalutata e nuovamente considerata tecnica finanziaria virtuosa ed efficiente. Le disposizioni del Decreto-Legge delineano in dettaglio le caratteristiche strutturali delle operazioni di cartolarizzazione per le quali si intende richiedere l’intervento della garanzia, disciplinando: il prezzo di cessione, il tranching, la struttura finanziaria dei titoli, il rating, il pagamento degli interessi ed il rimborso del capitale, nonché l’ordine di priorità dei pagamenti (aspetti che verranno approfonditi nel capitolo terzo).

In data 3 agosto 2016, conformemente a quanto previsto all’articolo 13 del Decreto-Legge, viene approvato il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze (nel prosieguo Decreto), con cui sono state introdotte le regole di attuazione della disciplina, in modo da ristringere la possibilità di asimmetrie informative.

Si tratta di una impostazione molto diversa rispetto a quella seguita dal legislatore con la legge n.130/99; la ratio è evidente: creare uno schema di operazione definito, predeterminato, che permetta al relativo garante di valutare e analizzare rapidamente l’operazione proposta dagli originators.

29 Decreto-Legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 15 febbraio 2016 e in vigore dal 19

febbraio 2016 recante “Misure urgenti concernenti le riforme delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”.

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In breve, lo Schema prevede la concessione di garanzie dello Stato nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione che hanno come sottostante crediti in sofferenza. La garanzia viene rilasciata solo per i titoli senior valutati investment grade a fronte del pagamento di una commissione periodica al prezzo di mercato.

Per l’intervento della GACS è stato istituito un apposito Fondo presso il Ministero dell’economia e delle finanze, affidato alla CONSAP con una dotazione di euro 120 milioni per l’anno 2016, ulteriormente alimentato dai corrispettivi annui delle garanzie di volta in volta concesse.

Il Commissario UE Vestager in una dichiarazione spiega che il meccanismo messo a punto, insieme ad altre riforme già adottate o da attuare (trasformazione delle maggiori banche popolari in società per azioni, riforma delle fondazioni bancarie, semplificazione delle procedure di recupero crediti e delle procedure di insolvenza per ridurre i tempi, adeguamento allo standard europeo del trattamento fiscale delle svalutazioni, la prossima riforma delle banche di credito cooperativo) permetterà di rinforzare il settore bancario e di supportare le banche italiane nel fornire maggior credito all’economia reale.

1.3

La Vigilanza prudenziale: da Basilea 2 a Basilea 3

Le linee guida riguardanti i requisiti patrimoniali e prudenziali degli istituti di credito vengono concordati a livello internazionale dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria30 (BCBS). Il Comitato di Basilea è il principale organismo di definizione degli standard internazionali per la regolamentazione prudenziale del settore bancario e fornisce una sede per la cooperazione. Il suo mandato consiste nel rafforzare la regolamentazione, la vigilanza e le prassi bancarie a livello mondiale allo scopo di accrescere la stabilità finanziaria.

Dalla sua istituzione, il Comitato di Basilea ha raggiunto tre principali accordi denominanti rispettivamente Basilea 1, Basilea 2 e Basilea 3. Ognuna delle quali definisce l’assetto della vigilanza prudenziale cui le banche dei diversi paesi sono chiamate ad attenersi. Le norme dettate da Basilea devono esser poi recepite nei singoli Stati e di conseguenza possono essere oggetto di modiche e/o integrazioni. A livello europeo il

30 Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (BCBS) è un'organizzazione internazionale

istituita dai governatori delle Banche Centrali dei dieci paesi più industrializzati (G10) alla fine del 1974 e opera sotto il patrocinio della Bank for International Settlements (BIS), la più antica organizzazione finanziaria internazionale del mondo.

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recepimento avviene attraverso le direttive comunitarie, i cosiddetti CRD package (Capital Requirements Directive) che mirano a porre in essere un quadro regolamentare globale e a favorire il miglioramento della gestione del rischio tra le istituzioni finanziarie (risk sensitive).

La disciplina contenuta nelle direttive richiede, a sua volta, di essere recepita nelle fonti di diritto nazionali, e ai sensi del Testo Unico Bancario il recepimento in Italia è di competenza della Banca d’Italia che dovrà emettere apposite Circolari tenendo conto degli standard internazionali del Comitato di Basilea, degli orientamenti e raccomandazioni dell’EBA31, dei risultati delle analisi d’impatto e delle consultazioni

condotte. Di fronte, invece, a regolamenti comunitari (CRR nella fattispecie), questi sono direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali senza aver bisogno del suo recepimento.

Il quadro regolamentare dettato da Basilea rappresenta, come già sottolineato, un vincolo importante e significativo che incide sulle scelte che le banche compiono, anche con specifico riferimento alle cartolarizzazioni, ovvero, le banche (originator) decidono di cartolarizzare o investire (investment bank) in titoli derivanti da cartolarizzazioni anche in funzione dell’impatto che queste decisioni hanno sui requisiti minimi di capitale. Una prova evidente è stata fornita in passato dal primo accordo di Basilea del 1988, il quale dava ampio spazio ad arbitraggi regolamentari, infatti sfruttando le rigidità presenti all’interno di Basilea 1, dove le ponderazioni per il rischio erano fisse e determinate in funzione della natura dell’attività considerata piuttosto che dalla sua effettiva rischiosità, le banche cartolarizzavano le attività meno rischiose, che quindi venivano traferite all’estero, per mantenere in portafoglio le attività di qualità peggiore (però con maggior margine di rendimento), senza che ciò determinasse penalizzazioni in termini di capitale regolamentare richiesto32.

31 European Banking Authority (EBA) fondata il 1 gennaio 2011 e prende parte nel European System of Financial Supervision (ESFS). L’EBA è un'autorità europea indipendente che opera per garantire un’effettiva, coerente regolamentazione prudenziale e la supervisione di tutto il settore bancario europeo. I suoi obiettivi principali sono: mantenere la stabilità finanziaria nell'EU e la salvaguardia dell'integrità, efficienza e il regolare funzionamento del settore bancario. Il compito principale del EBA è quello di contribuire alla creazione di un European Single Rulebook nel settore bancario e quindi fornire un unico insieme di norme prudenziali armonizzate per le istituzioni finanziarie in tutta l'EU. L'Autorità svolge anche un ruolo importante nel promuovere la convergenza delle pratiche di vigilanza e ha il compito di valutare i rischi e le vulnerabilità del settore bancario europeo. Disponibile www.eba.europa.eu/about-us .

32 M. Mazzuca, Cartolarizzazioni bancarie in Italia. Nuove frontiere dopo la crisi, Egea, Milano,

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La cornice normativa entro cui si è sviluppato il mercato della cartolazione è da assegnare a Basilea 2 (BCBS, 2006) che definisce per la prima volta le regole di calcolo del requisito di capitale per le esposizioni verso le cartolarizzazioni, che saranno presto modificate con il pacchetto di Basilea 2.5 (BCBS, 2009 e 2009b) ponendosi come prima risposta all’irrompere della crisi finanziaria 2007-2008, la quale vede come attore principale l’utilizzo distorto dei prodotti cartolarizzati e delle operazioni di ri-cartolarizzazione (cartolarizzazione di posizioni verso cartolarizzazioni), portando alla luce debolezze e lacune della normativa vigente.

La cartolarizzazione comporta, per sua natura, il trasferimento a terzi della proprietà e/o del rischio associati alle esposizioni creditizie dell’originator e il trattamento a fini prudenziali di queste esposizioni è dato dalla previsione di requisiti patrimoniali che prendono in considerazione l’entità del rischio trattenuto o assunto dalla banca e il ruolo ricoperto nell’operazione.

La distinzione del ruolo è funzionale all’applicazione di diverse ponderazioni di rischio per pari esposizioni da cartolarizzazione, così si definisce originator la banca che origina direttamente o indirettamente le esposizioni cartolarizzate e investitrice la banca che assume il rischio economico di un’esposizione derivante da cartolarizzazione senza essere

originator.

Prima di procedere all’esposizione degli approcci per la determinazione dei requisiti di capitale è degno di nota le modifiche delle disposizioni in tema di retention rule e di obblighi di due diligence per l’investitore e l’originator apportate alla direttiva 2006/48/CE (CDR I) dal CRD II (direttive 2009/27/CE, 2009/83/CE e 2009/111/CE). Modifiche che sono state recepite nell’ordinamento italiano nel settimo aggiornamento del 28 gennaio 2011 della Circolare n. 263 di Banca d’Italia del 27 dicembre 2006. La nuova disposizione in tema di retention rule si propone di eliminare disallineamenti di interessi tra i soggetti a vario titolo, coinvolti nelle operazioni di cartolarizzazione (originator/promotore ed investitori), attraverso l’impegno del cedente a mantenere una quota di rischio nell’operazione, il cosiddetto “interesse economico netto”.

Tale obiettivo viene perseguito attraverso l’introduzione di un obbligo diretto posto a carico degli investitori di astenersi da effettuare investimenti in operazioni di cartolarizzazione nelle quali il cedente non abbia comunicato di volere mantenere, su base continuativa, l’interesse economico netto pari almeno al 5% del valore nominale delle

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23

attività cartolarizzate. Per ciascuna cartolarizzazione, è sufficiente che uno solo tra cedente e promotore rispetti l’obbligo di retention.

La Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 122-bis della CRD II, ripropone le quattro tipologie33

disciplinate dalla direttiva per assolvere alla retention rule:

a) mantenimento di una quota almeno pari al 5% del valore nominale di ciascuna

tranche ceduta o trasferita agli investitori;

b) nel caso di cartolarizzazione di attività rotative, mantenimento di “ragioni di

credito del cedente” in misura almeno pari al 5% del valore nominale delle attività

cartolarizzate;

c) mantenimento di esposizioni di ammontare almeno pari al 5% del valore nominale delle attività cartolarizzate, qualora tali esposizioni possano rientrare nel medesimo portafoglio cartolarizzato34;

d) mantenimento della tranche che copre la “prima perdita” e, se necessario, di altre

tranches aventi profilo di rischio uguale o peggiore e scadenza non anteriore a

quella delle tranches trasferite a terzi, in misura almeno pari al 5% del valore nominale delle attività cartolarizzate.

L’elenco fornito non ha natura tassativa, infatti il cedente o promotore possono mantenere l’interesse economico netto anche con modalità equivalenti a quelle previste, ad esempio tramite la stipula di contratti derivati o lettere di credito. In tale caso, il cedente o il promotore comunicano, oltre al mantenimento dell’interesse economico netto, la specifica modalità adottata, la relativa metodologia di calcolo e le motivazioni che giustificano l’equivalenza rispetto ad una delle opzioni espressamente specificate dalle lettere da a) a d), in modo tale da eliminare la possibilità che si possa vanificare l’effettiva assunzione di una quota di rischio nella misura del 5%.

La modalità di mantenimento dell’interesse economico netto può avvenire sostanzialmente in due modi: con la mancata cessione di una quota parte del portafoglio

33 Lettere a), b), c) e d), par. 1, Sezione VI, Parte Seconda, Capitolo 2, Titolo II della Circolare n.

263/2006.

34 Le esposizioni da mantenere sono selezionate con un processo casuale nell’ambito di un pool

di attività composto da almeno 100 esposizioni, individuato in base ad elementi di natura qualitativa e quantitativa. I criteri utilizzati per la selezione delle esposizioni da mantenere devono essere chiaramente comunicati agli investitori ai fini del rispetto degli obblighi di due diligence di cui alla Sezione VII. L’utilizzo di questa opzione è ammesso a condizione che il portafoglio di attività cartolarizzate sia connotato da adeguata granularità e le attività selezionate non risultino eccessivamente concentrate. Una volta selezionate, le esposizioni non possono essere sostituite, salvo che nel caso di cartolarizzazioni rotative.

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24

di crediti oggetto della cartolarizzazione o con la sottoscrizione di una quota parte dei titoli emessi dalla società veicolo.

Per quanto riguarda la misurazione e la copertura dell’interesse economico netto, la Banca d’Italia stabilisce che tale valore venga calcolato all’inizio della transazione e sia mantenuto su base continuativa. Nel corso dell’operazione non è, di norma, necessario integrare il valore dell’interesse economico netto, a condizione che la riduzione della quota retention dipenda dal fisiologico ammortamento delle attività mantenute. Prevede inoltre che la quota mantenuta non sia oggetto di copertura del rischio di credito, né venga trasferita a terzi.

Un efficace assetto organizzativo rappresenta un presupposto imprescindibile per garantire la consapevole assunzione dei rischi da parte della banca e un’adeguata analisi del relativo impatto sugli equilibri economico patrimoniali. (Circolare n. 263/2006)

Con riferimento alla definizione dei requisiti organizzativi richiesti agli intermediari coinvolti nelle operazioni di cartolarizzazione, in coerenza con quanto disposto dall’art. 122-bis, comma 4, della CRD II, le istruzioni di Banca d’Italia in tema di informativa e di due diligence si rivolgono sia agli investitori sia al cedente/promotore dell’operazione. In particolare, per i primi, è stabilito un formale divieto di assumere posizioni verso operazioni di cartolarizzazione per le quali non si disponga o si ritenga di non disporre di informazioni sufficienti a rispettare gli obblighi di due diligence.

Prima di assumere posizioni verso ciascuna operazione di cartolarizzazione, la banca investitrice svolge un’analisi approfondita e indipendente su ciascuna operazione e sulle esposizioni ad esse sottostanti, volta ad acquisire piena conoscenza dei rischi cui è esposta o che andrebbe ad assumere. In particolare, effettua un’analisi approfondita: l’accertamento del rispetto delle nuove disposizioni in tema di retention rule, l’analisi delle caratteristiche del profilo di rischio di ciascuna posizione, delle relative attività sottostanti e l’andamento di precedenti operazioni di cartolarizzazione aventi caratteristiche simili nelle quali sia coinvolto il medesimo cedente/promotore. Le banche investitrici maggiormente attive35 nel comparto poi sono tenute a effettuare regolarmente

35 Ai fini di tale qualificazione le banche tengono conto, ad esempio <<l’ammontare e frequenza

delle operazioni realizzate e il valore ponderato di tutte le posizioni verso la cartolarizzazione detenute rispetto al totale dell’attivo ponderato per il rischio>> vedi Banca d’Italia, Resoconto della Consultazione delle Disposizioni di vigilanza in materia di operazioni di cartolarizzazione, 2010, in ambito di Recepimento CDR II: modifiche alle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE.

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prove di stress36 sulle posizioni detenute verso la cartolarizzazione. Le banche effettuano

le attività esaminate con cadenza almeno annuale nell’ambito del processo ICAAP e, in via straordinaria, al verificarsi di eventi in grado di incidere sull’operazione o a causa di cambiamenti delle proprie strategie in materia di cartolarizzazioni.

Nel caso in cui l’investitore non rispetti gli obblighi di due diligence, la Banca d’Italia può imporre l’applicazione di un fattore di ponderazione aggiuntivo non inferiore al 250% sulle posizioni di cartolarizzazione detenute che di norma è applicato per un periodo non inferiore a un anno e in ogni caso il fattore risultante non può essere superiore al 1.250%. Per la definizione del fattore di ponderazione aggiuntivo Banca d’Italia considera: la rilevanza e la persistenza della violazione, l’efficacia e la tempestività delle azioni correttive poste in essere dalla banca nonché la casistica rappresentata dalle operazioni esentate. Per quanto riguarda, invece, gli obblighi imposti al cedente/promotore relativi all’informativa, le istruzioni di Banca d’Italia stabiliscono che la banca comunichi tutte le informazioni necessarie a consentire il rispetto degli obblighi di due diligence e il monitoraggio da parte degli intermediari, e che queste siano rese disponibili all’inizio dell’operazione e per tutta la durata della stessa. L’inosservanza dei requisiti comporta il mancato riconoscimento dell’operazione ai fini prudenziali.

Le informazioni che sono di natura sia quantitativa (ammontare effettivo dell’interesse economico netto mantenuto) sia qualitativa, possono essere rese note con la pubblicazione (portando a conoscenza anche soggetti estranei all’operazione) o con comunicazione diretta ai soggetti interessati.

Tuttavia, le disposizioni di vigilanza non chiarisco se l’informativa (e quindi anche la due

diligence) debba realizzarsi “globalmente”, ovvero per l’insieme generale delle posizioni

verso la cartolarizzazione o “loan by loan”, ossia per ciascuna singola posizione nell’operazione37. Banca d’Italia in sede di consultazione chiarisce <<per i portafogli

caratterizzati da elevata granularità le informazioni possono riguardare l’insieme delle posizioni oggetto di cartolarizzazione. Resta fermo che le informazioni rese devono in ogni caso consentire al soggetto che assume posizioni nella cartolarizzazione piena

36 Per l’individuazione delle prove di stress da effettuare, le banche si attengono ai princìpi

richiamati nella disciplina relativa al processo di valutazione aziendale dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP) presente nella Sezione II, Capitolo 1, Titolo III, Circolare n. 263/2006.

37 F. Battaglia, Quale futuro per la cartolarizzazione dopo la crisi finanziaria?, Franco Angeli,

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