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Il lavoro agile

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Academic year: 2021

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Indice

Prefazione

Introduzione del lavoro agile

1.1 Il lavoro agile in Italia nella dimensione della quarta rivoluzione industriale 1.2 Questioni definitore: lavoro agile o smart working?

1.3 Gli ambiti di applicazione del lavoro agile

1.4 Dal lato della subordinazione: i contenuti dell’accordo

Discipline a confronto: lavoro agile, coordinato e telelavoro 2.1 Il telelavoro

2.2 Dal telelavoro al lavoro agile: analogie e differenze

2.3 La fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa

2.4 Possibili interferenze tra lavoro agile e collaborazione coordinata e continuativa

Lavoro agile: infortuni e malattie professionali, quale sicurezza? 3.1 Dal d.lgs 626/1994 al d.lgs 81/2008, i cambiamenti

3.2 La tutela della salute e sicurezza del lavoratore agile nella legge n.81/2017 3.3 Verso un concetto più dinamico di luogo di lavoro

3.4 Il fenomeno “always on” e il diritto alla disconnessione nella legislazione italiana e francese

Potere di controllo e disciplinare nel lavoro agile 4.1 La disciplina del controllo. Legge 300/1970 4.2 Gli strumenti di controllo del lavoratore agile

4.3 I nuovi limiti all’esercizio del potere di controllo a distanza

4.4 Provvedimenti disciplinari e comportamenti disciplinarmente rilevanti Applicazione pratica del lavoro agile

5.1 L’esperienza delle aziende pioniere 5.2 Smart workers – smart companies

5.3 Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva 5.4 Lavoro agile nella pubblica amministrazione 5.5 Conclusioni

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Prefazione

Come noto, lo sviluppo delle tecnologie digitali ha permesso la diffusione di alcune nuove forme di organizzazione del lavoro che consentono di effettuare la prestazione lavorativa al di fuori dai normali luoghi di lavoro, con orari flessibili o con la sostituzione della forza lavoro fisica con attività digitalizzate e standardizzate. Questa forma di lavoro c.d. agile (o smart) ─ sfruttando i benefici derivanti dall’impiego degli strumenti dell’I.T.C. ─ consente alle aziende moderne di ottenere una maggiore flessibilità lavorativa ed una notevole capacità di adattamento ai cambiamenti del mercato. Per tali ragioni, la modalità di lavoro agile rappresenta, oggi, il fondamento di quella che è stata definita “quarta rivoluzione industriale”.

Già da qualche anno molte aziende italiane, prendendo le mosse da varie iniziative promosse a livello europeo, hanno avviato le sperimentazioni sul lavoro agile, facendo riferimento alle sole indicazioni contenute in alcuni regolamenti e accordi aziendali che, anticipando il legislatore, promuovono

“di fatto” questa modalità di lavoro. In considerazione dei cambiamenti in

atto nell’organizzazione del lavoro, che risulta sempre più smart e agile, il legislatore (seppur in leggero ritardo rispetto agli altri paesi europei) ha aggiornato il quadro regolatorio, con l’intento di adeguarlo al nuovo scenario economico e produttivo. E così, il Parlamento ─ dopo un complesso iter legislativo ─ ha definitivamente approvato il testo finale della Legge 22 Maggio n. 81/2017 contenente (oltre alle disposizioni in tema di lavoro autonomo) alcune importanti misure in materia di lavoro agile.

Allo scopo di fornire un contributo sul tema, il presente studio si suddivide in cinque parti: in primo luogo ho introdotto e contestualizzato la fattispecie del lavoro agile, ho provato a darne una definizione univoca e omnicomprensiva

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anche dal punto di vista del concetto di subordinazione, affrontando così i contenuti dell’accordo e l’ambito di applicazione; successivamente ho voluto confrontare la disciplina del lavoro agile con quelle relative alla collaborazione coordinata e continuativa e del telelavoro; si giunge poi al cuore dello studio avente ad oggetto quelli che possono essere definiti i nodi critici della normativa sul lavoro agile cioè la tutela della salute e sicurezza e il potere di controllo e disciplinare; infine ho esaminato l’applicazione pratica del lavoro agile fin da prima dell’entrata in vigore della L. 81/2017 passando quindi dalle aziende c.d. pioniere nel settore privato, alla successiva introduzione del lavoro agile anche nel pubblico impiego; nell’ultima parte ho analizzato i punti di forza, i benefici dell’innovazione tecnologica nel mondo del lavoro e ho fornito le mie conclusioni dove ho cercato di tirare le fila delle argomentazioni esposte, ricercando un significato al mio lavoro di ricerca.

RINGRAZIO:

Il Professore Oronzo Mazzotta per avermi consigliato la trattazione di una tematica rilevante e innovativa quale il lavoro agile.

Il Dott. Raffaele Galardi per avermi guidato nello sviluppo della trattazione e nella individuazione degli aspetti peculiari del lavoro agile.

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Capitolo 1

Introduzione del lavoro agile.

Sommario : 1.1 Il lavoro agile in Italia nella dimensione della 4° rivoluzione industriale; 1.2 Questioni definitore: lavoro agile o smart working?; 1.3 Gli ambiti di applicazione del lavoro agile; 1.4 Dal lato della subordinazione: i contenuti dell’accordo.

1.1 Il lavoro agile in Italia nella dimensione della 4°

rivoluzione industriale.

Il mondo del lavoro si sta dirigendo verso la più ampia flessibilità e il lavoro agile ─ disciplinato negli artt.18-24 della l. n. 81/17 ─ costituisce un fondamentale passo verso la maggiore conciliazione tra vita lavorativa e privata. L’orizzonte socio-economico nel quale si situa il lavoro agile è quello riferibile alla quarta rivoluzione industriale. Essa consiste in un processo di digitalizzazione delle attività industriali che si sviluppa intorno a sistemi cyber-fisici, ovvero composizioni complesse di macchine, oggetti fisici e virtuali, dispositivi di comunicazione (attivi o passivi, interagenti fra loro e talora con operatori umani tramite immagini e segnali sonori), pienamente integrati. L’infrastruttura basilare di questa composizione è il sistema che gestisce, in ogni fase del processo di valorizzazione (produzione, distribuzione, consumo), la raccolta e l’elaborazione della massa di dati

prodotti nel processo stesso.1 L’aspetto più rilevante di questa transizione

tecnologica è l’incremento della possibilità di lavorare da remoto. Lungi dall’essere una rivoluzione pienamente programmata e preordinata, industria

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5 4.0 è un quadro di trasformazioni che risulta dalla convergenza ─ gestita

attraverso decisioni ─ fra conoscenze, dispositivi e soluzioni in larga parte “ereditati”. Si coglie chiaramente una linea di continuità rispetto a tecnologie

e a soluzioni organizzative sperimentate già dagli anni ottanta.2 Era il 1975

quando Bill Gates e Paul Allen decisero di abbandonare gli studi e fondare la

Microsoft Company. Un anno dopo nasceva la Apple di Steve Jobs e Steve

Wozniak. Si diede inizio all’alfabetizzazione informatica e i computer, da grossi elaboratori per centrali di calcolo, furono ridotti di dimensioni e di costo diventando “Home computer” e “Personal Computer”. Anche l’Italia ha contribuito alla nascita ed allo sviluppo dei sistemi informatici. Basti pensare alla grande Olivetti che, nella seconda metà degli anni ’80, era il terzo produttore mondiale di calcolatori elettronici nonché il primo in Europa. In quegli anni iniziò l’era della rivoluzione digitale nella società e nelle imprese. La percezione delle possibilità era illimitata: tutto accessibile da tutti. Un cambiamento rispetto alla modalità di collaborazione e di accesso alle informazioni, che ha portato l’informatica al centro dei processi di lavoro e dei modelli di organizzazione. In questo contesto si inserisce il lavoro agile. Infatti uno dei grandi vantaggi offerti dalla tecnologia è la possibilità di lavorare a distanza, in viaggio, da casa o più in generale, da un posto diverso della solita postazione lavorativa dell’ufficio, consentendo di organizzare la propria attività negli spazi ritenuti più idonei. I tre grandi pilastri tecnologici principali che facilitano una modalità di lavoro agile sono: il cloud, le tecnologie per la collaborazione da remoto e gli hardware che permettono l’accesso in mobilità. Il primo strumento indicato necessita di ulteriori approfondimenti. Si tratta di un sistema definito Cloud Computing (in italiano Nuvola Informatica), dove i dati o le applicazioni non sono fisicamente in azienda ma residenti in infrastrutture remote i cui dati e servizi sono messi a

2

A. Salento, Industria 4.0, imprese, lavoro. Problemi interpretativi e prospettive, in Lav. prev. sociale, 2017, parte I, p. 175.

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disposizione di tutti gli utenti connessi alla rete. Sarà sempre necessaria una raggiungibilità sia hardware che software per introdurre il lavoro agile in azienda. Le risorse digitali non sono più un elemento da possedere, ma un servizio di cui disporre quando e dove si vuole. Quindi l’idea stessa del cloud è stata la protagonista della rivoluzione digitale. Si tratta comunque di uno strumento in continua evoluzione che porterà ad ulteriori cambiamenti nel mondo dell’Information & Communication Technology. Di seguito la definizione dal “National Institute of Standards and Technology” (NIST): “Il

cloud computing è un modello per abilitare, tramite la rete, l’accesso diffuso, agevole e su richiesta, ad un insieme condiviso e configurabile di risorse di elaborazione (ad esempio reti, server, memoria, applicazioni e servizi) che possono essere acquisite e rilasciate rapidamente, con minimo sforzo di gestione o di interazione con il fornitore di servizi. Questo modello cloud è composto da cinque caratteristiche essenziali, tre modalità di servizio e quattro modelli di distribuzione”.3 L’industria 4.0 non è solo un fenomeno

tecnico e ingegneristico, ma è volto ad apportare novità in termini di “unità di luogo – lavoro” (il lavoro nei locali dell’impresa), di azione-lavoro (un’attività mono professionale), di tempo-lavoro (il lavoro nell’arco di una sequenza

temporale unica).4Relativamente a questo tema Enrico Moretti sostiene: “ i

luoghi in cui si fabbricano fisicamente le cose seguiteranno a perdere importanza, mentre le città popolate da lavoratori interconnessi e creativi diventeranno le nuove fabbriche del futuro”.5 Quindi il modello produttivo di Industria 4.0 ─ grazie alla digitalizzazione dei processi ─ estende le possibilità della virtualizzazione e dunque della “agilità” della prestazione anche a settori e mestieri nei quali la presenza fisica era necessaria soprattutto per i vincoli imposti dalla manualità. Si pensi alla professione del manutentore che, mediante le nuove tecniche di manutenzione rese possibili da sensori che

3

P. Stern (a cura di), Smart working e jobs act autonomi, Santarcangelo di Romagna, 2017.

4

P. Tullini, Economia digitale e lavoro non-standard, in Labour & Law Issues, 2016, vol.2, n. 2.

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inseriti nelle macchine producono e analizzano dati in grado di anticipare l’eventuale presenza di malfunzionamenti, può avvenire a distanza mediante

sistemi connessi che permettono agli operatori di intervenire in remoto.6

Risulta allora fondamentale porsi come obbiettivo l’abilitazione dei lavoratori a gestire una realtà al contempo fisica e virtuale e ad analizzare e risolvere problemi sempre più complessi. Sono necessarie nuove competenze digitali che non si possono acquisire attraverso un insegnamento di tipo tradizionale ma, occorrono spazi di apprendimento ad alta intensità di sperimentazione e innovazione che si collocano in un’area fra formazione e lavoro. Quindi un necessario raccordo fra un innovato sistema educativo e formativo (anche per

gli adulti) e mondo del lavoro.7A livello istituzionale un primo importante

contributo su questo tema è stato fornito dall’indagine conoscitiva che ha preso avvio nel febbraio del 2016 dalla Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei Deputati, con “l’obbiettivo di

concorrere alla definizione di una strategia italiana di Industria 4.0”.8

Il 21 settembre 2016 è stato predisposto un “Piano nazionale Industria 4.0” dopo che già altri paesi avevano assunto provvedimenti in merito. In Germania il dibattito su Industria 4.0 prende avvio nel 2006 con l’inaugurazione della

High-Tech Strategy; negli Stati Uniti una certa sensibilità al tema è stata

mostrata a partire dal 2011; nel 2014 il governo olandese ha elaborato un report: Smart Industry. Dutch Industry fit for the future, in collaborazione con il sistema camerale e il mondo delle imprese; nel Regno Unito e Francia è stata posta l’attenzione al tema a partire dal 2015, il governo francese in particolare ha avviato un progetto Industrie du futur, accompagnandolo nel 2016 con il documento programmatico Nouvelle France Industrielle; il

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M. Tiraboschi, Manutentori 4.0: non solo nuove tecnologie ma anche nuovi modi di lavorare, in Boll.

ADAPT, 2016, n. 12.

7

L. Orsenigo, Politiche per la ricerca e l’innovazione, in Investimenti, innovazione e città. Una nuova

politica industriale per la crescita, a cura di AA.VV., Egea, 2015, p. 215.

8

Camera dei deputati, Comm. X, Indagine conoscitiva su”Industria 4.0”:quale modello applicare al

tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, 30

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governo spagnolo, di concerto con il Ministero dell’industria, energia e turismo, ha presentato nel 2016 il piano Industria Conectada 4.0, il piano si fonda su una collaborazione pubblico-privata alla quale partecipano gruppi industriali come Indra, Telefònica e Santander ed è stato accompagnato da un documento programmatico dal titolo La transformaciòn digital de la industria

española,che analizza la situazione economica e gli impatti possibili di Industry 4.0 e ipotizza un glossario di termini chiave. Dal punto di vista

comunitario il tema è stato poi affrontato dal Parlamento europeo con il documento Industry 4.0 Digitalisation for productivity and growth del settembre 2015 e nel più ampio report Industry 4.0 elaborato nel 2016 dallo European Parliament ITRE Commitee (Industry, Research and Energy). Dalla lettura del “Piano nazionale per l’Industria 4.0” emerge una volontà di sostegno al sistema produttivo caratterizzata dalla promozione dei fattori abilitanti e da incentivi automatici facilmente accessibili. Sono tecnologie abilitanti: Cloud, Industrial Internet, Simulation, Cyber-security, Big Data,

Analytcs. Il piano individua inoltre i benefici attesi dalla sua attuazione, in

termini di flessibilità della produzione: l’aumento della produttività , la miglior qualità del prodotto e una maggior competitività dello stesso grazie a nuovi servizi introdotti. Il piano entra poi nel merito delle azioni e indica alcune direttrici: investimenti innovativi, competenze, infrastrutture abilitanti e strumenti pubblici di supporto. I protagonisti di questo percorso verso l’ Industria 4.0 sono soggetti istituzionali, universitari e privati. Il provvedimento intende operare in una logica di neutralità tecnologica nel senso di lasciare alle imprese la facoltà di individuare lungo quali linee guida concentrare i propri investimenti. Ulteriore azione è sicuramente quella di implementare la spesa in ricerca e sviluppo prevedendo il credito d’imposta per tutte le imprese che investono in queste attività indipendentemente dalla loro forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime

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contabile adottato.9 Inoltre si prevedono diversi interventi di natura finanziaria

e fiscale per sostenere startup e venture capital legate alle tematiche di Industria 4.0. Per quanto concerne il fronte delle competenze sono individuati interventi quali: l’implementazione del Piano nazionale Scuola digitale, un processo di avvicinamento delle università al tessuto produttivo di riferimento, lo sviluppo di progetti di alternanza scuola-lavoro incentrati su Industria 4.0 insieme a master e corsi universitari e l’ampliamento del numero di posti disponibili per percorsi ITS sugli stessi temi. A ciò si aggiunge la volontà di investire maggiori risorse pubbliche sull’incremento del numero di dottorati di ricerca su Industria 4.0 secondo il modello dei dottorati innovativi o intersettoriali. Completano il piano alcune direttrici di accompagnamento di varia natura quali nuovi investimenti per il completamento dell’infrastruttura della banda larga, l’ampliamenti del Fondo di Garanzia per i prestiti alle imprese e ─ per la materia più strettamente giuslavoristica ─ la riconferma degli sgravi sul salario di produttività a livello di contrattazione di

prossimità.10I risultati riferibili all’anno 2017 sulla base del piano sopra

descritto indicano un incremento di ordinativi nel mercato interno di beni strumentali con picchi del +11,6% per macchinari e altri apparecchi, con aspettative sugli ordinativi ai massimi livelli dal 2010. Dati positivi anche per la spesa in ricerca e sviluppo sia in termini di crescita, ma anche del numero di imprese che vi investe ritenendo l’innovazione molto utile per l’andamento dell’impresa stessa. In merito alle infrastrutture abilitanti di Industria 4.0 in particolare per la banda larga sono stati stanziati interventi pubblici pari a 3.5 Mld € al fine di incentivare la domanda di famiglie e imprese e quindi raggiungere gli obbiettivi di copertura al 2020. L’importo garantito per il Fondo di Garanzia è di +10,7%. Nell’ambito delle competenze il piano

9 G. Rosolen, Legge di Bilancio 2017: le novità sul credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo,

in Boll. ADAPT, 2016, n. 34.

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F. Seghezzi – M. Tiraboschi, Il piano nazionale Industria 4.0: una lettura lavoristica, in Labour & Law

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nazionale scuola e digitale ha determinato che 150 mila persone nella scuola possano fruire della formazione sui temi del digitale. Sono stati attivati corsi

universitari 4.0 ai quali sono iscritti ad oggi circa 60.000 studenti. Il progetto

“Crescere in digitale”, realizzato in collaborazione con Google ed Unioncamere, è un intervento di formazione per dare ai giovani competenze digitali da sperimentare al servizio del saper fare delle piccole e medie imprese italiane, per metterle in condizione di cogliere le opportunità di sviluppo offerte da web. Ci sono risultati positivi in merito perché i partecipanti sono quasi 105mila e oltre 6.500 le imprese disponibili ad offrire opportunità. Tuttavia in materia di formazione di lavoratori tra 24-65 anni attraverso la partecipazione a specifici corsi, l’Italia risulta al di sotto di -2.5 punti rispetto alla media UE. Sui temi de “Il lavoro che cambia”, il Ministero del lavoro, con il MISE e il MIUR, ha istituito un tavolo di confronto tra

istituzioni, parti sociali ed esperti ed attivato un forum online aperto a tutti.11In

uno scenario così articolato, occorre ricordare che quasi la metà dei lavoratori italiani dispone di competenze tecnologiche basse e che, di conseguenza risulta ancora più difficile attuare efficacemente il “Piano nazionale Industria 4.0”, in un contesto come quello italiano composto da imprese di piccola e media dimensione. E ciò sarà ancora di più se prevarrà l’attuale lettura tecnologica di Industria 4.0 rispetto a quella lavoristica.

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Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ministero dello Sviluppo Economico – Ministero

dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Risultati

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1.2 Questioni definitorie: lavoro agile o smart working?

Rilevano taluni imprescindibili chiarimenti terminologici e concettuali: l’espressione “lavoro agile” può essere considerata una traduzione efficace dell’inglese “smart working”? La discussione va ben oltre l’aspetto meramente linguistico, in quanto riguarda l’idea di lavoro futuro implicata dai termini, prima ancora che dalle norme. L’Accademia della Crusca è intervenuta sul tema, pronunciandosi in favore dell’espressione italiana “lavoro agile” e dichiarandola “un perfetto equivalente” del termine inglese

“smart working”.12

Tuttavia sono contenute alcune imprecisioni nel documento del Gruppo Incipit della Accademia della Crusca con riferimento al disegno di legge n. 2233/2016 di iniziativa del Ministro del lavoro Poletti, da cui è poi scaturita la legge 22 maggio 2017, n. 81. Innanzitutto nel documento si parla del lavoro agile nei termini di “una nuova forma di

telelavoro” e ciò è in contrasto alle intenzioni dichiarate del progetto di legge

governativo che si propone di differenziare nettamente, anche a livello di disciplina applicabile, le due fattispecie. Inoltre assimilare “lavoro agile” e “smart working” è un’operazione piuttosto complessa. Lavorare “smart” ─ come è smart un telefono di ultima generazione ─ significa essere efficienti, essere aggiornati, essere creativi oltre che essere sempre connessi. Il termine “lavoro agile” viceversa indica solo elasticità e rapidità, una modalità lavorativa dove la priorità viene data al risultato della prestazione del lavoratore (performance) e non alla presenza fisica di questi sul posto di lavoro. Questo perché “smart working” non è una locuzione che abbia una soddisfacente traduzione letterale, quale ad esempio “lavoro intelligente”. Quindi “lavoro agile” e “smart working” evocano due scenari differenti. Soprattutto quando si parla di lavoro agile/smart per indicare l’obbiettivo della

work-life balance,cioè della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

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Obbiettivo raggiungibile solo attraverso una piena e reale autonomia della persona nell’organizzazione del suo lavoro, invece il “lavoro agile” si riferisce a una forma parzialmente indipendente di lavoro subordinato. Col termine “agile” si intende una prestazione che si esprime nel tempo e nello spazio. Una condizione dove lavorare è evitare ostacoli, in quanto “conciliare” presuppone l’esistenza di due entità indistinguibili. Lo smart working invece non è in netta contrapposizione a tempi e luoghi fissi, ma trova il suo contrario nella prestazione lavorativa condotta con modalità tecnologicamente arretrate, disconnessa dal resto del mondo, inefficiente, non creativa. Comunque, il “lavoro agile” esprime qualità ulteriori rispetto al precedente “lavoro flessibile”, dove la semplice flessibilità implica una condizione passiva invece il lavoro agile richiede una condizione attiva. Così come rispetto all’antenato del “telelavoro”, “smart working” esprime di più di una prestazione a distanza. In entrambi i casi quindi i termini attribuiscono ulteriori significati alla attività lavorativa, ponendo l’attenzione sulla persona piuttosto che alle condizioni di lavoro. Nonostante ciò, “lavoro agile” e “smart working” non sembrano essere “perfetti equivalenti”. Il loro utilizzo si presta a sottolineare aspetti diversi di un modello di lavoro del futuro. Nel caso del “lavoro agile” si sottolinea un’indipendenza attiva, ma parziale, legata ai tempi di vita e di lavoro, nel caso di “smart working” si esprime invece un lavoro più caratterizzato dalle competenze della persona. Quindi una scelta dell’uno o dell’altro termine può dare luogo a riflessioni relativamente alla modalità

lavorativa che emerge dalla legge o dai contratti.13 In tutti gli ambiti, il primo

nodo da sciogliere per poter affrontare una tematica è quello della sua definizione: nel contesto giuridico la definizione ha un valore ancora più pregnante, determinando l’applicabilità della disciplina alle fattispecie concrete che si presentano nella realtà fattuale. La definizione contenuta

13

M. Tiraboschi, Il c.d. “lavoro agile”: profili terminologici e questioni definitorie, in Working Papers,

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all’art.18 co. 1 del Jobs Act dei lavoratori autonomi che inaugura la seconda sezione ─ dedicata al cd. lavoro agile ─ del documento di riforma, è articolata attraverso delle indicazioni che configurano la modalità con cui “l’esecuzione

del rapporto subordinato” deve svolgersi per essere definita lavoro agile. Si

tratta di: a) prestazione eseguita in parte all’interno dei locali aziendali, in parte fuori dalla sede aziendale; b) assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali; c) variabilità dell’orario di lavoro con il rispetto dei limiti di durata massima dell’orario giornaliero o settimanale; d) possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Rispetto alla definizione temporale di lavoro agile, sembra conseguire che non possa considerasi lavoro agile quello svolto in un inquadramento temporale prefissato. Il lavoro agile si configura come una prestazione svolta in parte da remoto e ciò che rileva è l’assenza di

precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.14 Occorre segnalare che il

riferimento ai soli vincoli di durata massima non ha contenuto derogatorio rispetto all’applicabilità della normativa in tema di orario di lavoro ( d.lgs. n. 66/2003), la cui matrice europea pone vincoli di rilievo rispetto agli interventi legislativi in questo ambito. Se da una parte la maggiore destrutturazione temporale del lavoro potrebbe incentivare uno sviluppo del lavoro agile, dall’altro lato sembra però, configurarsi come un possibile freno alla sua diffusione, dal momento che numerose prestazioni lavorative devono ancora necessariamente svolgersi in collocazioni temporali predeterminate e sostanzialmente fisse e che una definizione così strutturata contrasta con il carattere sperimentale dei programmi di lavoro agile e con la sua rilevanza organizzativa, che presuppongono la piena adesione e piena fiducia delle parti e uno spettro di soluzioni tale da rispondere a necessità e esigenze diverse. Rispetto a quest’ultimo profilo ─ anche ove il tipo di attività si presti ─ ancora molti sono gli ostacoli ad una piena liberalizzazione dei tempi di lavoro: si

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tratta perlopiù di ostacoli culturali, legati ad una concezione presenzialista del lavoro e al rischio che tra le conseguenze della destrutturazione temporale della prestazione vi sia l’overworking. È pur vero che alcuni strumenti si pongono alle parti prima ancora che al legislatore, per affrontare questi ostacoli: possono essere inserite clausole relative alla produttività; si può fare riferimento al diritto/dovere di disconnessione e ad una calibrazione del carico di lavoro periodica e condivisa. Ciononostante, la definizione comporterebbe comunque una forzatura poco coerente con le diverse e variegate dinamiche produttive e organizzative e una sostanziale riduzione delle possibilità di successo della disciplina. Si conviene quindi che è preferibile una lettura che

lasci maggiore spazio alla determinazione delle parti.15

1.3 Gli ambiti di applicazione del lavoro agile.

Gli ambiti applicativi del lavoro agile possono essere i più svariati e spaziare dalle prestazioni ad alto contenuto intellettuale (grafici pubblicitari, tecnici informatici operanti da remoto) a quelle meno specialistiche (addetti ai servizi di consegna a domicilio, manutentori on site, per i quali può essere necessario lo svolgimento dell’attività solo in parte all’interno dell’azienda, sotto la direzione del datore di lavoro e dei suoi sottoposti in modo incostante nel

tempo o limitato nel corso della giornata lavorativa).16 Quindi relativamente

all’individuazione dei lavoratori destinatari delle misure, nessuna tipologia o categoria è aprioristicamente esclusa. Rispetto ai punti applicativi dello smart working, un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata al tema

15 E. Dagnino – M. Tiraboschi (a cura di), Di cosa stiamo parlando, in Verso il futuro del lavoro ADAPT,

2016, n. 52, p. 26.

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G. Santoro-Passarelli, Il lavoro agile e i suoi elementi caratterizzanti, in Working Papers, Centre for the

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dell’orario di lavoro: infatti, l’azienda dovrebbe considerare l’oggetto e le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa del lavoratore agile. È ipotizzabile, alla luce di tali riflessioni, un diverso approccio in almeno due casi: 1) lavoro prestato in “team”: in questa situazione il soggetto si trova normalmente “connesso” con i colleghi e lo “smartworker” dovrebbe garantire ─ nell’arco del proprio orario di lavoro e nel rispetto delle norme generali cogenti del d.lgs. 66/2003 ─ una prestazione fruibile anche da parte di altri soggetti dell’organizzazione aziendale; 2) lavoro prestato da lavoratori che non operano in “team”: se lo smartworker non ha vincoli rispetto alla propria prestazione in collegamento con altri colleghi, potrebbe essere indifferente una sua connessione con la rete aziendale (LAN/wi-fi, wireless ecc.). In questi casi, le ore o le giornate di “lavoro agile” potrebbero essere svolte senza un effettivo vincolo di presenza/reperibilità, dovendo il lavoratore presentare (nei tempi concordati con l’azienda) il “prodotto” o l’oggetto della sua prestazione di lavoro in “smart work”. Entrambe le situazioni sono possibili e ─ a seconda delle esigenze aziendali ─ possono essere considerate nella policy interna per la loro gestione. Diverse sono le valutazioni da poter svolgere ai fini dell’applicazione del lavoro agile. Alcuni criteri rispondono a condizioni tecniche, in questo senso è peculiare l’accordo Snam che condiziona “l’adesione alla modalità Smart Working alla disponibilità di una linea di

connessione dati veloce presso il luogo dove si intende svolgere l’attività”.

Alle condizioni tecniche si affiancano condizioni di tipo organizzativo: la compatibilità è richiesta anche rispetto al ruolo e agli altri aspetti di natura organizzativa e/o soggettiva. Infatti vi può essere la scelta di limitare l’accesso ad alcune strutture, aree o funzioni specificatamente individuate. Nella stessa logica ci possono essere limitazioni a particolari categorie di lavoratori: ad esempio Banca Etica riserva il lavoro agile soltanto ai quadri direttivi, viceversa BNP apre l’accesso a tutta la compagine lavorativa. Un’altra ottica di valutazione è quella legata a scelte di politica gestionale dell’impresa. In

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questo senso un criterio di riferimento è quello dell’anzianità di servizio: il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, particolarmente importante nell’ambito del lavoro da remoto, si sostanzia negli anni di servizio del lavoratore. Infine da citare, la possibilità di inserire parametri che permettano di privilegiare nell’accesso soggetti che presentano determinate condizioni di salute o gestione dei tempi, in un’ottica di sostenibilità del lavoro. Oltre che per prevedere modalità di svolgimento parzialmente diverse, questi criteri ed altri dello stesso tenore possono essere indicati alla stregua di criteri di scelta, nel momento in cui non si voglia, come avviene soprattutto nelle prime fasi, aprire a tutto il personale tale sperimentazione. Alla richiesta su base volontaria – sempre specificata – può seguire un’autorizzazione, un accordo individuale, un accordo in sede sindacale o ancora la sottoscrizione di

lettera/contratto di adesione al programma.17 Occorre comprendere che

quando si applica il lavoro agile non è la presenza del lavoratore ad essere misurata ma il risultato del lavoro e se il lavoratore ha degli obbiettivi da raggiungere, può organizzarsi a far fronte alle esigenze familiari, di trasporto,

di necessità in generale. Certamente è richiesta una maggior

responsabilizzazione del datore di lavoro e del lavoratore per avere migliori risultati anche in termini di servizi resi. Quindi il lavoro agile non è una nuova forma di lavoro atipico finalizzato ai giovani, non è una nuova parola per indicare il telelavoro e neppure una forma di welfare aziendale. Si tratta piuttosto di una vera e propria filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia. Esistono falsi miti da sfatare concernenti lo smart working: 1) le persone se ne approfittano; 2) il lavoro agile genera senso di isolamento; 3) si tratta di una modalità di lavoro riservata a chi ha la possibilità di lavorare da casa; 4) il lavoro agile ha come conseguenza una disorganizzazione dell’ufficio. Rispetto al primo mito

17

E. Dagnino - M. Tiraboschi – P. Tomassetti – C. Tourres, Destinatari e criteri e modalità d’accesso al

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certamente è necessaria maturità e disciplina personale; per quanto riguarda il secondo mito la difficoltà reale potrebbe essere quella di un pericolo di “ work intensification”; riflettendo sul terzo mito bisogna affermare che la tecnologia è spesso ancora una “falsa commodity”; infine per quanto concerne l’ultimo mito è certamente necessario uno sforzo in termini di pianificazione e

coordinamento per un’applicazione efficiente del lavoro agile.18

Ai fini di una corretta attuazione due sono gli ambiti di azione tecnologici con un diretto impatto su risorse umane e sullo spazio di lavoro. Il primo riguarda l’ingresso di nuove tecnologie, l’internet delle cose nelle aziende. Il secondo è il maggior utilizzo di tecnologie già esistenti. Le grandi aziende fanno smart working diffondendo sensori per monitorare l’uso degli spazi o per i sistemi di prenotazione degli ambienti in comune per esempio sale riunioni. Sono altresì utilizzate applicazioni per simulare in un ambiente virtuale la profondità delle interazioni face-to-face. Esistono applicazioni e sensori indossabili per rilevare in tempo reale l’umore di un gruppo di lavoro, il livello di stress. Quanto alle tecnologie già esistenti spiccano quelle di comunicazione unificata per esempio la video conferenza, tuttavia finora sotto utilizzate. Finalmente grazie all’ondata di smart working le aziende cominciano a usarle diffusamente. Si pensi che oltre metà delle aziende che fanno smart working

prevedono di allocarvi un budget specifico.19 Tuttavia restano sfide importanti

da affrontare, come l’applicazione dello smart working alla Pubblica Amministrazione rispetto alle quali la riforma Madia è una nota positiva in quanto pone come obbiettivo la diffusione all’interno della PA di modelli flessibili; la diffusione tra le PMI per cui persiste una barriera culturale, anche se l’aumento di consapevolezza dei benefici ottenibili, fa ben sperare per il futuro; infine la declinazione del lavoro Smart nelle attività manifatturiere ─ settore di maggiore competitività per l’economia italiana ─ anche grazie

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F. Crespi (direttore Osservatorio Smart Working – Politecnico di Milano), Lo Smart Working in Italia:

la diffusione del fenomeno, in osservatori. net digital innovation, 2016, p. 26.

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all’innovazione introdotta dall’Industria 4.0. Sicuramente il lavoro agile in Italia non è più un’utopia, ma una realtà rilevante e in crescita in grado di superare quel mercato del lavoro che per troppi anni è stato bloccato da rigidità e contrapposizioni.

1.4 Dal lato della subordinazione: i contenuti dell’accordo.

L’art. 18 della l. n. 81/2017 definisce il lavoro agile: “ quale modalità di

esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli, e obbiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. È stata

compiuta dal legislatore una precisa scelta valoriale, disattendendo la diversa impostazione del d.d.l. n. 2229/2016 che consentiva di ricondurre il lavoro in modalità agile non solo a forme di lavoro subordinato, ma anche autonomo. Il riferimento alla possibilità di organizzare il lavoro agile anche “per fasi, cicli

e obbiettivi” non esclude la natura subordinata del rapporto, ma pone la

questione se ─ con il lavoro agile ─ il legislatore abbia introdotto un nuovo tipo di lavoro subordinato o se si tratti ─ più semplicemente ─ di una

conferma di percorsi già avviati di “de-standardizzazione” della disciplina.20

L’art. 2094 c.c. dispone che: “è prestatore di lavoro subordinato chi si

obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. La categoria del lavoro autonomo viene di fatto

individuata dall’art. 2222 del c.c. a partire dall’assenza di subordinazione. La definizione della subordinazione diventa dunque ancor più centrale per la corretta distinzione tra le due tipologie di attività lavorativa. Come evidente, quanto al contenuto del codice civile difficilmente può essere operativamente

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AA. VV. (a cura di L. Fiorillo – A. Perulli), Il Jobs Act del lavoro autonomo e del lavoro agile,

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19

sufficiente a determinare la natura del rapporto di lavoro. Per questo motivo negli anni la giurisprudenza ha elaborato degli indici di subordinazione, ossia degli elementi che si devono valutare per determinare il corretto inquadramento del rapporto di lavoro. Con la sentenza n. 7024/2015 la Corte di Cassazione ha ribadito quali sono gli elementi indicativi che ─ al di là del

nomen juris dato dalle parti ─ riconducono il rapporto nell’ambito della

subordinazione: 1) retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; 2) orario di lavoro fisso e continuativo; 3) continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico-organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; 4) vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; 5) inserimento nell’organizzazione aziendale. Tali indici devono però essere valutati globalmente al fine di integrare la prova della subordinazione. Vi è stata inoltre una pronuncia della Corte Costituzionale del 7 maggio 2015 n. 76 nella quale la subordinazione viene definita come assoggettamento al potere del datore di lavoro di emanare ordini specifici. L’eterodirezione si estrinseca “in

una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un’ingerenza, idonea a svilire l’autonomia del lavoratore”. Probabilmente la

Corte influenzata dalle specificità del contesto di partenza (il servizio di guardia infermieristica svolto all’interno di un istituto penitenziario), accoglie

una concezione estremamente tradizionale e ristretta di subordinazione.21

Un’ulteriore specificazione è stata effettuata dalla Cassazione nel 2017 (Cass. Civ., sez. lav., n. 8883/2017), che ha posto l’attenzione sui poteri datoriali ─ potere direttivo, organizzativo e disciplinare ─ ponendoli come elemento centrale dell’osservazione (lasciando quindi gli altri elementi come accessori da valutare “globalmente”) e al contempo definendone le caratteristiche: 1)

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G. Ferraro, Subordinazione e autonomia tra pronunzie della Corte costituzionale e processi evolutivi, in L.G., 2016, p. 221 ss.

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emanazione di ordini specifici; 2) esercizio di una assidua attività di vigilanza; 3) controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. Gli interventi della giurisprudenza in materia di indici di subordinazione sono copiosi e portano alla definizione di quegli indici che sono stati individuati, a cui devono aggiungersi: 1) oggetto della prestazione: deve rilevare non come risultato, ma come energie lavorative (Cass. civ., sez. lav., n. 6803/2002); 2) esecuzione personale della prestazione: la sostituzione è possibile, in base alla natura della prestazione, solo in via eccezionale e con il consenso del datore (Cass. civ., sez. lav., n. 1274/2009); 3) la proprietà aziendale degli strumenti di lavoro (Cass. civ., sez. lav., n. 9812/2008). Alla luce della definizione di subordinazione che emerge dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, occorre analizzare se il lavoro prestato in modalità “agile” presenta tali indici di subordinazione. Sicuramente assente nel lavoro agile è l’indice della fissità dell’orario e del luogo di lavoro (id est in forma diversa rispetto al normale “inserimento” nell’organizzazione dell’impresa), inoltre se la prestazione “agile” è effettuata “per obbiettivi” potrebbero non essere presenti neppure gli indici relativi agli “ordini specifici” e l’assidua vigilanza che rappresentano un vincolo di soggezione al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e quindi elemento fondante del concetto di subordinazione, infine gli strumenti di lavoro nel lavoro agile non necessariamente devono appartenere al datore di lavoro. Sono presenti invece gli indici di subordinazione quali l’esecuzione

personale della prestazione e la retribuzione fissa mensile.22 Il lavoro agile si

qualifica come una modalità di prestazione che si potrebbe definire “speciale” che si riconduce al rapporto subordinato per espressa previsione di legge. Il legislatore mostra così una concezione di subordinazione più ampia o “attenuata” avvallando una lettura evolutiva dell’eterodirezione idonea a cogliere i mutamenti dei processi organizzativi e dei modi di lavorare. Il

22

S. Bini, Fattispecie lavoro subordinato – Lungo lo scosceso confine tra autonomia e subordinazione, in

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lavoro agile si presenta all’interprete come una deviazione causale dal tipo legale, arricchendosi di aspetti irriducibili al normale sinallagma contrattuale di cui all’art. 2094 c.c. . Il principio dell’indisponibilità del tipo ─ come da molti giuristi è stato osservato ─ può portare a numerosi fraintendimenti ed andrebbe criticamente riletto a partire dalla considerazione che: non esiste una nozione legislativa o un tipo sociale di lavoro subordinato indisponibile e immodificabile da parte del legislatore. Semmai esistono tutele minime del lavoro che ─ solo se e in quanto presidiate da principi costituzionali ─ devono trovare attuazione e applicazione nei rapporti economici e sociali di cui parla l’art. 35 Cost. ─ cioè ─ nel significato minimo, nei rapporti in cui sia dedotta una prestazione di lavoro personale svolta nell’altrui interesse. Spetta al legislatore riempire di contenuto normativo il significato di rapporto economico e sociale che resta storicamente relativo e mutevole, come pure spetta al legislatore modulare e differenziare ─ nei limiti della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. ─ le tutele purché da ciò non derivi la disapplicazione da quelle che ─ per l’avere un fondamento costituzionale ─ devono per forza

trovare applicazione.23

Il ricorso al lavoro agile presuppone un apposito accordo tra le parti, il c.d. patto di lavoro agile. Si tratta di un accordo stipulato in forma scritta ad

probationem ─ anche ai fini della regolarità amministrativa ─ attraverso il

quale si pattuisce il passaggio dalla modalità tradizionale di esecuzione della prestazione lavorativa alla modalità “agile” e può naturalmente anche essere contestuale all’assunzione. Benché mera modalità di prestazione, il lavoro agile non può mai essere imposto unilateralmente dal datore di lavoro. Con la circolare 48/2017 l’Inail rende noto che il contratto di lavoro agile è soggetto a comunicazione obbligatoria, la circolare contiene tutte le indicazioni operative come: l’obbligo assicurativo, la classificazione tariffaria, la retribuzione imponibile, la tutela assicurativa e quella inerente a salute e

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sicurezza dei lavoratori agili. L’accordo deve ─ inoltre ─ essere comunicato al Centro per l’impiego all’inizio e alla fine del periodo di lavoro agile previsto

nell’accordo individuale.24

Le disposizioni di legge individuano un contenuto minimo da rispettare. È l’art. 19 ─ l. n. 81/2017 ─ che si occupa della forma, dell’oggetto e delle modalità di recesso. Primo fra gli elementi essenziali è il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali. A questo riguardo una delle indicazioni che deve essere concordata è la distribuzione temporale del lavoro agile. La norma si limita a dire che il lavoro agile dovrà comunque essere svolto in parte in azienda, ma non specifica ulteriori limiti. Nella prassi degli accordi aziendali stipulati nelle grandi imprese fino ad oggi, si è assistito ad una forma limitata di smart working. Il lavoratore cioè, può svolgere l’attività al di fuori dell’azienda solo per pochi giorni al mese. Tuttavia si possono ipotizzare forme flessibili ben più estremizzate, essendo possibile stabilire ad esempio, che il lavoratore debba rientrare in azienda anche solo un giorno al mese, o pochi giorni all’anno. Un’azienda potrebbe scegliere di stabilire un numero massimo di giorni al mese in cui il dipendente può lavorare da remoto, lasciando libertà al lavoratore di individuare quali. Riconoscendo la possibilità di comunicare con un breve preavviso si può realizzare appieno quella che è la finalità dello smart working: incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Comunque appare opportuno predeterminare nell’accordo i periodi in cui il lavoratore lavorerà all’esterno. Un’applicazione diversa ─ che possa consentire al lavoratore di comunicare giornalmente o a sua scelta lo svolgimento dell’attività lavorativa da casa o da altro luogo ─ renderebbe più complessi i controlli da parte degli enti, ad esempio nel caso di un accesso ispettivo. Altro elemento essenziale da regolamentare con l’accordo tra le parti è la modalità di esercizio dei poteri del datore di lavoro. Infatti l’art. 19 dispone che: “ L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile

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23 (…) disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore.” In

primo luogo le parti dovranno concordare preventivamente l’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro. Si tratta dell’elemento costitutivo del rapporto di lavoro subordinato. Come sancito dall’art. 2094 del codice civile, il lavoratore subordinato è obbligato nell’esecuzione dell’attività lavorativa e ad attenersi alle direttive impartite dal datore di lavoro e dai suoi superiori gerarchici. L’eterodirezione è finalizzata all’integrazione della prestazione lavorativa all’interno dell’azienda. Tuttavia, le nuove forme di organizzazione aziendale possono determinare un’attenuazione degli interventi autoritativi. Nella concreta utilizzazione del lavoro agile deve essere considerato che l’attività lavorativa dovrà essere comunque svolta in parte all’interno dell’azienda. In questo modo viene garantito il confronto tra datore di lavoro e dipendente. Nelle forme più flessibili che possono prevedere la lunga assenza del lavoratore nei locali aziendali, il datore avrà comunque sempre la possibilità di organizzare il lavoro del dipendente e impartire gli ordini. Nell’accordo le parti potranno poi individuare delle fasce orarie della giornata in cui il lavoratore deve rendersi disponibile per ricevere comunicazioni, cioè un obbligo di reperibilità. L’art. 21 stabilisce espressamente che l’accordo deve disciplinare anche l’esercizio del potere di controllo, nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della l. n. 300/1970, nonché dalle regole contenute

nel Codice della privacy.25 Infatti l’art. 21 della l. 81/2017 recita:“l’accordo

relativo alla modalità di lavoro agile disciplina l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della legge 20 maggio1970, n. 300, e successive modificazioni.” L’accordo deve

25

A. Bottini – V. Morosini, Il lavoro agile ridisegna i limiti su orario, controlli e sede di attività, in Il

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poi individuare i comportamenti che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Ciò sempre secondo quanto previsto dall’art. 21: “L’accordo (…) individua le condotte, connesse all’esecuzione della

prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.”26

Altro contenuto essenziale dell’accordo è l’individuazione dei tempi di riposo del lavoratore e delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione. L’art. 19 sancisce un importante principio del lavoro agile: il diritto alla disconnessione. Tale principio garantisce il lavoratore da un possibile sovraccarico di lavoro. Infatti l’art. 19 prevede che: “l accordo individua

altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare le disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.” La finalità del lavoro agile è quella di

assicurare una migliore conciliazione tra vita privata e lavorativa. Tuttavia ci potrebbe essere una maggiore permeabilità fra le due realtà con il rischio ─ per il lavoratore ─ di non riuscire più a mantenerle separate. Una situazione di questo tipo determinerebbe il risultato opposto a quello che la normativa si prefigge di raggiungere, con un peggioramento delle condizioni di vita del lavoratore e ─ in un secondo momento ─ della produttività aziendale. Inoltre la tutela del riposo del lavoratore è sancita dal d.lgs. n. 66/2003 che stabilisce:

“il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità.” L’art. 18 della l. n. 81/2017 prevede che in merito ai

tempi di lavoro, l’unico limite è posto dalla durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale stabilito dalla normativa e dalla contrattazione collettiva. Si potrebbe comunque procedere ad esempio predeterminando nell’accordo una fascia oraria nella quale potrà liberamente svolgersi l’attività

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lavorativa secondo le ore giornaliere di lavoro previste dal contratto di lavoro. Inoltre può essere opportuno specificare che nelle giornate di smart working

non saranno autorizzate le prestazioni di lavoro straordinario.27 Altro elemento

dell’accordo è poi la determinazione della durata dello stesso. L’art. 19 stabilisce che l’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato. Tale disposizione è legata anche alla possibilità di organizzare lo smart working per fasi, cicli e obbiettivi. Si può pertanto ipotizzare l’indicazione di un termine determinabile, cioè di un termine non individuato attraverso una specifica data di fine della modalità agile di lavoro, ma subordinato al realizzarsi di un evento, ad esempio il raggiungimento di un obbiettivo o di un risultato. L’art. 19 disciplina altresì il recesso dall’accordo tra datore di lavoro e lavoratore agile: “ L’accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a

tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferire a trenta giorni. Nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell’art. 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato,o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.” In sintesi: se è stato

stipulato un accordo a tempo indeterminato le parti possono sempre recedere rispettando un preavviso di 30 giorni; invece in caso di accordo a tempo determinato il recesso in data antecedente al termine è consentito solo se sussiste un giustificato motivo. Nulla stabilisce la norma in merito a quali eventi possono determinare il giustificato motivo di recesso. Pertanto sarà opportuno nell’accordo tra le parti tipizzare i casi in cui possa sopravvenire il recesso senza la necessità del preavviso. La terminologia utilizzata dal

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legislatore è quella tipicamente connessa al recesso dal rapporto di lavoro. Il concetto di giustificato motivo è legato alla presenza di condizioni oggettive che rendono impossibile proseguire il rapporto di lavoro o ─ come nel caso dello smart working ─ di determinate modalità di esecuzione della prestazione di lavoro. Le motivazioni del recesso pertanto dovranno essere obbiettive e verificabili. Il disegno di legge Sacconi ─ assorbito dal testo ad iniziativa governativa ─ prevedeva che: “ salvo diversa previsione tra le parti, dal

recesso dell’accordo di lavoro agile deriva altresì lo scioglimento del vincolo contrattuale che regola il rapporto tra le parti.” Tale disposizione è stata

eliminata. Tuttavia si potrebbe ipotizzare che un rapporto di lavoro venga instaurato proprio in funzione dell’accordo sul lavoro agile. Ad esempio un lavoratore potrebbe aver interesse ─ legato ad esigenze familiari ─ alla possibilità di svolgere l’attività da casa per alcuni giorni al mese. Nel caso di recesso da parte del datore di lavoro e pertanto nell’impossibilità di continuare a svolgere il rapporto di lavoro, il lavoratore sarebbe costretto a presentare le dimissioni, non esistendo alcun collegamento diretto tra accordo e il contratto di lavoro. Nel caso contrario potrebbe essere l’azienda ad aver interesse alla modalità di lavoro smart, ad esempio nel caso di un numero di postazioni lavorative limitate nella sede aziendale. Nelle ipotesi più estreme un rientro dei lavoratori agili potrebbe comportare un costo importante per l’azienda. In tale ipotesi il datore di lavoro non avrebbe alcuna possibilità di recedere dal rapporto di lavoro a causa del venir meno della prestazione secondo la

modalità agile.28 L’art. 19 prevede una particolare tutela per i lavoratori

disabili in merito al recesso dall’accordo sulla modalità agile della prestazione lavorativa. Infatti in questi casi, il periodo di preavviso per il solo datore di lavoro sale a novanta giorni al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore. I lavoratori disabili destinatari della disposizione sono quelli di cui all’art. 1

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della l. n. 68/1999, cioè i lavoratori a cui si applica la disciplina del collocamento obbligatorio. Quindi nella volontà del legislatore vi è quella di promuovere l’utilizzo dello smart working per i lavoratori disabili. La

normativa sul collocamento obbligatorio è certamente finalizzata

all’inserimento del disabile all’interno della realtà lavorativa al fine di integrarlo ed evitare l’emarginazione sociale. Con il lavoro agile tale emarginazione potrebbe riproporsi, soprattutto nel caso di lunghi periodi di assenza dall’azienda. Tuttavia è innegabile che un utilizzo ragionevole dello smart working possa agevolare i lavoratori con disabilità che richiedono cure frequenti o che determinano una scarsa mobilità, ad esempio per chi non ha la possibilità di acquistare un mezzo di trasporto attrezzato e ha una disabilità motoria tale da impedirgli di utilizzare i mezzi di trasporto pubblico, spesso non attrezzati. Quindi il lavoro agile può essere riconosciuto come forma per antonomasia di accomodamento ragionevole, perché non si tratta soltanto dell’adattamento della postazione lavorativa come ambiente fisico, di ergonomia, di dispositivi e ausili, ma ancor di più di riconciliare il ciclo

vita-cura-lavoro.29 Altro elemento da disciplinare nell’accordo è quello che

riguarda gli strumenti informatici. Il legislatore non si esprime chiaramente sull’obbligo o meno di dotare il lavoratore di tutti gli strumenti necessari per l’esecuzione della prestazione lavorativa. Nell’accordo, tuttavia deve essere disciplinata l’esecuzione della prestazione di lavoro anche con riferimento agli strumenti utilizzati. Per diversi motivi appare opportuno che sia il datore di lavoro a fornire gli strumenti. In caso contrario il datore di lavoro non potrebbe ─ ad esempio ─ effettuare i controlli sugli stessi. Dal tenore letterale dell’art. 19, non si esclude la possibilità per il dipendente di utilizzare gli strumenti propri, fermo restando che quelli aziendali ricadranno sotto la

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P. Bandiera (a cura di S. F. Martìnez), Sclerosi multipla e disabilità: il lavoro agile come misura di

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diretta responsabilità del datore di lavoro.30 Un altro elemento che può essere

disciplinato attraverso l’accordo tra le parti, è la modalità di apprendimento e formazione del lavoratore. Il comma 2 dell’art. 20 disciplina il diritto all’apprendimento continuo e la certificazione delle competenze lavorative: “

Al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile ai sensi del presente capo può essere riconosciuto, nell’ambito dell’accordo di cui all’art. 19, il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze.” Il diritto

all’apprendimento è particolarmente rilevante in tema di lavoro agile in quanto l’assenza dalla sede di lavoro potrebbe comportare l’estraniamento del dipendente dall’ambiente lavorativo. Uno dei rischi è la diminuzione della professionalità e la difficoltà di aggiornare le proprie competenze. Un’interessante possibilità per le aziende potrebbe essere quella di dedicare le giornate di smart working proprio alla formazione attraverso corsi di

aggiornamento online.31 Un principio fondamentale del lavoro agile è

enunciato dall’art. 20 comma 1, cioè la parità di trattamento: “ Il lavoratore

che svolge la prestazione in modalità agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato,in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. Tale principio permea

tutto il nostro ordinamento, sulla spinta dei principi europei e dei valori costituzionali. La parità di trattamento ha radici internazionali grazie al principio generale che impone un trattamento non meno favorevole del lavoratore straniero rispetto a quello nazionale. È quanto affermato espressamente dalla Convenzione O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143 del 1975, ratificata con l. n. 158/1981, e dal Regolamento n.

30

V. Frediani, Smart working & cyber security: I vantaggi delle policy aziendali, in IPSOA, 2017.

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R. Colombani – D. Iodice, Il lavoro agile nella legge n. 81/2017. Flessibilità o destrutturazione del

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492/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea. In ambito giuslavoristico il principio della parità di trattamento ha un ampio respiro essendo stato affermato più volte dal legislatore nel corso degli anni, ad esempio in materia di pari opportunità o di tutela della libertà religiosa. Il principio della parità di trattamento ─ inoltre ─ ricorre nei casi in cui il legislatore disciplina delle tipologie contrattuali diverse da quella che è la normale forma di lavoro, cioè il contratto di lavoro a tempo indeterminato e pieno. Infatti per quanto concerne il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento (art. 7, co. 1, d.lgs. n. 81/2015). Il lavoratore intermittente (cioè quel lavoratore che svolge la prestazione lavorativa solo a seguito della chiamata del datore di lavoro e pertanto in via discontinua) non deve ricevere ─ per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte ─ un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello (art. 17, co. 1, d.lgs. n. 81/2015). Stesso principio per il lavoratore somministrato: per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto ─ a parità di mansioni svolte ─ a condizioni economiche e normative non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore (art. 35, co. 1, d.lgs. n. 81/2015). Comunque il principio in esame non è mai stato esteso sino all’affermazione del diritto alla pari retribuzione a parità di qualifica e mansioni. La giurisprudenza infatti si è sempre espressa nel senso che ─ una volta rispettate le condizioni minime stabilite dal contratto collettivo ─ il datore di lavoro è assolutamente libero di attribuire trattamenti personali di favore. Il lavoratore non è quindi titolare di alcun diritto soggettivo alla pari retribuzione (Cass., Sez. Unite, n. 4570/1996). La libertà di determinare la retribuzione del lavoratore incontra poi delle limitazioni nei principi costituzionali, e in particolare nel principio di uguaglianza enunciato dall’art.

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3 della Costituzione che vieta qualsiasi discriminazione in base al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche e alle condizioni personali e sociali. In ambito lavoristico lo Statuto dei Lavoratori riafferma tale principio nell’art. 16, vietando la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio per ragioni sindacali, politiche, religiose, razziali, di lingua o di sesso, di età o basati sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali. In relazione allo smart working il principio di parità di trattamento vieta qualunque discriminazione tra il lavoratore che presta l’attività lavorativa esclusivamente nella sede aziendale e il lavoratore agile. Quindi il lavoratore agile non potrà ricevere un trattamento normativo ed economico inferiore a quello degli altri dipendenti. Il principio in esame può estendersi fino ad un concetto più ampio di parità di trattamento, senza limitarsi ai soli precetti normativi. Quindi diventa opportuno sottolineare che la natura stessa del lavoro flessibile che suppone una presenza limitata all’interno dell’azienda, non può determinare una discriminazione per lo smart worker. Egli avrà lo stesso interesse degli altri lavoratori all’avanzamento professionale, alla formazione e in generale, al coinvolgimento nella vita aziendale. Il datore di lavoro dovrà pertanto

assicurarsi che il lavoro agile non leda questi interessi.32

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Capitolo 2

Discipline a confronto: lavoro agile, coordinato e

telelavoro.

Sommario : 2.1 Il telelavoro; 2.2 Dal telelavoro al lavoro agile: analogie e differenze; 2.3 La fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa; 2.4 Possibili interferenze tra lavoro agile e collaborazione coordinata e continuativa.

2.1 Il telelavoro.

Il telelavoro (o lavoro a distanza) è una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa ─ diffusa sia in Italia sia all’estero ─ nella quale il lavoratore esegue le prestazioni da un luogo esterno all’azienda o comunque diverso dal luogo di esercizio del potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro, avvalendosi di un computer o di un altro dispositivo mobile collegato con il sistema informatico aziendale (ad es. tablet, smartphone). La diffusione della modalità lavorativa in esame è strettamente correlata con il grado di impiego delle tecnologie telematiche e con la capacità di utilizzo degli strumenti informatici da parte dei lavoratori. Sono note diverse forme di

telelavoro: quello svolto dal domicilio del lavoratore33, il lavoro da remoto,

nel quale il lavoratore svolge l’attività in “uffici satellite”, locali aziendali situati in un luogo distante dalla “sede” ove il datore di lavoro esercita il potere direttivo e di controllo, i centri di lavoro comunitario, strutture che ospitano telelavoratori che dipendono da imprese diverse, fino ad arrivare al

working out ─ l’unica forma di telelavoro non stanziale ─ nella quale il

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telelavoratore non è vincolato ad una posizione di lavoro fissa. Accanto alla presenza di una se pur minima strumentazione tecnologica, elemento necessario per integrare la fattispecie del telelavoro è ─ infatti ─ la regolarità della prestazione lavorativa resa da remoto che non significa certo totalità, quanto piuttosto quella ripetitività propria dei modelli organizzativi del lavoro che prevedono una pianificazione del tempo di lavoro (in giorni per settimana,

mese o anno) reso al di fuori dei locali aziendali34. Il fenomeno del telelavoro

non sembra essere decollato come alcuni auspicavano, e molto distanti appaiono gli scenari apologetici dove questa modalità di lavoro ad “impatto zero” sull’ambiente, nonché strumento di inclusione sociale per fasce deboli, avrebbe consentito a soggetti sempre più autodeterminati di riappropriarsi degli spazi e dei tempi rubati dalla società industriale, destinandoli ai rapporti

sociali e all’”ozio”35

. La regolamentazione del telelavoro è differente tra il settore privato e quello pubblico. Per i rapporti di lavoro privato non esiste una disciplina legale del telelavoro. Il legislatore si limita a incentivare il ricorso a questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa ─ pur senza darne una definizione generale ─ per le sue positive implicazioni sociali e organizzative: ad es. la conciliazione della vita privata con l’attività lavorativa, l’integrazione nei processi produttivi dei lavoratori disabili, il reinserimento dei lavoratori in mobilità. Le uniche regolamentazioni sono contenute in accordi e contratti collettivi sul telelavoro “esterno”, esse adeguano alle esigenze aziendali o di settore, la nuova forma di svolgimento dell’attività lavorativa, senza prefigurare un modello negoziale di riferimento. La stessa definizione di telelavoro, contenuta nell’accordo quadro europeo sul telelavoro stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002 tra CES (Confederazione Europea Sindacati), UNICE (Unione delle Industrie della Comunità Europea)/UEAPME (Unione Europea Artigianato e Piccole Medie Imprese) e

34

L. Gaeta, Telelavoro, in Treccani - diritto On Line, 2015.

35

M. Avvisati (a cura di G. De Minico), Il telelavoro protegge le categorie deboli?, in Dalla tecnologia

Riferimenti

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